VirusLibertario.it Nunzio Miccoli |
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Secondo i punti di vista, si può onorare un paese dicendo la verità o nascondendola, in questo secondo caso, in maniera politicamente corretta, è così che si comportano certa informazione reticente e certi storici di corte. La storia è la vergogna dell’umanità, gli storici, per salvare l’immagine dell’Italia, hanno spesso censurato i fatti a proposito di storia della chiesa, risorgimento, guerre coloniali italiane, resistenza e occupazione militare italiana dei Balcani; http://www.viruslibertario.it/Libri/La%20storia%20censurata.pdf; d’altra parte, si sa che l’informazione, poiché è prezzolata, non è libera di dire tutta la verità.
Gli eritrei sono un popolo gentile, di religione cristiana copta e di religione musulmana, malgrado ciò, gli italiani a volte sono stati anche con loro colonizzatori duri, anche se non più degli inglesi; malgrado ciò, accade che eritrei e somali non hanno sempre un cattivo ricordo dell’Italia. L’Italia avrebbe potuto fare come la Francia, concedendo asilo soprattutto a somali ed eritrei che hanno combattuto per gli italiani, invece, asservita agli Usa, ha preferito dimenticare, riservando loro lo stesso trattamento riservato agli altri immigrati clandestini; pertanto oggi l’Eritrea e la Somalia sono state avvolte in una cortina di silenzio e abbiamo negato loro anche assistenza e solidarietà.
La città di Asmara, capitale dell’Eritrea è stata costruita dagli italiani, è una città europea di stampo ottocentesco, ricca di edifici artistici, a causa delle sue bellezze architettoniche e della sua urbanistica all’Unesco è stata dichiarata patrimonio dell’umanità. Ad Asmara gli eritrei parlavano l’italiano, chi bene chi male, chi con inflessioni dialettali, ora, in omaggio a inglesi e americani, che occuparono il paese, tanti preferiscono parlare inglese.
Gli italiani sfruttarono abbondantemente la servitù del luogo, assoldarono gli ascari locali per l’esercito, erano valorosi, infaticabili e ammirati anche dagli inglesi; gli italiani furono prepotenti con gli eritrei, ma ne ebbero in cambio anche simpatia, dipende naturalmente anche dalle persone; i governi repubblicani italiani hanno voluto ignorare Eritrea e Somalia, rimuovendo la nostra storia coloniale nel corno d’Africa.
Gli italiani costruirono una strada che portava ad Asmara, situata a 2.438 metri, nell’impresa coloniale collaborarono monarchia, chiesa e fascismo; a parte il mare, ricco di pesci, il corno d’Africa sembrava una terra priva di risorse naturali, perciò fu inizialmente snobbata da francesi e inglesi. Gli agrari finanziarono il fascismo e il maggior agrario era la chiesa, Mussolini, dopo aver bonificato le paludi pontine con i contadini veneti, per bloccare la lotta di classe e la riforma fondiaria promessa nella prima guerra mondiale, pensò che era meglio mandare i contadini, piuttosto che in America, in Africa, naturalmente togliendo le terre a somali, eritrei ed etiopi.
Anche la chiesa, con la sua finanza nera, come già fatto in Libia, voleva estendere la sua influenza in Africa; i governi italiani, invischiati dal 1929 e fino a oggi con i preti, per difendere i privilegiati loro mandanti, sono stati incapaci di fare vere riforme e perciò le hanno sempre dilazionate e annacquate, come fu per la parziale riforma fondiaria degli anni cinquanta. La bonifica delle paludi pontine aveva preceduto la compagna di Etiopia, benedetta dalla chiesa, che doveva sistemare altri contadini.
Il fascismo fu finanziato da chiesa, agrari e industriali, i gesuiti erano attratti dalla gerarchia militare, però, per non farsi travolgere dagli eventi ed essere ricattata dai notabili, preferirono sostenere due caporali come Mussolini e Hitler; così borghesia e feudatari terrieri favorirono l’avvento del fascismo, poi gli italiani andarono in Africa anche per migliorare le loro condizioni economiche.
L’Etiopia era uno dei più antichi imperi e rimase indipendente fino al 1936, un altro paese che rimase indipendente in Asia, in mezzo a un mare di colonie inglesi e francesi, era la Tailandia; però l’Inghilterra aveva aiutato l’insediamento italiano in Eritrea, poi diede assistenza economica e militare agli etiopi contro gli italiani. Nel 986 a.c. ad Axum Menelik fondò l’impero etiopico, pare che Salomone re d’Israele si congiunse con la regina di Saba, che regnava sull’Etiopia.
Nel IV secolo d.c. l’Etiopia fu evangelizzata dalla chiesa di Alessandria, dove, secondo la tradizione, aveva insegnato San Marco e Cirillo di Alessandria; il negus regnava su uno stato feudale retto da ras, i baroni feudatari locali; in tedesco barone significa uomo libero, in contrapposizione ai sudditi che sono schiavi.
Nel 1896 fu ultimato il canale di Suez e la compagnia Rubattino di Genova comprò la baia di Assab, nel Mar Rosso, per 400.000 lire, il governo italiano la rilevò e v’installò un presidio, poi gli inglesi convinsero gli egiziani a cedere il porto di Massaua all’Italia; invece l'Italia prese la Libia nel 1912, dopo aver fatto una guerra alla Turchia e dopo aver comprato giornali francesi, riferisce Francesco Saverio Nitti, perché la Francia era contraria alla nostra conquista. In Eritrea l’Italia creò una truppa di ascari locali, fedeli, combattivi, con comportamento fiero, che andavano scalzi, ma in divisa coloniale, resistevano alle lunghe marce e alla fame.
Nel 1982 gli ascari superstiti, sopravvissuti alle repressioni degli etiopi che, con la fine della seconda guerra, occuparono l’Eritrea, hanno avuto una pensione di 150 euro l’anno dal governo italiano, i croati anti italiani, ne hanno ricevuta una maggiore, però bisogna saper trattare. Nel 1896 l’Italia fu sconfitta ad Adua dall’Etiopia e dovette rinunciare provvisoriamente all’Etiopia, agli ascari fatti prigionieri furono amputati dagli etiopi piede destro e mano sinistra.
Gli italiani fecero molte opere pubbliche in Asmara, con una cattedrale cattolica, una chiesa copta e una moschea, scuole, ospedali, strade ferrovie e altre opere pubbliche; l’attuale governo eritreo, per conservarlo, ha posto dei vincoli al centro storico; tuttavia, sotto gli italiani, non solo in Sudafrica, ma anche all’Asmara, esisteva una specie di ghetto, cioè vi esisteva l’apartheid e solo la servitù eritrea poteva avvicinare gli italiani; gli italiani definivano gli eritrei “neri”, ma in realtà, con i somali essi sono etnicamente dei bianchi con la pelle scura.
Asmara subì dei bombardamenti inglesi, ma è stata risparmiata dalla guerra con gli etiopi, inglesi e americani nella seconda guerra hanno bombardato pesantemente le città nemiche e, dopo la guerra, hanno puntato i missili nucleari contro le città sovietiche; il Negus Ailé Selassié e il colonnello Menghistu, che gli succedette con un colpo di stato, hanno rispettato Asmara italiana, ma non il porto di Massaua, bombardata dai mig sovietici; sotto gli italiani, alcuni eritrei frequentavano scuole per neri, così chiamate, ma solo fino alla terza classe elementare. Gli ascari furono usati nella repressione dei libici, in Libia Graziani fece anche avvelenare i pozzi, poi le terre libiche, come in Eritrea, furono assegnate agli italiani, mentre le terre italiane rimasero ai latifondisti italiani e alla chiesa.
Come accaduto ai napoletani dopo l’unità, i libici furono internati in campi di concentramento, un film “Il leone del deserto” non proiettato in Italia per volere di Andreotti, narra l’epopea dell’eroe libico Omar Al Mukhtar, impiccato da Graziani. Nel 1908 la Somalia divenne colonia italiana, anch’essa, come l’Eritrea, per concessione degli inglesi, invece i francesi ci negarono la Tunisia, che era di fronte alla Sicilia ed era abitata da tanti italiani; nel 1960, per volontà dell’ONU, la Somalia è diventata indipendente. L’Inghilterra aveva anche sostenuto il risorgimento italiano, anche perché il Piemonte e quindi l’Italia si accollarono il debito estero di tutti gli stati italiani.
L’Etiopia copta era uno stato feudale e schiavista, fu conquistata nel 1936 e costò molto in spese militari e oneri di urbanizzazione; malgrado la convenzione di Ginevra proibisse l’uso del gas in guerra, l’Italia nella conquista v’impiegò armi chimiche, come l’iprite, e batteriologiche, che causavano molte malattie; Badoglio e Graziani, distintosi in Libia, furono messi a capo della campagna di conquista; protetto dal governo italiano repubblicano, Graziani poi non fu condannato come criminale di guerra.
Nella guerra d’Etiopia furono distrutte chiese, uccisi civili e bestiame, gli italiani non facevano prigionieri e ricevettero carta bianca, furono uccisi monaci e fu applicata la politica del terrore, fu ammazzata gente con il bastone; Graziani, per come aveva condotto la guerra in Libia ed Etiopia, fu incluso dagli alleati nella lista dei criminali di guerra, invece il governo repubblicano lo salvò e nel 1952 Andreotti, il politico della chiesa, lo abbracciò; non poteva farne a meno perché anche il Vaticano aveva appoggiato l’impresa etiopica, come la guerra alimentata da Franco in Spagna, aiutato da Mussolini, che era stato il terzo uomo della Provvidenza, dopo Costantino e Carlo Magno.
Quando l’imperatore d’Etiopia Ailé Selassié, con l’aiuto inglese, arrivò ad Asmara, non si vendicò con gli italiani e, diversamente da altri conquistatori, ne conservò le opere civili senza distruggerle, aveva apprezzato le costruzioni italiane fatte in Addis Abeba e in Asmara; perciò tanti italiani decisero di rimanere in Asmara; Ailé Selassié tentò anche di fare delle riforme sociali, ma fu ostacolato dai ras feudali, erano e sono cose accadute anche in Italia.
Ad Asmara esisteva una forte escursione termica tra giorno e notte, gli eritrei, con l’aiuto italiano, divennero degli esperti artigiani, gli italiani erano razzisti, salvo eccezioni, però quando si facevano affari tra mercanti italiani ed eritrei, il razzismo pareva sparire, cioè il commercio pare attenuare l’ostilità razziale. Asmara era una città cosmopolita, con sauditi, yemeniti, ebrei, sudanesi, palestinesi, egiziani, inglesi, italiani, greci, indiani, etiopi, sudafricani, eritrei copti e musulmani; tuttavia, i primi erano in prevalenza nell’altopiano e ad Asmara i secondi nel bassopiano.
Dall’abito e dalla pettinatura delle donne si riconosceva il loro ceto e l’etnia, le sciarmute erano prostitute e avevano i capelli sciolti; ad Asmara gli italiani conservarono l’apartheid già esistito prima di loro, solo la servitù poteva accostarsi agli italiani; il quartiere indigeno era isolato e squallido, se un eritreo incrociava un bianco, doveva scendere dal marciapiede, lo pretendevano anche gli arabi con le altre religioni e con le altre razze.
Ad Asmara i bambini per la fame erano scheletriti e con l’addome gonfio, dovuto al versamento di liquido epatico per carenza di nutrimento, accade ancora ai bambini africani. In Eritrea esistevano predoni, poi utilizzati e armati dagli inglesi contro gli italiani, anche i piemontesi si allearono con la mafia contro gli italiani meridionali e gli americani che si allearono con la mafia contro i fascisti.
Malgrado il colonialismo, il contatto con gli italiani aiutò lo sviluppo economico e culturale dell’Eritrea, gli italiani non erano tutti uguali, però generalmente erano brutali, paternalisti, alteri e razzisti; come avviene con gli arabi, i prezzi erano contrattati; comunque, gli eritrei non potevano entrare nella cattedrale cattolica, nemmeno se cristiani.
Un collegio cattolico di bambine ospitava bambine paganti e bambine abbandonate, le mulatte erano sovente umiliate, castigate e usate per le pulizie. Una curiosità culturale, gli eritrei non potevano ascoltare la flatulenza intestinale e ne provavano vergogna, anche se era procurata da familiare; una donna giovane, a causa di quei rumori, uscì dalla stanza e andò a impiccarsi.
I ragazzi italiani organizzavano la caccia a bambini eritrei e li picchiavano, sparavano pallini agli eritrei con i fucili ad aria compressa, era il diverso che spingeva alla crudeltà, eppure la legge proibiva di maltrattare gli eritrei, ma erano maltrattati lo stesso; gli eritrei sopportavano, ma quando si rivoltavano, sapevano maneggiare il bastone, infatti, in Etiopia furono massacrati operai italiani al cantiere della Gondrand.
All’ospedale di Asmara un eritreo tirò un coltello a una suora, a scopo intimidatorio, senza colpirla, chi sa perché la odiava, al carcere di Treviso le detenute odiavano più le suore che i secondini, all’Ospedale di Treviso le suore potevano favorire la carriera di un medico. Gli eritrei avevano tra i denti ramoscelli di un pepe locale che teneva i denti puliti, bianchi e profumati, emettevano uno schiocco di disapprovazione con la lingua.
Gli eritrei il 27/9 festeggiano la croce e credono che Cristo s’immolò per la redenzione degli uomini, a causa dell'influenza islamica, non hanno il culto dei santi, della madonna e della trinità, invece i copti d'Etiopia credono anche ai santi e alla madonna; le donne eritree portano la croce tatuata sulla fronte, malvista dai musulmani; nella moschea di Asmara era proibito entrare, la maggioranza dei musulmani eritrei sono sunniti, le loro donne, diversamente da altri paesi islamici, erano libere di girare; i musulmani erano più benestanti dei copti, erano abitanti in provincia ed erano in piccola maggioranza.
Nel IV secolo l’imperatore d’Etiopia si convertì al cristianesimo copto di Alessandria, poi l’imperatore, come accadeva con i germani, fece convertire il suo popolo in massa, Alessandria era stata evangelizzata da Marco il cui corpo fu trafugato dai veneziani e portato a Venezia; ad Axum fu elevato un patriarcato, la chiesa copta aveva diversi vangeli, definiti apocrifi dalla chiesa cattolica, furono scoperti nel 1945 ad Hammadi, vicino Alessandria.
Tra essi sono il vangelo degli egiziani, il vangelo di Tommaso, più antico dei sinottici, la sapienza di Gesù, il libro di Giacomo, il vangelo di Maria di Magdala, il vangelo di Filippo, il vangelo di Pietro, un codice che afferma che anche Battista fu messia come a Cristo e il vangelo di Giuda. I vangeli copti risalgono agli ebioniti, ebrei egiziani e palestinesi, che erano rivali dei paulisti che diedero vita ai vangeli sinottici della chiesa cattolica, peraltro riveduti e manipolati nei secoli dalla chiesa cattolica.
La chiesa copta crede che in Gesù vi sia solo la natura divina umanizzata, seguendo il patriarca Cirillo di Alessandria; la festa della croce celebra il ritrovamento in Terrasanta della croce di Cristo, da parte di Elena, madre di Costantino. Le donne eritree, come quelle arabe, emettono trilli facendo oscillare la lingua, in Eritrea, utilizzando la carità, sotto la dominazione italiana si sono fatte anche conversioni al cattolicesimo e recentemente anche alle altre confessioni protestanti; sotto gli italiani, c’era un vescovo cattolico per i bianchi e uno per gli eritrei, chiamati spregiativamente neri, chiese cattoliche per i bianchi e chiese cattoliche per i neri.
Oggi migliaia di etiopi e eritrei vivono in Italia, l’occidente è incredulo, mentre in Africa, in India e Cina crescono le conversioni al cattolicesimo. La voce delle donne eritree è acuta e modulata come quella degli usignoli, le musiche copte eritree ed etiopi hanno l’andamento del canto gregoriano; come gli altri africani, gli eritrei fanno lavori pesanti accompagnandosi con canti ritmici e con movimenti del corpo, invece la chiesa cattolica sembra abbia abbandonato il canto gregoriano che è molto antico.
Anche in Etiopia, come in Italia, dominano Ras e preti, tuttavia oggi ad Asmara si sono imposti i costumi occidentali, anche nel vestire; le eritree hanno portamento eretto e signorile perché erano abituate a portare cesti o pesi in equilibrio sulla testa, come le conche portate dalle donne dell’Italia meridionale e che ora non si portano più; oggi alle giovani indossatrici, per avere lo stesso portamento, è raccomandato di camminare con dei libri sulla testa, senza farli cadere.
Etiopi ed eritrei bevono caffè etiopico come fosse un rito, le tazzine sono senza manico e ne bevono tre tazze, la terza tazza è considerata quella della benedizione; prima della rivoluzione moderna, in Eritrea marito e moglie si conoscevano solo il giorno delle nozze, però oggi la borghesia eritrea ha adottato i costumi occidentali; oggi il governo eritreo ha proibito infibulazione e mutilazione genitale, però la donna del popolo è ancora sottomessa, ma il governo cerca di favorire l’emancipazione femminile. Anche le donne presidiano le frontiere con l’Etiopia ma, a causa di questo fatto, non si possono più sposare.
Gli italiani, con il madamato, si prendevano delle bambine, che poi abbandonavano, erano casi di pedofilia, ancora praticata dagli islamici; gli italiani fecero figli con donne eritree, che furono abbandonate e che poi queste abbandonarono a loro volta i figli; le scalinate della cattedrale pullulavano di questi bambini al freddo notturno, che i preti non facevano entrare, però i francescani adottarono alcuni di questi meticci, li convertirono al cattolicesimo e li fecero frati.
Gli ufficiali italiani, come gli alti burocrati, avevano alle spalle carriere nepotistiche, politiche, religiose e massoniche, una volta gli ascari si ribellarono per non aver ricevuto il soldo e furono fucilati dagli italiani; a Cheren, nel cimitero dei caduti, gli italiani sono con il nome e gli ascari senza nome. La mistica fascista voleva fare santo il duce e, se avesse vinto la guerra e avesse esteso l’autorità del papa in Africa, la chiesa lo avrebbe consentito.
Gli inglesi spedirono parte degli italiani in Italia, parte in Kenya, India e Sudafrica, proposero anche scambi di prigionieri, i soldati inglesi internati nei campi italiani, a causa della fame, erano in condizioni gravissime; alcuni eritrei furono assoldati dagli inglesi; un frate a bordo prese a dire messa e gli dissero di smettere perché altrimenti Allah si sarebbe seccato e avrebbe fatto affondare la nave. Su una nave di ritorno in Italia, due ragazze italiane furono messe in gabbia perché avevano amoreggiato con gli inglesi che scortavano tante donne italiane; un sommergibile tedesco affondò un cargo inglese con 600 prigionieri italiani che furono divorati dagli squali.
Amedeo Guillet, nobile, antifascista e antirazzista, pluridecorato, dopo l’occupazione inglese, con i suoi ascari, iniziò una guerra partigiana contro gli inglesi, poi divenne consigliere militare yemenita e fu ospite ammirato in Gran Bretagna; fuori Asmara, c’erano banditi o partigiani, al servizio degli inglesi, volevano rapinare, scacciare e uccidere gli italiani. Dopo la seconda guerra, tredicimila bambini italiani, provenienti dalla Libia, furono abbandonati e il governo italiano si disinteressò di loro;
La facoltà di medicina di Asmara era parificata alla facoltà di Roma, ma alcuni studenti, ritornati in Italia, a causa della burocrazia, dovettero faticate per farsi riconoscere gli esami e alcuni ritennero più conveniente ripetere gli esami. Gli eritrei studiavano solo fino alla terza elementare, però il figlio del vescovo nero di Asmara riuscì a diventare medico; tutto sommato, i musulmani erano più indomabili dei cristiani copti eritrei.
L’Etiopia occupò l’Eritrea in attesa di un referendum voluto dall’ONU, poi mai svolto, sauditi e yemeniti, che tenevano velate le donne, impazzivano davanti alla bellezza non velata delle eritree, perciò uno di loro diede un morso al collo di una bellezza copta; i musulmani tolleravano un seno nudo ma non un volto nudo. Con la sconfitta italiana, i sudanesi dicevano che gli inglesi erano più cattivi degli italiani, alcuni locali volevano che gli italiani rimanessero come lavoratori e come imprenditori.
Gli eritrei volevano l’indipendenza dall’Etiopia e così, con l’indifferenza dell’Italia, scoppiò una guerra tra Eritrea ed Etiopia, gli inglesi volevano l’Eritrea, la Russia voleva che fosse lasciata all’Italia, l’Onu aveva sentenziato che doveva stare per dodici anni sotto l’Etiopia e poi, con un referendum, mai svolto, avrebbe scelto se essere indipendente.
In Etiopia non esisteva la proprietà privata della terra che, come nell’antico diritto germanico, era data in concessione dai ras, gran parte del raccolto agricolo finiva, come nel medioevo europeo, nelle mani dei ras e dei preti; come nell’Europa medievale, i contadini erano anche pesantemente tassati. Partiti gli italiani, gli inglesi imposero all’Eritrea, come lingua ufficiale, l’inglese; gli inglesi punivano pesantemente i loro soldati, asportarono i motori della teleferica Asmara-Massaua e, per far scappare gli italiani, armarono i banditi e i terroristi etiopi.
Molti eritrei arrivarono a deprecare l’esodo degli italiani che avevano insegnato loro molte attività artigianali; nelle case chiuse di Asmara, oltre le sciarmute eritree, vi erano prostitute francesi di Marsiglia, ormai invecchiate. Nel 1962 in Eritrea, divenuta provincia dell’impero etiopico, gli ascari eritrei si ribellarono e nel 1974 il Negus Ailé Selassié fu deposto e sostituito dal colonnello Menghistu, che si volse verso i sovietici.
Gli italiani di Eritrea abbandonarono in massa il paese, così divennero profughi, come quelli di Libia e quelli giuliano-dalmati, tutti senza menzione nella storia; la guerra di liberazione degli eritrei continuò contro Menghistu e durò fino al 1991. Oggi, grazie agli storici politicamente corretti, tanti italiani non sanno niente di Amara, Eritrea e dell’esodo degli italiani; i sopravvissuti italiani dell’Eritrea ogni tanto si riuniscono in qualche città italiana, il mal d’Africa è una malattia che contagia.
Oggi gli eritrei ricordano con nostalgia gli italiani, ci tendono le mani, in un messaggio di riconciliazione, per quello che avevano appreso nel lavoro, alcuni di loro avevano coltivato l’illusione che sarebbero tornati, però il governo fantoccio italiano non poteva offendere inglesi e americani. Tanti eritrei hanno conservato la conoscenza dell’italiano, oggi le scuole italiane e il clero italiano di Asmara hanno migliorato il loro italiano, purificandolo dal dialetto, aiutati dai frati francescani mulatti.
Gli americani fecero dell’Etiopia il loro più importante alleato in Africa orientale, con basi militar in Eritrea; durante la dominazione etiopica, com’è accaduto in tutti i paesi, in tutti i regimi e in tutte le maggioranze di governo, i posti di governo e amministrativi eritrei fuirono occupati da funzionari etiopici, però gli ascari, soprattutto musulmani, si ribellarono e nel 1974 la truppa etiopica di Asmara, stanca della guerra, si ammutinò e portò alla caduta del Negus.
Durante questi eventi, in Eritrea sono entrate spie, provocatori, terroristi e talebani, spesso in veste religiosa, perciò il governo eritreo, affrancatosi dall’Etiopia, ha varato una legge che regolamenta l’accesso alle nuove religioni e alla carità occidentale; tra i due stati ci sono ancora alcune città contese e perciò il governo eritreo è costretto a presidiare il confine, anche con donne. Giovani eritrei fuggono in Sudan per arrivare in Europa e l’Italia ignora le loro grida di aiuto, i profughi eritrei sono stati anche utilizzati da Gheddafi per ricattare l’Italia; pare anche che si faccia commercio illegale di organi da trapianto eritrei.
Mussolini fu per la chiesa l’uomo della provvidenza e perciò fu fatto cavaliere del santo sepolcro; come avvenuto con il max processo contro la mafia, in era repubblicana, il duce combatté la bassa mafia e adottò l’alta mafia; in effetti, in Sicilia ancora esiste una loggia massonica del santo sepolcro, aperta ai mafiosi e ai religiosi e indagata dalla magistratura. Pio XII fece togliere dall’indice dei libri proibiti gli scritti antisemiti di Charles Maurras di Action Francais, spinse per il concordato con Mussolini, favorì l’avvento al potere di Hitler, favorì la fuga in America Latina dei criminali nazisti, sostenne Franco, Salazar, Pavelic, Peron, Mussolini e Hitler; fu insensibile alla sorte degli ebrei, non inserì Mein Kampf tra i libri proibiti e condannò il comunismo e non il nazismo; naturalmente è stato beatificato.
Dagli eventi appresi, possiamo convenire che, grazie a guerre, esercito e religione, la patria è l’ultima spiaggia della canaglia, Napoleone affermava che quelli che s’intendono meglio sono i militari e i preti, entrambi votati alla gerarchia e all’obbedienza. Servendo lo stato, la chiesa invita il popolo a credere obbedire e combattere, perché, se non si crede, non si obbedisce e si combatte ancora peggio, chi obbedisce è costretto a rinunciare all'indipendenza di giudizio; però i dirigenti amorali, come Mussolini e tanti altri, non credono, possono ricattare e infiammare il popolo, perciò obbediscono e combattono solo in cambio di privilegi.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario,.it; numicco@tin.it.
Fonte: “Il duce si è fatto male” di Mario Ruffin – Gruppo Editoriale l’Espresso.
UNO SPACCATO DELL’IMMIGRAZIONE EBRAICA IN ISRAELE (10/3/2014)
Alla creazione dello stato ebraico nel 1949, la maggioranza degli immigrati era askenazita e al governo erano i laburisti sionisti del partito Mapai, con le guerre successive, immigrarono, dal mondo islamico, ebrei sefarditi orientali, che divennero maggioranza e perciò nel 1977 andò al potere la destra del partito Likud che sosteneva le loro rivendicazioni. Gli askenaziti, o ebrei occidentali, reduci dell’olocausto, erano ebrei soprattutto dell’Europa orientale, invece i sefarditi erano di origine spagnola o provenienti dal mondo islamico ed erano detti ebrei orientali.
Così, a cause delle differenze di costumi, in Israele crebbe una diversità etnica, con le immancabili discriminazioni, pregiudizi, diffidenze e accuse di razzismo; poi c’era il problema delle minoranze palestinesi e cristiane, fu il fallimento dell’integrazione, che si poteva realizzare solo in molti anni, che portò alla sconfitta laburista del 1977; poi, con la dissoluzione nel 1989 del comunismo, arrivarono le immigrazioni askenazite dall’Unione Sovietica. In tutti i paesi l’integrazione degli immigrati di ceto umile arriva solo alla terza generazione, però permangono a lungo le diffidenze e le differenze tra i gruppi.
Problemi d’integrazione ci furono anche con gli arabi palestinesi che decisero di rimanere in Israele, oggi sono circa 1,5 milioni ed hanno la cittadinanza israeliana, come ce ne furono con drusi e cristiani preesistenti; comunque, la popolazione askenazita rimase quella la più importante sul piano economico e quella più facilmente integrabile. La Palestina include geograficamente Giordania, Israele e territori amministrati dall’Autorità Palestinese, ma controllati da Israele perché non sono ancora uno stato sovrano come vorrebbe l’ONU; i palestinesi di Hamas vorrebbero non semplicemente un loro stato, ma la cancellazione di Israele.
Palestinesi ed ebrei sefarditi sono più prolifici degli ebrei europei o askenaziti, con le immigrazioni, con le popolazioni prima residenti e con la diversa natalità, lo stato multietnico di Israele fu prima a maggioranza askenazita, poi a maggioranza sefardita, poi, con l’immigrazione dall’Unione Sovietica ancora a prevalenza askenazita e poi ancora a maggioranza sefardita, alla quale andavano aggiunte le minoranze arabe e cristiane; oggi Israele ha 7,5 milioni di abitanti.
I confini d’Israele, dopo la definizione dell’ONU che divise la Palestina nel 1948, si sono modificati con le guerre vinte da Israele, che peraltro ha fatto anche a rinunce di territori conquistati, ad esempio, ha restituito Gaza e Sinai; del resto, tutti gli stati nascono, si consolidano e si espandono con le guerre, l’autodeterminazione dei popoli è sempre una chimera.
Il 14.5.1948, sulla scia del sionista Herzl, con David Ben Gurion fu fondato lo stato d’Israele, a causa dell’opposizione dei partiti religiosi che volevano solo la Torah, l’assemblea costituente non riuscì a emanare la costituzione civile; tuttavia, Ben Gurion, che era laburista, si alleò ai partiti religiosi e perciò, coma accade nei paesi confessionali come l’Italia, concesse poteri ai tribunali rabbinici, riconobbe le loro scuole accanto a quelle statali e fece delle feste religiose delle feste nazionali.
Nel 1950 fu adottata la legge del ritorno e poi la legge della nazionalità che riconobbero agli ebrei il diritto all’immigrazione e alla cittadinanza, era considerato ebreo chi era nato da madre ebrea o si era convertito all’ebraismo; però un emendamento del 1970 autorizzò l’immigrazione a figli, nipoti e pronipoti di ebrei e ai coniugi di ebrei; però il partito religioso, che in origine avrebbe voluto la nascita d’Israele solo per disegno divino e dopo l’Armagheddon, ora era contro l’immigrazione di ebrei indiani, russi ed etiopi e, a causa dei loro diversi costumi, pretendeva da loro una nuova conversione.
Israele era nato su tradizioni laiche e religiose e i religiosi avevano anche l’esenzione dal servizio militare, privilegio oggi rimesso in discussione, i partiti religiosi erano contro la laicizzazione dello stato e nel 1977 con il Likud vinsero le elezioni. Il sionismo nazionalista criticava il vittimismo degli ebrei della diaspora e dell’olocausto e si batteva e incoraggiava per il ritorno di tutti gli ebrei in Israele.
L’ebraismo era una religione, una cultura e una lingua, ma non una razza, al congresso di Basilea del 1897 rifiutò l’yiddish, parlato dagli askenaziti, per l’ebraico; come simbolo ebraico adottò la stella di Davide, che però era un simbolo preesistente agli ebrei, come la croce dei cristiani era un simbolo anteriore ai cristiani e come la mezzaluna era anteriore agli islamici. I sionisti presero a immigrare alla fine dell’ottocento e nei primi del novecento, dopo aver acquistato dei terreni aridi dagli arabi, crearono le prime cooperative agricole e i primi insediamenti familiari.
Con le immigrazioni successive di ebrei orientali, gli ebrei askenaziti erano prevalenti nelle grandi città, mentre i sefarditi in periferia e in campagna e costituivano, con palestinesi e cristiani, il ceto più basso della società; com’è accaduto anche in Usa, le immigrazioni di ceti umili più recenti occupavano il gradino più basso della scala sociale. Com’è accaduto con l’unità d’Italia, l’esercito e le guerre combattute favorirono la crescita di una coscienza nazionale; tra i sionisti di destra, Zeev Jabotinsky (1889-1940) voleva l’integrazione e voleva creare l’uomo nuovo israeliano, con la religione della patria e il culto della vita comunitaria, voleva plasmare l’identità nazionale.
Il 9.4.1948 alcuni terroriste ebrei dell’Irgun e di Stern uccisero numerosi civili arabi e poi gli ebrei occuparono le loro terre; per creare uno stato, si dovette incoraggiare l’immigrazione ebraica, anche se poi l’integrazione fu più lenta; gli ebrei parteciparono con brigate alla seconda guerra mondiale, a fianco degli alleati, mentre gruppi armati islamici, soprattutto in Bosnia, combatterono con Hitler. Israele fu in guerra contro gli arabi nel 1948, nel 1967 e nel 1973, con le vittorie, per il partito religioso la terra conquistata era un dono di Dio e non voleva cederne neppure una parte.
Nel 1977 il Likud, a causa dell’aumento dell’immigrazione, aumentò gli insediamenti agricoli ebraici, tuttavia favorì anche l’inflazione, aumentò il divario tra ricchi e poveri e quindi sfavorì il proprio elettorato sefardita. Nel 1967 i laburisti avevano creato i primi insediamenti agricoli anche per ragioni difensivi, con la vittoria del Likud del 1977, i sionisti religiosi erano intenzionati a insidiare colonie agricole in tutti i luoghi sacri menzionati nella Torah.
Oltre la preoccupazione per il terrorismo palestinese, dopo la guerra del 1967, nei quartieri degradati di Gerusalemme est, occupata da Israele, nacque il movimento delle pantere nere sefardite, fatto soprattutto di ebrei yemeniti; oltre loro, esistevano anche ebrei religiosi antisionisti e contrari, come tanti palestinesi, allo stato d’Israele. Nei trent’anni di dominio laburista, la donna era relegata in casa, poi con il lavoro e l’esercito, anche il suo ruolo cominciò a cambiare, fino a che nel 1970 diventò primo ministro Golda Meir.
Con la guerra in Libano del 1982 tanti ebrei si dissero contrari al conflitto, dei soldati rifiutarono di andare al fronte e aumentò l’obiezione di coscienza, nel 1984 i laburisti tornarono al governo e ritirarono le truppe dal Libano. Nel 1995 fu assassinato il primo ministro Rabin da un ultra religioso neo-sionista; un fondo nazionale ebraico, con aiuti americani e di ricchi ebrei di Usa ed Europa, aiutava lo sviluppo del paese.
Il neo-sionismo raccoglieva il consenso di religiosi nazionalisti e di coloni dei territori occupati, il nazionalismo e la religione volevano allargare i confini di Israele, però davano anche più spazio agli ebrei orientali e ai religiosi; la politica d’insediamenti nei territori occupati fatta dopo il 1967 portò alla condanna delle Nazioni Unite del 1977; ad alcuni sembrava che Israele non volesse uno stato arabo palestinese indipendente.
Le terre e le case lasciate dagli ebrei sefarditi dei paesi islamici furono espropriate e date agli arabi, però anche gli ebrei in Israele occuparono le case lasciate vuote dai palestinesi che fuggirono con la guerra del 1948 e con le successive; i due flussi di popolazioni si equivalevano, però quello ebraico fu più diluito nel tempo, il ministero dell’agricoltura dichiarò incolte le terre palestinesi e le assegnò a ebrei in grado di coltivarle.
A causa delle difficoltà, alcuni ebrei di origine yemenita tornarono nel loro paese, disposto ad accoglierli, il loro numero fu compensato da ebrei askenaziti provenienti da immigrati di Polonia e Romania; nel 1952 Ben Gurion ottenne le riparazioni tedesche per 250.000 ebrei sopravvissuti all’olocausto, pari a un anno di reddito per famiglia, naturalmente, i sefarditi, furono esclusi da questo beneficio.
La Shoah fu usata dai laburisti, che non ne erano orgogliosi, per ricevere aiuti steri e consenso e per favorire l’immigrazione; negli anni ottanta e novanta il ministero dell’educazione era in mano a neo-sionisti, c’era però chi vedeva l’occupazione di terre palestinesi come una forma di colonialismo askenazita, intanto, con il terrorismo continuava la belligeranza con gli arabi, che provocava le reazioni israeliane.
Prima dell’immigrazione sionista, laburista e askenazita, i sefarditi erano la maggioranza della popolazione israeliana, con l’immigrazione askenazita e la fine del mandato britannico, essi scesero al 10%, comunque, tra il 1920 e il 1948 da Yemen e Aden ci fu una forte immigrazione sefardita. Dopo la seconda guerra mondiale, gli askenaziti erano il 77% della popolazione, nel 1953 i sefarditi erano di nuovo la maggioranza, nel 1958 era immigrata in Israele tutta la popolazione ebraica di Yemen, Aden, Libia e Irak; con l’immigrazione nel 1990 dalla Russia, gli askenaziti riottennero la maggioranza, che poi tornò in mano sefardita.
Ad ogni modo, anche in Israele era esistita un’immigrazione clandestina e, a causa delle difficoltà d’integrazione, si cercò anche d’introdurre un’immigrazione per quote, senza colpire però i profughi; giunsero ebrei anche come turisti che poi decisero di fermarsi. Si fece un registro della popolazione, carte d’identità e nel 1961 si fece un censimento della popolazione, anche per paese d’origine; bisognava assorbire gli immigrati, distribuire la popolazione, irrigare le terre, fare infrastrutture e abitazioni.
Con la legge del ritorno, l’immigrazione era gestita dall’Agenzia ebraica e dal ministero dell’immigrazione, nel 1952, per sicurezza, l’immigrazione passò nelle mani del ministero degli interni; i campi d’accoglienza erano sovraffollati e con poca igiene, a volte erano vecchi campi di concentramento inglesi; si facevano corsi di ebraico, le persone di ceto elevato furono le prime a essere sistemate in alloggi e nelle grandi città, invece gli ebrei orientali furono sistemati in campagna e alcuni di loro, non abituati ai lavori agricoli, si ribellarono.
Nei campi vi era elevata mortalità infantile e per altre patologie, un altro problema sorse perché gli ebrei yemeniti errano poligami e, come gli arabi, sposavano bambine, ma la legge israeliana lo vietava. I rabbinati dividono un rito askenazita da un rito sefardita, che prevedono liturgie diverse, ma con regole, festività e oggetti rituali comuni; in origine gli askenaziti parlavano l’yiddish e i sefarditi il ladino, parlato anche in alcune zone delle alpi orientali, che era un misto di ebraico e castigliano.
L’integrazione in Israele era più facile per quelli che conoscevano o imparavano prima l’ebraico, con la legge della cittadinanza del 1952 ogni ebreo, appena toccato il suolo israeliano, aveva diritto alla cittadinanza. Per non urtare gli arabi, gli inglesi ostacolarono l’immigrazione ebraica askenazita e perciò subirono degli attentati da parte degli ebrei; prima che lo stato fosse riconosciuto dall’ONU, con la dichiarazione d’indipendenza di Israele, gli immigrati illegali, arrivati via navi, furono rimandati indietro dagli inglesi o furono da loro deportati a Cipro.
Successivamente, ebrei yemeniti, di Aden, Irakeni e etiopi e di altri paesi furono trasferiti in aereo, oggi gli askenaziti sono destinati a essere percentuale minoritaria rispetto ai sefarditi orientali; le guerre hanno accelerato le espulsioni di ebrei dai paesi arabi, ma anche Israele, per nazionalismo e per sviluppare il suo territorio, le ha incentivate. Gli stati islamici confiscavano le proprietà degli ebrei che decidevano di emigrare, poi l’integrazione fu lenta e ci furono anche rivolte di sefarditi poveri, che generarono anche un conflitto etnico che coinvolse anche arabi palestinesi e cristiani.
Però gli ebrei orientali, piano piano, acquistarono peso politico e nel 1977, con il Likud, vinsero le elezioni, erano diversi per cultura e ceto, ma anche perché erano portatori di un ebraismo tradizionale diverso da quello dei laburisti askenaziti; però i tedeschi dicevano che gli ebrei dell’Europa orientale erano di ceto e cultura inferiore rispetto a quelli dell’Europa occidentale. Con il tempo e i matrimoni misti, le differenze saranno sempre minori però, ancora oggi, gli askenaziti accedono alle scuole superiori più dei sefarditi, le famiglie askenazite hanno meno figli di quelle sefardite e lo strato più basso della società è soprattutto sefardita e palestinese; questa stratificazioni sociali e culturali esistono in tutto il mondo; le caste a volte esistono nei fatti e non nel diritto.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it.
Fonte: “Le migrazioni ebraiche dai paesi musulmani in Israele” di Sara Valentina di Palma – Giuntina Editore.
LE TAPPE DEL NUOVO ORDINE DEL MONDO O GOVERNO GLOBALE (14/2/2013)
L’evoluzione del progetto del Nuovo Ordine del Mondo va dal 1773 a oggi, nacque nella mente dell’alta finanza e dalla massoneria; però le società segrete esistevano anche nel mondo antico, erano partiti segreti che tramavano contro il potere, spesso assoluto e teocratico, ma a volte, com'è accaduto anche con la mafia, erano ispirate o controllate anche dal governo. A metà del settecento gli inglesi diedero vita alla massoneria moderna, che fece base a Londra, divenuta importante centro finanziario, questa massoneria era antipapista e ispirò la rivoluzione americana, la rivoluzione francese e il risorgimento italiano.
A metà dell’ottocento gli ebrei, usciti dai ghetti, svilupparono la cultura e animarono la finanza, entrarono anche nelle organizzazioni massoniche inglesi, in finanza erano prestanomi dell’aristocrazia, che voleva restare anonima, in banchieri non lavorano mai con capitali propri; anche i gesuiti avevano società segrete. Oggi però, massoneria e finanza sono animati da esponenti di diverse etnie e religioni e la chiesa si è riconciliata con la massoneria, le ha tolto la scomunica e, come centro finanziario, ha partecipato alle trame sul Nuovo Ordine Mondiale; però, come succede all’interno dei partiti e della chiesa, ci sono scontri di potere anche all’interno delle organizzazioni massoniche.
Nel 1773 l’ebreo Mayer Amschel Rothschild, a Francoforte, sede attuale della BCE, varò un progetto di dominazione del mondo, era aiutato dall’ebreo Johann Adam Weishaupt, ex gesuita, che nel 1776 fondò l’ordine segreto degli illuminati bavaresi, finanziati da Rothschild; il loro scopo era realizzare il Nuovo Ordine del mondo, che prevedeva l’abolizione dei governi, della proprietà, della famiglia e della religione.
Nel 1782 l’ordine degli illuminati confluì nella massoneria inglese, nel 1785 l’illuminato Johan Jakob Lanz, ex sacerdote cattolico, possedeva un piano per la rivoluzione francese, che avvenne effettivamente nel 1789; nel 1796 il presidente americano John Adams affermò che le logge massoniche minacciavano la nazione, nel 1997 il docente universitario scozzese John Robinson affermò che gli illuminati perseguivano scopi diabolici.
Seguendo l’impostazione della dialettica hegeliana, cara anche a Marx, che sosteneva che il progresso umano passa per tesi, antitesi e sintesi, il complotto massonico fomentava le crisi, il popolo chiedeva di risolverle a qualunque prezzo, ma la soluzione proposta conteneva progetti che la gente, in tempi normali, non avrebbe mai accettato; questi progetti o riforme antipopolari erano però congeniali al progetto di Nuovo Ordine del Mondo.
Nel 1828 Rothschild criticò i governi che volevano controllare le banche, nel 1848 l’ebreo Karl Marx, nel corso di rivolte europee e della prima guerra d’indipendenza italiana, pubblicò il manifesto del partito comunista; anche lui faceva parte degli illuminati, era contro la famiglia, religione e stato; Marx fece base a Londra, con Mazzini e Garibaldi, tutti massoni e finanziati dalla City.
Nel 1870 il massone statunitense Albert Pike, che era anticlericale, propose la creazione di un’altra società segreta dentro la sua società segreta, cioè una specie di P2, doveva ospitare massoni di alto grado, ignoti agli altri massoni; nel 1893 il massone Cecil John Rhodes, primo ministro sudafricano, sostenne finanziariamente il progetto di Nuovo Ordine del Mondo. Nel 1913 il presidente americano Woodrow Wilson affermò che tanti avevano paura di un potere occulto, organizzato, sottile e penetrante.
Nel 1913, su ispirazione del colonnello House Edward Mandell, fu creata la Riserva Federale, controllata da banche private, era simile alle banche centrali europee; stampava denaro al posto del governo, un affare redditizio; Abramo Lincoln e Jhon Kennedy cercarono di abrogare questo privilegio e furono assassinati. Rothschild affermò che la creazione del denaro era più redditizia del controllo sulla legislazione, tenuto anche conto che le leggi si fanno su commissione delle lobby.
Nel 1916 il presidente Widrow Wilson affermò che l’America e il suo governo erano controllati dalle banche e chi stava loro dietro; nel 1917 Lenin fu finanziato da banche estere, com’era accaduto in precedenza con Mazzini, Garibaldi e Marx, il suo più stretto collaboratore, Trotsky, era ebreo. Nel 1919 nacque a Londra l’Istituto per gli affari internazionali, un’altra società segreta, ne facevano parte i socialisti fabiani e l’economista inglese John Maynard Keynes.
Nel 1920 Winston Churchill affermò che c’era un collegamento tra illuminati bavaresi e bolscevichi; nel 1925 il banchiere Luis McFadden, riferendosi alla Federal Reserve, affermò che con essa era stato inaugurato il governo delle banche, disse anche che la Riserva Federale aveva usurpato il ruolo del governo, poteva creare governi e destituirli. McFadden affermò che la crisi del 1929 era stata preparata e che il New Deal di Roosevelt fu proposto dalla Riserva Federale; la disperazione favoriva il dominio dei banchieri.
Nel 1921 il colonnello House riorganizzò la filiale americana dell’Istituto per gli affari internazionali, chiamandolo Consiglio per le Relazioni Estere; egli esaltava il Nuovo Ordine Mondiale, che avrebbe garantito la pace mondiale; invocava un governo mondiale che avrebbe sostituito i governi nazionali. Nel 1933 lo scrittore Herbert Gordon Wells, al corrente delle trame, affermò che, a causa della disputa tedesco-polacca, nel 1940 sarebbe scoppiata la seconda guerra mondiale e che nel 1945 si sarebbe abbozzato il piano per il governo mondiale.
Lo stesso anno Franklin Delano Roosevelt affermò che, dai tempi del presidente Andrew Jackson, le banche si erano impossessate del governo americano. Poiché i massoni si erano riaccostati alle autorità religiose, nel 1942 il Consiglio nazionale delle chiese americane sostenne un progetto di autorità religiosa globale e un governo mondiale, con il controllo sulle forze armate; il progetto si doveva realizzare all’interno della democrazia o con la rivoluzione.
Nel 1945 nacque l’ONU che si dichiarava favorevole a una repubblica mondiale e a una forza di polizia internazionale, il presidente americano Harry Truman esaltò il prossimo governo mondiale; nel 1948 Jean Monnet, socialista francese, legato a inglesi e americani, voleva l’Unione Europea, affermò che all’unione economica dell’Europa sarebbe seguita l’unione politica, affermò anche che l’Europa Unita era un passo importante per la creazione del mondo unito.
Nel 1950 l’ebreo James Warburg, membro del consiglio per le relazioni estere, affermò: “Avremo il governo mondiale, con il consenso o con la forza”, poi il consiglio propose che lo statuto delle nazioni unite fosse trasformato in una costituzione mondiale. Nel 1952 l’Associazione mondiale dei parlamentari per il governo mondiale, affermò che, sotto il governo mondiale, Usa e Canada sarebbero stati divisi in sei macroregioni; nel 1957 nacque l’Unione Europea e si tornò a parlare di macroregioni europee, che avrebbero eliminato gli stati nazionali. Nel 1961 il Dipartimento di stato Usa propose una forza di pace sotto l’egida ONU e il disarmo delle nazioni.
Nel 1966 il professore universitario Carroll Quigley, legato a Bill Clinton, affermava che esisteva una rete internazionale, legata alla Tavola Rotonda, un’altra società segreta massonica, collegata alle altre. Nel 1973 il banchiere ebreo, membro del consiglio per le relazioni estere, David Rockefeller, assieme a Jimmy Carter e Zbigniew Brzezinski, fondò la commissione trilaterale tra Europa, Usa e Giappone, tre superstati, che dovevano avvicinare il traguardo del governo mondiale; nel 1973 il Club di Roma, organismo legato all’Onu, guardando al Nuovo Ordine del Mondo, progettò la divisone del mondo in dieci aree.
Nel 1979 in Usa l’Agenzia Federale per le emergenze, per fronteggiare terrorismo, catastrofi naturali e crollo di borsa, con decreto presidenziale e senza voto del congresso, ricevette poteri enormi; poteva sospendere le leggi, spostare popolazioni, imprigionare senza processo, confiscare proprietà, requisire mezzi di trasporto, controllare energia e trasporti, sospendere la costituzione e controllare i salari.
Nel 1991, caduta l’Unione Sovietica, il presidente Usa, George Bush senior, affermò che il Nuovo Ordine Mondiale era una grande idea e lo stesso anno David Rockefeller ringraziò i direttori delle grandi testate giornalistiche che, malgrado fossero stati presenti alle riunioni dei massoni, non avevano fatto trapelare indiscrezioni, cioè avevano nascosto le notizie; il piano per il Nuovo Ordine Mondiale sarebbe stato più difficile con un’informazione più attiva: Rockefeller ribadì che il governo di un’élite e dei banchieri era preferibile all’autodeterminazione dei popoli.
George Bush si circondava di uomini che credevano al governo mondiale e credeva che socialismo e capitalismo erano destinati a fondersi. Nel 1992 Henry Kissinger, segretario di Stato americano, sosteneva che le truppe ONU dovevano intervenire in tutto il mondo, magari per fronteggiare una minaccia esterna, reale o fittizia che fosse; in cambio di pace e ordine, garantiti dal governo mondiale, sarebbero stati ridotti i diritti individuali.
Nel 1992 Strobe Talbott, direttore del Consiglio per le relazioni estere, affermò che la sovranità nazionale era superata e che presto gli stati sarebbero stati superati da un’autorità globale mondiale. Nel 1993 in Europa fu siglato il trattato di Maastricht, che abolì barriere commerciali e consegnò la politica valutaria e fiscale dei governi europei alla commissione europea. Seguendo l’evoluzione dell’Unione Europea, in un secondo tempo, in nord America nacque una zona di libero scambio tra Usa, Canada e Messico, progettando l’estensione al Sudamerica.
Com’era accaduto alla nascita di cristianesimo e del manicheismo, nel 1993, al secondo parlamento mondiale delle religioni, riunito a Chicago, si propose di fondere le religioni. Nel 1994 Henry Kissinger al congresso americano propose un nuovo ordinamento internazionale, necessario per arrivare al Nuovo Ordine Mondiale; affermò che i problemi dell’umanità non potevano più essere risolti dai governi nazionali, ma potevano essere risolti da un governo mondiale, anche con il rafforzamento delle Nazioni Unite.
Nel 1994 David Rockefeller affermò che eravamo vicini alla trasformazione globale, ma c’era bisogno di una crisi per far accettare il nuovo ordine mondiale; nel 1995 delegati dell’Onu si incontrarono a Copenaghen per progettare l’imposizione di tasse mondiali; nel 1995 a San Francisco il World Forum parlò del futuro governo globale, nel 1996 un rapporto Onu parlò ancora di un piano per il governo globale, con accordi da ratificare entro il 2000.
Nel 2002 nacque l’euro, nel 2003 il trattato di Nizza ampliò i poteri della commissione europea; nel 2003, in ambienti massonici, per realizzare il progetto mondialista, si propose la legge marziale e il controllo della popolazione; per accelerare il processo, nel 2008 si fece scoppiare una crisi finanziaria, presentando le banche come le vittime del sistema economico e perciò bisognose di aiuto da parte degli stati. Per il risanamento erano necessarie riforme antipopolari, la riduzione dello stato sociale, le privatizzazioni, l’aumento dei poteri del governo federale americano e della commissione europea.
Lo stato è sempre stato una sovrastruttura economica, il suddito non è stato mai sovrano, paga le tasse in cambio di protezione statale; sono nate prima le federazioni di tribù e di regioni e poi gli stati unitari, oggi però si punta verso poteri più grandi, con centri decisionali sempre più lontani dal popolo. In questi giorni abbiamo appreso che si progetta anche di realizzare una zona di libero scambio tra Usa ed Europa, altre zone di libero scambio sono previste tra Russia e paesi dell’Asia centrale e tra paesi dell’America latina, con il rafforzamento delle politiche militari e monetarie comuni. Sono tutte tappe che, sulla falsariga del mercato comune europeo, puntano gradualmente a esautorare i governi nazionali e a realizzare il governo unico del mondo, da parte di un’élite a noi sconosciuta, ma che si serve dei pupazzi della politica come Monti.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it
Nel 1848 Londra ispirava le rivolte europee e nel 1849 il primo ministro inglese Palmerston e la massoneria internazionale con sede a Londra, nel regno di Napoli ispirava la setta Unità d’Italia a fare attentati, dopo i moti, Ferdinando II Borbone graziò 10.000 condannati. Nel 1851 in Inghilterra, a scopo propagandistico, Gladstone, che mirava allo zolfo siciliano, criticava le carceri borboniche di Ferdinando II, che non erano peggiori delle altre.
L’Inghilterra era urtata dalla vendita dello zolfo alla Francia, che aveva offerto un prezzo maggiore, perciò Palmerston inviò una flotta che costrinse Napoli a tornare sui suoi passi; dal 1811 al 1815 la Sicilia ospitava diverse famiglie inglesi, interessate al commercio di agrumi, marsala, velluto, zolfo e olio, presenti soprattutto a Marsala; l’Inghilterra aveva messo gli occhi sulla Sicilia e nel 1848 da Malta mandò armi alla rivolta di Palermo; perciò in quell’anno Ferdinando II bombardò Messina, però il 3 marzo 1849, il bombardamento da parte di Vittorio Emanuele II di Genova fu più feroce e provocò 500 vittime, ma gli storici di corte non ricordano il fatto.
Le rivolte europee del 1848 erano state ispirate da Londra, che poi, d’accordo con il Piemonte, sostenne le rivolte italiane che portarono all’unità. La massoneria italiana e la carboneria italiana lavoravano per la massoneria di Londra, che guidava anche le mosse della mafia siciliana; da allora Piemonte e Londra lavorarono in accordo, Londra voleva un intervento militare contro il regno due Sicilie, Garibaldi e Mazzini, bene introdotti a Londra, erano agenti armati dagli inglesi, per destabilizzare Italia e Balcani; i mandati di cattura dei Savoia contro il terrorista e rivoluzionario Mazzini, poi revocati, erano stati solo una messa in scena.
Allora a Napoli le tasse erano basse, l’emigrazione non esisteva, il costo della vita era basso; diversamente dal Piemonte, il debito pubblico era basso, le riserve auree erano alte, i poveri erano meno che a Londra e Parigi, il commercio estero si svolgeva via mare, soprattutto con Usa e Inghilterra, si esportavano prodotti agricoli, stoffe e metalli lavorati; questo commercio era scarso con gli altri stati italiani, con i quali mancavano vie di comunicazione.
Il Piemonte, a causa delle sue guerre, si era indebitato con i Rothschild di Londra, questo debito estero fu riconosciuto dallo stato unitario e fu interamente ripagato solo nel 1902, anche utilizzando le riserve auree napoletane; il Piemonte era debitore della City che, per ordine di Palmerston, aveva armato la rivolta siciliana ai Borboni e Garibaldi, anche in funzione antipapale. Prima dell’unità, a Napoli non esisteva il corso forzoso, ma la piena copertura aurea della moneta, la politica economica era autarchica; Napoli aveva la terza flotta del mondo e aveva un attivo commerciale con l’estero.
D’accordo con Londra, i moti spontanei italiani furono organizzati da agenti piemontesi diretti da Cavour, anche l’ammiraglio Persano riconobbe che i ribelli erano stati armati dal Piemonte, a Londra Garibaldi era accolto e finanziato come un idolo. Il tradimento comprato di generali e ammiragli napoletani favorì l’impresa dei mille, sostenuta dalla mafia siciliana, diretta dalla massoneria londinese e da aristocratici siciliani come i Lanza, i Florio e gli Alliata; la marina inglese protesse lo sbarco di Garibaldi a Marsala e il generale siciliano Ferdinando Lanza consegnò a Garibaldi l’oro del Banco di Sicilia; il generale Landi, per denaro, a Calatafini tradì Napoli, allora Napoli aveva la seconda flotta militare d’Europa.
Alle logge segrete aderivano Garibaldi, Cavour e Mazzini, nel 1864 Garibaldi divenne gran maestro del Grande Oriente d’Italia, senza la massoneria non si sarebbe fatta l’unità d’Italia, il primo ministro Lord Palmerston era stato il fondatore della società segreta dell’ordine reale di Sion, dal quale dipendevano i massoni italiani; perciò i carbonari napoletani decisero di tradire la monarchia napoletana.
Si ribellarono a Napoli anche i mercenari svizzeri, che furono comprati con oro inglese, tradì il generale Alessandro Nunziante, braccio destro del re di Napoli, che poi entrò nell’esercito piemontese, allora la mafia siciliana era alleata con la finanza anglosassone; Agesilao Milano fece un attentato a Ferdinando II e fu graziato perché confessò che mandante era stato Cavour, nel 1854 anche il duca di Parma, Carlo III, fu accoltellato.
L’Inghilterra finanziò la Giovani Italia di Mazzini, per promuovere insurrezioni e omicidi politici, Mazzini era alla guida di un movimento europeo di cui facevano parte Adriano Lemmi, Lajos Kossuth, Felice Orsini, Alexander Herzen e Michele Bakunin; Luigi Napoleone o Napoleone III subì un attentato nel 1855 da parte di Giovanni Faenza e un altro nel 1858 da parte di Felice Orsini, agente segreto di Cavour, entrambi organizzati da Londra.
Con l’unità, il Banco di Sicilia fu scisso in Banco di Napoli e Banco di Sicilia, il suo oro fu acquisito dalla Banca Nazionale Sarda e dalla Banca di sconto, usato per coprire i debiti del Piemonte e per fare credito a imprenditori settentrionali, i napoletani non dovevano più essere in grado di intraprendere; nel 1853, per assicurare il cibo a tutti, l’autarchia borbonica impediva di esportare grano, invece il Piemonte liberista la favoriva, incurante del popolo. Il Piemonte si annesse l’Italia ma dichiarò guerra solo all’Austria, nel 1866 i marinai veneti combatterono per l’Austria; le rivoluzioni sono sempre ispirare da pochi uomini e da governi stranieri che si giovano di partiti e collaborazionisti comprati locali, l’Italia è stata un laboratorio sperimentale per l’alta finanza, ma accade ancora oggi nel terzo mondo.
In Siria sono contro il governo autoritario ma laico fondamentalisti sostenuti da agenti inglesi e americani, nei paesi della primavera araba, lo scopo delle rivolte è rovesciare governi laici, per sostituirli con regimi integralisti e, con l’instabilità politica, far fuggire i capitali all’estero; com’è stato fatto sempre con l’Italia, paese laboratorio, in modo di aiutare i deficit inglesi e americani. Da ricordare che Mattei fu ucciso perché ledeva gli interessi petroliferi d’inglesi e americani e che in Iraq, Mossadeq fu rovesciato per lo stesso motivo.
Dalla fine della seconda guerra, Inghilterra e Usa sono stati fabbriche di colpi di stato, rivoluzioni, terrorismo e interventi militari; prima che in Siria e in Iran, in Serbia e in Libia è accaduta la stessa cosa, però la dissoluzione della Jugoslavia fu voluta anche da Germania e Vaticano; l’incidente dell’aereo turco abbattuto dai siriani è una replica dell’incidente del golfo del Tonchino, in cui furono coinvolte navi militare americane e nordvietnamite.
Gli incidenti di frontiera sono sempre serviti a giustificare le aggressioni, sta accadendo anche tra Turchia e Siria; a causa della crisi, oggi Stati Uniti e Inghilterra drenano risorse monetarie a nemici e alleati e sono all’offensiva militare; una volta le missioni aiutavano le penetrazioni militari dei colonialisti, le quali oggi sono aiutate da Ong e Onlus, presenti in paesi in conflitti con i quali spesso gli Usa non hanno rapporti diplomatici, ma che sono spesso delle protesi occulte statunitensi.
Alcune organizzazioni umanitarie sono state addestrate a fare manifestazioni a comando, poi gli interventi militari sono presentati come interventi umanitari, sfruttando oggi la primavera araba. Nel terzo mondo gli eserciti nazionali, come il clero, sono potere occulto e non costituzionale dello stato, sono usati come forza di polizia; oggi anche il PD sostiene gli interessi anglo-americane, i mercati, le banche, l’Unione Europea e Vaticano, che partecipa a pieno titolo ai mercati e alla finanza; con il neocolonialismo, governi e partiti locali sono diventati agenti delle multinazionali e delle banche.
Da ricordare che dal bombardamento di Belgrado alla situazione attuale di Damasco, i capi dei governi europei sono stati per lo più socialdemocratici o postcomunisti; in Italia, dal tempo della sinistra di Depretis (1876), la sinistra ha dimostrato che non è aliena alle imprese belliche, con le quali guadagnano produttori di armi, ma non solo. Oggi la confraternita babilonese, detta babilonese perché ospita anche satanisti, è formata dalla massoneria laica e dalla da massoneria nella chiesa, nelle loro articolazioni; con Elisabetta II esse operano in sintonia per saccheggiare il mondo, mentre al tempo di Elisabetta I erano in conflitto d’interesse.
La rivoluzione siriana mette in pericolo anche i cristiani del paese, prima protetti da un regime laico, questa rivoluzione, è stata favorita anche da interferenze esterne; in tanti paesi arabi la distruzione del regime laico, anche se autoritario o retto da militari, apre le porte ai fondamentalisti; la Turchia, per conto della Nato, passa le armi ai ribelli, l’incidente con l’aereo e i profughi siriani in Turchia aumentano le tensioni. Tra i ribelli siriani vi sono molti disertori dell’esercito, questa cosa era accaduta anche al vecchio regno di Napoli e in Libia; purtroppo, la Siria è divisa in sette religiose e gruppi etnici, il tribalismo arabo storicamente ha trovato attenuazione solo con il nazionalismo arabo, il panislamismo e il panarabismo.
Magdi Allam indica come vincitori della primavera araba i nemici dei partiti Baath nazionalisti, cioè i fratelli musulmani, salafiti e Al-Qaeda; i fratelli musulmani vogliono conciliare la democrazia con il diritto di famiglia della sharia, i salafiti sono contro la democrazia in tutti i suoi aspetti, cioè anche contro elezioni e parlamento. Il mondo islamico ha conosciuto il panturchismo di Ataturk, il nazionalismo laico baathista, il nazionalismo arabo waabita e di Al-Qaeda, panarabismo, panislamismo e califfato islamico.
Il nazionalismo turco, volendo preservare l’impero turco, affermava di voler mantenere l’unità dell’umma o dei credenti sotto i turchi, il nazionalismo baathista difendeva l’indipendenza dei singoli stati, il nazionalismo waabita e Al-Qaeda vogliono imporre e tutto l’Islam i precetti dell’Arabia beduina. Durante il primo conflitto, per contrastare l’alleanza della Turchia con Germania e Austria, Francia e Inghilterra appoggiarono i movimenti indipendentisti musulmani; con la caduta dell’impero ottomano si affermarono i partiti baathisti filoccidentali, ma diversi tra loro in Egitto, Siria, Libia e Irak; a destabilizzare il quadro fu l’Unione Sovietica, mentre l’Inghilterra si ritirò dalla regione per fare spazio agli Usa.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it.
Fonte:
Nexus n. 98 – Jacopo Castellini,
http://www.viruslibertario.it/Storia.htm#conquista-mezzogiorno
BRIGANTAGGIO E BANDITISMO IN ITALIA
Il banditismo meridionale fu una reazione borbonica e una rivolta contadina, quando Francesco II Borbone partì in esilio, imbarcato a Gaeta su una corvetta francese, disse arrivederci a presto, sicuro che sarebbe tornato; non era posabile che Garibaldi durasse più di Napoleone, Pio IX lo attendeva a Roma, con il suo aiuto e con l’aiuto dell’Austria pensava che sarebbe tornato sul trono.
Dal 1860 al 1865 Francesco II sostenne il brigantaggio a sfondo politico sociale, che produsse più morti delle guerre risorgimentali e della guerra partigiana del 1943-1945; la guerra contro i briganti non si poteva nemmeno chiamare guerra civile, perché l’Italia era appena unita, ma si poteva chiamare resistenza agli invasori. Ad agosto del 1860 si ribellò il paese di Bronte, alle falde dell’Etna, feudo concesso da Ferdinando IV Borbone a Orazio Nelson, campione della guerra antinapoleonica.
All’arrivo di Garibaldi, questo promise le terre ai contadini, che perciò occuparono terre demaniali e commisero omicidi, però Garibaldi aveva dei debiti verso gli inglesi, che lo avevano sostenuto politicamente e finanziariamente, quindi mandò il genovese Nino Bixio a reprimere l’insurrezione. Bixio impose una tassa di guerra e fece delle fucilazioni, i liberali o galantuomini erano i proprietari terrieri nemici dei contadini, i quali a loro volta vedevano i Borboni come i protettori contro le prevaricazioni dei ricchi. Da considerare che anche Francesco II aveva promesso la distribuzione della terra con il ritorno, perciò la rivolta dei contadini, pieni di speranze, fece anche dei morti tra i borghesi.
Nel napoletano agenti borbonici fomentavano la rivolta e il generale piemontese Cialdini attribuì ad agenti pontifici la responsabilità delle insurrezioni nell’Ascolano; secondo i piemontesi, i briganti erano delinquenti strumento della reazione antiliberale e antinazionale, fomentati e finanziati da Francesco II e dal papa. In realtà le rivolte erano anche frutto del malessere sociale, i contadini volevano le terre e volevano recuperare terre demaniali usurpate dai borghesi.
A Palazzo Farnese a Roma, Francesco II e sua moglie Maria Sofia tramavano e congiuravano contro l’occupazione piemontese del sud, finanziarono comitati segreti insurrezionali che facevano capo a un’Associazione Religiosa di Roma (il Vaticano ha usato associazioni religiose come copertura, per fare spionaggio e riciclaggio di denaro mafioso); i vescovi del sud sospesero a divinis i sacerdoti che avevano aderito alla causa liberale e unitaria. I briganti reclutati erano spesso facinorosi e delinquenti, ricevevano una paga, la promessa di una pensione, della confisca delle terre padronali e il ritorno ai comuni di quelle demaniali, utilizzata dai contadini per la caccia, il pascolo e il legnatico.
Anche Garibaldi aveva promesso la terra ai contadini, ma poi si alleò con i proprietari e fece fucilare i contadini, stesse promesse furono fatte in Italia alla vigilia della prima e della seconda guerra mondiale, però la riforma agraria si fece nel 1950, anche se parziale; infatti, dopo l’unità, le terre demaniali restarono ai galantuomini, assieme alle loro terre, le terre dell’asse ecclesiastico furono poste in vendita a favore dei borghesi che le potevano acquistare e i contadini rimasero a bocca asciutta.
Allora i contadini si fecero briganti in massa, i funzionari borbonici furono messi da parte e sostituiti da funzionari liberali, mentre a capo delle amministrazioni statali erano messi piemontesi. I comitati locali borbonici avevano 80.000 affiliati, i briganti erano 16.000; ai briganti aderirono i numerosi renitenti alla leva e i disertori, sbandati dell’esercito napoletano, ufficiali borbonici, delinquenti, ex galeotti, evasi dalle carceri e braccianti, i quali nel 1799, al tempo dell’occupazione napoleonica, avevano già fornito truppe sanfediste, cioè fedeli ai Borboni e alla chiesa, a Fra Diavolo, a Mammone e al cardinale Fabrizio Ruffo.
I briganti facevano guerriglia con attacchi a sorpresa e non in campo aperto, com’è avvenuto in tutte le rivoluzioni e nelle guerre civili, si finanziavano anche con taglie e sequestri di persona, oltre che con i finanziamenti dei Borboni, a volte disponevano di un cappellano pagato. Le bande aerano divise in compagnie, avevano capitani, sergenti, caporali, trombettieri, esploratori e arruolatori, intonavano l’inno borbonico.
Avevano grande mobilità per i colpi di mano, cavalli e muli, erano però rallentati dalle donne al seguito, i loro capi s’incontravano con i delegati dei comitati politici borbonici, si scontravano con piemontesi e con la guardia nazionale, una milizia privata volontaria organizzata dai galantuomini. In questa guerra, ne furono coinvolte otto province sul continente, con danni alle cose e alle persone.
I briganti caduti furono 6.000, quelli fucilati 3.000 e quelli incarcerati 11.000, in queste campagne l’esercito ebbe più morti che in tutte le guerre risorgimentali; tra galantuomini, milizie volontarie della Guardia Nazionale e garibaldini, i morti arrivarono a 6.000. Per reagire, i cannoni piemontesi bombardavano i paesi di montagna sospetti di ospitare i briganti, i plotoni d’esecuzione erano in esecuzione ogni giorno nelle piazze.
All’inizio del 1861, caduta Gaeta, la maggior parte delle forze militari era schierata al Po, per fronteggiare l’Austria, invece l’esercito garibaldino rimasto, la Guardie Nazionale e la Guardia Civica erano divenuti gli scherani dei padroni; l’esercito di Garibaldi, forte di 50.000 volontari, in maggioranza meridionali, era stato disciolto, anche perché fatto di repubblicani, perciò i pochi reparti piemontesi subirono rovesci e alcuni ufficiali furono decapitati, stessa sorte subivano le guardie nazionali.
Comun que, anche i piemontesi facevano atrocità, bersaglieri e carabinieri furono impiegati nella repressione, i piemontesi facevano stragi e si servivano della tortura, instaurarono un regime di terrore, il meridione sembrava una colonia; per reagire alla situazione, furono costituiti Consigli di guerra che erano tribunali militari che operavano con il pugno di ferro. Erano composti di ufficiali dell’esercito, giudici e ufficiali della guardia nazionale, ai briganti colti con le armi in mano o gravemente indiziati non era garantita la difesa.
Si prometteva salva la vita in caso di resa e poi si eseguivano ugualmente le fucilazioni, si pretendevano taglie dai cittadini, si facevano rappresaglie dieci a uno, si distruggevano paesi; la ferocia della Guardia Nazionale era pari a quella dei briganti. La legge Pica (1863), nata per la repressione del brigantaggio, proclamò lo stato d’assedio, sospese le garanzie costituzionali, istituì i consigli o commissioni di guerra e le Giunte provinciali di Pubblica Sicurezza, che deferivano i sospetti ai tribunali militari.
La legge Pica creò squadriglie di cavalleria d’irregolari che alimentarono lo squadrismo agrario padronale e poi ispirarono Mussolini. Nel 1863 la legge Pica fu estesa anche alla Sicilia, che non aveva conosciuto il brigantaggio, ma solo la resistenza alla leva militare, al generale Govone spettò di catturare i renitenti; con la repressione ci fu gente bruciata viva e paesi distrutti, gente torturata. Il parlamento venne al corrente di questi fatti e nel 1863 creò una commissione parlamentare d’inchiesta, composta da Massari, Bixio e Saffi.
La commissione rilevò che il brigantaggio era debole dove i rapporti tra lavoratori e datori di lavoro erano soddisfacenti e dove vigeva il rapporto di mezzadria, il brigantaggio sembrava il risultato della miseria; la relazione chiedeva istruzione, distribuzione delle terre, bonifiche e lavori pubblici. La commissione accertò che la maggioranza dei carcerieri era fatta di mafiosi o camorristi; purtroppo però, le classi dirigenti meridionali erano liberali, unitarie ma contro la riforma agraria.
Alla fine i capi di tutti le bande di briganti finirono con una palla nella testa, i galantuomini erano sostenuti dai prefetti e dagli intendenti piemontesi, sostituitisi all’antica aristocrazia locale; l’Italia meridionale fu invasa da funzionari e imprenditori piemontesi o settentrionali, le leggi e i regolamenti piemontesi furono estesi al sud, come lo Statuto Albertino; si attaccava l’etichetta di borbonico a chiunque era contro questa politica.
Il brigante Carmine Crocco era un ex detenuto desideroso di riscatto sociale, si fece garibaldino e fu arrestato, in Lucania sollevò i contadini che reclamavano le terre, a Melfi la sua banda distrusse gli archivi della proprietà e l’ufficio delle gabelle, dichiarando decaduto il governo di Vittorio Emanuele II, era una rivoluzione sociale. Crocco portò la guerriglia nell’Irpinia, dove distribuì grano e terre.
Crocco resisté fino all’agosto del 1864, allora la repressione definitiva del brigantaggio fu affidata al generale Enrico Cialdini, succeduto a Carlo Farin;, Cialdini concentrò metà dell’esercito a sud di Napoli, era sostenuto dal colonnello Emilio Pallavicini, che fece la repressione in Aspromonte. I presidi piemontesi furono riuniti in guarnigioni, organizzate in colonne mobili prive di salmerie e armamento pesante; vivevano sulle montagne, guidate da ex briganti passati ai piemontesi.
Invece i briganti erano appesantiti dalla presenza delle donne, da Roma i Borboni avevano contato su un intervento austriaco ma dal 1862 Francesco Giuseppe aveva altri gravi problemi. L’ultimo atto di questa guerra meridionale avvenne in Sicilia, a settembre del 1866 i contadini sopraffecero la guarnigione di Palermo di 3.000 uomini, le bande erano fatte di contadini, autonomisti, soldati borbonici, mafiosi, banditi e repubblicani.
Erano sostenuti da qualche grossa famiglia isolana, gli insorti s’impadronirono di Palermo, il marchese di Rudinì, sindaco della città, organizzò la resistenza municipale, mentre i rivoltosi crearono un governo provvisorio al quale parteciparono sei principi, due baroni e un monsignore; in risposta, arrivò un corpo di spedizione comandato dal generale Cadorna e fu una strage, migliaia di persone furono impiccate.
La guerra doganale con la Francia, nata per proteggere le industrie del nord, fece male al sud e favorì tra i contadini altre rivolte sociali e l’emigrazione in America, fino all’avvento del bandito Giuliano di Partinico, alla fine della seconda guerra mondiale; il tema era sempre la terra ai contadini e il riscatto sociale dei contadini.
Nunzio Miccoli – www.viruslibertario.it; numicco@tin.it.
Stioria Illustrata - Volume X – Mondadori Editore
Carlo Magno (772-814) divenne imperatore d’occidente, fu sostenuto dal papa perché lo aiutasse a contenere i longobardi che, contro gli interessi territoriali della chiesa, volevano unificare l’Italia; con la caduta dell’impero romano, il papa si era detto, grazie alla falsa donazione di Costantino, erede di Roma, ora per salvarsi, era costretto a passare la mano a Carlo Magno. Grazie al pericolo longobardo da fronteggiare, Carlo Magno, con certificazione papale, ereditò l’impero romano d’occidente; in un secondo tempo, sulle rovine dell’impero carolingio dei franchi, nei secoli successivi nacque l’impero romano-germanico, retto da diverse dinastie, e nacquero le nazioni francesi e germanica, eredi dei franchi.
Alla fine del secolo XII fu eletto papa Innocenzo III, che divenne tutore del minore Federico II II Hohenstaufen (morto nel 1245), nipote di Federico Barbarossa, era erede del regno normanno di Sicilia, che era la regione più ricca dell’impero, e sua madre Costanza, moglie del defunto Enrico VI, nominò il papa tutore di Federico II e reggente di Sicilia. Crescendo, Federico II si rese conto delle mene dei papi e si dimostrò ostile al potere temporale del papa.
A causa delle sue guerre, risedette soprattutto in Italia, trascurando un po’ l’impero, si sentiva più italiano che tedesco e, come i longobardi, vagheggiò l’Unità dì’Italia e l’unità d’Europa; era uomo di cultura, poeta, giurista, filosofo, matematico, architetto, uomo d’armi e di governo, cultore di scienze, conosceva più di sei lingue, tra cui l’arabo. Sotto di lui la corte di Palermo divenne il maggiore centro culturale d’Europa e la ricchezza della Sicilia gli consentiva di finanziare le sue imprese belliche.
In Puglia costruì Castel del Monte, inserendone nell’architettura elementi classici, voleva sottrarsi al predominio culturale della chiesa e perciò organizzò l’Italia meridionale come uno stato laico moderno; ammiratore dell’Islam, prima in Sicilia e poi a Lucera, in Puglia, insidiò mercenari musulmani. Al tramonto del suo rivale Ottone IV, si fece incoronare imperatore e poi si scontrò con i papi Gregorio IX e Innocenzo IV.
Federico II risiedeva a Foggia ed era chiamato l’Anticristo dal papa che lo scomunicò, però per antipapisti italiani e tedeschi l’Anticristo era il papa; tuttavia Federico II, da abile politico, riconosceva il primato spirituale del papa, mentre riservava la potestà imperiale all’imperatore, voleva la separazione tra chiesa e stato ed era contro il potere temporale dei papi; credeva di avere un rapporto diretto con Dio, senza la mediazione della chiesa, concetto questo respinto dal papa.
Federico II voleva una chiesa povera e retta da un papa mistico e francescano, queste idee erano diffuse in Italia, dove nacquero movimenti pauperistici, venerava San Francesco; tuttavia, anche per Federico II, come per il papa, Roma era il centro del mondo civile ed è per questo che gli imperatori tedeschi non avevano mai voluto rinunciare alla loro sovranità su Roma e si dicevano imperatori del sacro romano impero; lo scontro con i papi era inevitabile.
Preso dal vortice della politica che genera ambiguità, tradimenti e contraddizioni, voleva l’unità d’Italia, l’unità d’Europa, riconosceva l’autorità spirituale del papa e rivendicava, com’era tradizione degli imperatori tedeschi, la sua sovranità su Roma. L’Europa e i primi nuclei di stati erano plurinazionali e perciò Federico II non si sentiva nazionalista, però voleva l’unità del mondo cristiano, che cominciava a frazionarsi nelle varie nazioni; Federico II voleva una confederazione di stati europei, sotto l’imperatore, avulsa dal dominio del papa, il quale l’avrebbe accettata solo se fosse stata dominata dal papa.
Perciò il tradizionale conflitto per il primato tra papi e imperatori tedeschi continuava, a causa dei contrasti con il papa, Federico II fu costretto a restare in Italia e a estraniarsi un po’ dalla Germania; cercò anche di sottrarsi alle crociate in oriente volute dal papa, voleva difendersi dalle ingerenze politiche del papato, che all’epoca voleva l’Italia divisa perché l’unità avrebbe dissolto lo stato della chiesa.
Il papa avrebbe accettato l’unità d’Italia solo sotto il papa, per questo si era scontrato anche con i longobardi che, prima di Federico II, avevano il programma di unificare l’Italia, ponendola però sotto di loro. Mentre il papa voleva la crociata in oriente, Federico II aveva scelto guerrieri saraceni per la sua guardia del corpo e poi fu costretto a combattere controvoglia in Terrasanta; era laico, ma per contentare il papa, emanò decreti contro gli eretici; sono i soliti misteri della politica, impenetrabili per il popolo e sui quali storici e informazione non fanno mai chiarezza.
Comunque, Federico II, da uomo moderno, fiutando i nuovi tempi, alla sua corte affidò incarichi a rappresentanti della borghesia, in precedenza gli imperatori tedeschi li avevano dati solo ai vescovi, messi a capo delle amministrazioni; però Federico II, come altri imperatori tedeschi, si oppose all’aspirazione all’indipendenza dei comuni lombardi che volevano la repubblica. Il papa sostenne le repubbliche lombarde contro l’imperatore, però fu ostile alle varie repubbliche romane che, senza rinnegare la fede, volevano l’indipendenza dal papa. Anche queste sono le contraddizioni e i misteri della politica. http://www.viruslibertario.it/Storia.htm#REPUBBLICHE%20ROMANE.
I contrasti di Federico II con il papa provocarono la frattura tra chiesa e impero e alimentarono l’anticlericalismo degli uomini di cultura italiani; a causa di queste fratture, delle lotte politiche e delle rivalità tra regni e nazioni, nel secolo successivo il papa, premuto dal re di Francia, si stabilì ad Avignone. Più tardi in Germania si manifestò la riforma, che aveva però avuto anticipatori anche degli italiani, allora gli italiani erano più colti dei tedeschi, più votati alle scienze e aperti alle nuove idee e perciò più anticlericali. La riforma tedesca fu partorita dalla maggiore fede dei tedeschi, rispetto agli italiani, e dalla loro antipatia verso la Roma papale.
Federico II riconosceva la superiorità araba sull’Europa in campo scientifico, però nel 1229 fu costretto ugualmente ad andare alla crociata; Carlo Magno riuscì, con la forza delle armi e con l’aiuto del papa, a creare un’unità in Europa occidentale, ma Federico II non ci riuscì; i principi dell’impero e i vescovi, sobillati dal papa, gli furono spesso contro, però era accaduto anche agli altri imperatori tedeschi.
In origine, l’Islam si diffuse, come il cristianesimo, con la spada e non con il libero consenso; lo splendore del modo arabo nacque sulle rovine dell’impero romano e sulle rovine della cultura cristiana di Siria e d’Egitto ed ebraica di Palestina; gli ebrei fornirono le basi religiose, i greci quelle filosofiche, i siriani quelle architettoniche; la ruota della storia, come dicevano i persiani, gira prima a favore di un impero e poi di un altro, non è questione di superiorità razziale.
Nunzio Miccoli – www.viruslibertario.it; numicco@tin.it.
Fonte: Storia Illustrata - Volume XIII - pag. 40-45 – Mondadori Editore
La pirateria è assai antica, la praticavano fenici, greci, egei, veneziani, genovesi, arabi, turchi, inglesi e la maggior parte dei popoli, oggi esistono i pirati somali e quelli di Indonesia e Malesia; nel mondo antico si poteva essere al contempo commercianti, marinai e pirati, chi andava per terra con le sue merci doveva pagare il pedaggio ai principi e/o il riscatto ai briganti e chi andava per mare doveva pagare il pedaggio o riscatto a pirati protetti da principi e poi a corsari muniti di una patente reale. Lo stato è nato con questi dazi.
Nel 78 a.c. Cesare fu catturato dai pirati dell’Egeo e dovette pagare un riscatto, Pompeo condusse delle spedizioni contro i pirati, non accettava che ci fossero altri esattori oltre lo stato, lo stato ci costa molto più della mafia; la pirateria era organizzata anche dai principi, per fare cassa e per danneggiare il commercio di paesi nemici. Gli stati e le fazioni o partiti hanno organizzato anche complotti e terrorismo, all’interno o all’estero; sono tutti modi di fare politica, come le guerre, gli assassini politici, le rivoluzioni e i pogrom ispirati dai principi.
Quando i pirati agivano per conto del re, nasceva la guerra di corsa contro navi nemiche e i corsari erano muniti di patente, cioè facevano un’attività legale ed erano protetti in patria; il pirata era un brigante del mare, mentre il corsaro era un agente del re, però la demarcazione non era netta, erano uomini della stessa natura. Come i corsari hanno trovato rifugio al palazzo, cioè a corte, anche i briganti hanno trovato rifugio nelle case dei principi e i mafiosi, in tanti paesi, sono stati protetti dal palazzo e dalla polizia.
Alcuni corsari divennero tali dopo essere stati pirati e alcuni cristiani si fecero musulmani e pirati per conto dei turchi; poiché il pirata e il corsaro dovevano vendere il bottino, aveva doti di stratega, marinaio e commerciante, cioè erano più poliedrici dei comuni militari. Nella guerra di corsa, il re protettore partecipava al bottino e assicurava protezione, la stessa cosa deve essere accaduta nel brigantaggio protetto dai nobili, i quali hanno ospitato briganti e mafiosi.
Ufficialmente la guerra di corsa nacque nel XIII secolo, ma è in realtà più antica, il 25.5.1206 il re inglese Giovanni Senzaterra assicurò al corsaro l’immunità per tutte le azioni di guerra condotte contro i nemici del re; il suo pirata preferito era Eustachio, figlio di un proprietario terriero ed ex frate, abbandonò il convento per vendicare il padre assassinato. Eustachio si mise al servizio del re d’Inghilterra che stava perdendo i suoi possedimenti in Francia.
Giovanni Senzaterra fu scomunicato da papa Innocenzo III che invitò il re di Francia a invadere l’Inghilterra; l’ex frate, sensibile al richiamo della chiesa, cambiò bandiera e andò al servizio del re di Francia, Filippo Augusto. Giovanni Senzaterra, per salvarsi, dichiarò l’Inghilterra feudo papale e concesse ai baroni, che lo contrastavano, la Magna Charta; infatti, i ribelli inglesi offrirono la corona inglese al figlio di Filippo Augusto di Francia, Luigi.
Poiché in politica si progredisce solo con i tradimenti, perché non esiste una carriera automatica, Eustachio ritornò in Inghilterra come ammiraglio di Francia e agente di Luigi; però l’ex frate dovette fronteggiare io suoi ex amici corsari inglesi, rimasti fedeli a Giovanni Senzaterra, i quali piombarono sulla flotta francese, la sconfissero e catturarono Eustachio che fu decapitato. La storia della pirateria assomiglia un po’ a quella dell’usura.
Come i marinai sono passati alla pirateria e quindi alla guerra di corsa legale, i commercianti e i possidenti si sono dedicati all’usura e poi si sono evoluti in banchieri legali. Però alla guerra di corsa hanno partecipato anche nobili, come all’attività usuraia e bancaria hanno partecipato anche templi, nobili e vescovi; per non comparire si sono serviti di prestanomi, spesso ebrei, perciò poi maledetti solo loro dal popolo.
Nella guerra dei cento anni, tra il 1339 e il 1459, tra Francia e Inghilterra, la guerra di corsa giocò un ruolo essenziale; nel 1373 l’imperatore Carlo V regolamentò con legge la distribuzione del bottino dei corsari, con la quota spettante al re, alla fine del XIV secolo anche la Francia aveva organizzato legalmente la guerra di corsa e nel 1400 Carlo VI di Francia impose la lettera di corsa; gli inglesi si adeguarono in ritardo con Elisabetta I (1558-1603), che però ebbe molto successo contro le navi spagnole, prese le distanze dal papa, combatté i pirati stranieri ma protesse i corsari inglesi; perciò il papa cercò di farla assassinare, ma queste sono cose che succedono facilmente in politica.
Per quanto riguarda i titoli dei pirati, nel 1360 i corsari francesi forzarono i porti inglesi, tra essi vi era Bertrand du Guesclin, futuro capo dell’esercito di Carlo VI di Francia, Jean Béthencour che sarebbe diventato ciambellano di Carlo VI e Waleran de Saint Pol, cognato di Riccardo II d’Inghilterra, ostile a Enrico IV d’Inghilterra; vi erano anche i genovesi Antonio Doria e Carlo Grimaldi. Al servizio di Francesco I di Francia, contro la Spagna, nel 1485 vi era vi era il corsaro fiorentino Juan Florin, identificato da alcuni con il navigatore italiano Giovanni da Verrazzano.
Juan Florin era stato al servizio degli spagnoli nelle Antille e poi divenne corsaro di Francia, nel 1523 Juan Florin diede l’assalto alle navi spagnole che trasportavano il tesoro di Montezuma, catturò una nave piena di tesori e la consegnò a Francesco I, alla base navale francese di La Rochelle. Juan Florin aveva fatto guerra a spagnoli e veneziani, nemici del re di Francia, fu catturato e decapitato dall’imperatore Carlo V, dopo aver confessato di aver catturato 150 navi.
All’inizio del XVI secolo, l’Inghilterra non era ancora una potenza navale, i mari più trafficati erano il Mediterraneo e il Baltico, il primo era dominato da Venezia e il secondo dalla lega anseatica; nel 1509 l’Inghilterra di Enrico VIII era povera, rovinata dalla guerra dei cento anni e dalla guerra delle due rose; allora Enrico VIII si costruì una flotta di ottanta navi e si diete alla tratta dei negri, presi in Sierra Leone e portati a San Domingo.
Sotto Elisabetta I, i pirati inglesi catturavano navi e gentiluomini spagnoli per i quali chiedevano il riscatto, i mandanti erano alti ufficiali della marina, governatori, sceriffi di contee e grandi proprietari terrieri; erano contemporaneamente amministratori della legge e ricettatori ed Elisabetta I non era in grado di fermarli. Armavano le navi e consegnavano al comandante della nave pirata un quinto del bottino; una famiglia di pirati era quella di sir John Killigrew, vice ammiraglio della Cornovaglia, che al tempo di Elisabetta I diede al paese ministri, diplomatici e soldati di valore.
Comunque, nel 1564 Elisabetta iniziò la repressione della pirateria, ordinando di ripulire la Manica, però lo stesso anno riconobbe la guerra di corsa al servizio dello stato e non dei privati; ancora una volta, allo stato è lecito ciò che non è lecito ai privati. Ad ogni modo, la regina si dimostrò indulgente con i pirati inglesi che operavano al di fuori della Manica, a danno degli spagnoli, ciò nel mare delle Antille; perciò la Spagna allestì l’invincibile armata, una possente flotta, per invadere l’Inghilterra e il papa cercò di farla assassinare.
Nell’Atlantico operavano i pirati John Hawkins, Drake e Raleigh, che gettarono le basi della potenza navale inglese, la famiglia di Hawkins, sotto Enrico VIII (morto nel 1547), ammassò una fortuna nel traffico negriero; John Hawkins fondò una società per catturare negri in Guinea e venderli nelle Antille, presentò l’operazione come misericordiosa perché acquistava solo negri catturati in guerra da altre tribù e che rischiavano di essere uccisi.
I gentiluomini di corte comprarono le azioni della società, tra loro vi era anche sir Thomas Lode, primo giudice di Londra e la stessa regina; la Spagna presentò una protesta non in difesa dei negri ma in difesa del monopolio spagnolo nel traffico verso le Antille. Hawkins distribuì ai soci un utile del 60%, elevato come quello dell’usura, la quale ha anch’essa soci occulti. Gli inglesi catturavano navi portoghesi e spagnole, il ricovero delle navi pirate era a Dover, alla fine gli spagnoli riuscirono a far strage degli uomini di Hawkins; l’Inghilterra s’indignò e Hawkins fu dichiarato eroe del paese, corsari inglesi fecero una crociata ai danni degli spagnoli e da allora sorse la stella di Francis Drake, cugino di Hawkins.
Nunzio Miccoli – www.viruslibertario.it; numicco@tin.it.
Fonte: Storia Illustrata - Volume XIII - pag.110-123 – Mondadori Editore
Il caporale austriaco Adolf Hitler aveva combattuto nella prima guerra mondiale, nel 16° reggimento di fanteria bavarese ed era stato decorato; quando l’esercito tedesco nel 1918 subì la disfatta, l’imperatore Guglielmo II abdicò e fuggì in Olanda, i socialdemocratici proclamarono la repubblica e a Campiègne fu firmato l’armistizio. Già ai primi di ottobre del 1918 il governo imperiale, senza informare il parlamento, aveva iniziato le trattative per l’armistizio (queste cose sono state rimproverate all’Italia nel secondo conflitto mondiale), il feldmaresciallo Hindenburg e il generale Luderdoff volevano la fine del conflitto.
La Germania era in preda al caos, i conservatori volevano innalzare al trono uno dei figli del Kaiser, ma a Berlino il movimento spartachista di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, in rapporto con i russi, si preparava a prendere il potere, per instaurare un governo di soviet; cancelliere della repubblica di Weimar, la cui costituzione fu approvata il 19.7.1919, era il socialdemocratico Friedrich Ebert.
Il trattato di pace di Versailles fu firmato il 28.6.1919, imponeva alla Germania la cessione di territori a vantaggio di Francia, Danimarca e Polonia, la consegna di 800 criminali di guerra, un indennizzo di 5 miliardi di marchi oro e il disarmo quasi totale, era consentito solo un esercito di 100.000 volontari. Nobili, latifondisti, industriali e ufficiali scatenarono una campagna antigovernativa di scontenti, sostenuti dai reduci senza lavoro; anche il fascismo strumentalizzò lo scontento dei reduci senza lavoro.
Gli industriali, per difendersi dagli scioperi, diedero vita ai corpi franchi, una milizia sovvenzionata anche dall’esercito, che organizzava assassini e spedizioni punitive contro i comunisti; i primi a cadere furono i leader del movimento spartachista Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht e quelli che avevano approvato il trattato di Versailles. Il terrorismo nazionalista provocò la morte del socialdemocratico Mathias Erzberger che aveva firmato l‘armistizio e del ministro degli esteri Walter Rathenau.
La Baviera divenne il centro degli estremisti di destra, l’esercito finanziava gruppi di destra, corpi franchi e spie, tra le quali nella primavera del 1919 c’era l’ex caporale Adolf Hitler, nato il 20.4.1889, figlio di un ex impiegato della dogana austriaca. Hitler aveva qualità oratorie, aveva frequentato la scuola media di Linz, voleva fare il pittore, era indisciplinato e abbandonò la scuola, si considerava nazionalista, antisemita e rivoluzionario.
A 17 anni Hitler si trasferì a Vienna, deciso a frequentare l’Accademia di belle Arti, ma non fu ammesso, il suo disegno fu giudicato insufficiente, a Vienna visse di espedienti, fece qualsiasi mestiere e dormì nei dormitori, era magro e trasandato, aveva fame; poi si trasferì a Monaco, in Baviera, dove il 3.8.1914 si arruolò volontario nell’esercito tedesco. Nel marzo del 1919, per conto dell’esercito, cioè come spia infiltrata, partecipò a una riunione del partito dei lavoratori tedeschi, fondato dal fabbro Anton Drexler.
Hitler odiava ebrei, socialisti e borghesi, credeva alla Germania e alla purezza razziale, s’iscrisse al partito e ne divenne attivo propagandista. Il 14.2.1920 ci fu il primo raduno del partito nazionalsocialista o nazista, che doveva nascere dal partito dei lavoratori; Hitler proponeva di abolire il trattato di Versailles e chiedeva spazio vitale per i tedeschi, sosteneva la purezza del sangue, senza tener conto della religione, voleva la creazione di un esercito popolare, l’eliminazione dei redditi non di lavoro, la nazionalizzazione dei monopoli e la pena di morte per usurai e approfittatori di guerra.
Il programma di sinistra fu presto abbandonato, arrivarono finanziamenti dall’industria e fu adottato come simbolo la croce uncinata, di origine orientale, nei colori della bandiera imperiale tedesca, cioè rosso, bianco e nero, la quale fu disegnata dallo stesso Hitler. L’1 aprile 1920 il partito dei lavoratori si trasformò nel partito nazionalsocialista, faceva propaganda, raccoglieva scontenti e denaro, si diceva difensore della civiltà cristiana contro il bolscevismo.
Il 5.10.1921 nacquero le camicie brune delle SA, eredi dei corpi franchi del dopoguerra, queste milizie approfittarono dell’indulgenza di esercito e polizia, aggredivano sindacalisti, socialisti e difensori della repubblica di Weimar; nel 1921 Hitler mise da parte Drexler, fondatore del partito dei lavoratori, abolì il direttivo e assunse i pieni poteri nel partito, si circondò di uomini devoti come Rohm, Hess e Goering; Rohm teneva il collegamento tra nazismo ed esercito e Goering era un agiato borghese che aveva rapporti con gli industriali.
L’11.1.1923 l’esercito tedesco occupò la Ruhr, della quale si era impossessata la Francia per incassare le riparazioni, il marco si svalutò paurosamente, le imprese fallivano e Hitler progettava un colpo di stato a Monaco, sostenuto da Luderdoff, voleva la rivolta della Baviera contro Berlino; in un clima complottistico, Hitler offrì a Pochner, ex capo della polizia di Monaco, la presidenza della Baviera e questo accettò.
Perciò il 9.11.1923 Hitler tentò un colpo di stato, marciando a fianco di Ludendorff e di dimostranti, Rohm occupò il ministero della guerra, ma la polizia intervenne e disperse i manifestanti; Ludendorff fu arrestato e Hitler fuggì, la polizia sparò sulla folla e Goering fu ferito e fuggì, Hess e Rohm furono arrestati. Sembra che il generale fosse a favore della manifestazione ma non del progetto di colpo di stato, perciò anche l’esercito prese le distanze da Hitler.
Quattro mesi dopo Hitler fu processato per alto tradimento da un Tribunale speciale di Monaco, accanto a lui sedeva Ludendorff, Hitler si assunse tutta la responsabilità delle sue azioni e, appoggiato dal ministro della giustizia bavarese, Franz Gurtner, poté parlare liberamente. Ludendorff fu assolto, Hitler, malgrado la legge prevedesse l’ergastolo per i colpi di stato, fu condannato a cinque anni di carcere, ma uscì nove mesi dopo, il 20.12.1924, con un condono, però il partito nazista fu sciolto.
Giustizia, esercito e polizia facevano politica e simpatizzavano per Hitler. In carcere Hitler, con l’aiuto di Hess, aveva continuato a guidare le organizzazioni naziste, aveva una bella camera, riceveva visite, regali e fiori; in quel periodo scrisse Mein Kampf, il suo programma di governo. Nel 1924 la produzione industriale aveva superato quella dell’anteguerra, l’inflazione si era arrestata, gli Stati Univi avevano concesso crediti e la disoccupazione diminuiva.
Hitler, come si fa in politica, voleva unire gli scontenti e lottare contro l’indifferenza delle masse, era ancora deciso a ottenere il potere e riceveva i finanziamenti dai magnati della finanza. Hitler s’incontrò con Heinrich Held, capo del governo bavarese e del partito cattolico, che revocò l’ordine di scioglimento del partito nazista, era osannato e ottenne i pieni poteri dal partito, proclamò di voler distruggere repubblica, marxisti ed ebrei.
Ad ogni modo, le autorità vietarono a Hitler di parlare in pubblico per due anni, alla fine del 1925 gli iscritti al partito erano 25.000 e le squadre d’assalto di Ernest Rohm ripresero le loro attività, appoggiate dall’esercito. Hitler ridusse l’autonomia delle SA e divenne comandante supremo delle SA, Rohm diede le dimissioni; nacquero anche le SS, legate a lui da un giuramento di fedeltà, nel 1929 ne divenne capo Heinrich Himmler.
Il partito nazista aveva un’ala sinistra socialisteggiante, diretta da Gregor Strasser, che minacciava la supremazia di Hitler. Si discusse se i beni degli ex regnanti dovessero essere nazionalizzati o lasciati ai proprietari, Strasser era per la prima tesi e Hitler per la seconda. Fu allora che Hitler sottrasse Goebbels all’influenza di Strasser, Hitler lo fece capo della propaganda; il 28.2.1926 si spense il presidente della repubblica, il socialdemocratico Herbert, e nazionalisti e nazisti elessero alla successione il maresciallo Hindenburg.
Dal 19 al 21 agosto 1927 si tenne a Norimberga il secondo congresso nazista e davanti a Hitler sfilarono 20.000 uomini, inquadrati militarmente e armati; con la mediazione di Goering, Hitler strinse legami con il mondo della finanza e dell’industria e da essi riceveva finanziamenti, assieme al partito nazionalista che poi si sarebbe fuso con quello nazista. Hitler affermava di difendere la proprietà e si rivolgeva anche all’esercito; comunque, il 22.1.1930 il ministro della difesa Groener invitò l’esercito ad astenersi dall’attività politica, Hitler affermava la lealtà costituzionale e invitava gli ufficiali di polizia a non sparare sui nazisti.
Nel 1929 crollò la borsa di New York e ci furono ripercussioni in Germania, l’economia si trovò priva dei crediti americani, diminuì la produzione e aumentò la disoccupazione, i negozi furono saccheggiati; nel luglio del 1930 il cancelliere cattolico Bruning chiese al presidente Hindenburg lo scioglimento dell’assemblea, alle elezioni i nazisti ebbero 107 seggi e diventarono il secondo partito, dopo i socialdemocratici.
Le SA si ribellarono a Hitler perché volevano la conquista del potere e Hitler richiamò Rohm e gli offrì di nuovo il comando dell’organizzazione, Hitler voleva diventare cancelliere, ma Hindenburg non era d’accordo, perciò andò all’opposizione, il 23.2.1932 Hitler ebbe la cittadinanza tedesca; Hindenburg fu rieletto presidente, sopravanzando di poco Hitler, se Hitler avesse vinto, le SA avrebbero preso il potere; però la conquista del potere era ugualmente vicina.
Il governo era informato di queste trame e perciò il 14.4.1932 il governo Bruning sciolse le organizzazioni naziste e, le SA smisero le loro divise; il generale Schleicher sosteneva i nazisti, aveva anche ottenuto dai russi l’aiuto per l’addestramento dei piloti tedeschi, voleva far revocare i provvedimenti del governo contro i nazisti e spinse il presidente Hindenburg licenziale il ministro della difesa Groener per le misure da lui prese contro i nazisti.
Il cancelliere Bruning propose la distribuzione di terre incolte ai contadini, fu attaccato dai conservatori Junker e fu costretto alle dimissioni, il 30.6.1932 divenne cancelliere Fritz von Papen, cattolico e industriale, il 15 giugno Von Papen revocò i provvedimenti contro le SA e ripresero gli scontri e le violenze. Alle elezioni del 31.7.1933 i nazisti ottennero 230 seggi e i socialdemocratici 133, Hitler chiese cancellierato e ministero degli interni.
Hindenburg tentò di resistere e il parlamento fu sciolto di nuovo, era la terza volta in un anno, Hitler insisteva con le sue richieste; il 2.12.1933 Hindenburg affidò al generale Schleicher l’incarico di formare il nuovo governo, Hitler prese le distanze da lui e da Strasser e si accostò a Von Papen. Hindenburg invitò Von Papen a fare un governo con i nazisti e sarebbe stato vice-cancelliere, il 3.1.1934 il nuovo gabinetto giurò.
Per avere una maggioranza, i nazisti avevano bisogno dei cattolici di Von Papen, perciò Hitler s’incontrò anche con monsignor Kaas; grazie alla mediazione di Goering, Hitler riceveva finanziamenti da Faber, Krupp, Bosch e assicurava i militari di voler ricostituire un potente esercito.
Da capo del governo, Hitler vietò i comizi a socialdemocratici e comunisti, ci fu l’incendio del parlamento, se ne diede la colpa ai comunisti e cominciò la loro repressione.
4500 comunisti furono condotti ai campi di concentramento organizzati da Goering, furono sospese le libertà e dell’incendio fu incolpato un olandese semidiota, in collaborazione con tre agenti bulgari comunisti; al processo i tre riuscirono a dimostrare la loro estraneità e furono assolti mentre l’olandese Van der Lubbe fu condannato a morte. L’incendio al Reichstag era stato ideato da Goering assieme a Goebbels e fu realizzato dalle SA del capitano Ernst della gestapo, la polizia segreta creata il 26.4.1933 da Goering.
Comunque, il nazismo eliminò testimoni pericolosi sull’incendio; dopo il fatto, all’opposizione fu proibita ogni attività; Hitler non aveva la maggioranza assoluta in parlamento ma, grazie al sostegno del partito cattolico, abrogò la costituzione di Weimar. L’epurazione eseguita da Himmler servì a eliminare i suoi nemici personali, il partito del centro di Von Papen appoggiò il governo di Hitler che così ottenne una maggioranza ampia; il 31.3.1933 Hitler sciolse i parlamenti locali e nominò dei governatori, sopprimendo le autonomie locali. Furono vittime della repressione Ernst Rohm e Gregor Strasser, della sinistra del partito nazista; dopo aver sciolto il partito socialdemocratico e quello comunista, il 22 giugno fu sciolto il partito democratico e il 4 luglio il partito cattolico.
Il presidente Roosevelt aveva invitato i paesi a distruggere tutte le armi e Hitler si disse d’accordo se lo avessero fatto anche gli altri paesi, era un’implicita denuncia del trattato di Versailles. Il 14.10.1933 Hitler sciolse il Reichstag poi uscì dalla società delle nazioni, il 26.1.1934 firmò con Polonia un trattato di non aggressione, il 20.7.1933 firmò un concordato con il Vaticano. Il 2.8.1934 morì Hindenburg e Hitler, con l’appoggio dell’esercito, prese anche la carica di presidente.
Hindenburg aveva sospettato che Rohm volesse fare un colpo di stato e perciò aveva minacciato la legge marziale, per eliminare Rohm, i rapporti falsi erano stati preparati da Goering, il falso golge doveva nascere a Monaco, perciò Rohm fu ucciso e i suoi uomini furono arrestati, Strasser fu ucciso e altri finirono in campo di concentramento. Hindenburg ringraziò Hitler per il suo intervento e prima di morire chiese con una lettera il ritorno della monarchia, ma la lettera che non fu mai resa pubblica.
Consolidato il suo potere, sembra che Hitler cercò anche di far uccidere Von Papen, alle urne il 90% dei tedeschi votò a favore della dittatura, la propaganda di Goebbels era martellante. Fu abolito il sindacato e diminuirono i disoccupati; con le leggi di Norimberga del settembre del 1935, gli ebrei tedeschi furono privati della cittadinanza, esclusi da affari e professioni e furono vietati i matrimoni misti. Dal 1934 al 1937 Hitler arrestò sacerdoti dissidenti e obbligò i rimanenti a prestargli giuramento, nel 1938 il clero tedesco era schierato con la dittatura, soprattutto i vescovi.
Il 19.3.1933 furono bruciati i libri malvisti dal regime, furono sciolte le organizzazioni studentesche non naziste e lo studio della dottrina nazista fu imposto dai sei anni. Il 7.4.1933 fu epurata la magistratura e da allora il reato di tradimento era giudicato da corti del popolo fatte da nazisti; il Il 10.2.1936 il governo emanò una legge in base alla quale le decisioni della Gestapo, la polizia segreta, non potevano essere soggette a revisione giudiziaria; la Gestapo fu messa al disopra della legge e furono aperti 50 campi di concentramento.
Heinrich Himmler divenne capo delle SS, suo padre era stato un magnaccia, Reinhard Heydrich era un maniaco sessuale e divenne il vice di Himmler; l’1.4.1935 Hitler, violando il trattato di Versailles, istituì la circoscrizione obbligatoria e chiese la parità di armamento con la Francia che si oppose. Il 13.1.35 le truppe naziste ripresero possesso della Saar, il più ricco bacino carbonifero d’Europa, occupato dalla Francia.
Il 2.5.1935 fu ripresa la Renania e la Francia fortificò la linea Maginot, un plebiscito del 7.3.1936 fece approvare dal popolo la politica estera tedesca. Nel 37 Hitler, con il pretesto che si era unito a una donna di 24 anni che aveva fatto la prostituta, si sbarazzò del ministro della guerra Blomberg; lo scandalo fu sfruttato da Himmler e Heydrich, Hitler chiese e Blomberg l’annullamento del matrimonio e poi lo fece dimettere.
L’1.7.1914 Luigi Cadorna era capo di stato maggiore dell’esercito, l’Italia era legata alla triplice alleanza difensiva con Austria e Germania, stipulata nel 1882; ma dal 1902 Italia e Francia, con scambio di lettere segrete, si erano anche impegnata alla neutralità, era la solita ambiguità della politica, non solo italiana. Il re Vittorio Emanuele III di Savoia (morto nel 1947) era informato di tutto, ispirava la politica estera, mentre Cadorna e il parlamento erano all’oscuro. L’accordo militare con la Triplice alleanza impegnava l’Italia a inviare in caso di guerra dei corpi d’armata e delle divisioni di cavalleria in Germania, la quale prevedeva la violazione della neutralità di Belgio e Lussemburgo e valutava che la guerra sarebbe durata pochi mesi.
Con la Francia c’erano state rivalità coloniali, soprattutto per la Tunisia, guerre commerciali, perché il protezionismo industriale italiano si era ritorto contro le esportazioni agricole dell’Italia del sud; l’Italia avrebbe voluto recuperare la Corsica strappandola alla Francia e avrebbe voluto recuperare Trento e Trieste strappandole all’Austria; debolezza e ambiguità politica spingevano al tradimento, alla doppiezza e ai patti segreti, il che non era una novità nei rapporti tra nazioni.
Comunque, triplice intesa e triplice alleanza, spendevano fiumi di denaro in Italia, diretti ai giornali, per spingere il paese con la propaganda a favore di una o l’altra coalizione. Non sono i popoli che tradiscono, perché sono quelli costretti a combattere e a subire i cambiamenti di fronte, ma sono gli stati a tradire o meglio i governi; soprattutto quando cambia il governo e ancora di più quando cambia con una rivoluzione l’ordinamento giuridico. In Italia i governi erano deboli e duravano poco, i Savoia, dietro le quinte, decidevano tutto, ispiravano la politica e dirigevano esercito e carabinieri, tiravamo il sasso e nascondevano la mano (“I Savoia” di Denis Mack Smith – Rizzoli Editore).
Secondo gli accordi con la Triplice alleanza, alle Alpi la strategia doveva essere difensiva, perché tutto si sarebbe risolto sul Reno, ottimisticamente, in un paio di mesi; il 31.7.1914 il re d’Italia suggerì un comando unico per la Triplice alleanza, cosa che poi però l’Italia non accettò più con lo scoppio della guerra a fianco della Triplice Intesa; peraltro, l’alleanza era difensiva e poiché era stata l’Austria a dichiarare guerra alla Serbia, l’Italia non era tenuta a intervenire a suo fianco, ma non doveva nemmeno intervenire a fianco della Triplice Intesa come poi accadde.
Per la propaganda, il cambiamento di fronte fu giustificato dalla necessità di completare il risorgimento e l’unità nazionale; la storia è piena di tradimenti, di violazioni di trattati internazionali e di cambiamenti di fronte da parte di tutti gli stati. In politica, quando si tradisce, ci si salva e si può fare carriera; la Germania nel 1939 fu più traditrice dell’Italia quando attaccò la Russia sovietica, dopo aver fatto pochi mesi prima un patto di non aggressione con essa.
E’ anche difficile accusare la Russia di tradimento quando, nel corso della prima guerra mondiale (1917), dopo una rivoluzione, si staccò dalla Triplice Intesa e stipulò la pace separata con la Germania. Costituzioni e trattati sono carta straccia, sempre calpestati da stati e governi, mentre al popolo si raccomanda, con il rigore della legge, l’osservanza dei contratti; ciò che è lecito allo stato non è lecito al cittadino.
Appena nominato capo di stato maggiore, Cadorna mandò lettere di saluto ai colleghi tedesco e austriaco, e il generale Conrad, capo di stato maggiore austriaco, sollecitò truppe italiane da inviare anche in Austria oltre che in Germania. Nel luglio del 1914 sembrava che l’Italia stesse scendendo in guerra della triplice alleanza, quando venne la dichiarazione di neutralità del governo, senza informare il capo di stato maggiore; d’altronde, in omaggio all’obbedienza dell’esercito e della chiesa, i militari devono fare la guerra contro chiunque sia loro ordinato e, dietro ordine, devono adeguarsi prontamente a cambiare il nemico da combattere.
Naturalmente, con il cambiamento di fronte, sorsero attriti tra Cadorna e il capo del governo Salandra, che poi, per vendicarsi, tentò di sostituirlo durante l’offensiva austriaca nel Trentino; il 5.8.1914 il governo, decisa la neutralità, smentiva la mobilitazione generale, invece Cadorna la sollecitava per ogni evenienza, aveva capito che si sarebbe scesi in guerra a fianco della Triplice Intesa e si diceva disposto ad aiutare la Francia.
In ballo c’erano Trento e Trieste con le relative regioni, ci furono quindi trattative segrete a Londra, per fare entrare l’Italia in guerra a fianco dell’Intesa, in cambio di contropartite a spese dell’Austria, era il patto di Londra. Spingevano alla guerra contro la Germania, la paura atavica italiana della Germania, il pericolo di rimanere a mani vuote dopo la guerra, ma erano solo pretesti e propaganda, il denaro d’oltralpe aveva deciso con chi l’Italia doveva scendere in guerra.
Si sperava in un intervento vittorioso della Russia, mentre l’Italia doveva immobilizzare le forze austriache in Trentino, in modo da conquistare le terre irredente con poco sforzo; Cadorna era in rapporto con il ministro degli esteri, il ministro della guerra e il capo del governo. Nella guerra rischiava anche la monarchia, dopo la guerra, infatti, caddero la monarchia tedesca, quella russa e quella austriaca; in caso di vittoria austriaca, sicuramente l’Italia avrebbe perso il Veneto a vantaggio dell’Austria.
Cadorna rilevava che l’esercito era impreparato, però era così anche in altri paesi belligeranti e accade spesso che i generali dichiarino in privato, ma dovrebbe essere un segreto militare, che i loro eserciti sono impreparati; a causa di questa impreparazione, Cadorna se ne lamentò con il ministro della guerra e consigliava prudenza. Nell’ottobre del 1914 volontari italiani, come al tempo di Garibaldi, sfilavano in Francia, in odio alla Germania, ma poteva essere una cosa montata su dal partito filo francese.
Comunque, Cadorna si era convertito facilmente a filo francese (a quale prezzo?), perciò ora criticava il rinvio di un anno della mobilitazione e voleva l’intervento a fianco dell’Intesa. Si denunciò la Triplice alleanza e il 26 aprile 1914 si firmò il patto di Londra, perciò la mobilitazione avrebbe potuto essere indetta anche in agosto, ma forse il re voleva vedere come si evolveva la guerra, visto che i generali avevano detto che doveva durare pochi mesi.
Invece la guerra durò cinque anni e l’Italia entrò in guerra l’anno successivo, cioè nel 1915, la Russia fu travolta dalla Germania e l’Italia subì la prima disfatta di Caporetto da parte dell’Austria; il re d’Italia Vittorio Emanuele III di Savoia sostituì, come comandante in capo, Cadorna, che aveva solo seguito le istruzioni del re, con Diaz, che era napoletano; in quell’occasione si dice che il re avesse affermato che se l’Italia avesse perso la guerra, per salvare la dinastia e il regno, si sarebbe ceduto il Veneto all’Austria e poi sarebbe stata data la colpa a Diaz di aver perso la guerra, perché era napoletano.
La storia del capro espiatorio, per salvare tanti corresponsabili e responsabili maggiori che non vogliono rispondere, è una storia molto vecchia, accade anche in finanza, dove amministratori delegati, presidenti e direttori generali sono solo strumenti superpagati di chi non vuol rispondere e vuole dirigere in incognito; quando accadono fattacci, per placare il popolo, tutte le colpe sono addebitate a loro o sono messi da parte.
Comunque l’Italia si riprese e passò al contrattacco, se non ci fosse stata la pace, il suo esercito sarebbe arrivato a Vienna, invece il fronte franco tedesco non dava esiti di vittoria sul campo, la Germania cedette soprattutto dall’interno. Nel secondo conflitto mondiale i Savoia, cioè sempre Vittofrio Emanuele III, riponevano la loro fiducia sul maresciallo Badoglio, capo di stato maggiore, che non era un grande stratega, ma, come Cadorna, era fedele al re, cioè ne seguiva pedissequamente le istruzioni, rischiando di essere ambiguo e contraddittorio, si è visto nelle trattative di pace con gli alleati.
Bisogna dire che nelle strutture gerarchiche come esercito, chiesa e, in generale, nei posti di lavoro dove vige una gerarchia, gli elementi più apprezzati non sono quelli più creativi e originali, ma i conformisti e quelli che obbediscono agli ordini senza discutere, cioè, in definitiva, quelli che si fanno plagiare, sono loro che fanno carriera; i capi gerarchici, lontani dalla realtà delle cose, ritengono che gli elementi migliori sono quelli che la pensano come loro, scrivono come loro e obbediscono.
A costo di tanti morti, alla fine della prima guerra mondiale l’Italia conquistò Trento e Trieste e raggiunse i confini naturali alle Alpi, forse li avrebbe raggiunti anche con la neutralità, ma i fabbricanti di armi, che erano sostenuti dai giornali, non avrebbero guadagnato niente; anche loro avevano spinto per l’entrata in guerra dell’Italia, non importa se a fianco della Francia o della Germania.
Nunzio Miccoli - www.viruslibertario.it; numicco@tin.it.
Fonti: - Storia Illustrata – Volume XIII – Mondadori Editore
-“I Savoia” di Denis Mack Smith – Rizzoli Editore
Luigi XVI fu decapitato il 2.1.1793, suo figlio Luigi XVII Capeto, detto il Delfino e duca di Normandia, che era un bambino di 9 anni, fu separato dalla madre Maria Antonietta d’Austria, poi ghigliottinata a sua volta; il bambino fu affidato in custodia al calzolaio giacobino Simon, a sua volta ghigliottinato nel 1794; poi il ragazzo fu rinchiuso nella prigione del Tempio, fu messo in una piccola cella buia, letteralmente murato vivo.
In carcere fu visitata da Barras che si accorse che il bambino era divenuto una larva, era malformato, incapace di stare in piedi e sembrava un demente. Nel marzo successivo Luigi XVII, anche se prigioniero, fu eletto re dagli esuli monarchici francesi all’estero; in prigione, il bambino fu visitato da un dottore, che ne riscontrò le gravi condizioni, l’1.6.1795 Luigi XVII morì; il Comitato rivoluzionario impose il segreto sulla malattia e sul decesso del Delfino.
Comunque, si fece segretamente l’autopsia del suo corpo e si diagnosticò che era morto di tubercolosi; il 10.6.1795 la salma fu inumata a Parigi, al cimitero di Santa Margherita, vicino la chiesa, senza indicare il luogo della sepoltura. Il 21.1.1815, finita l’epopea della rivoluzione, Luigi XVIII, fratello di Luigi XVI e zio di Luigi XVII, fece ricercare le tombe di Luigi XVI e Maria Antonietta e il 21.1.1815 e i loro resti furono traslati a Saint-Denis; si fecero anche le ricerche della tomba del ragazzo, morto a circa 10 anni, ma senza esito.
Nel novembre del 1846, finalmente, vicino la chiesa di santa Margherita, a un metro di profondità, si trovò la bara, portava i segni della tubercolosi e dell’autopsia, ma dalle dimensioni dello scheletro non sembrave un ragazzo di dieci anni, ma di sedici. Alla fine dell’ottocento, Carlo Guglielmo Naudorff affermava di essere Luigi XVII, evaso dal Tempio con delle complicità e salvatosi, si faceva chiamare duca di Normandia, che era il titolo dei Delfini.
Tentò anche una causa per far riconoscere i suoi diritti, alcuni gli credettero altri lo consideravano un imbroglione, poi si rifugiò in Inghilterra; anche altri impostori cercarono di farsi passare per Luigi XVII. Storie di presunti eredi degli zar ne nacquero anche in Russia. Il 5.8.1894 si riaprì la bara del Delfino e si confermò che il corpo non poteva essere di un ragazzo di dieci anni, perciò si pensò a una sostituzione di persona avvenuta nella prigione del Tempio.
Però Barras, che aveva visitato il ragazzo in carcere e aveva aiutato Napoleone a emergere, fuggito a Bruxelles, perché divenuto suo nemico, ora affermava che Luigi XVII era vivo. Per gli inglesi, il Delfino morì nella seconda metà del gennaio del 1794, però bisognerebbe conoscere le circostanze della sua morte, a un anno dalla morte di suo padre; per gli inglesi, la rivoluzione, per avere un ostaggio contro gli esuli monarchici che volevano rovesciare la repubblica, operò una sostituzione; la cella era stata murata per nascondere la vera identità del recluso agli occhi indiscreti.
I falsi Delfini, cioè i falsi Luigi XVII, arrivarono al numero di 36, ogni manicomio ne aveva uno, chi aveva un natale oscuro si diceva Luigi XVII, quello che però ebbe più riconoscimenti fu il prussiano Carlo Guglielmo Naundorff, che nel 1793 era stato anche in prigione.
Laddove esiste il potere, esistono intrighi, delitti, omicidi fatti passare per suicidi, tradimenti, trasformismo e sostituzione di persona; la morte di Luigi XVII poteva tornare utile anche a Napoleone I, a Luigi XVIII e a Napoleone III, se il trono era il palo della cuccagna, era meglio non avere troppi concorrenti che lo reclamassero. Comunque la storia è fatta così, il partito vincente nella lotta per il potere si scrive la storia e noi non sapremo mai com’è finito veramente Luigi XVII.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it.
Fonti:
Storia Illustrata – Volume XII - pag.116-123 – Editore Mondadori
Luigi Napoleone Bonaparte (1808-1873) nel 1832, dopo il fallimento di alcuni tentativi d’insurrezione,. divenne capo del partito bonapartista, nel 1846 fuggì in Inghilterra, poi tornò a Parigi e fu eletto deputato all’Assemblea costituente; grazie al suo nome prestigioso, il 10.12.1848 fu eletto presidente della repubblica francese; come Ottaviano si sentiva erede di Cesare, Luigi Napoleone si sentiva erede di Napoleone I. Era stato eletto con voto popolare all’Eliseo, ma era in contrasto con Palazzo Borbone, ove era il Parlamento, poiché, secondo la costituzione, il presidente della repubblica non era rieleggibile, nel 1852, dopo quattro anni di mandato, avrebbe dovuto abbandonare il seggio.
I suoi partigiani volevano prorogare il suo mandato ma, per farlo, dovevano modificare la costituzione, che richiedeva una petizione popolare, il voto dell’Assemblea e una maggioranza di tre quarti, si fece un plebiscito e l’emendamento fu respinto. Aiutato da fratellastro Morny, esperto giocatore di borsa, Luigi Napoleone, per realizzare il suo progetto, da presidente della repubblica, pensò di collocare suoi uomini al vertice dell’esercito, della polizia e della prefettura di Parigi.
Voleva un’alleanza tra esercito e trono, poi avrebbe cercato l’alleanza fra trono e altare, fino allora in Francia avevano prevalso gli anticlericali (i poteri dello stato, nominati dalla costituzionem, sono tre, quelli innominati dalla costituzione sono due, cioè il clero e l’esercito). Perciò Napoleone III fece ministro della guerra il suo uomo Saint-Arnaud, prefetto di polizia di Parigi il suo uomo Maupas e ministro il suo fratellastro Morny.
Nell’estate del 1851 Luigi, il futuro Napoleone III, sostenuto dai suoi, si fece attribuire i poteri per modificare la costituzione, aspirava a saltare dalla presidenza della repubblica all’impero; il primo dicembre del 1851, il triumvirato Morny, Saint-Atrnaud e Maupas era all’opera, i tre si incontrarono all’Eliseo con Napoleone III e riferirono sulle misure preparate per il colpo di stato, il 2 dicembre ci fu il colpo di stato.
Napoleone III sciolse l’assemblea nazionale, proclamò lo stato d’assedio, lanciò un appello al popolo, promise una nuova costituzione, simile a quella di Napoleone I, e allungò il mandato del capo dello stato a dieci anni. Il Parlamento tentò di resistere e si appellò all’Alta Corte di Giustizia, poi però intervenne la truppa, che sciolse l’Assemblea; Napoleone III era raggiante, al suo fianco era il maresciallo di Francia, Gerolamo, fratello di Napoleone I, che era suo garante.
Al primo impero successe il secondo, però la piazza resisteva e minacciava l’insurrezione, le società segrete, che erano antesignane dei partiti moderni, distribuivano armi, si preparavano le barricate, ci furono scontri; le forze rivoluzionarie erano bene organizzate me le truppe demolirono le barricate e occuparono i punti nevralgici di Parigi. Napoleone III affermò di aver ripristinato l’ordine, il 20 dicembre 1851 tenne un plebiscito popolare e trascinò la Francia, sette milioni di voti sancirono la dittatura, mentre seicentomila la respinsero.
Probabilmente questi plebisciti erano truccati come quelli fatti per l’unità d’Italia e come quello che unì Nizza italiana alla Francia, la Francia faceva da maestra di democrazia all’Italia; Napoleone III era salutato come l’uomo della Provvidenza, si esaltò, divenne un despota e sacrificò tanti soldati nelle sue guerre; però, sotto di lui, all’interno la tranquillità sembrava ristabilita e l’ordine restaurato.
Napoleone III era stato in Italia e nel 1831 vi sostenne i moti liberali e anticlericali e aderì alla carboneria; era stato repubblicano, ma nel 1849 schiacciò la repubblica romana e nel 1851 si riaccostò alla chiesa, a causa di questi voltafaccia, il mazziniano Felice Orsini gli fece un attentato. Napoleone III fece un’attiva politica coloniale in Africa, nel 1859, intervenne in Italia, nella seconda guerra d’indipendenza italiana, a favore del Piemonte e contro l’Austria; nel 1867 intervenne a Roma a favore del papa contro Garibaldi, il quale fu sconfitto a Mentana.
Napoleone III fece un’infelice spedizione militare in Messico, nel 1870 si scontrò con la Prussia e fu sconfitto, nel 1871 andò esule in Inghilterra, dove morì nel 1873. Mussolini ebbe tra i suoi ispiratori Napoleone III, Garibaldi, Crispi, Giolitti e D’Annunzio, da Napoleone III prese l’arrivismo ma soprattutto il suo trasformismo verso la chiesa; infatti, entrambi erano stati anticlericali e poi per il potere, si appoggiarono alla chiesa e favorirono la chiesa e da questa furono entrambi chiamati uomini della Provvidenza.
Napoleone III era stato repubblicano e Mussolini era stato socialista, entrambi erano stati rivoluzionari, poi, per interesse economico e di potere, da autentici trasformisti, si riciclarono a destra e divennero autoritari, è accaduto altre volte in politica, del resto, anche l’autoritario Crispi era stato garibaldino; Mussolini, come tanti altri dittatori, da fascista, amava ancora dirsi rivoluzionario.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it
Fonti:
Storia Illustrata - Vol. XII pag.368-377 – Editore Mondadori
La storia della nascita degli Usa si sviluppa con la marcia verso l’Ovest, dove la giovane nazione aveva una frontiera mobile, è la storia della frontiera; nel 1620 i pellegrini puritani della nave Mayflower sbarcarono nel Massachusetts e da allora si sviluppò l’attrito con gli indiani. La dottrina calvinista della predestinazione, di cui i puritani erano seguaci, ne ostacolava l’attività missionaria, però ubriacavano gli indiani e poi ne acquistavano le pellicce e la terra a basso prezzo.
Mentre i bianchi puritani davano importanza alla proprietà della terra, anche per sentirsi liberi, memori del vecchio servaggio inglese, gli indiani ritenevano la terra proprietà collettiva della tribù; comunque, tra i puritani e prima dei quaccheri, che erano a favore degli indiani, l’ecclesiastico Roger Williams fece scandalo insegnando che gli uomini erano fratelli e che la terra apparteneva agli indiani.
Roger Williams fondò una colonia democratica nel Rhode Island, dopo aver acquistato la terra dagli indiani, in essa vigeva la separazione tra Stato e Chiesa, la tolleranza religiosa e l’autogoverno, Roger era contro i diritti della corona; anche i quaccheri acquistarono terra dagli indiani, per gli indiani. Poiché il pastore Roger Williams usava riguardo verso gli indiani, fu espulso dalla sua colonia; anche i puritani uccidevano gli indiani, in una tomba di un puritano era scritto che uccise 98 indiani che il signore gli aveva destinato, sperava di portare questa cifra a 100, quando si addormentò nelle braccia di Gesù.
Alla fine della guerra dei sette anni, nel 1763 la Francia perdette le sue colonie canadesi, a vantaggio dell’Inghilterra, in quell’anno una legge inglese vietava gli stanziamenti dei coloni a Ovest dei grandi fiumi, ma questa legge non fu rispettata; poi, dal 1776 al 1783, ci fu la guerra d’indipendenza americana e le tredici colonie atlantiche, dopo aver emanato la dichiarazione d’indipendenza, ottennero l’autonomia e si costituirono in confederazione.
Quindi i coloni penetrarono nel bacino del Mississippi, il confine con il Canada inglese era vago, da quel momento l’Ovest passò sotto l’amministrazione del Congresso, il che rafforzò l’autorità centrale; da quel momento i nuovi territori colonizzati erano soggetti al Congresso e quando un territorio cresceva in abitanti, diventava un nuovo stato dell’Unione. Per stabilire i confini con le nazioni indiane, si facevano trattati con gli indiani che non duravano, era difficile arginare l’espansione dei coloni a Ovest.
La convivenza con gli indiani era difficile, i bianchi sterminavano i bisonti e gli indiani non capivano la smania dei bianchi di possedere la terra, gli indiani erano costretti a emigrazioni forzate ed era il disfacimento della nazione indiana; gli indiani erano colpiti anche da alcolismo e malattie, a loro va la simpatia per i vinti, mentre per i bianchi, in marcia verso l’Ovest, il riconoscimento della grandezza della loro impresa.
Il viaggio durava mesi e procurava molte morti ai coloni, anche Lincoln da bambino emigrò con i genitori dall’Illinois al Montana, esisteva il pericolo degli attacchi degli indiani e perciò i bianchi si riparavano nei forti, costruiti con palizzate lungo la frontiera, su modello romano; in questi forti, dominava affollamento e sporcizia, perciò erano solo luogo di riparo e di sosta. In questa epopea, gli indiani appresero dai coloni inglesi l’uso delle armi da fuoco, dopo aver appreso dagli spagnoli l’uso del cavallo.
Quando i coloni raggiungevano la terra dove volevano stabilirsi, ne segnavano i confini e poi depositavano gli atti al tribunale della Contea, ottenendo la conferma della proprietà mediante il pagamento di un canone prima alla corona e poi, con l’indipendenza, al governo americano, l’espansione si sviluppava nelle terre tra Allegani e Mississippi. Le capanne di tronchi dei coloni furono costruite la prima volta dagli scandinavi, invece gli indiani vivevano nelle tende dette tipì.
Abramo Lincoln e il suo rivale Jefferson Davis, dei confederati ribelli del sud, erano vissuti un una di queste case, formate di un’unica stanza al pianterreno, con focolare e cucina, e un reparto notte in soffitta, senza arredo; Lincoln vide un letto per la prima volta a dodici anni.
Napoleone aveva bisogno di denaro e nel 1803 cedette la Louisiana, nel 1820 si riteneva che gli Usa avessero raggiunto la frontiera definitiva, pero gli indiani erano soggetti all’incessante pressione dei bianchi e perciò il presidente Monroe offrì loro delle riserve; questa politica fu attuata dal 1825 al 1832 e fece nascere l’Ufficio per gli Affari Indiani. Dal 1832 al 1840 gli indiani furono allontanati dagli stati a est del Mississippi, furono deportati fino ai grandi laghi; alcune tribù si sottomisero e altre si ribellarono.
Funzionari disonesti speculavano sui fondi stanziati dal governo per gli indiani, per viveri e vestiario, tanti indiani morirono nella marcia; comunque, si riteneva che gli Usa avessero raggiunto la massima estensione e non potessero estendersi oltre il Missouri, perciò gli ultimi indiani sarebbero rimasti indisturbati; nel 1835 il presidente Jackson aveva questa convinzione, ne parlava in buona fede, ma aveva torto.
Nel 1820 Moses Austine chiese all’autorità spagnola del Texas l’autorizzazione a trasferirci trecento famiglie americane, assicurando che sarebbero state cattoliche e che i terreni sarebbero stati resi produttivi, la domanda fu accolta. Nel 1821 il Texas si rese indipendente dalla Spagna e la concessione fu confermata dal nuovo governo messicano; per avere le concessioni, i coloni si facevano cattolici per dieci minuti e poi tornavano protestanti.
La schiavitù era stata abolita in Messico e pertanto ai coloni fu proibito di possedere schiavi e fu imposto di liberare gli schiavi, perciò ci furono attriti con gli spagnoli; nel 1819 gli Usa avevano acquistato la Florida dalla Spagna, perciò nel 1827 il presidente Adams si offrì di comprare il Texas dal Messico ma ne ebbero un rifiuto. Nel 1836 in Texas, a parte gli indios, esistevano trentamila coloni inglesi e tremila coloni spagnoli.
Il governo messicano voleva ostacolare l’americanizzazione della regione e nel 1830 mise anche delle tariffe doganali sulla merce importata dagli Usa, però l’immigrazione clandestina continuava; il generale Santa-Anna decise di stroncare le velleità autonomistiche e ad Alamo fece un massacro degli americani; non era finita, il Texas, proclamò la sua indipendenza e poi si rifece anche militarmente su Santa Anna.
Il 14.5.1936 un trattato di pace riconosceva il Texas indipendente, questo nel 1845 entrò a far parte degli Usa, questo fatto portò alla guerra con il Messico, gli americani invasero il territorio messicano, proclamarono l’autonomia della California e un suo governo provvisorio; il 13.9.1847 le truppe americane giunsero a città del Messico, nel 1848 fu conclusa la pace e gli Usa, in cambio di un indennizzo, acquistarono California, Nuovo Messico e Utah.
In quell’anno in California fu scoperto l’oro e si diffuse la febbre dell’oro, con nuovi immigrati, tanta gente, da tutti gli Usa, cambiava il mestiere per fare il cercatore d’oro; nel 1849 a San Francisco arrivarono immigrati cinesi e giapponesi, crebbe il gioco d’azzardo e si sviluppò anche la città di Sacramento. Per garantire l’ordine, si creò il corpo volontario dei vigilantes, che amministravano anche la giustizia, nel Colorado si scoprì l’argento.
Poi i coloni si diressero in Oregon, vicini ai domini russi dell’Alaska e inglesi del Canada, in quella regione cercavano pellicce. Longo la via dell’Oregon vi erano anche i mormoni, che non erano né puritani, né quaccheri, ma si dicevano i santi dell’ultimo giorno; nel 1830 erano tremila, erano poligami e il loro capo Joseph Smith riceveva rivelazioni e voleva fondare la Nuova Gerusalemme. I mormoni si spostarono tra Ohio e Missouri, vista la scarsità di donne nell’ovest, la loro poligamia destava ostilità, perciò nel 1844 Smith fu arrestato e giustiziato.
I mormoni migrarono e si stabilirono a Salt Lake city, capitale dell’Utah, dove volevano fondare la Nuova Gerusalemme, irrigarono la terra e fondarono una teocrazia; nel 1850 si sviluppò la ferrovia che attraversava le pianure centrali riservate ai pellirossa e così, la frontiera indiana fu infranta un’altra volta. Nel 1860 fu la guerra civile, fu abolita la schiavitù e fu salvaguardata l’unità dello stato.
Nel 1867 gli Usa acquistarono l’Alaska dalla Russia e nel 1959 la regione divenne il 49° stato dell’unione, nel 1893 gli Usa presero il controllo delle isole Hawaii che nel 1959 divennero il 50° stato; oggi Portorico è un protettorato americano e potrebbe diventare il 51° stato della federazione. Quanto detto sull’espansione americana vale anche per gli altri paesi, nessuno stato è nato pacificamente o per libera scelta di tutti i residenti; i russi si espansero in Siberia e Asia Centrale più per volontà degli zar che dei coloni russi; sottomisero, sterminarono e spostarono popolazioni indigene, costrinsero gli aleutini dell’Alaska a catturare in acqua le lontre da pelliccia, fino a che finirono lontre e aleutini, quindi vendettero l’Alaska agli Usa.
Alla metà del XIX secolo, la nazione americana era divisa in due zone, una a est e una a Ovest, separate dalla terra di nessuno; la posta ovviava al problema, prima era fatta con carrozze e cavalli e relative stazioni di poste per il cambio dei cavalli, poi fu l’avvento di telegrafo e ferrovie; le persone si spostavano con i cavalli e le diligenze, però un viaggio dal Missouri alla costa del Pacifico durava 24 giorni ed esisteva sempre la minaccia dei banditi e degli indiani.
L’avvento delle ferrovie accelerò l’invasione del territorio indiano, cioè delle riserve indiane, nell’Ovest l’avanzata della ferrovia era accompagnata dalla nascita di turbolente città che, con i saloon, ospitavano avventurieri e donne di facili costumi; dal 1870 al 1880, nelle regioni occidentali, lo sviluppo delle ferrovie assunse un ritmo sempre più serrato. Dal 1861 al 1865 ci fu la guerra civile tra gli stati del nord e quelli del sud, però, dopo quella data, il paese non fu pacificato, perché continuarono le guerre indiane.
Dopo la scoperta dell’oro, nel territorio indiano ci fu l’afflusso di tanti cercatori e gli indiani si ribellarono, perciò nel 1876 i sioux di Toro Seduto sconfissero il generale Custer a Little Big Horn; però l’epopea indiana non finì, nel 1877, Giuseppe, il capo degli indiani Nasi Forati, si arrese agli americani del generale Miles e nel 1886 Miles costrinse Geronimo, capo degli Apache, ad arrendersi.
Come animali in gabbia, Toro Seduto e Geronimo prigionieri divennero artisti da circo, in spettacoli organizzati da Buffalo Bill; nel 1890 Toro Seduto fu ucciso dai bianchi in un ultimo scontro. Tra i personaggi del West, James Hickok lavorava ai Pony Express, Buffalo Bill o colonnello Cody era esploratore dell’esercito, cacciatore di bufali e ufficiale di polizia incaricato di mantenere l’ordine, Jesse James assaltava treni e banche; dopo il 1890, le pianure, un tempo dominate dagli indiani, si trasformavano in immense distese di grano e in zone di allevamento di bovini; da allora, si fece forte l’immigrazione italiana e da altri paesi europei.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it
Fonti:
“Il nostro nemico lo stato” di Albert Nock – Liberilibri;
“La proprietà è sacra” di Guglielmo Piombini – Edizioni Il Fenicottero;
“Il libro nero del cristianesimo” di Fo,Tomat e Malucelli – Ed. Nuovo Mondo;
“Storia Illustrata” Volume XI – XII - Mondadori Editore.
LE REPUBBLICHE MARINARE ITALIANE
La gloria di Amalfi cominciò nel 839, nel 846 la città si batte vittoriosamente contro navi saracene e nel 879, per rendersi indipendente da Costantinopoli, fece un trattato di amicizia con i saraceni; Amalfi aprì fondaci e banche e ottenne privilegi a Tunisi, Tripoli, Alessandria e Costantinopoli. Nel 1013 i marosi distrussero la flotta e le case di Amalfi, nel 1135 Pisa la saccheggiò, nel 1343 la città subì un’altra rovinosa mareggiata.
Gli amalfitani fondarono ospizi e ospedali, a Gerusalemme, presso il Santo Sepolcro, aprirono un ospedale per i pellegrini, dedicato a San Giovanni, da esso nacquero i cavalieri di San Giovanni o giovanniti o gerosolomiti, poi chiamati cavalieri di Rodi e poi di Malta; questi cavalieri, come gli altri ordini cavallereschi, erano formalmente sottoposti al papa, nel 1291 si trasferirono a Cipro, nel 1308 a Rodi e nel 1530 a Malta.
Nell’XI secolo Amalfi era la città più ricca di Italia e aveva una prestigiosa scuola di medicina, forse inventò la bussola, però nel 1081 il commercio di Venezia superò quello di Amalfi, soprattutto a Costantinopoli, dove Venezia si era impegnata a difendere l’impero bizantino; da allora Amalfi dovette pagare un tributo ai veneziani di Costantinopoli. Nel 1127 il normanno Ruggero II di Sicilia era padrone di Amalfi, nel 1135 era in guerra con Pisa e una flotta pisana mise a sacco la città e Amalfi divenne tributaria di Pisa.
Nel 1005 Pisa sconfisse nelle acque calabresi la flotta musulmana, nel 1015 sottrasse la Sardegna ai saraceni, nel 1034 i pisani assaltarono Tunisi, nel 1063 forzarono Palermo che era in mani musulmane. Alla fine dell’XI secolo, con la prima crociata, i turchi avevano preso il posto degli arabi in Terrasanta e si chiedeva alle potenze cristiane di proteggere i pellegrini in Terrasanta.
I pisani ebbero un quartiere di Laodicea di Siria, città che però apparteneva a Costantinopoli e non ai turchi; allora in veneziani, che con un trattato del 1081 si erano impegnati a difendere l’impero bizantino, si misero alla caccia della flotta pisana. Nel XII secolo i pisani cercarono di sfruttare il disaccordo sorto tra Costantinopoli e Venezia, nel 1113 attaccarono i musulmani delle Baleari, nel 1181 ottennero vantaggi commerciali e un fondaco a Maiorca, nel 1135 distrussero la flotta pisana.
Pisa godeva di privilegi negli scali, aveva franchigie doganali e per il dominio nel Tirreno era rivale di Genova, pomo della discordia tra Pisa e Genova erano Corsica e Sardegna, che fecero nascere delle guerre tra le due città, Pisa era ghibellina e Genova guelfa. Nel 1284, alla Meloria, la flotta pisana fu distrutta da quella genovese, nel 1293 Pisa dovette cedere parte di Corsica e Sardegna, così Pisa fu bloccata sul mare da Genova e sul retroterra da Firenze; nel 1326 cessò il dominio pisano sulla Sardegna che passò agli aragonesi.
Anche Genova esordì come potenza navale contro i musulmani, che avevano una base presso Nizza, le navi genovesi appartenevano a privati che poi si fusero in una compagnia; con le prime crociate, Genova prese Antiochia e si appropriò di un quartiere della città. Genova mosse i suoi primi passi nella lotta contro i musulmani di Frassineto, vicino a Nizza, partecipò alla prima crociata e ne ricavò un fondaco ad Antiochia, privilegi, esenzioni d’imposte e un quartiere in città; Genova non partecipò alla seconda crociata.
Nel 1198 l’imperatore Federico II cancellò ogni privilegio genovese, nel 1204 i crociati conquistarono Costantinopoli e, durante la quarta crociata, Venezia fondò l’impero latino d’oriente. L’espansione di Genova fu bloccata da Venezia e perciò Genova si affidò a navi corsare, conquistò punti chiave a Malta, Corfù e Creta; nel 1235 Genova condusse un colpo di mano contro Ceuta, in Marocco, ottenne fondaci in Tunisia; Genova era guelfa e Pisa ghibellina, nel 1234 i pisani attaccarono navi genovesi che portavano i cardinali francesi per il concilio a Roma.
Nel 1250 ad Acri in oriente la flotta genovese fu distrutta dai veneziani, però nel 1261 Genova aiutò l’imperatore d’oriente a cacciare i crociati da Costantinopoli e ricevette in cambio una compartecipazione maggioritaria alle entrate doganali e un quartiere nella città, aveva anche un fondaco sul Bosforo. Genova attaccava anche i porti dalmati di Venezia, nel 1298 fu lo scontro navale con Venezia, che fu sconfitta da Genova e tra i veneziani prigionieri c’era Marco Polo.
Nel 1291 i genovesi, per arrivare in India, tentarono il periplo dell’Africa, poi tentarono un’alleanza con i mongoli, che nel 1258 avevano preso Bagdad e la Persia; in tempo di pace, la flotta genovese, per non rimanere inattiva, faceva scorrerie nelle acque greche. I Visconti di Milano premevano alle sue spalle, perciò si allearono con Venezia e fu la guerra di Chioggia; nel 1379 i veneziani furono sconfitti dai genovesi e Venezia fu bombardata dall’ammiraglio genovese Pietro Doria; nel 1380 Venezia ebbe la rivincita, però poi iniziò la decadenza genovese; da allora Genova ebbe padroni francesi, piemontesi e lombardi.
I genovesi traghettarono ai Dardanelli i turchi sconfitti da Ungheresi, Polacchi e Tedeschi e quando nel 1453 il sultano Maometto II diede l’assalto finale a Costantinopoli, poté contare anche sull’aiuto di navi veneziane, mentre i genovesi di un quartiere della città, per non perdere i loro privilegi, aiutarono il sultano. Però è anche vero che genovesi e veneziani combatterono assieme contro Maometto II nel 1453 a Costantinopoli; quando la città cadde, i profughi greci si riversarono a Venezia e in occidente con i loro beni. Anche questi sono i misteri della politica; negli anni successivi caddero gli ultimi scali genovesi in Crimea e il loro posto fu preso dagli zar.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tuin.it
Fonte:
Storia Illustrata di Marzo 1968 n.124
Anarchia significa in greco senza superiore, padre dell’anarchia è considerato l’inglese William Godwin, (1756-1836), figlio di un pastore protestante, era ateo e affermava che il governo era un male e un’usurpazione, diceva che, in attesa di poterlo abolire, andava ridotto al minimo. Affermava che i governi proteggevano la proprietà privata, i ricchi e creavano le disuguaglianze sociali, portando alle ribellioni; perciò bisognava sostituire i governi centrali con amministrazioni locali, sosteneva che in una società libera ed egualitaria si poteva ridurre l’orario di lavoro. All’inizio Godwin appoggiò la rivoluzione francese (1789), poi fu deluso dai suoi eccessi; d’altra parte, per il Direttorio francese, sotto Napoleone, gli anarchici erano considerati criminali contro tutte le leggi e i governi, capaci di tutti gli eccessi e di tutti i delitti.
Il libertario o anarchico tedesco Max Stirner (1806-1856) era individualista ed esaltava l’egoismo, era nemico dello stato, non voleva chiedere allo stato né diritti, né autorizzazioni; affermava che, senza il governo, gli egoismi individuali si potevano conciliare; era insofferente ai freni, affermava che un giorno tutti gli individui ribelli alle costrizioni dello stato si sarebbero lanciati nella lotta di liberazione.
In Francia Giuseppe Proudhon (1809-1865), propose l’abolizione della proprietà e della moneta, proponeva un anarchismo a sfondo sociale e affermava che la proprietà era un furto; al posto dell’individualismo egoista di Stirner, sosteneva l’individualismo sociale, affermava che la proprietà era incompatibile con la giustizia e creava profonde disuguaglianze; affermava che al singolo doveva essere lasciato solo ciò che produceva, gli utensili di lavoro e la casa.
Proudhon non voleva il comunismo ma voleva abolire il governo, voleva un’organizzazione economica non basata sulle leggi ma sui contratti privati. Non voleva regole, ordini e divieti imposti dall’alto; sotto Luigi Filippo fu denunciato e la giuria non lo condannò con la motivazione che non lo capiva. Il romanziere russo Leone Tolstoi (1828-1910) divenne discepolo di Proudhon.
Tolstoi affermava che lo stato era il prodotto di una cospirazione, voleva una società senza stato e senza legge. La produzione andava fatta a mezzo di cooperative e la distribuzione dei beni andava fatta secondo i bisogni; per instaurare l’anarchia, suggeriva di non servire più lo stato e di non pagare più le tasse, il suo movimento fu tollerato dagli zar e distrutto dai bolscevichi.
L’anarchismo ricorse anche alla violenza e al terrorismo contro i potenti, nel 1864 l’aristocratico russo Michele Bakunin (1814-1876) giunse in Italia e gli si accostarono gli italiani Pisacane, Cafiero, Malatesta, e Costa; Carlo Pisacane aveva introdotto in Italia le idee di Proudhon e fu anche patriota risorgimentale; Bakunin voleva il riscatto dalla miseria, nel 1848 era a Parigi, fu deportato in Siberia. In Italia Bakunin fondò l’Associazione fratellanza internazionale e scrisse il catechismo rivoluzionario con cui dichiarava guerra allo stato e alla religione.
Bakunin, Carlo Cafiero, Andrea Costa ed Enrico Malatesta diressero l’insurrezione anarchica di Bologna del 1874, che doveva avere come fine l’emancipazione del genere umano; purtroppo si radunarono solo duecento persone che furono disperse dalla polizia o arrestate. Costa e Malatesta furono arrestati, Bakunin e Cafiero si rifugiarono in Svizzera; nel 1876 Bakunin morì e Costa passò al socialismo.
Nel 1877 Cafiero e Malatesta tentarono un’insurrezione presso Benevento, ma non furono seguiti dai contadini, nel 1883 Cafiero impazzì, Malatesta andò in America e poi tornò in Italia, fondando, il primo quotidiano anarchico, Umanità Nova, la cui sede milanese fu devastata dai fascisti. Un altro anarchico fu l’aristocratico russo Pietro Kropotkin, esule in Svizzera e Francia, ammirato da Ernesto Renan e Victor Hugo.
Kropotkin, imprigionato in Francia e poi liberato, alla vigilia della prima guerra mondiale, si schierò con Francia e Inghilterra, deludendo gli anarchici; nel 1917, allo scoppio della rivoluzione russa, tornò a Pietrogrado, dove Kerensky lo accolse bene, non fu così con il governo bolscevico che seguì, perché Lenin perseguitava gli anarchici. Kropotkin era campione d’individualismo, alla sua morte, avvenuta nel 1921, le bandiere nere anarchiche portavano la scritta: “Dove c’è l’autorità non c’è la libertà”.
In Francia Sebastiano Faure, ex seminarista gesuita, era libertario, così Francesco Ferrer in Spagna, che era antimilitarista e antireligioso e voleva l’istruzione per operai e contadini; nel 1909 Ferrer partecipò a un’insurrezione a Barcellona, assieme a socialisti e sindacalisti, durante la quale furono distrutte chiese e conventi; la rivolta fu repressa e Ferrer fu fucilato. La FAI o Federazione anarchica spagnola, nata nel 1927, nel 1936 si distinse nella guerra civile spagnola e distrusse edifici religiosi, nel 1938 aveva 150.000 aderenti; fu ferocemente contrastata dai comunisti del commissario politico stalinista Palmiro Togliatti; nel 1939, con la vittoria del franchismo, gli ultimi anarchici spagnoli ripararono in Francia.
In America era anarchico Beniamino Tucker, seguace di Proudhon, però, in generale, nel paese gli anarchici non erano ben visti; nel 1903 fu proibito l’ingresso degli anarchici nel paese, nel 1927 finirono sulla sedia elettrica gli anarchici italiani Sacco e Vanzetti, accusati di assassinio e probabilmente innocenti. Gli immigrati avevano introdotto in America il terrorismo anarchico, nel 1901 il presidente McKinley fu ucciso da un terrorista anarchico polacco, nel 1933 Roosevelt sfuggì a un attentato da parte dell’anarchico italiano Giusepe Zangara.
Nel 1892 in Francia l’anarchico Ravachol fece attentati intimidatori contro giudici e testimoni, nel 1891 l’anarchico Leautier ferì in un attentato a Parigi il ministro di Serbia, nel 1893 un anarchico antiborghese gettò una bomba nella camera dei deputati; nel 1894 un anarchico lanciò una bomba contro un caffè frequentato da senatori francesi, lo stresso anno l’italiano Caserio pugnalò a morte il presidente francese Sadi-Carnot.
Nel 1895 subì un attentato Alfonso Rothschild, nel 1897 subì un attentato il presidente della repubblica francese Faure, nel 1905 gli anarchici spagnoli lanciarono una bomba contro la carrozza di re Alfonso XIII di Spagna in visita a Parigi; nel 1919 l’anarchico Cottin sparò al presidente Clemenceau, ferendolo, nel 1923 un’anarchica ferì il segretario del capo dei monarchici francesi, Leone Daudet.
In Italia Umberto I subì attentati nel 1878, nel 1897 e nel 1900 per mano di Gaetano Bresci e questa volta ne morì, nel 1899 subì un attentato Crispi, Vittorio Emanuele III subì un attentato nel 1912 e uno nel 1928. A Barcellona ci furono scoppi di bombe nel 1893 e nel 1896; nel 1897 fu ucciso a rivoltellate dall’italiano Michele Angiolillo il presidente del consiglio spagnolo Canovas del Castillo. Nel 1906 un anarchico spagnolo gettò una bomba contro Alfonso XIII, nel 1912 fu ucciso il primo ministro spagnolo Canelejas, nel 1921 fu ucciso il presidente del consiglio spagnolo Eduardo Dato, nel 1923 fu ucciso l’arcivescovo di Saragozza, Soldevila.
In Russia il terrorismo voleva eliminare il regime zarista, vi parteciparono anarchici, socialisti e nihilisti, cioè l’ala più estrema degli anarchici; generalmente gli anarchici erano intellettuali o nobili; nel 1905 un attentato fece a pezzi il granduca Sergio, zio di Nicola II; Alessandro II subì diversi attentati e fu assassinato nel 1881, anche se era stato un autocrate illuminato. In Germania nel 1883 subì un attentato Guglielmo I, la sua famiglia e Bismarck. Nel 1898 l’Italiano Luigi Luccheni pugnalò a morte a Ginevra l’imperatrice d’Austria, moglie di Francesco Giuseppe.
Oggi pare che gli anarchici non siano più terroristi, ma lo sono partiti religiosi e politici e, in epoche precise, gli stessi stati, spesso colpiscono anche i civili inermi. L’ateismo, anche se riservato a un’élite intellettuale e coraggiosa, anche se celato ed esorcizzato dallo stato, è vecchio quanto la religione; anche l’anarchia, come idea, è vecchia quanto lo stato, dalla notte dei tempi, è albergata nella mente di molti uomini dotati.
Anche tra i personaggi irreggimentati dominano idee libertarie, come il “laissez faire” del liberismo, l’autodeterminazione, il localismo, il decentramento, la sovranità popolare, l’autogoverno e l’individualismo; nel XX secolo in Italia il sacerdote Don Milani era uno dei membri dell’opposizione nascosta entro la chiesa, che aveva sempre sostenuto l’obbedienza e il principio d’autorità; Don Milani, in controtendenza, affermava che l’obbedienza non è una virtù.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it.
Fonte:
“Storia illustrata” Agosto 1967 n.117
Vittoria, della dinastia Windsor - Hannover, nel 1837, meno che ventenne, divenne regina; era arrogante e moralista, ma divenne l’amante del primo ministro Lord Melbourne, che aveva il doppio dei suoi anni. Vittoria sostenne il partito liberale dei Whig e si sposò il principe Alberto di Sassonia-Coburgo che era bello ma povero. A quell’epoca il primo ministro Lord Palmerston voleva trascinare l’Inghilterra in guerra, nella guerra civile americana, a fianco degli schiavisti del sud; nel 1861 Alberto morì e la regina pareva impazzita, ma poi si consolò con lo stalliere Jhon Brown, di 8 anni più giovane di lei.
Della regina Vittoria d’Inghilterra (1819-1901) si dice spesso che era moralista ma, per rispetto verso l’istituto monarchico, non si aggiungono altre curiosità sulla sua corte e sui suoi ospiti. Alla corte della Regina Vittoria era proibito fumare, ci si annoiava, i servitori erano pagati poco e rubavano; era un ambiente rigido e formale, con tante regole di etichetta.
Tra gli inservienti esisteva l’ammazzatopi, il cavadenti, lo spazzacamino e il poeta di corte che era pagato meno dell’ammazzatopi; però erano pagati molto bene il lord Ciambellano e il sovraintendente al guardaroba. A proposito della burocrazia della corte, nelle sale da pranzo si moriva di freddo e non ci si poteva lamentare con il maestro della casa perché era compito del lord maggiordomo disporre della legna e del lord ciambellano appiccare il fuoco.
Se si rompeva un vetro in cucina, il cuoco firmava una richiesta, il sovraintendente alla cucina la controfirmava, quindi la richiesta d’intervento passava al maestro di casa, al lord Ciambellano e al sovraintendente ai lavori. Tutta la gente mal pagata della corte si rifaceva rubando, a man bassa, candele, avanzi di candele, scope, spazzole, il risultato era che il castello di Windsor e il palazzo reale avevano un’aria tutt’altro che pulita.
Tra le curiosità degli ospiti reali, lo zar di Russia chiese un fascio di paglia delle scuderie, perché era abituato a dormirci sopra; lo scià di Persia cacciava le dita nei piatti di portata, si toglieva il cibo di bocca sgradito e lo gettava sotto il tavolo; lo scià si portava dietro il portatore di pipa e il portatore di coppa, però il regolamento di Vittoria gli impediva di fumare. Si poteva fumare il sigaro o la pipa solo nella sala biliardo e all’aperto, dove, seconda regina, il fumo era utile perché teneva lontane le zanzare.
Quando la democrazia è decotta, s’invoca la dittatura o il ritorno della monarchia e oggi la televisione fa di tutto per presentare, in maniera benevola, le case reali, inducendo la gente a sognare di fronte a un mondo che sembra di fiaba; ciò che conta per il potere occulto che dirige lo stato, è che la gente continui a lavorare, a combattere, a fare figli e a pagare le tasse, e che, come diceva la chiesa e Mussolini, creda, obbedisca e combatta, perché se non crede alle illusioni, non obbedisce e combatte ancora peggio le guerre presentate come giuste. Disinformazione dei media prezzolati, propaganda e statistiche di stato false aiutano la gente a credere.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it
Fonte
“Storia illustrata” Luglio 1967 n.116
Roma in ascesa ebbe diverse guerre contro i sanniti, perciò nel 321 a.c. era in guerra contro i sanniti, i quali occupavano in vasto territorio da Napoli all’Adriatico, che arrivava fino alla provincia dell’Aquila e comprendeva città importanti come Nola, Capua, Cuma e Benevento. In quella data, in una gola, in provincia di Benevento, i romani subirono una tremenda sconfitta e i sanniti, per umiliarli, li costrinsero a passare sotto un giogo.
Il giogo è un dispositivo per la trazione animale da lavoro e uno strumento di legno con cui si accoppiano due buoi al lavoro, applicandolo al loro collo, in araldica è simbolo di unione coniugale, presso romani antichi e sanniti era simbolo di sottomissione e sconfitta; era fatto di tre picche, di cui due piantate a terra e una terza che sormontava le due; sotto quest’arco erano fatti passare gli eserciti sconfitti.
A causa di questa mortificazione, il senato romano non volle ratificare la pace con i sanniti, nel 321 a.c. le legioni romane sconfitte erano guidate dai consoli Veturio e Postumio, che cedettero di fronte alle truppe nemiche di Ponzio Sannita (per inciso, nei secoli a venire, quando Roma ebbe assimilato i popoli del Sannio, Ponzio Pilato era della provincia dell’Aquila).
La località ove avvenne il fatto era presso gli attuali comuni di Arpaia e Forchia, il comune di Arpaia ha ricordato l’evento con una lapide di marmo applicata all’ingresso del Comune; Arpaia era una zona fortificata ed era avamposto della celebre città di Caudium, la principale città dei sanniti caudini, identificata con l’attuale Montesarchio (Bn), da essa le forche presero il nome; però la gola non è stata trovata, forse erosa dagli elementi e dagli sterramenti umani.
Durante il ventennio fascista, maturò la volontà degli arpiesi di rivendicare la strepitosa sconfitta dei romani, ma per prudenza, visto che i fascisti, nazionalisticamente, esaltavano Roma, per le sue leggi, i suoi ordinamenti, le sue strade, la sua lingua, la sua civiltà e le sue opere pubbliche, la lapide fu collocata solo nel 1947, cioè dopo la caduta del fascismo. Per inciso, va ricordato che tutti gli imperi, prima e dopo Roma, sono nati con la forza delle armi, esattamente come gli stati nazionali di Francia, Spagna, Inghilterra, Germania e Italia; in questi processi nazionali di omologazione, la sovranità o la voce del popolo non è mai entrata, cioè il popolo non è stato mai ascoltato.
Alla decisione di Arpaia di collocare la lapide, i forchesi reagirono, infatti, anche Forchia aveva avuto un fortilizio romano, inoltre aveva dalla sua parte l’etimologia, il nome del loro paese derivava direttamente da Furculae; perciò i forchesi vollero riaffermare la loro verità storica con uno stemma, approvato nel 1954 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e sistemato nella bandiera comunale.
Il nuovo stemma compare tra gli stemmi e i gonfaloni delle province e dei comuni italiani, sotto l’emblema vi è la seguente nota storica: “Forchia sorge nelle località delle famose Forche Caudine, sotto la quale dovettero passare i consoli romani Postumio Albino e Tito Veturio Calvino, assieme ad alti dignitari romani e soldati romani sconfitti dai sanniti nel 321 a.c.”. Lo stemma raffigura due lance infisse sul terreno, con una terza lancia appoggiata su di esse, con un soldato romano che passa sotto di esse.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it
Fonte:
“Storia Illustrata” Febbraio 1967 n.111
Fouché fu un vero trasformista o traditore politico, da religioso divenne giacobino e poi capo della polizia di Napoleone, come tanti politici, era animato da un ardente desiderio di potere; con i suoi salti della quaglia, sopravvisse a monarchia, rivoluzione, repubblica e impero, riuscendo a condizionare gli avvenimenti di Francia. Lavorava dietro le quinte di grandi personaggi ed esercitava un potere sotterraneo, era capace di penetrare il cuore degli uomini, di coglierne le debolezze e di sfruttarne i vizi.
Nel 1799, sotto il Direttorio, era ministro della polizia e, in tale veste, divenne una forza occulta che muoveva i fili della politica; era un ambizioso parvenu, era appartenuto alla piccola modesta borghesia di Nantes e, per ascendere di classe, pensò anche di prendere i voti, era vissuto tra i preti, ma poi tornò indietro. Durante la Convenzione del 1792, succeduta all’Assemblea legislativa, era stato tra le fila dei moderati girondini, però 16.1.1993, con una conversione a sinistra, votò la morte per il re e passò tra i banchi dei giacobini, da quel momento, divenne un acceso rivoluzionario e fu mandato come commissario politico a Nantes.
Eliminati gli aristocratici, attaccava i borghesi che si godevano il frutto della rivoluzione, chiedeva loro di contribuire ai bisogni del popolo, covava l’odio del diseredato contro il ricco, da ecclesiastico rinnegato attaccava anche la chiesa, il suo potere e i suoi privilegi; però Robespierre, era anticlericale ma non ateo, colpiva i nemici della rivoluzione ma era contro i massacri indiscriminati, la corruzione e le vendette personali, perciò Fouché, per prudenza, fu costretto a ridurre le esecuzioni.
Nel Termidoro del 1794 Fouché, manovrando dietro le quinte, riuscì a provocare la caduta di Robespierre, in quel momento assecondava le aspirazioni della borghesia, da lui prima combattuta, la quale voleva godersi tranquilla il frutto della rivoluzione; dal colpo di stato del Termidoro uscì il nuovo regime del Direttorio. All’inizio Fouché, a causa dei suoi trascorsi, era braccato dalla polizia, nessuno dei rivoluzionari, coma accadrà sotto Stalin in Russia, si sentiva sicuro.
Fouché però, attento a ogni spirar di vento, si riprese e riuscì ad acquistare la fiducia di Barras, che era uno dei membri del Direttorio; come ministro della polizia, aveva ancora sete di potere e di denaro, in tale veste, riuscì a mettere in ogni ministero e in ogni salotto un suo agente; d’altar parte, aveva imparato che gli uomini si possono comprare. Da ministro della polizia sapeva che Bonaparte voleva prendere il potere assoluto e gli fece capire che non lo avrebbe ostacolato.
Fouché fu riconfermato da Napoleone nella sua carica di capo della polizia e Napoleone diventò primo console a vita, ora mirava alla corona e Fouché doveva preparargli la strada; sempre ligio, Fouché forniva informazioni e rapporti sulle persone a Bonaparte, che aveva bisogno di lui, ma lo considerava un essere infido. I grandi uomini, i sovrani assoluti o i dittatori, non sempre fanno scelte indipendenti, a volte sono costretti a servirsi di collaboratori che non stimano.
Nel marzo del 1804 Bonaparte era imperatore e Fouché, confermato ministro della polizia, possedeva un archivio contenente tutti i segreti della Francia imperiale; per dimostrarsi attendibile, nei suoi rapporti all’imperatore preferiva far parlare gli altri, però diceva sempre di si all’imperatore, sapeva recitare bene; Napoleone, che non poteva fare a meno di lui, lo fece anche duca d’Otranto.
Però Napoleone, contemporaneamente, non si fidava di lui, a un certo punto lo accusò di abuso di fiducia e lo allontanò da se, nominandolo ambasciatore a Roma; Fouché, per vendicarsi, nascose i suoi documenti segreti, capaci di ricattare anche l’imperatore. Bonaparte, minaccioso, ne ordinò la consegna, Fouché li consegnò e poté ritornare in Francia, sempre come ministro della polizia; questa volta Napoleone lo aveva chiamato a se non tanto per servirsi di lui, ma soprattutto per tenerlo sotto controllo.
Intanto il traditore Fouché trattava con Metternich e con Luigi XVIII (morto nel 1824), fratello di Luigi XVI, che aspirava al trono di Francia, sembrava che avesse tutte le carte in mano; il 18 giugno 1815 Napoleone fu sconfitto definitivamente a Waterloo e perciò Fouché, che non voleva affondare con Napoleone, decide il rovesciamento di fronte. Bonaparte abdicò e a capo del governo provvisorio fu messo come presidente Fouché.
Dietro le quinte, aveva guidato gli eventi, però ora sembrava alla ribalta, era l’arbitro e non il servo del potere, sosteneva Luigi XVIII al trono di Francia e chiedeva di essere ministro del re, come lo era stato dell’imperatore; però pesava contro di lui il fatto che era stato giacobino e aveva decapitare Luigi XVI, fratello d Luigi XVIII. Per questa ragione, Luigi XVIII era contrario a farlo ministro, ma poi cedette, ne aveva bisogno per le sue epurazioni (come aveva fatto Stalin con Beria).
Così Fouché divenne l’accusatore dei suoi vecchi compagni che non erano stati capaci come lui di rinnegare il loro passato. Fouché si mantenne in contatto con gli uomini di stato stranieri che avevano combattuto contro Napoleone, come Metternich e Wellington, però Luigi XVIII, finite le epurazioni, lo allontanò. In un secondo tempo, la Camera esclude Fouché dall’amnistia per suoi delitti e lo condannò al bando perpetuo; Fouché prima ottenne ospitalità da Metternich a Praga e nel 1820 si spense a Trieste abbandonato da tutti.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it
Fonti:
“Storia Illustrata” gennaio 1966 n.98
STORIA DELLA SCHIAVITU’ (AGG.22/6/2011)
La schiavitù era esistita nei tempi antichi, per debiti, guerre, compravendita e riproduzione, ed esiste ancora oggi nel terzo mondo, anche se il suo rifornimento da guerre pare essere cessato. Dal IV secolo d.c., in Europa diminuì la schiavitù e aumentò la servitù della gleba; mentre lo schiavo era proprietà del padrone, il servo, in cambio di lavoro, riceveva vitto e alloggio, ma era legato alla terra del padrone, non ne poteva essere staccato, né si poteva allontanare.
Nel secolo X, con le guerre contro saraceni, la schiavitù riprese ad aumentare, anche da parte musulmana, i prigionieri erano adibiti alle galere; la fine del Medioevo (XV secolo) vide l’abolizione della servitù e l’importazione di schiavi esotici per i lavori domestici. La schiavitù sopravvisse in occidente fino al XVIII secolo, nel XIX secolo fu proibita assieme alla tratta; ma nel XX secolo è stata surrettiziamente reintrodotta in occidente dal terzo mondo, in alcuni ambienti industriali e in case private. Però nel terzo mondo la schiavitù, anche se proibita dalle leggi, continua a permanere, soprattutto la schiavitù da debito.
Nel IV secolo d.c. tra i barbari germani esisteva la schiavitù da guerra ma non la schiavitù da debito; prima del cristianesimo, la schiavitù da debito era esistita tra greci, a Roma e in medio oriente, assieme alle altre forme di schiavitù. Tacito narra che i barbari si giocavano ai dadi anche la libertà; anche i barbari, come greci e romani, avevano la ferrea divisione tra liberi e schiavi.
Nel medioevo le repubbliche marinare facevano commercio all’ingrosso di schiavi, altri schiavi venivano dalla pirateria e dalla guerra; schiavo, per estensione, viene da sclavus o gente di Slavonia, però gli schiavi venivano anche dal Nordafrica, dalla Germania e dal Medio Oriente. I negrieri erano specializzati in traffico di schiavi africani, il commercio delle anime era il commercio dei bambini venduti dai genitori, soprattutto nei Balcani.
Sotto il nome di schiavi tartari del Mar Nero, s’indicavano popoli di razza mongolica, le donne erano vendute per i lavori domestici, la prostituzione e il concubinaggio, gli uomini per le galere e i lavori pubblici; gli schiavi alle galere, ove erano anche galeotti condannati ai lavori forzati, avevano un’alta mortalità, erano frustati e torturati; se erano indisciplinati, subivano il taglio di naso e delle orecchie, erano incatenati ai remi e alimentati solo con pane nero.
Affondavano con la nave, anche i turchi adibivano ai remi gli schiavi cristiani prigionieri, sorvegliati da giannizzeri turchi, una truppa scelta del sultano, creata con i bimbi cristiani prelevati nei Balcani e poi addestrati alle armi e convertiti all’Islam. A volta i vogatori svenivano per la fame e per la sete ed erano percossi dai giannizzeri; a ogni remo c’erano tre rematori e a volte avevano intorno al collo un laccio scorsoio fissato al remo, per cui, chi non remava, rimaneva strozzato. La ferocia dei negrieri turchi, che facevano razzie in Africa, era aumentata dal fanatismo religioso; con l’uso delle vele, decadde l’uso dei rematori, che alla fine del 1700 scomparvero.
I monasteri possedevano servi adibiti ai lavori dei campi, la chiesa non condannò la schiavitù, però, con l’abbandono del costume, a un certo punto si espresse contro gli schiavi cristiani posseduti da altri cristiani, cioè non contro la schiavitù a carico degli infedeli; alla stessa maniera si comportava l’Islam, dove tanti raggiunsero l’emancipazione con la conversione, perciò tanti arabi erano anche contrari a queste conversioni che li privavano di schiavi.
La chiesa divenne favorevole alla manomissione o affrancamento degli schiavi, come i liberti romani, che poteva essere fatta anche per testamento, d’altra parte accedeva anche che lo stato liberasse schiavi che avevano denunciato reati, la chiesa, arrivò anche a comminare la scomunica a chi uccideva uno schiavo. Nel medioevo, se un libero sposava una serva, questa doveva essere affrancata.
Per evitare questa perdita, Genova previde una multa per chi sposava una serva all’insaputa del suo padrone; per poterle riconoscere, le schiave non potevano abbigliarsi come le donne libere; per uno stesso reato, per gli schiavi, le pene erano maggiori; a Genova, gli schiavi fuggitivi erano marchiati sulla fronte. Lo "jus primae noctis" era esercitato dai feudatari sui servi e, in genere, dai padroni degli schiavi, ma spesso era esercitato solo in maniera simbolica.
Le crociate e la conquista islamica della Spagna fornirono molti schiavi a cristiani e musulmani; a Tangeri, Algeri e Tripoli gli schiavi maschi cristiani erano divisi tra quelli addetti ai lavori forzati o alle navi e quelli che potevano essere riscattati perché ricchi. A volte, durante il Ramadan, i musulmani uccidevano gli schiavi cristiani che capitavano loro a tiro, alcuni li marchiavano sotto i piedi con il simbolo della croce; se sulle loro navi il tempo non cambiava in meglio, bruciavano i sacerdoti cristiani schiavi.
Quando erano scoperti cristiani convertiti all’Islam, finivano nelle mani dell’Inquisizione, la stessa cosa succedeva nell’Islam, dove l’apostasia meritava la morte. Gli eunuchi schiavi dell’harem, acquistati da bambini, avevano prestigio, l’eunuco capo aveva accesso alla corte del sultano, godeva delle confidenze delle donne e partecipava alle congiure di palazzo; gli eunuchi avevano la vigilanza dell’harem e in Turchia raggiunsero una posizione influente.
Le odalische erano donne schiave giovani di particolare bellezza, prelevate nelle province come tributo o con i saccheggi, avevano un’istruzione e non erano solo strumento di lussuria, erano paragonabili alle entreneuses e alle geishe; erano donne di compagnia e davano luogo alle favorite del sultano o di personaggi influenti. I giannizzeri, nati nel XIV secolo, erano schiavi cristiani acquistati da bambini nei Balcani, erano sottoposti a un tirocinio durissimo nell’uso delle armi e all’istruzione religiosa; erano animati da fanatismo religioso e divennero un corpo scelto dell’esercito ottomano; perciò i genitori fecero a gara per offrire i propri figli al sultano e così nacquero anche giannizzeri volontari.
Alla fine del medioevo in Europa la schiavitù si stava esaurendo, però in quel momento si aprì la tratta dei negri dall’Africa all’America; però val la pena di ricordare che la schiavitù era esistita anche tra Maya, Aztechi e Inca. Nel secolo XIII il cardinale Ostiense affermava che, con la venuta di Cristo, la potestà sui popoli pagani era stata trasferita al pontefice, il solo perciò che poteva assegnare le nuove terre alle potenze europee.
Perciò, anche prima della scoperta dell’America, il papa aveva assegnato ai principi cristiani terre africane e nel 1493 papa Alessandro VI aveva fatto altrettanto con le indie occidentali; sulla base della tesi dell’Ostiense, i papi successivi divisero in sfere d’influenza tra le potenze cattoliche Spagna e Portogallo le nuove terre di Asia e America. Con la scoperta da parte di Colombo dell’America (1492), sotto il re di Spagna Ferdinando V il cattolico (morto nel 1516), gli indios divennero schiavi degli spagnoli nelle piantagioni e nelle miniere.
La maggior parte di loro moriva di malattie, di stenti e di maltrattamenti; a San Domingo, cinquant’anni dopo l’occupazione spagnola, la popolazione era scesa da un milione a sessantamila unità; il cardinale Ximenes sosteneva che il lavoro forzato era migliore mezzo per indurre gli indigeni alla conversione. Il dominicano Las Casas aveva cercato di migliorare le condizioni degli indios schiavi, ma poi, viste le loro morie, nel 1517 propose di sostituirli con schiavi africani.
Nel 1442 i portoghesi di Enrico il Navigatore aveva introdotto nella penisola iberica i primi schiavi africani, dal 1465 la tratta dei negri prendeva il via dalla Guinea, dando inizio alla tratta dei negri; nel 1517 Carlo V di Spagna cedette i diritti sulla tratta dei negri a olandesi e genovesi. Con delle bolle i papi avevano diviso il mondo colonizzabile tra Spagna e Portogallo, assegnando a questi ultimi le coste dell’Africa occidentale, da dove partiva la tratta.
Inizialmente perciò la Spagna si riforniva di negri presso i portoghesi, ma poi tutti i paesi europei si gettarono nel traffico, con regolare licenza reale o di contrabbando, creando lungo le coste dell’Africa occidentale stabilimenti per la raccolta degli schiavi; corsari e pirati sequestravano anche navi negriere e poi ne vendevano il carico, tra questi corsari vi era Drake. L’Inghilterra fu l’ultima a entrare nel traffico, ma all’inizio del XVIII secolo aveva recuperato il terreno ed era all’avanguardia.
Gli inglesi avevano iniziato come schiavisti di frodo, senza regolare permesso, a danno degli spagnoli, che braccavano questi pirati e contrabbandieri. Nel 1619 gli olandesi introdussero in Virginia i primi schiavi negri, addetti alle piantagioni, e poi gli inglesi presero a rifornire di negri tutte le isole dell’America centrale e poi l’America del nord; nel 1663 crearono una compagnia per la tratta, legalmente riconosciuta dal re, e Liverpool conquistò il primo posto nella tratta dei negri.
Dal 1510 al 1870 gli schiavi negri deportati arrivarono a trenta milioni, la traversata durava sei settimane e il 20% dei negri trasportati moriva durante il viaggio; le navi partivano dall’Europa con mercanzie per i capi tribù, ripartivano dall’Africa con i negri e poi tornavano dall’America con altre merci per l’Europa; in Africa erano interessate a questo traffico Guinea, Senegal, Liberia, Togo, Nigeria, Gabon e Angola. I capi tribù ricevevano in cambio stoffe, armi e liquori; all’inizio cedevano solo condannati, ma poi si diedero alle razzie, a volte i capifamiglia vendevano moglie e figli.
I negri razziati, legati l’un l’altro, dovevano percorrere lunga strada prima di arrivare al mare, questo traffico si svolgeva anche con l’aiuto o la mediazione araba; sulle navi era ammassato un numero incredibile di negri, che perciò erano soggetti a malattie come la dissenteria, il tanfo di queste navi si sentiva a distanza. Con la burrasca, i portelli erano chiusi e le stive diventavano irrespirabili, con il mare calmo, gli schiavi erano fatti arrivare in coperta e costretti a ballare per non fare inflaccidire i loro muscoli; quando il viaggio durava più del previsto e mancavano i viveri, i negri erano buttati in mare, naturalmente ci furono rivolte soffocate e suicidi, le donne dovevano sottostare agli istinti della ciurma.
All’inizio in America si trasportarono anche schiavi bianchi, servi a tempo per pagarsi le spese di viaggio, inoltre condannati alla schiavitù per un certo periodo di anni; nel XVII secolo una buona percentuale degli immigrati delle colonie inglesi d’America aveva quest’origine; però a Londra e Bristol, con l’aiuto dell’alcol, si faceva anche il ratto di uomini da imbarcare come marinati, inoltre si rapivano donne, uomini e bambini che poi erano stivati nelle navi schiaviste. La tratta fu rinforzata anche dal diritto penale, dal 1640 al 1754 incontrarono questa sorte ladri, vagabondi, autori di disordini politici e religiosi, i quaccheri erano spediti come schiavi alle Barbados.
Anche gli schiavi bianchi erano trasportati in condizioni di sovraffollamento e subivano maltrattamenti, però, diversamente dai negri, erano schiavi a tempo e potevano avere una limitata proprietà. Dal 1500 al 1700 gli europei accettarono e considerarono morale la schiavitù e ritenevano il negro inferiore all’uomo bianco, però nel 1727 i quaccheri manifestarono il loro dissenso; in America diversi filantropi erano stati a favore della schiavitù.
A metà del XVIII secolo l’opinione pubblica europea cominciò a cambiare lentamente e si presentarono petizioni per l’abolizione della tratta, nel 1792 la Danimarca abolì la tratta, nel 1807 seguirono Usa e Inghilterra, nel 1815 il congresso di Vienna l’abolì; però esistevano ancora schiavi oggetto di proprietà e, per rifornire il mercato americano, continuava il traffico clandestino, combattuto dagli inglesi. Nel 1789 la rivoluzione francese si era pronunciata contro la schiavitù in Francia, ma l’aveva mantenuta nelle colonie, a metà del XIX secolo la schiavitù fu abolita in tanti stati occidentali, ma non nel terzo mondo, e nel 1860, con la guerra di secessione, fu abolita anche in Usa.
Nel 1808 il congresso americano aveva abolito la tratta dei negri e perciò l’importazione legale dei negri era vietata, ma si faceva di contrabbando, i negri potevano essere venduti e si facevano riprodurre per le piantagioni, soprattutto di cotone, per l’esportazione in Inghilterra. Nel 1816 George Bourne aveva proposto l’abolizione della schiavitù, nel 1817 il presidente James Monroe formò una società per l’acquisto di un territorio in Africa occidentale, per dare un asilo ai negri che volevano ritornare in Africa e così nacque lo stato della Liberia; negli anni trenta il movimento abolizionista si estese, però gli interessi economici e gli schiavisti facevano sentire la loro voce.
Nel 1831 un giornalista e tipografo di Boston (allora i due mestieri erano uniti), fondò un giornale che scriveva articoli contro lo schiavismo, gli schiavisti lo accusarono di aizzare i negri e lo incolparono delle loro rivolte; gli schiavisti erano contrari all’emancipazione dei negri e all’insegnamento della scrittura ai negri, affermavano che l’istruzione favoriva la ribellione, era la tesi dei conservatori ed anche della chiesa cattolica. Perciò il giornalista fu assalito e malmenato e gli si fece osservare che la costituzione garantiva la proprietà anche degli schiavi; avevano ragione, le costituzioni non sono sempre sinonimo di democrazia.
Dopo l’invenzione della macchina di Whitney per montare il cotone o sgranatrice del cotone, ci si accorse che questa era molto più veloce dei negri nel suo lavoro, i quali quindi rimasero addetti solo alle piantagioni di cotone e perciò erano ancora richiesti; allora la schiavitù aveva sostenitori tra gli intellettuali, gli accademici e tra i dirigenti delle chiese protestanti, i quali ricordavano che nella Bibbia la maledizione che colpì Canaan, figlio di Cam, lo aveva costretto a essere servo assieme a tutte le genti di colore discendenti di Cam.
I professori affermavano che la schiavitù era accettata dalla democrazia ateniese (c’è da dire però che a Sparta gli schiavi iloti erano i discendenti degli achei sconfitti dai dori, quindi la schiavitù può avere una base razziale, ma è anche il compendio delle guerre); l’Università della Virginia affermava che l’ineguaglianza era alla base della società, i difensori della schiavitù affermavano che lo schiavo spesso viveva in maggiore sicurezza del salariato, ignorando che, generalmente, l’operaio poteva migliorare la sua posizione mentre lo schiavo no.
Dal 1830 al 1860 aumentarono le fughe di schiavi negri diretti dal sud al nord e soprattutto in Canada, dove, in base alle leggi inglesi, appena varcato il confine, erano immediatamente liberati; erano aiutati nella loro fuga e durante il percorso da americani che li nascondevano e li ospitavano in apposite stazioni per fuggiaschi; tra i benefattori che aiutavano queste fughe, i quaccheri erano in prima linea.
Alla fine degli anni quaranta, l’acquisizione da parte della federazione nordamericana di nuovi stati, tra i quali Oregon, California, Nuovo Messico e Utah, minacciava di mettere in minoranza gli stati schiavisti anche al senato, dove ogni stato aveva due rappresentanti, mentre erano già in minoranza al congresso, dove c’era una rappresentanza proporzionale alla popolazione; a causa di questo fatto, gli stati schiavisti del sud pronunciavano sempre più spesso la parola “secessione”.
A causa di questa situazione, per mantenere la pace, una legge del 1850 autorizzava l’inseguimento e la riconsegna ai proprietari degli schiavi fuggiti anche nei paesi della federazione che non ammettevano la schiavitù; questa legge provocò largo sdegno al nord antischiavista, industrializzato e senza piantagioni di cotone che necessitavano di negri. A quell’epoca la moglie di un pastore calvinista del Connecticut, Hartiet Beecher Stowe, pubblicò a puntate su una rivista il romanzo: “La capanna dello Zio Tom”, poi pubblicato in due volumi nel 1852; fu un grande successo editoriale a vantaggio del fronte abolizionista.
In quegli anni si tenne un processo, ricorrente il negro istruito Dred Scott, il suo padrone era un medico che era deceduto; Scott chiese al tribunale che gli fosse riconosciuta la libertà e pagati gli anni di servizio, dopo la morte del padrone, si era rifugiato al disopra del 36° parallelo, tra gli stati antischiavisti, e riteneva di essersi automaticamente emancipato. Scott fece istanza al tribunale del Missouri che gli diede ragione, poi il caso passò alla Corte Suprema Federale, che rigettò la richiesta qualificandolo come schiavo senza diritti e non come cittadino.
Bisogna ricordare che le corti superiori sono generalmente corti filtro più rispettose del potere economico e di governo; purtroppo, quando la fiducia nelle leggi viene meno, è il momento di passare alle armi, infatti, l’antischiavista Jhon Brown, con i suoi seguaci, per armare i negri che volevano l’emancipazione, assalì un arsenale della Virgina e pagò con la vita il suo ardimento.
Il presidente Lincoln adottò in ritardo la bandiera dell’abolizione della schiavitù, già richiesta da Garibaldi per guidare le truppe unioniste nella guerra di secessione del 1860, la condizione fu allora respinta; nella guerra civile tra nord e sud pesavano anche i contrasti economici, infatti, come nell’Italia appena unita, il nord era industriale e protezionista, il sud agricolo e liberista; inoltre, vi erano le interferenze di grandi potenze come l’Inghilterra che, per ragioni economiche, malgrado avesse abolito tratta e schiavitù, appoggiava il sud confederato e schiavista contro il nord. Anche questi sono i misteri della politica.
I primi negri arrivarono in Virginia all’inizio del ‘600 su una nave olandese, cioè un secolo dopo l’America Latina; New Orleans, Charleston e Richmond divennero le capitali dello schiavismo, nel 1760 in Virginia esistevano 200.000 schiavi negri; nel 1808 l’importazione di schiavi fu vietata, ma non la compravendita di schiavi. Nel sud gli schiavi erano impiegati soprattutto nelle piantagioni, mentre al nord nei servizi domestici.
Nel 1774 tredici colonie del nord si erano ribellate all’Inghilterra e, a un congresso riunito a Filadelfia, si rifiutarono di importare schiavi, danneggiando così gli inglesi che volevano il monopolio nel commercio estero nordamericano; già allora però, gli inglesi avevano sostenitori negli stati del sud legati alla schiavitù. Per tenere insieme gli stati, la costituzione americana non accennò al problema della schiavitù, lasciando la materia all’autonomia degli stati; comunque, a nord nacquero delle correnti antischiaviste appoggiate dalle chiese protestanti come la quacchera.
Perciò gli stati schiavisti del sud sostennero il movimento di secessione che sfociò nella guerra del 1860, d’altra parte, lo sviluppo delle piantagioni di tabacco, riso e canna da zucchero avevano richiamato manodopera servile; nel 1793 s’inventò la macchina per sgranare il cotone che ne aumentò la coltivazione. Le città del sud erano orgogliose dei loro mercati di schiavi, che erano tastati ed erano fatti mostrare i loro denti.
I negri erano incatenati e condotti da guardiani armati di frusta, i novizi erano acclimatati e addestrati da altri schiavi, lo schiavo domestico era trattato meglio di quello rurale; nel sud, la maggior parte dei contadini proprietari di schiavi erano ignoranti e tre quarti dei bianchi non possedeva schiavi; l’oligarchia latifondista, con oltre 200 schiavi era fatta di 300. famiglie, il resto dei proprietari aveva da 5 a 20 schiavi.
Nelle città vi erano anche schiavi artigiani e gli schiavi di fiducia viaggiavano con i padroni, nelle piantagioni la disciplina era militare e si lavorava 16 ore al giorno, gli schiavi dei campi erano sempre affamati e i loro alloggi erano squallidi, la domenica non lavoravano, facevano festa e, per sfamarsi, si dedicavano o coltivare un pezzo di terra loro assegnato. Se lo schiavo arrivava al lavoro in ritardo, era frustato, se lavorava poco, era frustato; le piantagioni erano controllate da sovraintendenti stipendiati che infierivano con la frusta, le piaghe degli schiavi erano lavate con acqua salata, c’erano frustatori professionisti che si offrivano ai padroni.
Poiché la concentrazione di schiavi faceva temere le rivolte, nel sud nacquero i Codici Neri, che erano raccolte di leggi che dovevano garantire la sicurezza dei bianchi; secondo questi codici, lo schiavo era considerato proprietà, non poteva stare in giudizio, fare contratti, avere proprietà, non poteva percuotere un bianco, non poteva allontanarsi dalla piantagione, non poteva possedere armi, non poteva ricevere uomini liberi, non poteva adunarsi liberamente, né sposarsi liberamente.
Naturalmente, ed è per questo che nacquero i codici, diverse volte i negri si ribellarono, sabotarono il raccolto, si suicidarono o fuggirono; con l’aiuto di associazioni benefiche, rette da filantropi, fuggivano al nord o in Canada; alcuni schiavi negri fuggitivi si stabilirono nei boschi e nelle paludi, dove erano cacciati con i cani. Generalmente, questi schiavi erano divenuti cristiani, però seguivano anche riti magici.
Il clero cristiano li esortava all’obbedienza ed era esso stesso proprietario di schiavi, la promessa di una ricompensa ultraterrena era per gli schiavi una consolazione; gli schiavi negri del sud fecero nascere musica jazz e blues. Questa la breve storia della schiavitù in occidente, la quale però era assai antica e antecedente la civiltà occidentale e il cristianesimo, era nata con le guerre e le razzie, i popoli dominati dovevano accettare la schiavitù a favore dei dominatori.
Con la decadenza politica, economica e militare dell’Italia, iniziata nel XVI secolo, gli italiani non hanno cessato, al servizio di altre potenze, di fare gli esploratori, ricordiamo Colombo, Vespucci, Verrazzano, Caboto, Belzoni, Brazzà, Gessi e altri. Il poliglotta romagnolo Romolo Gessi, nato nel 1831 da padre che aveva acquisito la cittadinanza inglese, nel 1842 era addetto al consolato inglese di Bucarest, nel 1855 era interprete inglese in Crimea, nel 1855, quando Garibaldi annunciò la costituzione dei cacciatori delle Alpi, chiese la cittadinanza italiana.
Nel 1865 il mercato degli schiavi, abolito da mezzo secolo in Europa, si esercitava ancora al Cairo e ad Alessandria, lungo il Nilo BVianco, le persone dedite a questo commercio erano 15000. Nel 1873 il kedivè Ismail d’Egitto, dal 1867 governatore d’Egitto sotto il sultano di Istanbul, dominava anche sul Sudan, anche allora etiopi, arabi e turchi si gettavano sul Sudan per prendervi schiavi, soprattutto di etnia Galla, distruggendo anche villaggi, e catturavano 50.000 schiavi l’anno.
Nel 1874 Gessi diventò maggiore dell’esercito egiziano e poi fu fatto dal Kedivè dittatore del Sudan, con l’incarico di stroncare il commercio di schiavi; Gessi costrinse le carovane di schiavisti a liberare gli schiavi e a disperdersi, si unì all’italiano Carlo Piaggia, che visitò l’Abissinia, e collaborava con il generale inglese George Gordon; Gessì risalì il Nilo, arrivò a Khartoum e poi fece ritorno in Italia.
Poi, poiché era stato colpito da mal d’Africa, vi ritornò assieme al medico ravennate Pellegrino Matteucci; con l’aiuto della Società Geografica Italiana, decise di raggiungere il paese dei Galla, per portare aiuto a due italiani prigionieri; Gordon chiese a Gessi di aiutarlo a bloccare Suleiman Bey, appartenente a una ricca famiglia sudanese arricchitasi con il commercio di schiavi. Nel 1878 Gessi, facendo un’azione di contrasto contro Suleiman, liberò migliaia di schiavi e si accorse anche che funzionari egiziani, violando le direttive del loro governo, esercitavano la tratta.
Con 500 uomini, Gessi inflisse una tremenda sconfitta ai 15000 uomini di Suleiman Bey, che aveva proclamato la guerra santa contro gli europei, nel 1879 Suleiman fu ucciso. Al Cairo, con una congiura di palazzo, il Kedivè Ismail fu sostituito dal figlio Tewfik, che guardava con sospetto gli europei, perciò licenziò Gordon e Gessi; nel 1881 Romolo Gessi, malato, morì in terra d’Egitto. Tuttavia da allora non è scomparsa la schiavitù in Africa, oggi esiste ancora in Sudan, Mauritania e altri paesi; esiste nel terzo mondo, soprattutto come schiavitù da debito e pare che alcuni schiavi siano importati ancora oggi in Europa.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it
Fonte:
“Storia Illustrata” Maggio 1966 n. 102, Settembre 1966 n.106, Marzo 1967 n.112, Febbraio 1968 n.123,
"Storia Illustrata" – Volume VIII – pagina 852 – Editore Mondadori.
Il 2/7/1820 i due tenenti di cavalleria carbonari del regno di Napoli, Morelli e Silvati, senza rinnegare Dio e il re Ferdinando I di Borbone, come qualche volta facevano i liberali, si presentarono alla reggia e chiesero la costituzione o statuto reale, erano sostenuti dal prete carbonaro Luigi Manichini, mentre capo della carboneria era il generale Guglielmo Pepe, che voleva farne una milizia armata; il Pepe era stato combattente con l’esercito napoleonico in Spagna e aiutante in campo di Murat e nel 1820 comandava una divisione borbonica.
Il generale aveva la cospirazione nel sangue e, durante una visita dell’imperatore d’Austria a Napoli, per costringere Ferdinando I a concedere la costituzione, progettò di catturare imperatore, imperatrice e primo ministro Metternich; il tricolore carbonaro era rosso, nero e turchino. Il Pepe con il suo movimento si ritrovò alla testa di 12000 uomini, tra esercito e cavalleria, più le milizie carbonare, perciò Ferdinando I concesse la costituzione, ma i siciliani volevano anche l’autonomia.
L’Austria intervenne e nel marzo del 1921 il generale Pepe fu sconfitto, il governo costituzionale era durato solo 174 giorni, il parlamento costituzionale fu sciolto, Morelli e Silvati finirono sulla forca e Pepe andò volontario in esilio. Il successore di Ferdinando I, Francesco I, (1825-1830), prima di divenire re, si era finto di sentimenti liberali e nel luglio del 1820 aveva assistito alla sfilata delle truppe rivoluzionarie e delle milizie carbonare; divenuto re, assunse 6000 mercenari svizzeri, mise da parte la costituzione e favorì la corruzione.
Favorì traffico d’impieghi, favori, appalti e sentenze, diceva che chi aveva pagato per un ufficio, cercava di non perderlo ed era fedele al re. Francesco I odiava gli uomini di cultura, vietò le migliori opere di pensiero; nel giugno del 1828 nel Cilento ci fu una rivolta carbonare, alla quale parteciparono frati e preti, il prete Antonio De Luca diede via alla rivolta con un’infiammata predica fatta nella chiesa del villaggio di Bosco.
Francesco I ordinò una repressione feroce e il villaggio fu raso al suolo, con più di 200 condanne a morte e di reclusione, De Luca fu seviziato e fucilato, altri rivoltosi furono decapitati. Dall’Accademia militare di Francesco I uscivano buoni ufficiali, ma il re ordinò di arrestare e arruolare anche vagabondi e la truppa era analfabeta.
A Francesco I di Borbone successe Ferdinando II (1830-1859), chiamato re bomba per aver domato a cannonate la rivolta di Messina, conosceva italiano, francese, tedesco, inglese e spagnolo, ma si esprimeva in napoletano. Quando Ferdinando II morì, la marina militare napoletana era la più forte d’Italia, Garibaldi prevalse su esercito e marina napoletane grazie ai tradimenti e alle defezioni degli alti quadri dell’esercito e della marina napoletana; a dimostrazione del peso della marina napoletana, su disposizione di Cavour, il regno d’Italia adottò regolamenti e segnali della marina napoletana.
Nel 1848 Ferdinando II riconquistò la Sicilia e bombardò Messina, sottrasse l’isola ai maneggi degli inglesi che la desiderava per i suoi agrumi, il suo zolfo, il suo olio e la sua posizione; anche Cavour temeva che Garibaldi, che era bene introdotto a Londra, lavorasse per gli inglesi, i quali comunque sostenevano Garibaldi, Mazzini e l’unità d’Italia. Come i suoi avi, Ferdinando II nel 1848 aveva giurato la costituzione, ma poi l’aveva messa da parte; comunque, risanò le finanze, fece bonifiche, costruì porti, scuole, ospizi, le prime linee ferroviarie, arsenali e fonderie.
Ferdinando II fece dalla marina mercantile napoletana la terza d’Europa, nella capitale introdusse illuminazione a gas, ufficio telegrafico, volendo essere magnanimo, assunse nell’impiego pubblico uomini che si erano compromessi nei moti del 1920-21; perciò nel 1933 i liberali unitari, a un congresso a Bologna, gli offrirono la corona d’Italia, ma egli, rispettoso verso gli altri regni d’Italia, la rifiutò. Ferdinando II riordinò l’amministrazione, ridusse i balzelli, promosse commercio, industria e agricoltura, il paese prosperava, i risparmi erano alti e circolava il doppio dell’oro e dell’argento di tutti gli altri stati della penisola; però, a causa dei moti, il governo potenziò censura e polizia.
Ferdinando II sposò Maria Cristina di Savoia, che nel 1836 le diete come figlio Francesco II, poi Maria morì, il re si risposò l’anno dopo con Maria Teresa, arciduchessa d’Austria, nel 1856 il re subì un attentato con un colpo di baionetta e la regina, nel timore che la lama fosse avvelenata, gli succhiò la ferita. Ferdinando II era superstizioso e intratteneva buoni rapporti con l’estero, era contrario ai pennaruli o uomini di cultura; allora uomini di cultura come Settembrini, Poerio, Spaventa e De Sanctis erano in carcere o esuli.
Ferdinando II riteneva sicuro il suo regno perché confinava con l’acqua santa dello stato della chiesa e l’acqua salata di tre mari, presidiati dalla sua flotta militare. Prima dell’Unità, nel regno di Napoli c’erano più società segrete che negli altri stati italiani, erano partiti o fazioni o movimenti segreti, con nomi di fantasia, naturalmente erano proibiti dalla polizia, vi facevano parte anche ufficiali e preti; chiedevano riforme e la fine del dispotismo, tanti loro membri furono giustiziati.
Liborio Romano faceva parte di una di queste società e nel 1826 fu arrestato e recluso in carcere, un’altra setta o società segreta preparò la rivolta del Cilento del 1828; nel 1843 fu scoperta una società segreta comunista e cento persone andarono in carcere senza giudizio. Però le società più importanti erano la Carboneria, la Giovane Italia e l’Unità Italiana; la carboneria era nata su modello francese e reclutava in tutte le classi, dava un’istruzione militare e aveva un tribunale.
Nel 1820 il centro principale della carboneria italiana era a Napoli, la carboneria aveva riti, simboli e gerarchia, alimentò moti, alla vigilia dell’unità aiutati anche da agenti piemontesi; nel 1831 Mazzini la soppiantò con la Giovane Italia, Mazzini accusava i carbonari d’individualismo, però nemmeno le sue insurrezioni ebbero successo. La società segreta l’Unità Italiana fu creata nel 1848 da Silvio Spaventa e da Luigi Settembrini, fu travagliata da lotte intestine tra monarchici e repubblicani e perciò ne fu paralizzata, nel 1851 suoi dirigenti furono colpiti con una condanna a morte e parecchi ergastoli; dall’Inghilterra, Guglielmo Gladstone condannò la durezza delle carceri borboniche in cui erano stati reclusi questi condannati.
Attilio ed Emilio Bandiera erano due veneziani, ufficiali della marina austriaca, il loro padre era barone e comandava la squadra navale austriaca del Mediterraneo, aveva represso moti liberali e l’insurrezione marchigiana e romagnola del 1831; Attilio visitò a New York Pietro Maroncelli, il compagno di Silvio Pellico. Al collegio della Marina di Emilio i professori erano italiani e liberali, vi circolavano i libri proibiti dalla censura.
Nel 1840 i due fratelli fondarono la società segreta Esperia, d’ispirazione mazziniana, che si rivolgeva all’esercito e ai borghesi, e conferirono il titolo onorifico di Dittatore a Mazzini; volevano favorire l’insurrezione, ma i comitati mazziniani di Parigi e Malta li convinsero a procrastinare i loro piani, poi i due fratelli furono scoperti dalla polizia austriaca e si rifugiarono a Corfù. Avuto notizie di rivolte in Calabria, nel 1844 si diressero verso quelle terre, furono traditi e arrestati.
Al processo Attilio disse che voleva spingere il re di Napoli a concedere la costituzione e a mettersi alla testa di un movimento di liberazione nazionale, però Ferdinando II fece fucilare i due fratelli; comunque nel 1848, a causa della rivolta di Sicilia, Ferdinando fu costretto a concedere la costituzione o statuto. Settembrini denunciava il malgoverno borbonico, i ministeri erano la sede della corruzione, dell’arbitrio e degli abusi, la libertà di stampa non esisteva; a settembre del 1947 ci furono le rivolte a Messina e Reggio e la Sicilia reclamava sempre l’autonomia.
Ferdinando II fece un rimpasto ministeriale, rifiutò una lega doganale con Roma, Toscana e Piemonte, richiesta dai liberali, perché la riteneva antiaustriaca, nel 1848 ci fu la rivolta in Sicilia e Cilento e non rispose al papa che gli aveva offerto una sua mediazione di pace con i suoi sudditi; i generali lo avvertivano che sarebbe stato difficile reprimere una rivolta a Napoli, però Ferdinando II era determinato a combattere il liberalismo, perciò si disfece del capo della polizia, che era un liberale.
Alla fine si decise a concedere la costituzione, nel paese c’erano molti studiosi della materia, però Ferdinando II pensava ad una costituzione moderata che allontanasse repubblica, anarchia e comunismo, allora la questione siciliana agitava come nel 1820-21. Nel marzo del 1848, con i famosi moti europei, il generale Guglielmo Pepe chiese per la Camera dei Deputati il potere assoluto per la revisione della costituzione, l’abolizione della camera dei Pari, il suffragio universale e la cessione delle fortezze alla guardia nazionale, ma il re non cedette.
Nel 1848 Carlo Pisacane, d’illustre famiglia napoletana, partecipò come volontario alla prima guerra d’indipendenza e l’anno seguente era a difendere la repubblica romana, a Roma aveva avuto dissensi con Garibaldi sulla difesa della città; si era recato a Londra e Parigi tra gli esuli italiani, a Parigi incontrò il generale Pepe, tenne contatti con Mazzini. Pisacane, oltre la rinascita nazionale, voleva risolvere la questione sociale e perciò propose l’abolizione della proprietà privata. Nel 1857 Pisacane, spinto da Mazzini, sbarcò a Sapri, voleva far insorgere il sud d’Italia, a Sapri fu accolto con apatia dagli abitanti e si scontrò con i soldati e il proletariato contadino, poi si suicidò.
L’ultimo dei Borboni di Napoli, Francesco II, figlio di Maria Cristina di Savoia, sposato con Maria Sofia di Baviera, nel 1860 dovette fronteggiare un complotto della regina Maria Teresa d’Austria, seconda moglie di Ferdinando II, la quale avrebbe voluto mettere sul trono il suo primogenito; Francesco II non procedette contro la moglie di suo padre, però, per salvare il trono, avrebbe ceduto la Sicilia a Garibaldi.
I mercenari svizzeri erano stati rimandati a casa e i generali erano vecchi, però sulla carta l’esercito e la marina militare erano agguerriti, anche se le truppe erano demotivate e fatte di analfabeti, si sapeva che dietro Garibaldi c’era il Piemonte e tanti ufficiali napoletani erano liberali e simpatizzavano per la causa nazionale. Il 25.6.1860 Francesco II, per salvare la corona, ripristinò lo statuto del 1848, adottò la bandiera tricolore, formò un governo costituzionale e concesse un’amnistia ai prigionieri politici.
Era troppo tardi, Garibaldi era vicino, la marina e la polizia politica, a causa delle defezioni o tradimenti dei quadri superiori, si stavano dissolvendo; prima dell’arrivo di Garibaldi, insorsero diverse regioni del regno e il ceto borghese doveva fronteggiava le rivolte contadine che reclamavano la terra, il brigantaggio alzava la testa e a Napoli la camorra comandava; il re, prima di scappare, chiese al ministro delle finanze di aprirgli i forzieri dello stato ma questo si rifiutò, così quei tesori finirono nelle mani dei piemontesi.
Prima di fuggire, Francesco II fece capo della polizia Liborio Romano, contiguo alla camorra, che i camorristi chiamavano papà e che Garibaldi poi fece ministro del suo governo provvisorio di Napoli; il 14.2.1861 la bandiera dei Borboni di Napoli fu ammainata definitivamente alla resa della fortezza di Gaeta, difesa strenuamente contro i piemontesi da Francesco I, Maria Sofia e truppe scelte napoletane.
Il brigantaggio fu poi alimentato dai Borboni in esilio che volevano riprendersi il regno, le plebi meridionali restarono inerti di fronte a Garibaldi, che aveva arruolato volontari popolani solo in Sicilia, semplicemente perché i siciliani volevano la terra e l’autonomia. Con l’unità, i meridionali ebbero più tasse, coscrizione obbligatoria, l’esercito napoletano fu sciolto, mentre alcuni suoi quadri superiori passarono ai piemontesi.
I borghesi collaborazionisti si presero le terre espropriate alla chiesa e agognate dai contadini e le leggi del Piemonte furono estese al sud, che fu considerato terra di conquista; l’industria meridionale, prima protetta dalle barriere protezioniste del mercantilismo borbonico, fu disfatta, le commesse dell’esercito e dello stato andarono al nord, le nuove ferrovie si fecero soprattutto al centro nord; però i piemontesi presero a costruire strade al sud, trascurate dai Borboni che guardavano soprattutto verso il mare.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it
Fonte:
“Storia illustrata” Ottobre 1965 n.95
LA COSTITUZIONE DI ROMA ANTICA
Gli italici dell’età neolitica erano un popolo dolicocefalo che inumava i morti, la cremazione arrivò con le immigrazioni di popoli indoeuropei dal nord-est; nell’VIII secolo a.c. nel Lazio i latini controllavano parte della pianura, però il loro centro era sui Colli Albani, i rutili di Enea erano latini. A nord del Tevere vi erano gli etruschi, oltre l’Aniene, i sabini; i latini non erano marinai e vivevano all’interno.
Secondo la leggenda, Remo scelse come residenza l’Aventino e Romolo il Palatino; prima di re Servio Tullio, Roma era costituita da sette villaggi su sette colli, il mito sull’origine di Roma fu ispirato ai miti greci di eroi fondatori di città; i sette re colmano il vuoto tra la guerra di Troia ed espulsione di Tarquinio il Superbo; secondo questo mito, Alba Longa fu fondata da Ascanio figlio di Enea.
Comunque nel V secolo a.c. i greci ritenevano che Roma fosse stata fondata da un certo Rhomos, dal quale nel IV secolo a.c. nacque il Romolo dei latini; la storia dei due gemelli allattati dalla lupa è un’invenzione, però il ratto delle sabine e il duello tra Oriazi e Curiazi, rivelano i contrasti tra latini e sabini. Romolo non fu il primo re di Roma, come Pietro non fu il primo papa, il numero dei sette re è simbolico; comunque, la monarchia durò duecento anni e alla fine del VI secolo a.c., con una rivoluzione, fu sostituita con la repubblica. La monarchia elettiva esisteva nei popoli tribali, nei quali il re era a capo delle truppe, era supremo sacerdote e supremo giudice; però, con la nascita degli imperi, per la vastità delle terre da governare, la monarchia rinacque, cioè rinacque per favorire l’unità dell’impero, e divenne ereditaria; perciò Roma ebbe prima un’età monarchica, poi una repubblicana, quindi una imperiale.
I re a Roma e in Grecia avevano anche funzione sacerdotale e Romolo fu identificato con il dio sabino Quirino, venerato sul Quirinale; nel VII secolo a.c. Roma divenne una città, v’immigrarono i sabini e re Numa Pompilio era sabino, legato al Quirinale; gli ultimi re furono etruschi. Roma era accerchiata da etruschi, che avevano interessi anche in Campania, a Orvieto gli etruschi avevano un tempio dedicato alla triade Giove, Giunone, Minerva; i loro aruspici facevano le divinazioni con le visceri, mentre i romani le facevano con il volo degli uccelli. Gli etruschi immigrarono a Roma in piccolo numero, la governarono ma non furono sacerdoti del popolo romano.
I simboli dei magistrati romani, come il fascio bipenne, erano etruschi, come l’equipaggiamento dei soldati di re Servio Tullio e le prime mura della città, la Cloaca Massima fu opera dei Tarquini etruschi, la formazione compatta delle truppe fu presa dagli etruschi, che la presero dalla falange greca; i figli cadetti delle famiglie romane erano inviati in Etruria per la loro educazione. I Tarquini erano di Cere o Tarquinia, città etrusche, a Roma non sono state rinvenute tombe etrusche e tra i due Tarquini s’inserì il re latino Servio Tullio; nel VI secolo a.c. Roma era sotto il controllo etrusco che avanzava verso sud. Dopo Servio Tullio, Tarquinio il Superbo fu un tiranno imposto dagli etruschi, fu deposto da una rivoluzione che instaurò la repubblica.
Caduta la monarchia, il pontefice massimo, simile al basileus greco, divenne la massima autorità religiosa come il re, offriva sacrifici e partecipava alle cerimonie religiose; sotto la costituzione repubblicana, il magistrato nominava il suo successore, confermato dal popolo romano riunito in assemblea. Le tribù alleate fornivano truppe e cavalleria, in origine erano tre, in rappresentanza di sabini, latini e autoctoni.
La curia di ogni tribù era il suo luogo di adunanza e decisione votata e poteva essere un santuario o il palazzo del senato; ogni curia delle tre tribù originarie comprendeva dieci gens o famiglie. Trenta littori o fasci rappresentavano le trenta curie e il popolo romano; l’assemblea decideva le azioni e senza di essa il console non poteva svolgere azioni militari, né il magistrato poteva esercitare la giurisdizione.
Quando l’assemblea delle centurie dei primi tempi sparì, il popolo prese a esprimersi attraverso i comitia curiati o l’assemblea del popolo; quando il trono era vacante, il senato proponeva il nuovo re all’acclamazione del popolo. All’inizio il senato era formato solo da patrizi, il pater familias era l’unico a possedere la personalità giuridica, gli altri membri della famiglia non potevano possedere beni o stare in giudizio; il pater deteneva gli schiavi, era titolare della patria potestas e aveva diritto di vita e di morte sui membri della famiglia. Il pater familias disponeva liberamente della proprietà; quando un romano si univa a un’altra comunità, perdeva la cittadinanza, quando era adottato da un’altra famiglia, perdeva la famiglia originale.
All’inizio a Roma la proprietà privata era poco diffusa e la proprietà della terra era comune, con possibilità di pascolo su terreni comuni; i romani, come i pellirosse, sembravano contrari alla proprietà privata, ciò dipendeva dal fatto che l’economia era basata sulla pastorizia e la popolazione era scarsa. I patrizi erano a capo delle famiglie dominanti ed erano cittadini liberi, la clientela era fatta di contadini, artigiani e plebei protetti dai patrizi, ai quali rendevano dei servigi; il cliente contribuiva alla dote della figlia del patrone e al pagamento del suo riscatto in guerra.
La plebe comprendeva anche ex clienti rimasti senza patroni protettori; diversamente che a Sparta, a Roma generalmente non esistevano differenze razziali tra le classi, i cittadini avevano diritti pubblici e privati, gli stranieri residenti solo diritti privati, il matrimonio tra patrizi e plebei era rifiutato. La plebe esercitava il voto nei comitia curiati e, attraverso i clienti, i patrizi facevano eleggere tribuni del popolo a loro favorevoli.
I romani non avevano una classe separata di sacerdoti, com’è oggi nel cattolicesimo, il capo famiglia, il re e il magistrato avevano anche funzioni sacerdotali; il capo supremo della religione era il pontefice massimo, che dirigeva il collegio ecclesiastico, regolava le cerimonie e le feste religiose. I romani distinguevano la legge divina da quella umana e i pontefici erano custodi della prima.
L’esercito era organizzato in centurie e aveva propri tribuni eletti, l’assemblea del popolo di Servio Tullio aveva fini militari, era divisa in cinque classi, secondo il costo dell’equipaggiamento, fatto a proprie spese, dalla cavalleria, agli opliti, alla fanteria leggera; questo equipaggiamento era legato al censo. Il re Servio Tullio, con una riforma costituzionale e militare, divise la città in quattro tribù e la campagna in sedici, in tutto venti tribù romane, le sedici portavano il nome di gens di campagna; si trattava di una riforma essenzialmente amministrativa, non basata sulle etnie, come quelle fatte in Grecia.
I cavalieri combattevano seguiti da clienti armati in maniera leggera; abolita la monarchia, la repubblica fu diretta dalla magistratura annuale di due consoli, in tempo di emergenza sostituiti da un dittatore con poteri illimitati, designato dai consoli; la magistratura suprema annuale militare era il pretore poi chiamato console o pretore maggiore; anche il governatore di provincia era chiamato pretore.
L’espansione etrusca in Campania, iniziata nel VII secolo a.c., nel 524 a.c. fu bloccata da Aristodemo, tiranno di Cuma; nel 500 a.c. il re etrusco Porsenna arrivò a Roma per reinsidiare Tarquinio il Superbo ma, ottenuto un riscatto, si ritirò. Nel VII secolo a.c. nel Lazio gli abitanti del fiume Tevere erano i Ramnes, una popolazione autoctona preromana, il Rumon, termine prelatino, era il fiume Tevere e, con i primi romani, porta Romanula era la porta di Roma rivolta al Tevere. La storia di Romolo e Remo è una leggenda, una saga inventata per dare un’origine mitica a Roma, com’era nelle tradizioni delle grandi città greche.
Il primo nucleo della città di Roma era al Palatino, dai Colli Abani gli autoctoni si stanziarono in pianura e Roma nacque dalla fusione di Ramnes e abitanti dei colli Albani. A Roma il pater familias aveva la patria potestà ed era il sacerdote della religione familiare, nella casa era il focolare domestico e vi si curava il culto degli antenati; agli antenati o penati era affidata la custodia delle scorte dei viveri, ammassati nella parte interna della casa o pnus. La gens era un insieme di famiglie, il prenome era individuale, il nome indicava la gente, il cognome, la famiglia, le adunanze dei patres diedero vita al senato.
La proprietà privata, due iugeri, era usata come ricovero degli animali, era un campo o mezzo ettaro, le pecore erano fatte pascolare sui terreni liberi della tribù. Nell’VIII secolo a.c., la zona di Roma era già abitata, i primi a insidiarvisi furono i sabini, i primi re di Roma, non erano latini, né etruschi, ma sabini; i sabini si stanziarono originariamente al Quirinale, i Ramnes al Palatino e all’Esquilino, mentre al Celio andarono i gruppi latini provenienti dai Colli Albani o Albenses; Roma nacque dall’integrazione delle relative tre tribù.
Il ratto delle sabine ricorda gli scontri con i sabini, il duello tra Oriazi e Curiazi la lotta con gli Albinses latini per la supremazia; il controllo del Tevere assicurava il controllo delle comunicazioni verso l’interno e il mare; il re di Roma era a capo dell’esercito e della religione, era assistito dal senato che provvedeva alla nomina del nuovo re, non era ereditario, i senatori erano gentili. Le tribù erano originariamente tre, ciascuna divisa in dieci curie militari, ciascuna curia comprendeva 100 fanti e 10 cavalieri, i comandanti dei cavalieri erano i tribuni militari.
La religione romana passò dall’animismo all’antropomorfismo greco-orientale, il pantheon romano accolse gli dei popoli conquistati anche per evitare che questi si vendicassero sui romani. Il pontefice massimo regolava riti e cerimonie, i sacerdoti flamini erano addetti alle divinità e le vestali dovevano originariamente custodire il fuoco, perché in passato non si era capaci di accendere un fuoco, poi le vestali ebbero un ruolo simbolico ed erano votate alla castità.
I romani ritenevano che solo una guerra giusta procurasse la protezione degli dei, gli etruschi controllavano le vie di terra e i greci di Campania la via di mare. Anco Marzio è l’ultimo re sabino e regnò alla fine del VII secolo a.c.; poi da Tarquinia e da Cere arrivarono i primi re etruschi, che lavoravano il ferro e avevano un’armatura pesante. Gli etruschi affluirono in pochi a Roma e valorizzarono gruppi latini contro i sabini, re Tarquinio Prisco s’inserì sul Celio e combatté i sabini.
Gli successe il latino Servio Tullio, che era un condottiero militare, favorì l’integrazione dei romani e divise gli abitanti in base al censo, con riflesso nell’organizzazione militare; divise il territorio romano in 20 tribù, di cui quattro urbane, costruì le mura su modello etrusco; allora l’onere dell’esercito ricadeva sui ceti più abbienti. L’etrusco Tarquinio il Superbo uccise Servio Tullio e gli successe sul trono, poi nella città stato introdusse un sistema federale copiato dagli etruschi.
Nel 509 a.c. ci fu una rivoluzione, nacque la repubblica e cadde la monarchia, però si mantenne un re simbolico con funzioni sacerdotali, come il basileus greco; i poteri passarono al senato e ai due pretori comandanti dell’esercito, che poi furono chiamati consoli, i quali erano assistiti dall’assemblea degli armati, cioè dal comizio delle centurie distribuite in base al censo. Con la caduta di Tarquinio il Superbo, il re etrusco Porsenna arrivò a Roma e le impose disarmo e una riparazione; Porsenna non restituì il trono a Tarquinio il Superbo e lasciò che i romani si governassero come volevano ma sotto dominio etrusco.
Poi Porsenna fu sconfitto da una lega latina, che aveva il suo centro nei Colli Albani, e nel 506 a.c. fu sconfitto da romani e greci di Cuma alleati. Gli etruschi avevano occupato la valle del Po, il territorio degli Umbri e Roma e avevano teste di ponte in Campania, nel 535 a.c. avevano sconfitto i focesi di Marsiglia alleati dei cartaginesi; nel 510 a.c. Sibari, alleata degli etruschi, fu distrutta da Crotone e da allora il Lazio si sottrasse al dominio etrusco per cadere sotto quello di Roma.
Nel Tirreno gli etruschi avevano contrastato i greci ed esercitato la pirateria, allora Cartagine mirava a dominare il mediterraneo occidentale. Liberatisi dagli etruschi, nel 494 a.c. i romani sconfissero Volsci ed Equi, nella seconda metà del IV secolo a.c. la lega latina, diretta da Roma, si dissolse; nel III secolo a.c. i latini residenti a Roma avevano la cittadinanza e votavano nelle assemblee cittadine. I contingenti latini alleati erano comandati da loro generali, mentre un magistrato supremo romano era dittatore temporaneo e supremo comandante militare in tempo di guerra.
Nel Lazio vincitori e vinti si fusero, le famiglie nobiliari avevano clientele, cioè plebei che proteggevano, tra i pretori comandanti annuali dell’esercito, con il tempo, ci furono anche dei plebei; il cittadino poteva appellarsi all’assemblea del popolo in armi contro la sentenza di morte del magistrato. Pian piano, la plebe che combatteva pretese di partecipare al potere e di avere la terra, i patrizi la contrastavano spalleggiati dalle clientele.
La plebe si scelse dei capi, cioè i tribuni del popolo, che arrivarono a 10 e dovevano difendere i plebei dall’arbitrio dei magistrati, convocavano la plebe e ne eseguivano le decisioni o plebisciti scaturiti dalle assemblee; queste plebi organizzate avevano carattere rivoluzionario, finalmente nel 456 a.c. i plebei ricevettero una prima distribuzione di terre; plebe e tribuni, oltre al governo dello stato, avevano l’obiettivo di porre dei limiti all’arbitrio dei magistrati e di codificare le norme.
Nel 471 a.c. l’elezione fu trasferita dalle assemblee delle curie a quelle delle tribù, quattro tribuni rappresentavano le tribù urbane, nel 449 a.c. i tribuni erano dieci, eletti nell’Aventino sotto la presidenza del pontefice massimo; queste istituzioni romane avevano un’origine rivoluzionaria. Con una legge, fu dichiarata inviolabile la persona del tribuno che non poteva essere arrestato; queste immunità sono state ereditate dai nostri parlamentari. I plebei furono protetti dall’arbitrio del potere, i tribuni difendevano i plebei e inibivano le azioni dei magistrati contro i cittadini; l’assemblea della tribù agiva come alta corte di giustizia.
Nel 461 a.c. fu creata, su proposta dei tribuni, la commissione dei decemviri, per legiferare nuove norme nel campo del diritto pubblico e privato, furono limitati il potere dei magistrati e le loro sanzioni, fu studiata la costituzione di Solone. I dieci commissari comprendevano i due consoli, tra cui Appio Claudio, ed erano tutti patrizi, segno che la rivoluzione si stava riassorbendo; questi approvarono le dodici tavole delle leggi consuetudinarie che poi furono ratificate dalle assemblee delle centurie.
Con queste norme, fu ribadito il divieto di matrimonio tra patrizi e plebei, si stabilirono norme contro lo sconfinamento agricolo, si approvò la legge del taglione e la libertà di disposizione testamentaria. Finita la procedura, i decemviri, le cui decisioni non erano appellabili, si dimisero, e in un concilio della plebe, diretto dal pontefice massimo, furono eletti dieci tribuni; ora la magistratura era aperta a chi ne era stato escluso per nascita, era accaduto ciò perché a Roma si era sviluppata l’industria e il commercio e nuove classi crescevano.
Con le dodici tavole fu combattuta usura, furto, schiavitù da debiti e l’esproprio da ipoteca, in precedenza i debitori insolventi erano adibiti al lavoro forzato, venduti o uccisi. Nel 449 a.c. un console era patrizio e uno plebeo e si previde la pena di morte per chi lasciava la plebe senza tribuni; i decreti della plebe erano vincolanti anche per i patrizi, i plebisciti ebbero il valore della legge, senza la ratifica del senato. Secondo le XII tavole, in mancanza di eredi maschi, la successione andava al parente più prossimo della sua gens; i patrizi prendevano parte alle assemblee tribali ma erano messi in minoranza; l’evoluzione sociale si era resa possibile perché i romani, diversamente dai greci, avevano fatto una politica liberale nella concessione della cittadinanza.
All’Assemblea tributa il decemviro Appio Claudio (462-450), compilatore del codice di leggi delle XII tavole, si appoggiava a liberti artigiani e commercianti, contrastando gli aristocratici; a quell’epoca cittadini e proprietà privata non pagavano imposte, le cariche pubbliche erano gratuite, non esisteva burocrazia e ci si armava a proprie spese, soprattutto i cavalieri; cioè lo stato costava poco. Le opere pubbliche si pagavano con dazi doganali, canoni su terre pubbliche affittate, affrancamento di schiavi e tributi di popoli sottomessi.
Nel 451 a.c. i due pretori erano stati sostituiti da dieci decemviri patrizi e, per limitare l’arbitrio dei giudici, nacquero le dodici tavole della legge consuetudinaria, un codice o raccolta di leggi; allora la donna passava dalla tutela del padre e quella del marito, il pater aveva potere di vita e di morte tra i membri della famiglia; il cliente aveva doveri verso il patrono che lo proteggeva, la proprietà era protetta e, in mancanza di eredi, i beni andavano alla gens; il debitore inadempiente poteva essere ucciso o venduto; in alternativa alla legge del taglione, era previsto il risarcimento.
Comunque, grazie a queste tavole, la legge scritta sostituiva l’arbitraria interpretazione della legge orale da parte del magistrato. Nel 449 a.c. si tornò a eleggere i due pretori o consoli, fu vietato il matrimonio tra patrizi e plebei, però nel 445 a.c., a causa del progredire economico di alcune famiglie plebee, questo divieto cadde. I pretori erano eletti nel comizio centuriato e il censimento stabiliva chi era cittadino; nel 444 a.c. il compito di tre tribuni, eletti supremi magistrati, era la leva militare, che si faceva al Campo di Marte, ove il popolo si riuniva in centurie.
Nel 474 a.c. la flotta etrusca fu sconfitta nelle acque di Cuma da forze greche e di Siracusa e i greci occuparono l’Elba, i romani stabilirono colonie nelle città etrusche conquistate di Veio, Velletri e Cere, distribuendo terra ai coloni; quando scoppiò la guerra contro Veio (406 a.c.), s’introdusse il soldo alle truppe e si creò un esercito regolare, sostituendo il comando militare con un dittatore, con sospensione della legge costituzionale e l’introduzione della legge marziale; la terra conquistata fu distribuita ai coloni romani.
Nel V secolo i galli penetrarono in Italia settentrionale, dove erano stati preceduti dagli etruschi, si scontrarono con Liguri, Etruschi e Veneti, posero l’assedio a Chiusi, che si rivolse a Roma, saccheggiarono Roma e in Grecia il santuario di Delfi; i galli divennero alleati e mercenari del tiranno Dionisio I di Siracusa. L’invasione dell’Italia centrale da parte dei galli avvenne nel 390 a.c. e nel 351 a.c. furono respinti, dalla loro irruzione furono fiaccati soprattutto gli etruschi, mentre, con la loro ritirata, Roma progredì in potenza.
In precedenza il servizio militare era un dovere e ci si armava a proprie spese, a capo dell’esercito erano due magistrati supremi annuali o pretori o consoli, nelle truppe esistevano tribuni militari e nella società civile tribuni della plebe che difendevano i ceti popolari; dal 326 a.c. uno dei due consoli fu plebeo e al bottino, ottenuto con la distruzione da parte di Camillo della città etrusca di Veio (396 a.c.), partecipò anche la plebe.
Nel 367 a.c., con le lotte sociali, furono estinti vecchi debiti, ridotti gli interessi, impedite le obbligazioni a lungo termine e abolita la schiavitù da debito; però, dopo l’aumento del territorio cittadino, aumentò il numero delle tribù che arrivò a 35, l’assemblea curiata era regolata secondo la nascita, quella centuriata in base al censo e, dal III secolo a.c., quella tribuna in base al numero. L’intervento sui debiti fu reso necessario perché la rovina dei piccoli proprietari aveva fatto danni all’arruolamento che era basato sul censo, è per questo che si propose anche di vietare il prestito a interesse.
Com’era nel costume dei grandi stati dominanti e degli imperi, le città conquistate dovevano allinearsi alla politica estera romana e le città importanti come Taranto avevano sempre un partito filoromano. Ridottasi la schiavitù da debito, aumentò quella da conquista; poiché gli schiavi di guerra erano anche liberati o si riscattavano lavorando in proprio, nel 357 a.c. s’introdusse una tassa del 5% sul valore degli schiavi liberati; il che significava che i romani avevano avuto a cuore soprattutto gli schiavi romani da debito; ad ogni modo, i liberti acquistavano i diritti politici solo alla terza generazione, comunque, curie e sacerdozio si aprirono ai liberti.
Nel 366 a.c. nacque il pretore che doveva amministrare la giustizia e governare il popolo, in Etruria il magistrato supremo era il dittatore, con funzioni anche sacerdotali; questi pretori, a capo di organi collegiali, governavano le città latine, tra latini, il dittatore era il magistrato supremo. Abolita la monarchia, a Roma ci fu una serie ininterrotta di consoli e dittatori, però la dittatura fu una magistratura straordinaria; l’imperium era il supremo comando conferito a un magistrato per la guerra o il censimento, il mandato era a tempo limitato ma poteva essere prorogato per la durata di una guerra; il potere collegiale era detenuto dai due consoli o pretori, però i tribuni della plebe avevano il potere di veto nelle nomine e nelle decisioni.
La costituzione romana sosteneva la sovranità del popolo, perciò la volontà dei magistrati discendeva dal popolo, questa sovranità si esercitava nella punizione dei crimini e, di fronte a una sentenza di morte del magistrato, ci si poteva appellare al popolo; originariamente l’appello al popolo era concesso dal re come atto di grazia, che perciò non era atto unilaterale ed esclusivo del re. L’accusato poteva essere assistito dai tribuni della plebe che fungevano da avvocati.
Il consiglio degli anziani o senato rappresentava le gens, nel periodo repubblicano divenne organo di governo e legislativo, la separazione dei poteri non era esistita nemmeno in periodo monarchico; il senato era la cittadella del conservatorismo patrizio e, col tempo, avrebbe contrastato anche l’imperatore, ma poi si aprì anche a plebei arricchiti; questi patres ratificavano tutti gli atti dell’assemblea o li invalidavano, i funzionari della plebe erano i tribuni, le assemblee del popolo erano i comizi e i concili.
Il popolo approvava le sue deliberazioni con dei plebisciti, che non erano vincolanti per i patrizi, poi il concilio divenne l’assemblea di tutto il popolo; i plebei più ricchi miravano ai privilegi e ai diritti politici, anche per i greci la democrazia era stata l’estensione dei privilegi. In periodo di tensioni sociali, la plebe faceva pressione con la secessione o lo sciopero generale, ritirandosi dalla comunità, istituendo una propria assemblea ed eleggendo propri magistrati; così nacque il collegio dei tribuni della plebe che arrivarono a cinque, uno per ciascuna delle classi serviane.
Al tempo dei primi re la terra era divisa in tre parti, una pubblica riservata al re e al culto, una comune e la terza parte era divisa tra le curie o fratrie, insieme di clan; la prima era l’ager publicus, la terza era l’ager privatus. Allora i romani consideravano giusta solo la proprietà privata del bestiame, suscettibile di alienazione, e non la proprietà della terra; il pater familias era il depositario della terra, che apparteneva alla sua gens e perciò non poteva essere ipotecata o alienata; la proprietà privata era limitata a due iugeri, cioè mezzo ettaro, per orto e ricovero delle pecore, i terreni comuni erano affittati per il pascolo.
Con le conquiste, si concessero ai coloni romani terre nemiche da coltivare, allora patroni e clienti potevano essere entrambi cittadini, ma i secondi o erano nullatenenti o possedevano i due iugeri insufficienti per vivere; i patrizi, poiché il valore della terra cresceva con l’aumento della popolazione, espulsero il popolo dall’ager publicus, perciò nel 486 a.c. Cassio propose di assegnare ai privati parte dell’ager publicus, fu bloccato dal senato e nel 485 a.c. la plebe, per rappresaglia, rifiutò il servizio militare.
Per riparare alla situazione, i coloni furono mandati a presidiare i confini assieme agli armati, assegnando loro delle terre, la gente era oppressa dai debiti e lo stato aiutava i poveri regalando grano acquistato in Sicilia; se il popolo moriva di fame, il governo oligarchico non poteva restare inerte. Il dominio di Roma era accetto soprattutto dalle classi abbienti locali, le città soggette pagavano un tributo e godevano di autonomia amministrativa, se però erano conquistate in guerra, erano dichiarate proprietà del popolo romano; la Sicilia pagava il decimo del raccolto di grano, per i vigneti l’imposta era di un quinto. Nella provincia il pretore riscuoteva i tributi ed era il governatore, aveva potere esecutivo, giudiziario e militare.
I romani erano alieni dal commercio e sfruttavano il lavoro servile, però i coloni romani assegnatari di terre arrivarono nelle città etrusche e fino in Spagna e Africa; con le conquiste, il lavoro servile costava poco, all’assemblea centuriata e a quella tribuna di Roma errano presenti solo cittadini residenti e mancavano i contadini; contadini, volontari e clienti, ancorché liberi, erano considerati gente di poco conto.
L’invasione dei galli, che arrivarono in Italia settentrionale dopo gli etruschi, portò la distruzione di Roma (387 a.c.) ma ridimensionò il dominio etrusco in Italia, a vantaggio di Roma, infatti, nel 365 a.c. Roma si riprese e arrivò a dominare anche sui popoli vicini; Camillo (morto nel 365 a.c.) conquistò l’Etruria meridionale e nell’organizzazione militare sostituì al censo l’esperienza, poi fondò nuove colonie.
Nel 345 a.c. i galli ritornarono definitivamente in Gallia cisalpina, nell’Italia settentrionale avevano dato luogo a un’immigrazione forzata, fornirono mercenari al tiranno Dionisio I di Siracusa, si scontrarono con etruschi, liguri, umbri, veneti e romani; nel 348 a.c. Roma, non interessata al mare, firmò un trattato con Cartagine ed estese i diritti di cittadinanza agli aristocratici collaborazionisti delle città alleate o conquistate. Nel 327 a.c. Roma corse in aiuto di Capua contro Napoli e il governo di Napoli passò in mano a uomini filo romani; Roma si alleò con i lucani e nel 318 a.c. coloni romani occuparono terre in Campania, nel 293 a.c. i romani sconfissero definitivamente i sanniti.
Nel 133 a.c. Tiberio Gracco fu eletto tribuno della plebe e fece una riforma agraria, trasformando il possesso dell’ager publicus con canone, in proprietà privata senza canone, fissandone un tetto massimo; la terra liberata fu distribuita ai contadini senza terra in lotti di 30 iugeri (7 ettari), per la quale si pagava un canone di concessione; questa terra, per evitare concentrazioni, era inalienabile. La riforma non danneggiava i latifondisti, che acquistavano la terra, mentre lo stato perdeva gli affitti prima da loro pagati; il tribuno della plebe era diventato una magistratura cittadina, era eletto e non poteva essere revocato.
Tiberio Gracco fu ucciso nel corso di una congiura, ma il senato non abrogò la sua riforma agraria e le nuove assegnazioni di terre si fecero con terreni incolti, rispettando i possessori privati; ne furono danneggiate popolazioni dedite alla pastorizia che utilizzavano quelle terre. I rapporti con i popoli alleati erano seguiti dai consoli; poiché questi alleati fornivano aiuti militari, Scipione (235-183 a.c.), il distruttore di Cartagine, propose che gli Italici fossero esclusi dai provvedimenti della legge agraria e fu trovato morto nel suo letto.
Con la diffusione della proprietà della terra, si diffuse la cittadinanza, nel 123 a.c. arrivò al tribunato Caio Gracco, fratello di Tiberio, il quale iniziò le distribuzioni gratuite di grano al popolo, per averlo dalla sua parte nell’assemblea; Caio Gracco, per combattere gli abusi degli esattori di provincia, impose la decima sulla terra e stabilì che la riscossione delle imposte doveva avvenire mediante aste pubbliche, con ciò, se ne avvantaggiarono i ceti finanziari dell’ordine equestre.
Caio Gracco, spalleggiato da ceti popolari e da quelli finanziari, ritoccò la legge agraria del fratello, propose la cittadinanza per i latini e propose di estendere i diritti dei latini agli italici; fu scaricato dall’oligarchia e dal ceto equestre e costretto al suicidio. L’oligarchia soppresse la commissione per le assegnazioni della terra e dichiarò alienabili i lotti degli assegnatari; la condizione di precariato, rispetto alla terra, non cessò per gli italici, però, con l’ordine equestre, furono allargati i quadri direzionali dello stato.
Allora la pirateria era un surrogato del commercio, sotto il console Caio Mario (109 a.c.) vasti territori africani furono riservati ai veterani; sotto la dittatura di Silla (138-78 a.c.) si aumentò l’autorità del senato, restituendogli le giurie, cioè la funzione giurisdizionale, si aumentò il numero di pretori e questori; Silla soppresse la distribuzione di frumento al popolo e riconobbe la cittadinanza romana solo alle città che avevano parteggiato per lui, poi assegnò ai soldati terre confiscate.
Roma conobbe un periodo monarchico, uno repubblicano e uno imperiale; alla repubblica successe l’impero personale di Augusto, che accantonò il triunvirato, infatti, nel 32 a.c. era scaduto il triunvirato e si scagliò con successo contro Antonio. Augusto non stabilì una successione, mantenne i magistrati e allargò il senato cittadino, contenne il numero dei cittadini; però il contrasto di potere tra imperatore e aristocrazia del senato non cessò. Con la crisi dell’impero, ci fu l’anarchia tra i ranghi militari e fu lo sfacelo dell’impero, i barbari ne approfittarono, la popolazione italiana diminuì; il reclutamento delle truppe divenne locale e queste eleggevano gli imperatori, di questa crisi ne approfittarono Unni, germani e sassanidi di Persia che si resero autonomi da Roma.
Nel II secolo dell’e.v. una nuova religione platonico-ebraica e gnostico-agiziana, sviluppatasi nella città cosmopolita di Alessandria, passando per Cartagine, arrivò a Roma, e così lo gnostico Marcione da Ponto portò a Roma il primo vangelo e le prime lettere di Paolo, da questa base si sviluppò il cattolicesimo. Anche l’impero personale di Costantino (morto nel 337 e.v.) fu preceduto da una tetrarchia, con lui, nel IV secolo dell’e.v., per la ragion di stato, il cattolicesimo divenne religione ammessa o lecita, mentre con l’imperatore Teodosio I (morto nel 395 e.v.) divenne religione ufficiale di stato.
Costantino, con il Concilio di Nicea (315 e.v.), aveva voluto la chiesa unita e cattolica, Teodosio I volle solo la religione cattolica e lo stato confessionale, per difendere l’unità dell’impero. Eppure Costantino fu battezzato solo in punto di morte, in religione era stato prima mitraista e poi ariano; prima di lui, in Persia anche l’imperatore Dario I (morto nel 485 a.c.), per ragioni politiche, privilegiò la religione monoteista di Zaratustra, a lui antecedente, anche se era personalmente politeista.
Teodosio I si stabilì a Milano con Sant’Ambrogio (330-397 e.v.), il cui discepolo Sant’Agostino (354-430 e.v.) difese in Africa settentrionale la nuova religione; nel 439 e.v. Cartagine fu presa dai Vandali ariani, nemici dei cattolici, e vescovi cattolici d’Africa, che in precedenza non avevano riconosciuto il primato del vescovo di Roma, immigrarono a Roma e il papa si fece primate di tutti i vescovi cattolici, ereditando con ciò la posizione dell’imperatore romano a Roma.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it
Fonti storiche:
- STORIA UNIVERSALE – VOLUME II – Istituto Geografico De Agostini – Novara,
- STORIA DEL MONDO ANTICO – VOLUME V – Università di Cambridge – Garzanti Editore.
LA STORIA PUO' INSEGNARE MOLTO, SAPENDOLA LEGGERE
Dopo l’invasione dorica (XII secolo a.c.), in tante città greche, eccetto Sparta, l’aristocrazia terriera soppiantò il monarca, erede del vecchio capo tribù, prima eletto e poi ereditario; le tribù erano divise in fratrie, cioè partiti o corporazioni, e queste in clan familiari; i capi delle fratrie erano nobili e magistrati, allora solo l’aristocrazia aveva pienezza di diritti. Nel VII secolo a.c., crebbe commercio e monetazione, decadde l’aristocrazia e i regimi aristocratici furono sostituiti da quelli borghesi, fondati sul censo. Narra Esiodo che in questo periodo, per ridurre l’arbitrio e la corruttela dei giudici aristocratici, nacquero la legge scritta, la costituzione e i codici, come la costituzione del mitologico Licurgo di Sparta, forse una divinità, perché nei tempi antichi i templi e i santuari erano banche di deposito, corti giudiziarie, scuole per l’infanzia, chiese e mercati.
Nel 682 a.c. si affermò l’Arcontato, suprema magistratura e collegio di nove membri comprendente l’arconte eponimo, cioè il primo degli arconti o arconte capo, il basileus, che ricordava il re e aveva competenze religiose, e il polemarco capo dell’esercito, più altri sei membri dediti a formulare le leggi, cioè con competenze legislative. In questa epoca, con l’avvento di legislatori, codici e costituzioni, ci fu il controllo sulle corti giudiziarie, minando l’indipendenza e l’arbitrio dei giudici; per lo stato, non erano ritenuti più sufficienti la sola consuetudine, la legge orale, la giurisprudenza e il diritto naturale.
Com’è accaduto in tutti i paesi, le tribù diedero vita a un’organizzazione territoriale o cantonale; però con i matrimoni misti, l’immigrazione e i commerci, il sangue si mischiò e perciò si estese il diritto di cittadinanza, escludendone alcune categorie, come i poveri teti senza terra e gli schiavi e servi iloti di Sparta, discendenti degli achei sconfitti; contemporaneamente, si diede luogo a una riforma amministrativa del territorio. La polis abituò alla libera discussione, alla competizione politica e alla critica, i greci erano gelosi della cittadinanza; le città erano tra loro ostili, tuttavia la democrazia riuscì a conciliarsi con l’imperialismo.
Per i greci, gli anfizioni erano popoli che abitavano attorno ad un santuario e diedero origine a leghe come quella ionica di Delo, attorno al santuario di Apollo, quella dorica di Poseidone, quella di Zeus a Olimpia; ma la lega anfizionica più importante era quella di Delfi dedicata ad Apollo. Ogni popolo mandava due delegati alle sue due riunioni annuali, gli anfizionici curavano l’amministrazione del santuario, l’oracolo di Apollo, il suo tesoro e facevano la manutenzione delle strade.
Gli anfizionici stabilivano multe per la violazione di norme comuni, avevano un tribunale internazionale, arrivarono a dichiarare la guerra santa, le prime guerre sante furono dichiarate dalla lega Anfizionica e non dal papa. La famiglia aristocratica ateniese degli Alcmeonidi esercitò grande influenza su Delfi; nel 514 a.c., quando ad Atene andò al potere la dittatura o tirannide di Pisistrato, gli Alcmeonidi furono ospitati a Delfi e ricevettero un prestito dal santuario per abbattere la dittatura e ritornare ad Atene (Erodoto V, 62 sgg); a Delfi la profetessa Pizia incitava il re Cleomene di Sparta a marciare contro Atene, perciò si disse che era stata corrotta dagli Alcmeonidi.
I sommi sacerdoti hanno sempre fatto politica ed hanno anche finanziato guerre e colpi di stato, è accaduto anche in Egitto e a Roma, nelle varie guerre italiane del medioevo, anche il papa svolse lo stesso ruolo di Delfi, finanziò guerre e partiti e dichiarò la guerra santa. Nel VI secolo a.c. i Tessali sottomisero i popoli vicini o perieci della Focide e divennero presidenti della lega anfizionica di Delfi; Delfi e l’Anfizionica si erano rivelate uno strumento di dominazione panellenico, infatti, nel IV secolo a.c. l’Anfizionica fornì a Filippo II il macedone, alleato dei Tessali, la formula giuridica per sottomettere la Grecia.
La rivolta all’aristocrazia latifondista fu fatta in nome del popolo, ma non diede vita a una vera democrazia ma spesso consegnò il potere in mano ai tiranni, i quali perciò nacquero in Grecia in ambiente democratico, mentre in Sicilia e Magna Grecia nacquero per volontà aristocratica, ancha a causa del pericolo esterno cartaginese, e nelle città greche della costa dell’Asia Minore nacquero per volontà dei persiani che le dominavano.
I tiranni greci di origine democratica confiscavano e distribuivano le terre degli aristocratici, riducevano i loro privilegi, li tassavano, cercarono di sgravare la piccola proprietà terriera dai debiti, allargarono la cittadinanza, incrementarono i traffici e i lavori pubblici, facendo lavorare la gente. Insomma l’economia feudale, fondata sul latifondo e sulla servitù della gleba, apparve diverse volte nella storia e in vari paesi e fu archiviata dallo sviluppo del commercio e della borghesia, anche i greci ritenevano che i lavori pubblici avessero funzioni anticiclica e anticrisi; però la vera democrazia non era facilmente raggiungibile, i borghesi, classe dominante delle città, la seppellivano con la tirannide.
Tra i tiranni celebri vi erano i Cipselidi di Corinto e i Pisistratidi di Atene e altri in Sicilia e Magna Grecia, il potere era spesso passato dalla monarchia, all’aristocrazia e poi alla tirannide popolare (Marx l’ha ribattezzata dittatura del proletariato). Ad Atene la polis era in origine l’Acropoli o city o centro politico, militare ed economico, l’Agorà era il consiglio degli anziani. L’Areopago era suprema magistratura, giudicava i delitti di sangue ed era corte costituzionale, poi c’era l’assemblea generale del popolo o ecclesia, che, col tempo, perse importanza.
Nel 621 a.c. Dracone dette ad Atene la prima legislazione scritta e creò il primo consiglio o bulè dei 400 a.c., in rappresentanza del popolo; in Grecia regnava la vendetta di sangue o faida, si credeva che lo spirito di un uomo ucciso chiedesse ai parenti di essere vendicato, perciò il figlio ereditava dal padre beni e vendetta. Il legame delle famiglie era forte però, in caso di omicidio, si poteva transare con un risarcimento, lo stato non aveva interesse diretto nella questione, considerata solo un conflitto tra famiglie.
Vendetta o risarcimenti erano richiesti anche per gli omicidi involontari; nell’Areopago vi era un santuario nel quale si poteva rifugiare chi si dichiarava innocente di un omicidio e non aveva i mezzi per andare in esilio, era giudicato da un consiglio di stato che lo proteggeva dalla vendetta. Però, secondo Dracone, chi era ucciso durante una rapina, non aveva diritto a essere vendicato, mentre chi aveva ucciso per legittima difesa, poteva rifugiarsi nel santuario di Apollo Delfino, dove una corte di efeti lo avrebbe giudicato e, se fosse risultato innocente, lo avrebbe protetto.
In caso di omicidio involontario, ci si poteva rifugiare nel santuario di Pallade, una corte di efeti lo avrebbe giudicato e mandato in esilio, fino a che i parenti o la fratria del morto lo avessero perdonato. Dracone aveva regolamentato la vendetta di sangue e creò una corte di 51 efeti, in origine sacerdoti dei santuari, poi sostituiti da funzionari civili presieduti dal basileus. Altre riforme furono fatte da Solone che nel 594 a.c. fu arconte e arbitro tra aristocratici e popolo.
Solone abolì l’ipoteca sui beni e sulle persone, allora per i debiti si diventava schiavi in Grecia e fuori di Grecia, però queste cose accadono ancora oggi nel terzo mondo; cercò di colpire i ricchi, fece ritornare gli esuli politici e liberò gli schiavi da debiti. Solone creò il tribunale popolare Eliea; per favorirne l’accesso ai non proprietari, stabilì un compenso per i suoi membri, poi divise gli ateniesi, in base alle rendite, in quattro classi, la quarta era quella dei teti nullatenenti; i membri delle prime due classi potevano far parte dell’arcontato e dovevano far parte della cavalleria, quelli della terza classe erano gli opliti di fanteria, alla quarta classe spettava solo il diritto elettorale attivo.
Ad Atene e Attica esistevano i contrasti tra i partiti, le confraternite erano partiti e i clan erano potenti famiglie aristocratiche; esistevano contrasti tra i proprietari di terra, gli abitanti di collina, marinai, commercianti e artigiani. Al tempo di Solone c’era stata l’invenzione del denaro, l’agricoltore cedeva i prodotti in cambio di denaro, ma i prezzi erano stabiliti dai fattori per conto dei latifondisti; la legge difendeva la proprietà e i creditori, la terra era patrimonio di famiglia.
Nel VII secolo a.c. il contadino che chiedeva un prestito offriva in garanzia il podere, se stesso e la sua famiglia, la legge era dalla parte dei ricchi; le condizioni che spingevano il contadino a fare debiti, gli impedivano di ripagarlo, perciò nel VI secolo a.c. ci furono molte espropriazioni e piccoli proprietari divennero schiavi che lavoravano per i loro ex creditori; queste cose accadono ancora adesso nel terzo mondo.
Esistevano anche affittuari e mezzadri, la quota per il padrone era variabile; in Laconia, il territorio di Sparta, nel Peloponneso, esistevano schiavi per razza, cioè achei e iloti sottomessi dai dori conquistatori. Forti delle condizioni inserite in contratto, se il debito non era saldato, moglie e figli diventavano schiavi; con questo ordinamento, i nobili diventavano sempre più ricchi, i contadini perdevano la terra ed erano fatti schiavi; in ogni caso, i giudici erano nobili e non investigavano sulla leicità di certe pretese contrattuali dei ricchi.
Però moneta, commercio, perdita della terra e disuguaglianze sociali favorirono lo sviluppo d’idee democratiche e rivoluzionarie, la vecchia costituzione di Dracone non dava nessun potere ai poveri e pochi poteri alla classe media; con la rivoluzione si partoriva la democrazia e da questa nasceva la tirannide, che in Grecia era nemica degli aristocratici. A causa di questi fatti, il problema del debito fu affrontato da Solone e dagli ebrei che, per contrastare la schiavitù da debito, inventarono l’anno del giubileo, con la remissione dei debiti.
Solone fu un riformatore democratico, eppure nel 594 a.c., per divenire arconte, dovette dichiarare di difendere la proprietà, quindi cancellò i debiti che avevano determinato la servitù personale, dichiarò illegale accettare come garanzia la persona del debitore, i servi per debito dell’Attica riacquistarono la libertà, mentre gli ateniesi venduti all’estero furono riscattati; le terre che erano state date in pegno furono liberate e restituite ai vecchi proprietari.
Però Solone non poteva fare miracoli, con singolare favoritismo, escluse dal provvedimento i suoi amici nobili; con la riforma, i cittadini avevano chiesto la distribuzione di tutte le terre, ma tanti rimasero senza terra e divennero salariati dei proprietari terrieri, i piccoli proprietari nacquero solo con due generazioni successive a Solone, grazie alla tirannia di Pisistrato. Comunque, Solone accrebbe il volume dei traffici ateniesi e il commercio marittimo.
Con la tirannide successiva di Pisistrato, Atene ebbe la sua moneta, la dramma d’argento, e introdusse nuove misure e pesi, come la mina, tutti segni della sovranità e dell’indipendenza dello stato. Solone modernizzò il codice di Dracone e cercò di far si che ricchi e poveri fossero uguali davanti alla legge, fu un modello per i codici di Alessandro e per il diritto romano sotto l’impero; però non si sa con certezza quanta parte della legge Attica del IV secolo a.c. fosse veramente opera di Solone, non abbiamo una collezione completa delle sue leggi; Solone mantenne la legge di Dracone sull’omicidio e riformò la legge sull’eredità.
Una volta la terra era comune alla tribù, era cioè terra collettiva, nel VII secolo a.c. apparteneva ad una famiglia aristocratica, era una anticipazione della recinzione inglese delle terre comuni; mancava la proprietà privata, però in Grecia non esisteva il diritto di primogenitura e un uomo poteva dividere la proprietà tra i figli; poiché la dote alla figlia significava alienare della terra a favore di un’altra famiglia, si pensò di limitare la dote.
Se un uomo moriva senza figli maschi, ereditava la femmina e questa poteva consegnare la proprietà ad un’altra famiglia, perciò si costringeva la figlia a sposare un membro della famiglia, era la legge del levirato degli ebrei. Comunque, se un uomo non aveva figli maschi, poteva rimediare adottandone uno; Solone stabilì che, se esistevano figli maschi, questi avevano lo stesso diritto all’eredità, se non esistevano figli maschi, si lasciavano i beni a chi si voleva o si poteva adottare qualcuno.
Le adozioni servivano a conservare la proprietà entro una famiglia; Solone fece leggi anche per regolare agricoltura, pascolo, uso dell’acqua e confini, introdusse anche un premio per l’uccisione dei lupi che insidiavano le greggi. Fece una legge che vietava di parlare male dei morti e dei templi, una legge che condannava chi, durante le lotte civili, non prendeva parte per un partito, impose contegno alle donne in pubblico.
Solone concesse la cittadinanza agli stranieri che esercitavano un’arte nell’Attica e questa legge favorì lo sviluppo dell’industria; con una legge Solone stabilì che il genitore che non aveva insegnato un mestiere al figlio, non aveva diritto ad essere mantenuto da questo da vecchio; allora, per l’esercizio di un mestiere, si dava più importanza al capomastro che alla scuola. Solone fece leggi contro il vagabondaggio; per chi tentava di instaurare la tirannide, previde il bando non amnistiabile.
Solone stabilì pene per i reati passionali e le violenze, proteggendo anche gli schiavi dai padroni; stabilì che il padrone di casa era innocente se uccideva un ladro notturno, oggi in Italia rischia di essere condannati. Grazie a queste leggi, si limitava anche il potere di giudici e giurie, che emanavano spesso sentenze arbitrarie e contraddittorie ed erano, a detta di Esiodo, spesso corrotti.
Solone fornì gli strumenti per il progresso economico e per lo sviluppo della democrazia, tuttavia voleva uno stato prospero, ma non la sovranità della plebe, perciò fuse istituzioni oligarchiche e democratiche; nelle sue scelte fu influenzato dalle situazioni di crisi e fu scelto per riconciliare il popolo. Prima di Solone, gli ateniesi erano divisi in classi, la classe dei cavalieri nobili, quella degli opliti, fanti con corazza equipaggiati a loro spese, e i teti, cioè operai liberi e piccoli proprietari.
Questa suddivisione era militare e basata sul censo, cioè sulla terra posseduta, i teti erano esentati dalle tasse; anche al tempo di Solone la terra era ambita, perciò ricchi mercanti, acquistandola, diventarono proprietari terrieri e c’era il ricambio della classe possidente. Prima di Solone, l’arcontato e gli uffici erano monopolio dell’aristocrazia, poi i teti ebbero il diritto a votare nell’assemblea del popolo ateniese o ecclesia o adunanza dei cittadini.
L’oligarchia aveva escluso dal voto all’ecclesia tanti ateniesi, però Solone modificò le cose e così i teti poterono partecipare all’elezione dei magistrati e votare, però la loro eleggibilità era determinata dalla proprietà. I magistrati che l’assemblea poteva eleggere erano l’arconte capo o eponimo, il basileus, con funzioni civili e religiose, il polemarco che guidava l’esercito; l’assemblea eleggeva i nove arconti e i magistrati minori; l’Areopago esaminava le qualificazioni dei candidati e assegnava l’arcontato o altro ufficio secondo le competenze.
La candidatura dipendeva dalle classi di proprietà, perciò i teti erano esclusi da tutte le cariche, gli arconti erano scelti tra le classi più elevate. Il governo era in mano al consiglio dell’Areopago, che esisteva prima di Solone, era composto dagli ateniesi che avevano ricoperto le più alte cariche dello stato, ossia gli arcontati; come il senato romano, aveva l’esperienza amministrativa e i suoi membri erano nominati a vita, era organo conservatore e oligarchico e Solone gli affidò il compito di sorvegliare le sue leggi, cioè di corte costituzionale.
L’Areopago aveva funzione di pubblico ministero e interveniva quando i tribunali non si movevano su domanda di privati, poteva porre in stato di accusa un aspirante tiranno. Solone creò il consiglio dei 400, un collegio che controllava le deliberazioni dell’assemblea, della durata di un anno, che preparava l’ordine del giorno dell’assemblea. Ognuna delle quattro tribù di Atene nominava cento consiglieri, però quando Solone istituì il consiglio, per la prima volta fu lui a sceglierne i membri.
I teti avevano il voto, ma non potevano far parte del consiglio; per contrastare demagoghi e plebe irrequieta, Solone diede l’amministrazione dell’assemblea popolare in mano alle prime due classi. Mentre il codice di Dracone era stato uno strumento di classe in mano agli aristocratici, il codice di Solone aveva il consenso dei cittadini; Solone creò anche il tribunale popolare dell’Eliea, o adunanza dei cittadini, che serviva a difendersi dagli abusi dei potenti, i cittadini vi applicavano le leggi sotto la sorveglianza dell’Areopago.
Ogni cittadino poteva chiedere di essere giudicato da questa corte di giustizia fatta dall’adunanza di cittadini; l’Eliea aveva competenze civili e penali, i magistrati popolari giudicavano con l’ausilio dell’assemblea dei cittadini; tuttavia Solone voleva uomini uguali davanti alla giustizia ma non davanti allo stato. L’organo giudiziario Eliea doveva servire a dissuadere i magistrati ordinari da emettere sentenze inique; in pratica, il potere restava nelle mani dei ricchi proprietari, il popolo era protetto dal malgoverno ma non ammesso a governare.
Quando la maggiore ricchezza passò dalla terra al commercio, si allargò la partecipazione popolare al governo democratico, cento anni dopo Solone si diffuse il benessere tra gli ateniesi e l’oligarchia dovette cedere il passo ad altre forme di partecipazione; col tempo, teti, stranieri residenti artigiani e meteci, cioè figli di un solo genitore ateniese, avendo servito l’esercito o lo stato, ottennero la cittadinanza e la partecipazione alla vita pubblica.
Solone aveva il controllo dello stato e avrebbe potuto divenire un tiranno, invece, alla fine del suo mandato, fece giurare i cittadini di mantenere le sue leggi e poi andò in esilio volontario per dieci anni. Però il popolo non aveva il potere reale di difendere la sua costituzione, perciò, due generazioni dopo, la sua opera fu emendata da Pisistrato e da Clistene; Solone creò un codice che diede agli ateniesi il rispetto della legge, cercando di prevenire tirannide, terrore e guerra civile.
In Grecia la tirannide fioriva nelle città, mentre in campagna, i contadini erano generalmente legati all’aristocrazia o oligarchia. Solone, per favorire l’industria, concesse la cittadinanza ad artigiani stranieri residenti ad Atene, sotto Pisistrato il loro numero aumentò e i Pisistratidi concessero la cittadinanza a molti stranieri; in origine la cittadinanza era stata collegata alle fratrie e ai clan familiari.
Morto Solone, Pisistrato, nemico degli aristocratici Alcmeonidi, polemarco e stratega al tempo della conquista dell’isola di Salamina (570 a.c.), nel 561 a.c. prese l’Acropoli e si fece tiranno di Atene, governò fino alla morte, avvenuta nel 527 a.c., gli Alcmeonidi andarono in esilio a Delfi, ospiti dell’Anfizionica; la sua è una storia simile a quella di Cola di Rienzo, tiranno di una repubblica romana del medioevo, nemico del papa e dell’aristocrazia romana.
Dopo Solone, ad Atene tre partiti si contendevano il potere, quello della pianura, fatto di agricoltori benestanti, quello della costa, fatto di pescatori e mercanti, e quello della montagna fatto di pastori; Pisistrato, appoggiandosi al partito della montagna, si fece tiranno di Atene, aveva una guardia del corpo di uomini armati di randelli, i partiti della pianura e della costa si coalizzarono contro di lui. Nel 556 a.c. Pisistrato fu scacciato dall’Attica, si alleò con la Macedonia e con i nemici di Atene e nel 546 a.c., accompagnato da mille uomini di Argo, tornò ad Atene; i suoi nemici fuggirono e Pisistrato mantenne il potere con truppe mercenarie. Sembra una storia simile a quella di Davide di Giuda.
La sua tirannia fu mite e ne beneficiò l’Attica, infatti Pisistrato completò l’opera di Solone e diede la terra a coloro ai quali Solone aveva dato solo la libertà; Pisistrato distribuì tra i suoi le terre degli aristocratici, impose una decima sul prodotto della terra e prestò denaro ai piccoli proprietari; nominò giudici itineranti per i villaggi e abbellì i templi di Atena, Zeus, Apollo e l’Acropoli. Pisistrato cercò di essere in amicizia con i vicini, estese l’influenza di Atene nell’Egeo e creò una solidarietà tra le città vicine, che nel secolo seguente fece nascere la confederazione di Delo. Conservò la costituzione di Solone ma gli arconti eletti erano uomini di sua fiducia, epurò l’Areopago dagli oppositori e creò giudici locali, non cambiò la costituzione di Solone, riteneva di poterla conciliare con la sua tirannide.
A Sparta, il consiglio degli efori dipendeva dalle due famiglie reali ed era contro i tiranni e a favore delle oligarchie locali, a Sparta il potere politico ed economico era nelle mani dell’aristocrazia latifondista; diversamente da Atene, non vi era sviluppata industria e commercio marittimo. Ad Atene, a Pisistrato, morto nel 527 a.c., successe il figlio Ippia, Argo era alleata dei Pisistratidi; la successine a favore dei figli di tiranni e dittatori e consueta ancora oggi nel terzo mondo.
Nel 514 a.c. ad Atene ci fu una cospirazione contro Ippia, ma i cospiratori furono catturati e uccisi, i nemici erano la famiglia aristocratica degli Alcmeonidi in esilio; nel 510 a.c. re Cleomene di Sparta, che sosteneva gli Alcmeonidi, arrivò ad Atene, Ippia capitolò, abbandonò l’Attica e il casato dei Pisistratidi ebbe fine. Dopo l’espulsione di Ippia, fu il ritorno della democrazia e la lista dei cittadini fu sottoposta a revisione, gli stranieri furono privati della cittadinanza.
Anche a Siracusa, una generazione più tardi, con il ritorno della democrazia, la cittadinanza concessa dai tiranni agli stranieri fu revocata. In tante città, i tiranni realizzavano opere pubbliche per tenere pagati e occupati i sudditi; nel 600 a Mitilene nell’isola di Lesbo, l’aristocrazia era stata sostituita dalla tirannide di Pittaco, che stabilì pene severe per i reati commessi in stato di ubriachezza, pose un limite alle spese funebri, tenne il potere per dieci anni e poi si ritirò come dittatore costituzionale.
Nel 510 a.c. gli spartani, volendo restaurare il potere oligarchico ad Atene, costrinsero il successore di Pisistrato, il tiranno Ippia, ad andarsene in esilio e sostennero al potere l’Alcmeonide Clistene, che però, tradendo le aspettative degli spartani, che contavano sul partito filo spartano di Atene, stroncò definitivamente il potere degli aristocratici, rompendo vincoli e privilegi etnici.
Clistene tradì la sua classe ma fece un favore al popolo, con una riforma amministrativa, divise Atene in dieci dipartimenti, creando dieci tribù territoriali, ogni tribù era tenuta a fornire un reggimento di opliti con uno stratega o generale; successivamente, morto Clistene, gli strateghi divennero una suprema carica politica e militare e furono eletti da tutta la popolazione e non solo da una tribù.
Clistene formò una nuova bulé di 500 membri, mentre l’ecclesia popolare, formata da liberi di età superiore ai venti anni, divenne un organo consultivo e legislativo, gli arconti erano eletti uno per tribù e dal 497 a.c. furono sorteggiati; il cittadino partecipava al voto all’ecclesia e alla bulè, senza distinzione di classe o di nascita, a questi organi spettava l’elezione dei magistrati, l’approvazione delle leggi e la dichiarazione di guerra; le delibere, per divenire legge, dovevano essere approvate del consiglio della bulè e dall’ecclesia.
Sotto Clistene, chi faceva proposte contrarie alla legge, rischiava la morte o l’esilio; ciò è un’anomalia, di solito una proposta di legge modifica una legge precedente, questa innovazione divenne lo strumento per sbarazzarsi degli avversari politici; malgrado ciò, l’aristocratico Clistene fu il padre della democrazia, ebbe contro l’aristocratico ateniese Isagora e il re di Sparta Cleomene, che lo aveva sostenuto contro i Pisistratidi.
Clistene introdusse l’ostracismo, chi era inviso a 6000 cittadini doveva andare in esilio decennale, senza processo e senza subire la confisca dei beni; era un modo per scongiurare la tirannide e per sbarazzarsi degli avversari politici più ambiziosi; in quegli anni la scelta degli arconti era per sorteggio, al collegio degli strateghi andò la presidenza del consiglio di guerra, o stato maggiore, fino allora spettato al polemarco.
Cleomene re di Sparta iniziò a regnare nel 520 a.c., contribuì all’esito delle guerre persiane e condizionò la politica di Sparta più degli efori. Ad Atene vi erano tre partiti, quello di Ippia, quello degli aristocratici e quello dei nobili Alcmeonidi, che aveva abbattuto la tirannide e aveva come esponente Clistene; nel Peloponneso dominava l’oligarchia, sotto l’influenza di Sparta, e Cleomene sosteneva ad Atene lo stratega conservatore Isagora, che nel 508 a.c. fu eletto all’arcontato.
Clistene propose una riforma costituzionale, ma Isagora e Cleomene ottennero l’espulsione degli Alcmeonidi da Atene; per il ritorno dell’oligarchia, Cleomene arrivò ad Atene, Isagora occupò l’Acropoli e tentò di sciogliere il consiglio, però il popolo si ribellò, Cleomene si ritirò e il popolo richiamò Clistene dall’esilio. Clistene portò il numero delle tribù dell’Attica da quattro a dieci, ebbero il nome di dieci eroi nati in terra Attica; queste nuove tribù erano basate su demi o territorio, erano unità amministrative e non clan familiari.
Clistene allargò il consiglio di Solone da 400 a 500 membri e introdusse l’ostracismo, non abolì fratrie e clan familiari, che sopravvissero come istituzioni religiose ed economiche; i demi erano generalmente contrapposti alla città, erano più di 100 e il numero dei demi compresi in ogni tribù era variabile. I demi furono raggruppati in tre gruppi, il primo gruppo comprendeva quelli di Atene, il secondo i demi della costa dell’Attica, il terzo quelli dell’interno.
Con Clistene si passò dal sistema della consanguineità a quello della residenza e della circoscrizione locale, da Clistene in poi il privilegio di appartenere a un demo divenne ereditario. La riforma assicurava l’ammissione alla cittadinanza di liberi che risiedevano in Attica, pur non essendo di discendenza ateniese; in precedenza, le città stato erano fatte da gruppi di famiglie unite da vincoli religiosi e familiari, però, dopo la riforma di Clistene, Atene non fu più una federazione di famiglie.
Clistene, dissociando la cittadinanza dalle famiglie e collegandola al demo, facilitava l’ammissione alla cittadinanza, nel demo mancava consanguineità e comuni sentimenti religiosi; da allora la designazione dei cittadini avveniva secondo il demo e non secondo il patronimico che poteva rivelare un’origine straniera.
Clistene voleva indebolire l’influenza delle grandi famiglie, allora nelle città vivevano i cittadini di discendenza non pura, si assicurò che in ognuna delle dieci tribù ci fossero suoi seguaci; con la sua riforma, non esistevano più tribù esclusivamente ateniesi, però gli interessi dell’Attica rurale erano sempre sacrificati rispetto a quelli di Atene; i contadini sono stati sempre sfruttati dai cittadini, detti anche borghesi o abitanti del borgo. Solone aveva costituito il consiglio dei 400 a fianco del consiglio dell’Areopago, il composto dei 400 era composto di 100 membri per ciascuna delle quattro tribù; il consiglio di Clistene fu invece elevato a 500 membri, cinquanta per ciascuna delle dieci tribù.
Nessun cittadino poteva far parte della carica per più di due volte, l’assemblea popolare era convocata ogni dieci giorni e, poiché necessitava di un organo ristretto, nacque questo consiglio come commissione dell’assemblea. Ogni proposta legislativa dell’assemblea doveva avere il consenso del consiglio, che curava gli affari dello stato, faceva leggi, redigeva l’ordine del giorno dell’assemblea e aveva la sorveglianza sui dicasteri dello stato; chi frequentava l’assemblea poteva diventare membro del consiglio. Per difendersi dalla tirannide potenziale, l’ostracismo di Clistene fu copiato anche da altre città.
Una volta l’anno, 6000 cittadini riuniti nell’assemblea potevano proporre di mandare in esilio qualcuno, l’istituzione fu copiata da Siracusa, il cittadino contro il quale era raccolto il maggior numero di firme era esiliato per dieci anni e poi poteva tornare, i suoi beni non erano confiscati. All’assemblea erano presenti gli uomini di Ippia, si riteneva pericolosa l’ambizione per la democrazia e Clistene voleva sbarazzarsi del partito di Ippia.
L’ostracismo era una garanzia contro la tirannide, però dopo le battaglia di Maratona (490 a.c.) e di Salamina (480 a.c.) contro i persiani, il pericolo della restaurazione dei Pisistratidi era passato e dal 486 a.c. l’ostracismo divenne arma nella lotta politica tra capi di partiti rivali; perciò Pericle fece cadere in disuso l’istituzione, l’ostracismo divenne un ostacolo al regolare funzionamento dei partiti.
Create dieci tribù nel 500 a.c., Clistene creò dieci strateghi o generali, sostituì il sorteggio degli arconti con la loro elezione, in precedenza, nel VI secolo a.c. il polemarco, uno dei nove arconti, era a capo dell’esercito, ogni tribù doveva fornire una tassa di un reggimento di opliti e uno squadrone di cavalleria, comandati da uno stratega eletto dalla tribù; il comando supremo spettava al polemarco, poi le sue funzioni furono attribuite a un consiglio di generali o stato maggiore, con un comandante in capo.
A causa della legge sull’ostracismo di Clistene, subirono l’ostracismo Santippo, padre di Pericle, e Aristide; sotto lo stratega e arconte Temistocle, Atene divenne la prima potenza navale, mentre il re Cleomene di Sparta, a causa dei suoi intrighi a Delfi, fuggì da Sparta e fu assassinato. Tessali, Anfizionica e Delfi erano collaborazionisti dei persiani e invitavano Atene alla resa e alla sottomissione.
Nel 480 A.C. Temistocle era comandante in capo, sotto Pericle gli strateghi acquisirono altre prerogative oltre a quelle militari; comunque, la sostituzione del potere dell’arcontato con quello dello stratega, spostava il potere dalla democrazia al conservatorismo.
L’ufficio di carattere militare era attribuito per elezione, che per i greci era procedura aristocratica mentre il sorteggio era democratico, la carica civile era ricoperta una sola volta nella vita, invece il titolare della carica militare era rieleggibile. Gli strateghi erano scelti tra gli aristocratici e la carica di stratega rilanciò le grandi famiglie, perciò la vera democrazia si ebbe nel IV secolo a.c. con Demostene e non con Pericle; dal 487 a.c. gli arconti avevano perso importanza e perciò erano sorteggiati.
Il sorteggio esisteva nel Consiglio dei 500 e in tutte le cariche civili, metteva sullo stesso piano ricchi e poveri, rompendo le strategie dei partiti alla designazione, lo scopo era contrastare le fazioni, la riforma fu completa con il pagamento di un compenso per la carica. Erano affidate al sorteggio le cariche di ordinaria amministrazione ma non il comando dell’esercito, il sorteggio era preceduto da una selezione preliminare, per formare una lista di persone eleggibili, per gli arconti si selezionavano 500 candidati presi dai demi.
Esisteva antagonismo tra Milziade e Ippia, Milziade era stato tiranno fuori di Atene e poteva diventarlo ad Atene, Milziade era stato uno dei generali greci che combatteva contro i persiani di Serse in terra greca, quando i persiani furono sconfitti per terra e per mare. Gli Alcmeonidi erano contro Milziade, poi la vittoria di Atene sulla Persia, aprì la strada politica a Temistocle, Sparta voleva la restaurazione di Ippia. Al tempo della battaglia di Maratona, ad Atene esistevano più partiti, quello degli Alcmeonidi aristocratici, quello dei partigiani dei tiranni esiliati come Ippia e il partito aristocratico del generale Milziade.
Milziade fu condannato a morte e nel 489 a.c. e divenne arconte Aristide, Alcmeonide e compagno di Clistene, opposto a Temistocle che nel 487 a.c. ottenne l’ostracismo per Ipparco, capo del partito dei Pisistratidi; anche Aristide subì l’ostracismo e Temistocle si sbarazzò di tutti i suoi rivali, poi impose la costruzione d 200 triremi da guerra. Temistocle consegnò la direzione degli affari militari ad Aristide, del partito agrario e a Santippo, per salvare la democrazia avrebbe preferito un’alleanza con la Persia, era filo persiano.
Nel 479 a.c. il generale persiano Mardonio promise l’autonomia ai greci e l’alleanza con la Persia, gli spartani temevano che gli ateniesi passassero ai persiani, Aristide era contrario all’alleanza con i persiani, gli spartani temevano che la defezione degli ateniesi avrebbe aperto ai persiani le porte del Peloponneso. L’esercito spartano era guidato dal re Pausania, che guidava iloti, spartani e perieci, cioè popoli sottomessi, la guerra poteva essere occasione di riscatto, com’era accaduta nella flotta ateniese dove non erano schiavi; in guerra si è promessa anche la terra ai contadini, spesso non mantenuta.
A Siracusa il potere era in mano ai coloni originari e siculi e quelli che erano venuti più tardi non avevano diritto di voto; così, quando con le immigrazioni la popolazione crebbe, il governo originariamente democratico, per reazione, divenne oligarchico; nel VI secolo a.c. quelli privi di voto e di terra erano molto più numerosi dei proprietari terrieri, mentre i nativi erano servi obbligati a lavorare per i greci come a Sparta.
Nel 480 a.c. i persiani, guidati dai Tessali, rispettarono Tessaglia e Delfi, sede dell’Anfizionica e di tante ricchezze, e invasero Focide, Beozia e Attica; anche Gelone, tiranno di Siracusa, aveva offerto un’alleanza a Serse. Clistene, grazie ai nuovi cittadini, ai quali aveva concesso cittadinanza e diritto di voto, aveva all’assemblea dei 500 una maggioranza decisiva, doveva però fronteggiare il re di Sparta, Cleomene, che aveva costretto Ippia all’esilio, e temeva l’invasione dell’Attica da parte della lega peloponnesiaca.
Clistene fu vittima della legge sull’ostracismo da lui voluta, gli ateniesi richiamarono Clistene dall’esilio, voluto da Sparta, assieme a settecento famiglie espulse da Cleomene; Clistene voleva salvare la democrazia ateniese sottomettendosi alla Persia di Serse che in Asia Minore appoggiava le tirannidi delle città. Clistene non spiegò all’assemblea i suoi piani e le sue trattative segrete, fortunatamente, a causa di dissidi interni, la lega peloponnesiaca si sfaldò e l’invasione dell’Attica non avvenne; Corinto era disposta ad aiutare Sparta fino a che la sua egemonia si limitava al Peloponneso.
Nelle colonie ateniesi, dette cleruchie, i coloni avevano la cittadinanza ateniese, due anni dopo Cleomene tentò ancora di abbattere la democrazia di Clistene, aveva espulso Ippia e ora sosteneva il partito aristocratico, voleva reintegrare il generale Isagora e rendere arrendevole Atene; Corinto si oppose e la democrazia ateniese trasse un respiro di sollievo, nel 494 a.c. il re di Sparta Cleomene invase Argo che gli contrastava la supremazia in Grecia.
Gli Alcmeonidi erano disposti ad accettare l’intervento della Persia per salvare la democrazia, però il partito di Ippia fu il più filo persiano e favorevole alla tirannide; ad Atene Temistocle, difendeva gli interessi della città contro quelli della campagna, cioè difendeva commercianti e artigiani, si alleò con parte degli Alcmeonidi e nel 483 a.c. fu eletto arconte e capo del partito popolare; fece causa comune con il generale Milziade, capo del partito aristocratico e lo vide come un inviato dal cielo per la guerra contro i persiani.
Allora era stratega di Atene Temistocle, i persiani distrussero l’Acropoli di Atene ma persero la loro flotta e perciò rinunciarono a invadere il Peloponneso e si ritirarono, gli spartani erano diretti dal generale Pausania. Nel 479 a.c. anche gli Ioni d’Asia insorsero contro i persiani, abbatterono i tiranni imposti dai persiani ed entrarono a far parte della lega ellenica antipersiana. Temistocle si oppose a una riforma dell’Anfizionica proposta da Sparta, che avrebbe dato carattere permanente all’organo panellenico, temeva la dominanza di Sparta nella lega, dove vi era il partito di Atene e quello di Sparta.
I Tessali, dopo la sconfitta dei persiani, erano favorevoli ad Atene; in tutte le assise esistono collaborazionisti, a pagamento, di poteri forti e potenze estere, in tutte le corti sono stati presenti, non gratuitamente, partiti a favore di due potenze estere antagoniste. Intorno al 470 a.c., Pausania di Sparta e Temistocle di Atene furono accusati di tradimento a favore della Persia, i sospetti e i traditori veri erano tanti, il primo fu arrestato dagli efori e murato vivo, il secondo si rifugiò presso la corte persiana e poi ad Argo.
Il generale spartano Pausania fu giustiziato anche con l’accusa di voler instaurare la democrazia a Sparta, promettendo libertà e diritti politici ai servi iloti. Atene e Sparta si contendevano il comando della lega e Atene chiese agli alleati contributi per la flotta, però non si contentava più di sole truppe o navi, chi non pagava era represso, infatti, nel 446 a.c. ridusse all’obbedienza l’isola di Eubea.
Da quel momento il contributo pagato ad Atene per la flotta, divenne un tributo e una protezione pagata ad Atene, che non rese più conto del denaro versato e inviò alle città soggette presidi militari ed episcopi o sorveglianti; creò cleruchie o colonie ateniesi insidiate nei territori degli alleati, per mantenerli soggetti; impose agli alleati il suo sistema monetario. Ad Atene il comandante Cimone era un aristocratico antipersiano, filo spartano e conservatore.
Si riaccese la lotta tra Sparta e Atene per il primato sulla Grecia e il re di Persia invitò Sparta a invadere l’Attica, doveva essere una guerra per procura, ma non ottenne risposta. Quando scoppiò la guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta, la Persia cercò di mantenere l’equilibrio di forze in Grecia, appoggiando finanziariamente la coalizione più debole, come honno fatto sempre le potenze antagoniste.
Dal 462 a.c. il capo del partito democratico ateniese era Efialte, che era nemico dei nobili, attaccò l’Areopago, roccaforte dell’oligarchia, e gli tolse il controllo della costituzione, che passò all’ecclesia e alla bulè. Le competenze giudiziarie passarono all’Eliea, il tribunale popolare creato da Solone, costituito da 6000 cittadini sorteggiati, 600 per ognuna delle dieci tribù, tra coloro che avevano almeno trenta anni; questi giudici popolari erano in possesso dei diritti civili e avevano giurato di non accettare doni.
Gli iloti di Messenia e Laconia si rivoltarono a Sparta e da Atene il generale Cimone mandò aiuti a Sparta contro i rivoltosi; a causa della sua amicizia con gli spartani, nel 461 a.c. Cimone fu esautorato e poi ostracizzato e ad Atene andò al potere il democratico Pericle, che si mise sulla scia della costituzione di Clistene. Dopo la sconfitta degli ateniesi in Egitto nel 452 a.c., accorsi in aiuto del faraone contro i persiani, Pericle richiamò Cimone e propose un congresso panellenico che non si realizzò per l’opposizione di Sparta. Il santuario di Delfi era la banca più ricca di Grecia, nel 467 a.c. fu occupato da truppe di città oligarchiche e della Tessaglia.
Per sottrarsi al tributo, ci furono rivolte tra gli alleati e nel 463 a.c. alcuni di essi divennero sudditi di Atene, secondo l’aspirazione del generale Cimone; intanto ad Atene cresceva il conflitto tra partito conservatore e partito democratico di Pericle, contrario al trattamento riservato da Cimone agli alleati ribelli. Atene cresceva e Sparta declinava, perciò il generale Pausania progettò di rovesciare la costituzione di Sparta con l’aiuto degli iloti e degli efori, perciò promise agli iloti libertà e cittadinanza, ma il governo spartano lo accusò di complicità con Temistocle.
Ad Atene Temistocle subì l’ostracismo e si stabilì ad Argo, Siracusa, Efeso e Magnesia, era accusato di tradimento e inseguito da emissari di Sparta e Atene, pare che Temistocle offrì i suoi servigi ad Artaserse per l’invasione della Grecia, nel 450 a.c. morì a Magnesia. Nel 463 a.c. il generale Cimone fu accusato di collusione con la Macedonia e fu assolto, Pericle si mise a capo del partito aristocratico degli Alcmeonidi, deciso a continuare la politica di Clistene.
Nel 464 a.c. Sparta subì un terremoto, gli iloti si ribellarono, i perieci si unirono a loro e la Messenia si ribellò; il generale ateniese Cimone si erse a campione della causa spartana perciò gli fu dato l’ostracismo, fu disfatto l’Areopago e il potere dell’aristocrazia. Cimone subì l’ostracismo, Efialte fu assassinato dal partito oligarchico e Pericle, con un’operazione trasformistica, si mise a capo del partito democratico; era parente di Clistene e degli Alcmeonidi, non era credente ed era un libero pensatore, era un buon oratore e propose una riforma costituzionale.
Nel 451, scaduti i dieci anni previsti dalla legge, Cimone tornò dall’esilio e fu lo scontro con Pericle, che introdusse la paga per i giurati e la cittadinanza solo per chi era figlio da madre e padre ateniesi; Cimone dirigeva la politica estera e potenziò la flotta per la guerra contro la Persia, fece la pace con Sparta; nel 450 a.c. Cimone morì e la flotta di Atene vinse contro i persiani a Salamina, riscattando la disfatta in Egitto.
Nel 448 a.c. gli spartani mandarono un esercito per scacciare i focesi da Delfi, ma Pericle reintegrò nel loro possesso i focesi, Tebe divenne asilo degli oligarchi scacciati dalla Beozia con l’aiuto di Atene; nel 446 a.c. si ribellarono ad Atene l’isola di Eubea e Megara, l’esercito spartano avanzò con a capo il giovane re Pleistana e il suo consigliere Cleandrida, ma poi si ritirò. Questi furono accusati di essere stati corrotti da Pericle, il re fu deposto e il consigliere esiliato; la corruzione è stata sempre diffusa ove alberga il potere, l’imperatore del Giappone ha dichiarato che la gente non immagina quanta corruzione ci sia nel mondo.
Alla conferenza della pace tra Sparta e Atene si stabilì che nessuna della due città doveva dare aiuto a membri ribelli dell’altra lega, mentre i neutrali potevano scegliere l’una o l’altra confederazione, si stabilì anche che l’alleanza tra Argo e Atene non poteva essere diretta contro Sparta. In Beozia e Locride la politica di Pericle fallì, perché in quelle terre erano favorevoli al regime dei pochi; Atene propose un congresso panellenico ad Atene, ma Sparta non accettò.
Dopo l’ostracismo di Cimone, Pericle voleva trasformare la confederazione di Delo nell’impero di Atene, il tesoro della lega era stato trasferito da Delo ad Atene, gli alleati avevano perso autonomia e la giurisdizione dei tribunali ateniesi si estendeva agli alleati divenuti tributari; dove Atene non trovava la democrazia, la imponeva, inoltre, aveva il merito di aver bloccato la Persia e sventato la pirateria.
Pericle usava i tributi delle città per abbellire Atene e non sentiva alcun obbligo di renderne conto, con quel denaro sosteneva l’alleata Mileto; Pericle fece delle cleruchie create da Clistene parte importante dell’impero ateniese. La cleruchia nasceva dopo una rivolta degli indigeni, che erano espulsi e sostituiti con coloni ateniesi, i cleruchi avevano la cittadinanza ateniese, non pagavano tributi ed erano membri della loro tribù e del loro demo.
Lo stratega ateniese Efialte privò l’Areopago della giurisdizione, i suoi poteri furono divisi tra consiglio, assemblea e tribunali popolari, poi si costrinsero i magistrati a conformarsi alle leggi. Solone aveva limitato l’arcontato alle prime due classi, ora fu aperto alla terza classe, ma ne furono esclusi i teti (456 a.c.), la carica di arconte era sorteggiata. Pericle introdusse un compenso per giurie e funzioni pubbliche, limitò i diritti politici ai cittadini per nascita; dopo la donazione di grano da parte del faraone ai cittadini ateniesi, rivide l’elenco dei cittadini e radiò 5000 nomi; invece Clistene aveva incluso tra i cittadini gli stranieri residenti e i discendenti di matrimoni misti.
Per i greci la democrazia non significava abolizione dei privilegi ma estensione degli stessi, forse Pericle limitò la cittadinanza anche perché erano troppi quelli che erano remunerati nelle funzioni pubbliche; ricevevano compenso membri del consiglio, magistrati, strateghi, alti ufficiali, soldati e marinai; furono pagate anche le presenze all’assemblea, per garantire il quorum. Quelli pagati dallo stato, compresi i dipendenti pubblici, erano 20.000, nel V secolo a.c. si attingeva al tributo degli alleati che nel IV secolo a.c. finì, perché l’impero non esisteva più; insomma lo stato rende tributari altri popoli e alimenta il parassitismo al suo interno.
I vecchi capi politici appartenevano alle grandi famiglie ed erano strateghi, ora apparvero capi partito di origine popolare e, poiché erano critici, furono chiamati demagoghi, erano a capo dell’opposizione e, in precedenza, non avevano ricoperto alcuna posizione ufficiale; ogni cittadino poteva fare proposte all’assemblea. I magistrati, al termine dell’anno di carica, fornivano rendiconto e spesso erano accusati di peculato; si condannò il generale Milziade per il fallimento di una spedizione militare, si diede l’ostracismo a Cimone, Pericle fu processato per i risultati deludenti della guerra del Peloponneso; molte volte il fallimento delle imprese belliche era addebitato agli strateghi invece che a chi le aveva proposte, mancava la responsabilità politica del partito di governo.
La popolazione rurale era conservatrice, mentre i demagoghi trovavano seguaci tra il proletariato urbano, la popolazione urbana forniva il numero maggiore di votanti all’assemblea. Dal IV secolo a.c. Atene divenne padrona dei mari, gli equipaggi delle navi erano liberi e controllavano l’assemblea, le classi popolari arrivavano ai tribunali popolari che tenevano udienze ininterrotte, la loro giurisdizione si estendeva su ogni aspetto e non ci si poteva appellare.
Nel 444 a.c. il faraone libico Psammetico mandò in regalo ai cittadini ateniesi del grano, perciò anche per questo Pericle tolse la cittadinanza a 5000 stranieri residenti, poi divise l’impero in cinque distretti: Ionia, Ellesponto, Tracia, Caria e Isole. Nel 441 a.c. l’Isola di Samo, ove regnava l’oligarchia, cercò di sottrarsi ai tributi e Pericle voleva esportarvi la democrazia, Samo chiese aiuto ai persiani e Sparta, che rimasero passive; nel 439 a.c. Atene prevalse, Samo perdette flotta, mura, dovette pagare una riparazione e divenire tributaria.
Sulle coste del Mar Nero vi era la città di Olbia, il territorio dei Cimmeri e la Crimea, da lì Atene importava grano, come da Sicilia e Egitto. Nel 438 a.c. lo scultore Fidia fu accusato di essersi appropriato di parte dell’oro per la statua di Atena e fu mandato in esilio, una agente segreta persiana era amante di Pericle e il filoso Anassagora, amico di Pericle, fu mandato in esilio, però nei tribunali ateniesi non vi era sempre giustizia.
Per la guerra e le opere pubbliche, Pericle attingeva ai tributi delle città sottomesse e ai tesori dei templi, l’impero ateniese era la negazione delle idee di giustizia e democrazia, Corinto tratteneva Sparta dalla guerra contro Atene; poi scoppiò la guerra tra Corinto e Corcina che nel 435 a.c. chiese aiuto ad Atene, ma si fece un’alleanza difensiva perché la guerra a Corinto avrebbe violato la pace con Sparta.
Corinto chiese aiuto a Siracusa, sua colonia, 27 anni prima Atene era stata alleata di Megara contro Corinto ed era scoppiata la prima guerra del Peloponneso; Sparta aveva invitato Corinto a transare con Corcina, però gli efori erano propensi alla guerra. In questa situazione di stallo, Sparta rischiava la diserzione di Corinto e Atene la dissoluzione del suo impero; Atene propose un arbitrato, ma non esistevano giudici imparziali, l’assemblea lacedemone era a favore della guerra, però occorreva il voto della lega del Peloponneso.
Prima di iniziare la guerra, Sparta chiese ad Atene la cacciata della dinastia degli Alcmeonidi e di Pericle, l’ostilità fu iniziata da Tebe, alleata di Sparta, delle sue truppe entrarono di nascosto a Platea, aiutate da traditori, in ogni città esistevano partiti collaborazionisti con lo straniero; le truppe tebane furono ricacciate, Atene intervenne a difesa di Platea (431 a.c.). Sulle navi ateniesi remavano i teti, la lega del Peloponneso contava sugli opliti, che devastarono i campi dell’Attica.
Corinto mirava ai tesori di Delfi e Olimpia, altri tesori erano nell’Acropoli ateniese (in guerra si ruba e non si rispettano i santuari), la flotta ateniese minacciava il Peloponneso, intanto Caria e Licia facevano pirateria. Atene e il Pireo si riempirono di profughi e nell’Attica si diffuse la peste, mentre il Peloponneso ne era indenne, la peste fu attribuita ad Apollo; nel 429 a.c. Pericle sembrava finito e l’aristocrazia voleva ritornare al potere, nel braccio di ferro, Sparta, Argo e Corinto cercavano l’aiuto della Persia.
Nel 428 a.c. la città di Mitilene, nell’isola di Lesbo, si ribellò ad Atene e fu occupata, Platea fu sconfitta da Tebe, Atene si mosse contro Siracusa alleata di Corinto; nel 426 a.c. le sorti della guerra volgevano a favore di Siracusa, il tesoro ateniese era finito, ma gli ateniesi volevano la continuazione della guerra; a causa di un terremoto che colpì Sparta, gli efori proposero la pace, ma la proposta fu respinta da Atene, gli ateniesi erano guidati dal demagogo Cleone che, per fare cassa, raddoppiò i tributi.
Gli spartani temevano la rivolta degli iloti, gli ateniesi avevano presidi nelle città, Sparta voleva la pace; per la fine della guerra, si sosteneva che il re di Sparta aveva corrotto la sacerdotessa di Delfi, Apollo aveva promesso la vittoria agli spartani, Cleone era a favore della pace e ora Nicia dirigeva la politica di Atene. La pace consegnò la Tracia ad Atene, ci fu la riconsegna dei prigionieri, Corinto perse dei territori; con la pace di Nicia tra Sparta e Atene, tra le due città fu fatta anche un’alleanza.
Però chi era con Sparta era contro la democrazia, così gli stati democratici stavano da una parte e quelli aristocratici dall’altra, alcune città si separarono da Sparta e fecero lega con Argo aristocratica; Corinto non aderì al trattato di pace e alcuni volevano persuadere Argo alla guerra e a ripudiare la pace con Atene, Sparta temeva che Atene stringesse un’alleanza con le città del Peloponneso. Purtroppo il democratico Pericle rovesciò la politica di Clistene sulla cittadinanza e per la cittadinanza richiese la discendenza ateniese di entrambi i genitori; intanto permanevano i partiti della pianura, della costa e della montagna, con le loro contese, identificati con Clistene, Isagora e Pisistrato.
In Grecia la popolazione si divideva in cittadini, forestieri liberi e servi, a Sparta e Argo si aggiungevano i perieci, che avevano i diritti civili ma non quelli politici; i perieci prestavano servizio militare, avevano piccoli appezzamenti di terra ed esercitavano il commercio, gli iloti erano servi senza terra e lavoravano la terra per i loro padroni, perieci e iloti erano popolazioni predoriche. Gli spartani non riconoscevano il ruolo dei forestieri residenti e dei meteci, vietavano i matrimoni misti, la schiavitù era per contratto e la servitù per diritto di conquista.
In Attica i meteci erano numerosi, Temistocle incoraggiò la loro immigrazione, con esenzione di tributi, essi aumentarono dopo le guerre persiane; ad Atene i meteci erano stati esclusi dai diritti politici, dal possesso di beni immobili, erano soggetti al servizio militare, alle tasse e dovevano avere un mallevatore o garante cittadino; però avevano libertà personale, di culto e di commercio, spesso erano agiati.
La classe servile greca era fatta d’indigeni sconfitti, come gli iloti spartani, impegnati a lavorare la terra per i loro padroni e conquistatori dori; con il loro lavoro, consentivano agli spartani di dedicarsi alle armi e alle attività amministrative. Gli iloti potevano essere affrancati, l’emancipazione era loro concessa come ricompensa in guerra, ove costituivano truppa leggera al servizio degli opliti.
Gli iloti di Sparta si ribellarono, erano sotto la legge marziale ed erano sorvegliati dagli efori, invece ad Atene gli schiavi avevano il permesso di vivere dove volevano e avevano rapporti familiari e sociali, erano acquistati e affrancati, erano prigionieri di guerra, condannati, trovatelli e barbari; erano impiegati soprattutto nei lavori domestici, nell’industria gli schiavi erano apprendisti, a volte lavoravano a fianco dei liberi, però nelle miniere vi erano solo schiavi.
La durata della vita dello schiavo era breve, era considerato oggetto di proprietà e riceveva la tutela degli altri beni di proprietà; gli ateniesi proibirono di uccidere gli schiavi e di trattarli con crudeltà; fu riconosciuto il diritto di asilo anche allo schiavo che, se maltrattato, poteva chiedere di essere venduto ad altro padrone, gli schiavi potevano essere affrancati o si potevano riscattare con i loro risparmi. Lo schiavo affrancato diveniva meteco, se lo schiavo moriva senza discendenti, il padrone era suo erede.
Sotto Pericle vi erano meteci che servivano come opliti, ad Atene la proprietà della terra era esclusa per chi era privo di cittadinanza; in generale, commercio e industria facevano affluire nelle città molti forestieri e schiavi; allora si emigrava liberamente per fare i mercenari, i pirati o i coloni, l’aristocrazia vedeva con sospetto e scansava lavoro manuale, commercio e industria, i lavori manuali e umili erano disprezzati dall’élite cittadina e dall’aristocrazia di campagna. Le industrie o artigianato erano su base familiare e potevano essere messe su con poco capitale, vi si lavorava dall’alba al tramonto, con una sosta per il pasto, lo stato non tutelava i lavoratori; i produttori vendevano ai consumatori senza intermediari e vendevano la merce di villaggio in villaggio, producevano e vendevano anche su commissione.
Chi non aveva la cittadinanza era escluso dalla proprietà della terra e della casa, gli spartani, avendo rinunciato o trascurato il commercio, avevano meno denaro per la guerra e perciò furono aiutati dalle città della lega del Peloponneso; alla vigilia della guerra del Peloponneso, il re di Sparta, Archidamo, affermò che la guerra non era una questione di valor militare ma di denaro, che Sparta non coniava. Diversamente da Sparta, Atene, Corinto, Egina, Samo, Eubea e altre città avevano una flotta ed erano dedite ai traffici e ai profitti.
Lo stratega Pericle, figlio di Santippo e pronipote di Clistene, fissò un compenso in denaro per eliasti, baleuti e arconti; in precedenza le cariche pubbliche erano gratuite, però Pericle voleva aprire ai poveri le funzioni pubbliche. Poiché bisognava distribuire ai cittadini del grano ricevuto in dono dal faraone, Pericle, per ridurre il numero dei beneficiari, fece anche passare una proposta che negava la cittadinanza a chi non era figlio di madre e padre ateniese.
Dal 461 a.c. il partito democratico di Pericle lanciò la città nell’avventura imperialistica; poiché Atene sfruttava alleati e città sottomesse, il conservatore Tucidite, genero di Cimone, si oppose alla politica imperialistica del democratico Pericle e perciò nel 443 a.c. fu ostracizzato; Atene si era votata alla democrazia perché la vittoria sui persiani le era stata regalata dalla classe più umile dei teti, che formavano la ciurma delle sue navi, mentre nelle navi di Sparta vi erano gli schiavi a remare; il democratico Temistocle aveva fondato la potenza di Atene sul mare e il democratico Pericle ispirò l’imperialismo ateniese aiutato dalla flotta.
Il regime democratico, con le cleruchie, apriva nuove terre da colonizzare per i poveri, i tributi degli alleati e dei popoli sottomessi favorivano i lavori pubblici, ancora a vantaggio dei poveri senza terra. Perciò il popolo ateniese appoggiò la politica imperialista mentre, per reazione da parte delle città sottomesse, scoppiò la guerra del Peloponneso che durò trent'anni; nel 434 a.c. lo stratega e storico Tucidite fu sconfitto e fu costretto ad andare in esilio.
Dopo le guerre persiane, dal 461 a.c. si contendevano l’egemonia in Grecia la lega peloponnesiaca, con a capo Sparta, e la lega delio-attica con a capo Atene, la prima rappresentava i regimi oligarchici e la seconda quelli democratici. Nel 433 a.c. ci fu il conflitto tra Corcina, che aveva una grande flotta, e Corinto, Corcina era oligarchica e Corinto, che faceva parte della lega del Peloponneso, ebbe la peggio. In quella guerra, Atene si alleò con Corcina e Reggio, Siracusa con Corinto, la sua madrepatria.
A causa della sua sconfitta, Corinto incitava Sparta alla guerra contro Atene, Megara, membro della lega del Peloponneso e alleata di Corinto, si vide chiudere i mercati dell’Attica; intanto il re di Macedonia, Perdicca, era irritato con gli ateniesi che erano intervenuti nelle sue contese dinastiche. Delfi, assieme ad Olimpia, finanziò la prima fase della guerra degli spartani contro Atene, perciò nel 431 a.c. gli spartani, alleati dei tebani, dichiararono guerra.
L’ecclesia ateniese, consigliata da Pericle, propose l’autonomia alle città soggette se Sparta avesse fatto altrettanto, però Pericle non voleva misurarsi per terra con Sparta, perciò abbandonò la campagna e accolse la popolazione della campagna in città; all’inizio nel Peloponneso Argo e Acaia erano neutrali e i Tessali erano alleati di Atene. La guerra del Peloponneso, divisa in tre periodi, andò dal 431 al 404 a.c., vide una disastrosa spedizione di Atene contro Siracusa e si chiuse con la capitolazione di Atene.
Con lo sviluppo economico di Atene, il sistema fiscale che tassava solo la terra fu abbandonato e nel 428 a.c. il governo ateniese contava su imposta fondiaria, imposte indirette, dazi sul Pireo, sulle importazioni, sulle esportazioni e alle frontiere; nel 410 a.c. riscuoteva pedaggi sul Bosforo ed Ellesponto, tributi dalle città soggette, un’imposta sui contratti, una sulle vendite, inoltre Atene riscuoteva ammende e aveva proventi dalla vendita di beni confiscati. L’allestimento delle triremi costava molto.
La lega o confederazione volontaria di Delo contro la Persia, nata nel 478 a.c., riceveva un contributo volontario che poi fu trasformato in tributo obbligatorio, che era depositato nell’isola di Delo e dal 454 a.c. ad Atene; il tesoro dello stato era custodito nel tempio di Atena, la confederazione di Delo depositò il suo tesoro nel tempio di Apollo e di Artemide, ad Atene; allo scoppio della guerra del Peloponneso, questi tributi erano ancora riscossi. Nel V secolo a.c. ad Atene fu introdotto il pagamento per i servizi pubblici, cioè per i magistrati, lo stato aiutava gli indigenti.
Sparta, a capo della lega del Peloponneso, era nemica di Atene ma aveva un partito collaborazionista o filo spartano ad Atene, anche a Sparta vi era un partito favorevole ad Atene, anche la Persia finanziava partiti filo persiani ad Atene e a Sparta. Sparta riorganizzò la lega Anfizionica di Delfi, escludendone gli stati amici di re Serse di Persia, come Tessaglia e Beozia, estendendola al Peloponneso ed escludendo Argo rivale di Sparta; da Atene, Temistocle, che lottava contro la supremazia di Sparta, operò per sventare questo piano.
A Delo esisteva una corte di giustizia per sanzionare inadempimenti e omissioni di pagamento dei tributi, Atene era dominante, alcuni stati fornivano navi e altri pagavano tributi, generali e magistrati erano ateniesi, il diritto alla secessione dalla confederazione fu lasciato nel vago, altrimenti la lega non sarebbe nata. La stessa cosa accadde con la nascita degli Stati Uniti, poi ci fu la guerra per contrastare la secessione del sud, se il sud fosse stato sovrano, nessuno avrebbe potuto mettere in discussione la sua devoluzione, però gli stati non rispettano nemmeno la costituzione e i trattati internazionali.
Alla confederazione di Delo partecipò anche Ionia, Tracia, Ellesponto, Caria, Efeso e Bisanzio, non vi faceva parte Sparta, dove regnava re Pausania, la confederazione di Delo fu creata dallo stratega ateniese Temistocle che vinse i persiani a Salamina e fortificò il porto del Pireo; Aristide comandava la flotta e dal 476 a.c. il generale Cimone era comandante delle forze ateniesi; Cimone era sostenuto dal partito aristocratico, era un signorotto di campagna ostile a Pericle, fu il più grande condottiero greco. Con la creazione della confederazione di Delo, i persiani erano stati cacciati dall’Europa e dall’Asia Minore marittima, il sinodo continuava a riunirsi a Delo, ma le città della lega avevano perso autonomia e pagavano un tributo ad Atene, il che però serviva a creare una flotta più omogenea.
Nel Peloponneso la costituzione spartana era fatta risalire al mitico Licurgo, ma aveva mutuato da Creta, allora la Laconia era divisa tra spartani, perieci o indigeni collaborazionisti e Iloti o achei schiavizzati; gli spartani discendevano dai conquistatori dori e avevano pieni diritti civili e politici, la terra non poteva essere venduta e andava trasmessa a un solo erede, chi perdeva la terra perdeva i diritti del cittadino; questa terra era lavorata dagli iloti.
Agli spartani era vietato praticare commercio, industria e coniare monete, i perieci avevano diritti civili ma non politici, erano vassalli tenuti al servizio militare, gli iloti erano servi della gleba e inizialmente erano esentati dal servizio militare, poi furono ammessi nelle guerre del Peloponneso, non avevano né diritti civili, né diritti politici; perieci e iloti erano discendenti di popolazioni predoriche; comunque, com’è accaduto in tutti i paesi con forti differenze sociali, per sottrarsi alla loro condizione, anche gli iloti di Laconia e Messenia tentarono l’insurrezione armata e la rivoluzione.
Alla testa dello stato spartano, come tra i Cazari del Volga, c’erano apparentemente due re, forniti di potere militare, entrambi discendenti degli eraclidi e capi di due tribù doriche, forse era un compromesso ereditario tra monarchia e aristocrazia; il potere del re era fortemente limitato dalla magistratura annuale e collegiale degli efori o sorveglianti, che erano in numero di cinque, questi aristocratici controllavano il re, potevano giudicarlo, presiedevano l’assemblea popolare e, in pratica, governavano lo stato. Insomma affermare che a Sparta era al potere la monarchia assoluta e non l’aristocrazia è un errore, era quasi una monarchia costituzionale, cioè basata su una costituzione con pochi diritti per alcune etnie.
Dalla tradizione, l’origine degli efori è attribuita a Licurgo, in realtà erano nobili che rappresentavano cinque tribù territoriali, come estensione delle tre originali tribù doriche; dal 754 a.c. cominciò la lista degli efori eponimi, però l’eforato era anteriore a quella data. L’assemblea popolare di Sparta o apella includeva gli uomini liberi che avevano compiuto i trent’anni, eleggeva i magistrati, approvava le leggi e dichiarava la guerra. La Gherusia era formata da trenta membri, cioè i due re e ventotto nobili, eletti a vita; assisteva i re e, in periodo oligarchico, si trasformò da organo consultivo in legislativo ed esecutivo; come ad Atene, anche a Sparta esistevano tribù, fratrie e clan familiari; il vero potere, politico ed economico, era nelle mani dei clan familiari nobiliari e latifondisti.
Nel VI secolo a.c. nacque la lega peloponnesiaca, il santuario di Olimpia della lega era nel Peloponneso, era un’alleanza militare sotto il comando di Sparta, che però riconosceva autonomia alle città; la lega era diretta da un consiglio o sinedrio di rappresentanti delle città aderenti, le sue azioni erano decise con un voto; però Sparta operava, anche finanziariamente, perché nelle città della lega fossero al potere governi oligarchici filo spartani.
Queste cose accadono ancora oggi, si parla delle ingerenze dello straniero, mentre la sovranità e l’indipendenza dei paesi e dei popoli non sono mai complete, anche perché i loro dirigenti politici, economici e l’informazione si vendono ai poteri forti e allo straniero. Gli spartani fissavano i contingenti di ogni città, senza pretendere tributi, però il contingente era una tassa perché non ci si poteva sottrarre, Corinto dorica prestava la sua flotta; comunque il re Cleomene, con l’Anfizionica, aveva cercato l’egemonia anche al di fuori del Peloponneso, cioè in Tessaglia, Beozia e nell’Attica di Atene; anche Filippo II di Macedonia applicò questa strategia.
Al di fuori della Grecia e in Grecia, tradizionalmente l’esercito e il clero erano poteri enormi al di fuori della costituzione, erano il vero potere, perciò il re era il supremo comandante militare; l’impero si cementava con una sola moneta, segno della sovranità statale, e con una sola lingua, anche se in provincia esistevano altre lingue e dialetti; si potevano accettare, in segno di tolleranza, più religioni se queste garantivano l’ordine e l’obbedienza al re.
L’attaccio ad Atene era stato suggerito dai traditori aristocratici ateniesi Alcmeonidi, sostenuti da Sparta e Persia; la storia insegna che gli interventi stranieri sono sempre sollecitati da partiti interni che non accettano di essere relegati al margine della vita politica di un paese, perché con il potere ci si può ingrassare. I persiani non ebbero fortuna in Grecia, nel 489 a.c. lo stratega Milziade, della famiglia ateniese dei Pisistratidi, prevalse contro di loro a Maratona.
Sotto lo stratega Alcibiade, Atene democratica era solita passare per le armi i combattenti nemici sconfitti, vendendo come schiavi donne e bambini del nemico, poi distribuiva le loro terre ai cleruchi ateniesi; a scopo di propaganda, Sparta rimarcava atrocità e crimini di guerra degli ateniesi, la storia non è cambiata. Nel 415 a.c. Alcibiade decise l’intervento in Sicilia contro Siracusa, l’impresa finì male e lo stratega Alcibiade scappò, condannato in contumacia da Atene, riparò a Sparta perché Alcibiade era più incline alla tirannide che alla democrazia.
Ad Atene Socrate aveva esercitato attrazione su Alcibiade, Socrate diffidava di Sparta, dove però gli iloti erano stati finalmente emancipati, nel 419 a.c. Nicia e Alcibiade furono rieletti strateghi e Sparta prevalse con la forza delle armi su Argo. Nel 417 Atene, con l’aiuto di Perdicca, re di Macedonia, voleva salvare la sua posizione in Tracia, impose al suo impero pesi, e misure e moneta.
Dopo la sconfitta contro Siracusa, scoppiò una rivolta nell’impero ateniese e Atene sostituì il tributo a carico delle città sottomesse con un’imposta sul commercio marittimo, il movimento di secessione era forte a Chio, Eubea e Lesbo; Dario II voleva riprendersi le città d’Asia, Atene attaccò Mileto difesa da opliti peloponnesiaci, Tissaferne, satrapo persiano d’Asia, si offrì di finanziare la flotta del Peloponneso contro Atene.
Alcibiade era stato esiliato per aver appoggiato l’impresa siciliana, perciò Tissaferne gli propose un’alleanza per l’abbattimento della democrazia ateniese, Atene era impoverita e Sparta era alleata della Persia; in quel momento, per il popolo la sicurezza era meglio della democrazia. Dopo l’offerta persiana, Alcibiade chiese alla Persia la Ionia e fu scaricato, però ad Atene Aristofane voleva l’alleanza con Sparta e non con la Persia.
Allontanatosi da Alcibiade, Tissaferne si riconciliò con Sparta e propose di finanziargli la flotta contro Atene, intanto ad Atene si progettava la riorganizzazione dello stato su basi aristocratiche; fu abolita l’indennità per gli uffici, eccettuati gli arconti e il consiglio, si creò un consiglio dei quattrocento con il compito di legiferare. Sulla flotta di Sparta scoppiò una rivolta degli uomini liberi che volevano la paga, la Persia voleva la guerra ad Atene ma Sparta propose ad Atene la pace in base allo status quo.
Ad Atene fu mutata la costituzione di Solone, i maschi liberi in grado di portare le armi ebbero la cittadinanza, il consiglio fu rappresentato da membri sorteggiati, c’erano magistrati eletti, tra cui gli arconti, e magistrati sorteggiati, le magistrature minori erano sorteggiate, fu soppressa l’Assemblea. Nel 410 a.c Atene era ancora padrona dei mari, gli equipaggi della flotta avevano i diritti civili, Cleofante restituì la cittadinanza ai non abbienti, fu distribuito un sussidio ai bisognosi e furono ripresi i lavori pubblici.
Sparta voleva la pace ma chiedeva ad Atene di rinunciare a Eubea, Rodi, Chio, perciò la guerra continuò e Alcibiade occupò Cizico, nel 409 a.c. gli ateniesi saccheggiarono la Lidia e Alcibiade mirava alla neutralità della Persia. Ad Atene il governo dei quattrocento aveva spaccato l’aristocrazia, i soldati non potevano parlare in assemblea e in consiglio e crebbero le società segrete, protette dallo stato.
Con una legge fu stabilito che l’uccisione di un rivoluzionario non era assassinio, gli aristocratici erano considerati traditori e il sistema giuridico incoraggiava la delazione, le fonti del diritto erano date dai codici di Dracone e Solone e dai decreti del Consiglio e dell’Assemblea; le giurie erano fatte con sorteggio, i precedenti giuridici non avevano valore legale, però la corruzione giudiziaria esisteva ancora.
Nel 407 a.c. Alcibiade era al comando della flotta ateniese, mentre a capo della flotta del Peloponneso era Lisandro, sostenuto da Ciro di Persia, che aveva finanziato la flotta spartana e ne pagava l’equipaggio; nel 406 a.c. Alcibiade fu sconfitto da Lisandro e non fu più rieletto stratega tra i dieci strateghi di Atene. Nelle navi ateniesi erano tutte le classi sociali ma mancavano gli schiavi, a Sparta temevano le ambizioni sfrenate di Lisandro sostenuto da Ciro.
Ora Atene aveva sei strateghi, la confederazione di Delo era stata un’associazione volontaria, mentre l’impero ateniese era una creazione della forza, la Persia era il nemico; a Sparta regnava il re Pausania, Lisandro era a capo della flotta; ci fu lo scontro tra le due flotte e i due eserciti e Atene capitolò, ne furono demolite le mura e il partito oligarchico ritornò appoggiato da Sparta, Cleofante fu condannato.
Atene consegnò la flotta, Tebe e Corinto volevano la distruzione di Atene, ma Sparta era contraria, però Atene doveva stare sotto la direzione militare di Sparta, tra gli esuli ritornò Crizia e Alcibiade fu richiamato; ora il paese era governato da un consiglio dei trenta, tre per ogni tribù, comunque furono condannati i capi democratici e una guarnigione spartana si stabilì sull’Acropoli, diretta da un uomo di Lisandro e intenzionata ad appoggiare l’oligarchia. La legge resi innocui quelli che erano privi di diritti, fu approvata la condanna a morte e la confisca dei beni, bisognava pagare le truppe spartane occupanti, fu colpito il capo dei moderati e quelli che avevano partecipato al rovesciamento del consiglio dei quattrocento, poi il consiglio dei trenta esiliò Alcibiade e Trasibulo.
Nel 404 a.c. Trasibulo, a capo di un contingente, ritornò e uccise molti lacedemoni, Crizia fu ucciso, la ribellione all’oligarchia era la ribellione a Sparta; fortunatamente nel 402 a.c. a Sparta il potere di Lisandro fu abbattuto dal consiglio degli efori; re Pausania arrivò nell’Attica, mise da parte il consiglio dei trenta, reintegrò ognuno nelle proprietà e concesse un’amnistia, però gli ateniesi dovevano giurare fedeltà ai lacedemoni.
Trasibulo presentò all’Assemblea un progetto di legge che concedeva diritti politici a stranieri, meteci e schiavi, ma gli aristocratici la fecero ritirare per incostituzionalità, Sparta e i privilegiati erano contrari alla proposta e volevano limitare la cittadinanza ai proprietari terrieri. Fu promulgata la legge di Pericle del 451 a.c., per combattere la corruzione della giustizia si assegnarono i giurati ai tribunali per sorteggio al momento dell’udienza, fu rilanciato l’arbitrato; nel 400 a.c. i trenta furono giustiziati e l’oligarchia fu rovesciata, fu concessa parità ai cittadini, ammessi i matrimoni misti ai meteci combattenti, altre concessioni furono fatte ai forestieri con benemerenze.
In Sicilia la flotta ateniese fu sconfitta dai siracusani e il generale ateniese Nicia chiese inutilmente aiuto a Cartaginesi ed Etruschi, poi i siracusani misero a morte il generale ateniese Demostene; nel 412 a.c. il traditore Alcibiade propose un’alleanza tra Sparta e Persia, Dario II finanziava Sparta contro Atene. Intanto ad Atene il partito oligarchico rialzava la testa, dall’epoca di Pericle era rimasto all’opposizione e ora, sparita l’aristocrazia, si appoggiava su opliti e ceto medio; anche questo colpo di scena fu appoggiato da Alcibiade, ora più vicino ai persiani che a Sparta, egli propose agli ateniesi che, se avessero abbandonato la democrazia, la Persia si sarebbe staccata da Sparta.
Nel 411 a.c. ad Atene un comitato di dieci persone fu incaricato di redigere la nuova costituzione, la bulè dei 500 membri, scelti per sorteggio, fu sostituita da una bulè di 400 membri, scelti per cooptazione, l’ecclesia fu sostituita da un corpo di 5000 persone, scelte in base al censo e convocate dai 400; la bulè aveva potere legislativo ed eleggeva i magistrati. La democrazia era abbattuta e iniziarono le epurazioni dei democratici e le trattative con Sparta.
Però l’oligarchia ebbe breve durata, infatti, la ciurma dell’isola di Samo si ribellò, si scontrò con i 400 e continuò la guerra contro Sparta poi, misteri della politica, votò il ritorno di Alcibiade, che fu fatto stratega e assunse un atteggiamento conciliante verso i 400; i moderati si allearono con lui, fu restaurata la bulè dei 500 ed esteso agli opliti il diritto a partecipare ai 5000; Alcibiade era il trionfo del trasformismo.
Nel 410 a.c. il demagogo Cleofonte sconfisse la flotta del Peloponnesso e fu restaurata la democrazia ad Atene, nel 408 a.c. Alcibiade era stratega di Atene, la flotta ateniese fu sconfitta da quella del Peloponneso e nel 406 a.c. Alcibiade se ne andò esule volontario nell’Ellesponto, nel 404 a.c. fu assassinato in Frigia dall’ammiraglio spartano Lisandro, che aveva sconfitto la flotta ateniese. Il popolo ateniese aveva votato la condanna a morte per chi avesse proposto la capitolazione, ma il voto non poté fare miracoli e la flotta di Lisandro entrò vittoriosa nel Pireo; nel 404 a.c. le mura di Atene furono distrutte e cominciò il dominio di Sparta in Grecia.
Sparta oligarchica era scesa in guerra contro Atene, agitando gli ideali di libertà e autonomia delle polis, poi, divenuta con la vittoria arbitra della Grecia, instaurò nelle città liberate governi oligarchici che governarono con metodi tirannici, costrinse le città ad alleanze militari e a rinunciare a una politica estera autonoma. Il generale Lisandro vittorioso sosteneva questa politica, mentre il re Pausania di Sparta suggeriva moderazione, il conflitto tra i due si delineò fin dal 403 a.c.
Lisandro aveva imposto ad Atene l’abolizione della democrazia e una commissione di trenta uomini per elaborare la nuova costituzione, i diritti politici furono limitati a tremila abbienti, i poteri dell’Eliea passarono a una commissione di 500, il popolo fu privato di armi e quelli compromessi maggiormente con la democrazia furono messi a morte o costretti alla fuga; i meteci stranieri con simpatie popolari furono espropriati.
Atene si ribellò, re Pausania, sostenuto da tre dei cinque efori, marciò su Atene alla testa di truppe del Peloponneso però nel 403 a.c. fu restaurata la democrazia, comunque, la città era impegnata a rimanere alleata con Sparta. Il primato di Atene era nato nella guerra contro la Persia e Sparta aveva trionfato su Atene alleandosi con la Persia, perciò per Sparta era problematico difendere l’autonomia dei greci d’Asia dalla Persia.
Sparta aveva fornito mercenari a Ciro, però quando il satrapo persiano Tissaferne, sotto Artaserse, chiese alle città della Ionia la sottomissione, queste chiesero aiuto a Sparta che inviò le truppe. Allora Artaserse fece sapere ad Argo, Tebe, Corinto e Atene che era disposto a finanziare una loro guerra contro Sparta, a Sparta scoppiò la guerra civile tra il generale Lisandro e il re Pausania, forse attizzata da Atene con il denaro e il re fu costretto a fuggire in Arcadia, rifugiandosi tra amici democratici, dove morì nel 381 a.c.
Nel 388 a.c., nel corso di una guerra civile, il democratico ateniese Trasibulo fu assassinato, aveva proposto di concedere la cittadinanza a schiavi e meteci che avevano combattuto per la democrazia e aveva ridato ad Atene primato navale, anche ad Atene esisteva un partito spartano che soffiava sul fuoco; nel 392 a.c. Sparta, cercò l’alleanza con la Persia, in cambio della rinuncia alle città greche d’Asia, ma Atene non era d’accordo. Con la pace di Antalcina del 386 a.c. tra Atene e Sparta, furono sciolte le leghe e riconosciuta autonomia alle città soggette, però Tebe era ancora soggetta a Sparta e perciò, aiutata da Atene, si ribellò.
Nel 377 a.c. tutte le città principali di Grecia, eccetto Sparta, fecero lega con Atene, con la promessa di rispettare autonomia e libertà, gli alleati non avevano presidi o governatori ateniesi e non pagavano tributi; si condannò l’imperialismo e si assicurò la Persia che la lega non era diretta contro di essa. Il consiglio federale o sinedrio aveva sede ad Atene, le decisioni erano approvate dal sinedrio, competente per la guerra e la politica estera; il sinedrio fissava i contributi dei soci, l’ingresso di nuove città e l’amministrazione del capitale della lega, il comando militare spettava ad Atene.
La guerra della lega contro Sparta ebbe successo, Tebe conquistò l’autonomia e l’egemonia in Beozia e ora preoccupava Atene, non versava più nemmeno i contributi alla lega, perciò nel 375 a.c. Atene, con la mediazione di Artaserse, fece la pace con Sparta; gli spartani si scontrarono con i tebani che vinsero e fu il crollo della potenza spartana e dell’egemonia spartana, gli alleati peloponnesiaci di Sparta si ribellarono. Atene era in buoni rapporti con la Persia e convocò un nuovo congresso della pace, nel Peloponneso arcadi, argivi ed elei ottennero autonomia e governi democratici, perciò Sparta marciò contro gli arcadi e nel 369 a.c. Tebe intervenne in loro favore.
La costituzione dovrebbe condizionare tutto l’ordinamento legislativo, ma certe volte, come accade in Italia, la legge ordinaria non è conforme a essa; alcuni stati, come l’Inghilterra, sono privi di costituzione e sopravvivono stesso. Per i greci la costituzione non significava un documento specifico, ma solo un corpo fondamentale di leggi. Le norme introduttive della costituzione italiana e di altre costituzioni contengono principi irraggiungibili, anche se si definiscono documenti programmatici; però sono utili le parti che regolano il funzionamento dello stato e dovrebbero comprendere anche il sistema elettorale.
I dieci comandamenti e i regolamenti comunali italiani non sono costituzioni, perché contengono solo divieti, mentre i regolamenti e le sanzioni sono previsti da altre norme; gli statuti reali erano costituzioni concesse unilateralmente dal re, con pochi diritti per i cittadini, invece le costituzioni moderne sono deliberazioni di organi in rappresentanza di cittadini; comunque, la costituzione non va intesa necessariamente come legge democratica e rispettosa dei diritti dei cittadini.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it
Fonti storiche:
“STORIA UNIVERSALE – VOL. I - L’ETA’ ANTICA E LA GRECA” Istituto Geografico De Agostini – Novara,
“STORIA DEL MONDO ANTICO – VOL. IV – PERSIA, GRECIA E IMPERO ATENIESE” Università di Cambridge – Garzanti Editore.
Tutti i popoli sono stati nomadi, spostatisi per il pascolo, per la carestia e perché spinti da altri popoli; spesso si sovrapposero a popolazioni sedentarie agricole e le resero loro schiave. I nomadi non avevano un patto con lo stato ma con il capo di una tribù, che era anche loro comandante militare, non erano legati a un territorio ma al bestiame d’allevamento, poiché privi di carcere, applicavano la pena di morte con frequenza, le pene minori erano la mutilazione, il risarcimento e il bando. Sono stati nomadi i dori, gli arabi, gli ebrei, i germani, i mongoli, gli slavi e tutti gli altri popoli, alcuni, come i beduini arabi, lo sono ancora.
Tra il 50° e il 36° parallelo, dall’Ungheria all’Asia, vivevano tribù nomadi ugro-finniche, di razza mista mongola e indoeuropea, in Cina gli Unni furono respinti sotto la dinastia Hia (2206-1766 a.c.) e dall’imperatore Suan (827-781), però all’inizio dell’era cristiana sconfissero i romani. Attraverso il Caucaso arrivarono cassiti, indoeuropei, mitanni, medi, cimmeri e sciti, i medi giunsero in Persia nel IX secolo a.c., nell’VIII secolo a.c. arrivarono gli sciti che costrinsero i cimmeri a lasciare le loro terre, poi si scontrarono con il re assiro Sargon II (722-705 a.c.).
I cimmeri invasero l’Asia Minore, distrussero la Frigia e nel 652 a.c. uccisero re Gige di Lidia, allora la Lidia si alleò con le città ioniche d’Asia, però il dominio dei cimmeri non durò a lungo, gli sciti li soggiogarono e si spinsero con le loro incursioni fino in Egitto, parteciparono alle guerre tra assiri, medi e babilonesi; i medi erano alleati con i babilonesi e gli sciti con gli assiri. Dopo la rovina dell’Assiria, i medi sconfissero e respinsero gli sciti, a loro ricordo rimase la città di Scitopoli in Palestina, oggi Beisan.
Il nomadismo nasceva dalle necessità di seguire le mandrie che avevano bisogno di nuovi pascoli, come carnivori e cacciatori seguono gli erbivori e così si diffondono, il nomadismo si sposta con le necessità degli armenti, richiede meno lavoro dell’agricoltura e perciò il nomade accetta la vita nomade. Gli stati sedentari vivono sul lavoro dei sudditi, mentre le tribù nomadi sul bestiame che si sposta in cerca di pascolo, però ne nascono rivalità fra tribù nomadi e popoli sedentari agricoltori; il mito ebraico di Caino e Abele nacque da ciò, Abele era pastore perché gli ebrei erano nomadi.
I nomadi erano allontanati dai pascoli dalle tribù vicine e dalla carestia, quando conquistavano terre coltivate diventavano esattori dei contadini indigeni e sedentari; le tribù erano sopraffatte da sempre nuove orde in cerca di terre da pascolo, questi nomadi si spostavano con carri e con tutte le famiglie. Qualche volta i nomadi con le loro pecore trasformarono terre agricole in terre da pascolo o terre semidesertiche perché le pecore, diversamente dalle mucche, brucano erba assieme alle radici; pare che i tartari trasformarono la Russia meridionale da paese agricolo in paese pastorizio ed oggi anche in Asia centrale, Iran e Asia Minore esistono nomadi dove prima fioriva l’agricoltura.
Gli sciti erano nomadi che vivevano tra Danubio, Volga, Don e Dnepr, erano gente di stirpe mista finnica e caucasica, imparentati con Traci, abitanti di Crimea, slavi, i magiari, mongoli e iranici; provenienti dalle steppe, si stabilirono nella Russia meridionale, da loro discendono osseti e sarmati, parlanti dialetti iranici e afgani. Il movimento degli sciti si sviluppò nel VII secolo a.c. e alla fine fallì.
Gli sciti erano in parte iranici in parte unni, avevano pochi peli e la pelle rossastra, erano mongoli con sangue iranico come gli Uzbechi. Gli sciti dipendevano dai loro animali, soprattutto cavalli, che mungevano e castravano, allevavano anche bovini, pecore; cacciavano, coltivavano grano e altri vegetali, bevevano vino e avevano tende su carri grandi come padiglioni. Avevano cappotti, braghe e stivali, portavano berretti a punta e gioielli d’oro, la loro arma principale era l’arco, avevano corazze come quelle dei sarmati, conoscevano il ferro, usavano le selle ma non le staffe, collezionavano scalpi, le donne sciite erano rinchiuse nei carri.
Il nomadismo riguarda anche i popoli marinari colonizzatori, razziatori e i pirati. Al tempo del faraone Ramesse III (1205-1180), Siria, Palestina e Fenicia furono attaccate dai popoli del mare, in quell’epoca cadde anche l’impero hittita, questi invasori avevano carri da guerra e portavano elmi piumati; questi popoli diedero vita ai filistei di Palestina, ai siculi di Sicilia, ai danuni di Cipro e della Cilicia, ai sardi di Sardegna; provenivano dall’Egeo ed i loro elmi erano simili a quelli trovati a Micene. Gli sherden o sardi divennero come i filistei un corpo mercenario dell’esercito egiziano.
La ceramica filistea veniva da Cipro, filistei e sherden furono catturati e i primi furono impiegati come guarnigioni egiziane in Palestina, i secondi come mercenari in Egitto; oggi si sa che anche i cinesi ricevettero dai persiani dei soldati romani catturati in guerra e ne fecero dei soldati di guarnigione ai confini dell’impero. I filistei crearono fortezze a Gaza e Ascalon e poi si resero indipendenti dall’Egitto e furono sconfitti definitiva menta da Davide.
I popoli del mare, di schiatta diversa e tra i quali esistevano anche pirati e libici, si divisero la costa della Palestina, a sud di Gaza vi era un insediamento cretese ed anche Davide aveva mercenari cretesi. I filistei venivano dalla Lidia e si dicevano di origini cretesi, provenivano dall’area sudoccidentale dell’Asia Minore, erano un popolo pelasgico e una federazione di popoli diversi, anche achei, micenei e dori.
Egiziani e principi cananei lottarono contro la penetrazione di questo popolo, nel 1234 a.c. i popoli del mare distrussero la città di Ugarit in Fenicia e occuparono la valle del Giordano poi, all’inizio del X secolo a.c., i filistei furono sconfitti dalle truppe del re di Tiro e del re di Israele. I filistei costituivano una confederazione ed erano governati da cinque signori riuniti in consiglio, lavoravano il ferro e i loro artigiani erano riuniti in corporazioni simili a quelle fenicie di Ugarit.
I filistei occupavano la costa e gli israeliti le colline della Palestina, gli aramei occupavano la Siria orientale, i fenici Tiro, Sidone e Byblos; la potenza marittima dei fenici si sviluppò alla fine del XIII secolo a.c., dopo la distruzione dell’impero hittita, che aveva avuto il monopolio della lavorazione del ferro, e dopo il crollo della potenza micenea; però rimanevano le gesta piratesche dei popoli egei del mare che minacciavano tutti.
A quel tempo, le corporazioni erano sotto la protezione dei principi e fornivano capitali e protezioni contro i pirati; allora i termini fenicio, Canaan e mercante di tessuti di porpora erano un po’ sinonimi. Tra fenici e filistei il potere era tenuto dal re e dal senato degli anziani, esisteva però rivalità tra Byblos e Sidone e Byblos accettò la sovranità egiziana per difendersi da Sidone, Tiro fu fondata da Sidone. Per gli egiziani la terra di Ophir comprendeva Eritrea e Somalia, la Nubia era il Sudan e la terra di Cus era l’Etiopia.
Al tempo del faraone Ramesse III (1200 a.c.), i popoli del mare attaccarono anche l’Egitto, Tiro e Sidone furono distrutte dai popoli del mare e poi ricostruite; prima dell’irruzione dei filistei, che erano uno dei popoli del mare, esistevano colonie fenicie in Sardegna e a Cipro, fondate nel X secolo a.c. come Cartagine. A quel tempo, i fenici fondarono anche la città di Gades o Cadice in Spagna, la loro espansione fu favorita dalla distruzione dei filistei ad opera di Davide nel 975 a.c.; i filistei avevano conquistato la Palestina nel 1050 a.c., ma Hiram, re di Sidone e Tiro, si alleò con Davide e i filistei furono distrutti.
Cipro era stata scoperta dai minoici e dopo il 1400 a.c. fu raggiunta dai micenei, ebbe rapporti commerciali con la Palestina; allora le colonie subivano gli attacchi di pirati, perciò hittiti, amorriti, ebrei e alcune città stato d’Asia si salvarono accettando il protettorato egiziano. I pirati popoli del mare devastarono le coste della Siria e in Palestina, nel 1194 a.c. furono fermati sul Delta dal faraone Ramesse III, tra essi i filistei s’insediarono ad Askalon ed a Gaza.
I popoli del mare erano fatti da libici, frigi, lidi, cari, achei, micenei, sardi, filistei, fenici, ciprioti, lidi, lici e cilici, erano chiamati dagli egiziani, popoli del mare, perché abituati a navigare ed alla pirateria; come accadeva con le orde barbariche e nomadi di terra, erano di diverse culture e per la preda, combattevano assieme. La dominazione filistea in Palestina durò fino a Davide, i filistei provenivano da Creta e Cipro ed erano alleati con ioni, cari e lidi. Nell’800 a.c. Tiro fondò Cartagine, Cadice fu fondata da Sidone, la Fenica era stato protettorato egiziano, dall’876 all’846 a.c. le città fenicie furono prese dagli assiri, ma Cartagine rimase indipendente.
Nel 1100 a.c. l’Italia fu invasa da popoli dell’Europa centrale, a nord si praticava la cremazione e a sud l’inumazione, i villanoviani crearono la base della popolazione etrusca, però n Italia meridionale si è trovata ceramica micenea. La Sardegna fu abitata fin dalla fine del IV millennio a.c.., i primi insediamenti fenici avvennero nell’VIII secolo a.c. I nuraghe nacquero dal 1500 al 1400 a.c., gli sherden egei, dal 1400 al 1190 a.c. avevano combattuto contro l’Egitto e poi si stabilirono in Sardegna.
All’epoca di Ramesse III (1198-1166 a.c.) invasero il Delta assieme ai filistei; venivano dall’Asia Minore, da Sardis e dall’isola di Chios e diedero vita alla cultura nuragica. I mezzogiorno della Francia venne a contatto con greci e fenici, nel 600 a.c. i focesi fondarono Marsiglia, nel VI secolo a.c. ci furono contatti con gli etruschi. I romani vennero in aiuto dei focesi e scacciarono i celti da Marsiglia, facendo nascere la provincia della Provenza, nell’VIII secolo a.c. i fenici fondarono in Andalusia Gades o Cadice.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it, numicco@tin.it
Bibliografia:
“Storia del mondo antico” Vol. III – Università di Cambridge – Garzanti Editore
(Osservazioni e commenti sono miei)
Micene fu distrutta nel 1300 a.c. e nel 1050 a.c. scomparve la civiltà micenea, poi ci furono movimenti di popoli. Il mondo miceneo comprendeva Micene, Peloponneso, Attica con Atene, Corinto, Tessaglia, isole dell’Egeo, in parte Creta occupata dai micenei, Dodecaneso e Mileto in Asia Minore; alla fine del XIII secolo questo mondo fu invaso da popolazioni doriche, si salvarono solo le isole dell’Egeo e la Tessaglia, poi ci furono emigrazioni verso il mediterraneo orientale, Cilicia e Cipro, dove arrivarono i profughi da Creta e dall’Argolide micenea.
Nel 1191 a.c. Ramesse III aveva fermato i popoli del mare, provenienti dall’Egeo e da Cipro, tra loro erano i Filistei che si stanziarono nella Palestina meridionale costiera, nel 1200 a.c. la distruzione di Cipro fu attribuita a invasori venuti dal mare. Creta ricevette profughi e ne inviò a Cipro, la tradizione micenea fu conservata dai canti epici e dalla tradizione orale dell’Argolide; prima di Troia, Tebe fu presa dagli epigoni e alcuni guerrieri micenei combatterono sia alla presa di Tebe che di Troia.
Secondo una tradizione, il greco miceneo Mopso partecipò alla guerra di Troia (1200 a.c.), si stabilì in Panfilia e i suoi discendenti arrivarono in Cilicia, Siria e Fenicia (1190-1180 a.c.), suo figlio era detto re dei danuni; per Omero i danai erano i greci. Negli anni precedenti la guerra di Troia, altri greci emigrarono a Rodi, secondo una tradizione, discendenti di Eracle e di suo figlio Tessalo presero parte alla guerra di Troia.
I dori, pastori di ovini, furono chiamati tali solo dopo la loro marcia verso il Peloponneso e presero il nome dalla regione Doride, venivano dalla Macedonia, la terra di Alessandro, e dall’Epiro; sotto Illo, uno dei figli di Eracle, combattevano i micenei. Raggiunsero la Doride nella seconda metà del XIII secolo a.c., guidati dagli Eraclidi, alleati con gli ateniesi, e sconfissero Micene. I beoti loro alleati occuparono la Cadmea o la Beozia, il territorio di Tebe, fondata da Cadmo che, nel mito, perì nella guerra di Troia.
Gli eraclidi erano discendenti di Eracle e degli achei discendenti da Perseo re di Micene, guidarono i dori attraverso Epiro e Macedonia, allora i micenei dell’Argolide colonizzarono Rodi. I dori arrivarono a Creta, Dodecaneso, Rodi, Tessaglia, ne facevano parte tre tribù, Illei, Panfili e Dimini, poi Dori e eraclidi occuparono il Peloponneso. Nel 1200 a.c. alla guerra di Troia non presero parte né dori, né eraclidi, nel 1220 a.c. i dori presero il Peloponneso, spingendo avanti altre tribù.
Nel 1140 a.c. ci fu l’arrivo in massa di tessali e beoti, che occuparono Cadmea o Beozia, i tassali erano condotti dagli eraclidi ed i beoti erano legati agli spartani, i dori erano arrivati nel Peloponneso con navi condotte da eraclidi, diretti contro Micene, poi arrivarono in Arcadia e a Creta. Gli invasori furono aiutati dal declino della potenza micenea, la lunga guerra di Troia era stata causa di molte rivoluzioni; i dori sconfissero gli achei, presero Argo e Pylos, si spinsero verso Sparta e, diventati marinai, verso l’isola di Thera, fino a Rodi, Creta e Dodecaneso.
I dori presero il controllo delle campagne, però per la terra combatterono anche tra loro, Corinto dorica fu nemica della doride Argo, poi sferrarono un attacco contro l’Attica, ma non riuscirono a prendere Atene, in precedenza loro alleata contro Micene. Alla vigilia dell’invasione i dori erano condotti da tre sovrani eraclidi, secondo una tradizione, il re dei dori, Egimio, che aveva due figli, adottò Illo, figlio di Eracle, alleato dei dori, i tre figli diedero vita alle tribù di Illo, Panfilo e Dimante, un altro figlio di Eracle era Tessalo, che diede il nome ai tessali; gli altri due re tribali non erano eraclidi, però con la seconda invasione tutti e tre i re erano chiamati eraclidi.
Gli spartani dicevano di discendere da Panfilo e degli eraclidi, comunità miste affermavano di discendere dalle tre tribù, nacquero centri dorici indipendenti e, dopo la conquista, i legami tra i tre regni si allentarono; i dori adoravano Zeus e a Sparta si adorava Zeus, a Delfi il culto di Apollo era anteriore all’invasione dorica e poi fui adottato anche dai dori. Tra gli altri invasori, i tessali erano guidati dagli eraclidi, che introdussero in Tessaglia la servitù della gleba, nel loro cammino spazzarono i micenei e crearono quattro baronie; i beoti s’insediarono a Tebe in Beozia e si arrestarono ai confini dell’Attica, il terzo popolo minore invasore, gli Elei, stabilirono ad Olimpia il culto di Zeus ed Hera.
Quindi, la servitù della gleba fu un’istituzione premedievale, nasceva a vantaggio di capi tribù nomadi che si appropriavano di terre agricole di popoli indigeni, resi servi, è accaduta anche in Europa dopo la caduta di Roma. In Macedonia il re, spesso un capo tribù, aveva il possesso della terra, anche al tempo di Alessandro, in origine anche i dori avevano questa concezione. L’unica regione del Peloponneso che rimase indipendente fu l’Arcadia, però nel 1350 a.c. diversi arcadi si erano trasferiti a Cipro. Il dialetto eolico derivava da Eolo, figlio del miceneo Elleno, questo dialetto si conservò nella regione di Micene, gruppi di achei rimasero in Acaia, vicina all’Arcadia, mentre gli ioni si rifugiarono in Attica e da lì fermarono l’avanzata di beoti e dori.
Gli eoli erano arrivati in Tessaglia e Beozia nel II millennio a.c., furono scacciati dai dori e si stabilirono in Asia Minore, a Lesbo, Anatolia ed Eolide. Nel 1080 a.c. i primi profughi micenei arrivarono dall’Acaia ad Atene, le famiglie reali del periodo miceneo erano date da pelopidi, perseidi, eraclidi, ecc.; quando i Tessali invasero la Tessaglia, gli eoli espatriarono e gli ioni si stabilirono nell’Attica, perciò l’emigrazione eolica precedette quella ionica, nel 1050 a.c. ci fu l’attacco dorico ad Atene.
Dopo la caduta del mondo miceneo, in Grecia ci fu l’epoca oscura, la rinascita avvenne alla fine dell’VIII secolo a.c., i greci penetrarono in Asia Minore e nel VII secolo a.c. cominciarono ad incontrare ostacoli nella penetrazione verso l’interno. L’insediamento eolico iniziò nell’isola di Lesbo che nel V secolo a.c. aveva cinque città indipendenti, tra cui Mitilene; secondo la leggenda un nipote di Eolo era chiamato Lesbos, altre spedizioni eoliche avvennero nell’Eolide, in Asia Minore; dopo la guerra di Troia, ci furono altre migrazioni verso l’Egeo.
Le città greche della Deolide meridionale, sul continente asiatico, furono fondate durante l’epoca oscura, però Lesbo era già stata colonizzata dai greci micenei, prima della guerra di Troia, altri ne affluirono dopo la guerra e dopo il collasso del mondo miceneo. Erodoto narra che c’erano dodici città eoliche in Asia, tra cui Smirne, che poi nel VII secolo a.c. cadde nelle mani degli ioni, l’insediamento eolico della dodecapoli della Deolide meridionale risaliva al 1000 a.c.; all’interno abitava il popolo dei Misi che aveva pochi rapporti con i greci che si raccoglievano nella fascia costiera.
Nell’VIII secolo a.c. i greci di Mitilene occuparono la Troade, Mitilene stabilì colonie eoliche anche nei Dardanelli. Le colonie ioniche dell’Egeo si diressero verso le isole di Samos, Chios, nel golfo di Mileto in Asia Minore, anche Smirne divenne colonia ionica; la colonizzazione si diffuse nel V secolo, Atene era il centro principale dell’emigrazione. Atene e le città della Ionia avevano in comune feste e culti (Demetra) e dicevano di discendere da tribù ioniche, le rotte dei coloni erano organizzate da una città.
Già nel X secolo a.c. un’ampia colonizzazione ionica si ebbe soprattutto Mileto; prima degli ioni, quella regione era stata occupata dal popolo dei cari, forse cretesi e micenei mischiati con lidi, però esistevano insediamenti cretesi anche a Mileto, alcune città esistevano già in epoca preistorica cioè prima dell’arrivo degli ioni; Mileto era stato insediamento cretese e poi miceneo, nel XV secolo a.c. a Mileto la ceramica cretese cedette il posto a quella micenea e nel XIV secolo a.c. Mileto aveva un re acheo vassallo di quello hittita.
I coloni di Samos venivano dall’Argolide, il territorio di Argo, i focesi giunsero in Asia a seguito degli ateniesi, gli ioni si stabilirono a Smirne, ne cacciarono gli eoli e vi adoravano Dionisio, a Mileto i coloni ioni uccisero i cari e presero le loro donne come mogli; una storia simile al ratto delle sabine da parte dei romani. Nel XV secolo a.c. a Rodi esistevano insediamenti cretesi e nel XIV a.c. insediamenti micenei, la colonizzazione dorica dell’isola avvenne durante l’età oscura, cioè nel X o IX secolo a.c., quando i dori colonizzarono anche Creta.
L’eroe greco Altemene era considerato uno dei loro fondatori della colonia di Rodi, gli abitanti dell’isola di Knidos dicevano di discendere dai Lacedemoni arrivati da Sparta, altri insediamenti dorici erano di origine argolica; sul continente asiatico, Knidos fu la città dorica più forte, vi si facevano giochi in onore di Apollo, nell’VIII secolo a.c. l’isola fu occupata dai dori. In questi insediamenti esistevano anche abitanti cari.
Nel 360 a.c. Mausolo, satrapo persiano della Caria, costrinse i cari ad abitare in città, erano semibarbari e avevano come schiavi una popolazione locale non greca, generalmente i nuovi arrivati facevano schiavi i vecchi. I cari erano una popolazione indigena proveniente dall’Egeo, del gruppo livio e di lingua indoeuropea, erano buoni marinai ed erano appartenuti al mondo cretese e acheo; nel IV secolo a.c. adottarono lo stile di vita dei nuovi greci, si legarono a Mileto e divennero mercenari dei greci.
La costa meridionale dell’Asia Minore non era abitata da greci ma da Lici, ad oriente, in Panfilia e Cilicia, vi erano insediamenti achei, soggetti alle razzie dei pirati uomini del mare dell’Egeo e più tardi all’arrivo della diaspora micenea. Le città ioniche erano lungo la costa dell’Asia Minore, tra queste città erano Magnesia, Mileto e Smirne; intanto all’interno si stava formando il regno di Lidia, con capitale prima Midas e poi Sardis, che nel VII secolo a.c. minacciava la Ionia, Mileto e i suoi insediamenti fino ai Dardanelli.
Nell’VIII secolo a.c. all’interno dell’Asia Minore vi era stato il popolo dei Frigi, che si scontrarono con i cimmeri invasori e con le città ioniche. I proprietari terrieri della Ionia sfruttavano la popolazione locale a fini agricoli, nell’VIII secolo a.c. le vie marittime della Ionia conducevano in Siria, isola do Eubea, Corinto e Samos; nel 700 a.c., tra le città ioniche, nacque la lega di Panionion, che comprendeva dodici città che adoravano Poseidone.
Le città stato ioniche erano rette da monarchi, dai quali discesero le famiglie dei basilidi, arrivate anche in epoca bizantina, poi furono dirette da aristocratici proprietari della terra e quindi da tiranni. I signori della guerra, originariamente capi tribù, si facevano re per elezione da parte dei maggiorenti della comunità, quindi trasmettevano il loro titolo ai figli e creavano una dinastia ereditaria. Il governo aristocratico o oligarchico nasceva dalla ribellione dei nobili al re, la tirannide dalla degenerazione della democrazia popolare ribelle agli aristocratici.
Omero fornisce un quadro della fine dell’età del bronzo, la composizione è dell’VIII secolo a.c., però la guerra di Troia avvenne nel XIII secolo a.c.. In Grecia la scrittura scomparve alla fine dell’età del bronzo, con la distruzione di Micene, e ricomparve nell’VIII secolo a.c. con la scrittura alfabetica di derivazione fenicia; la tradizione poetica di Omero derivava da una tradizione in prosa e orale dell’età del bronzo. Omero non fece altro che raccogliere antiche tradizioni che integrò con episodi da lui inventati e poi poetò il tutto; questo processo è avvenuto anche per l’Eneide e per la Bibbia, peraltro non poetata.
Per gli antichi, con la poesia e la musica era più facile fare a meno della scrittura, perché riducono la fatica della composizione fatta su tavolette, forse Omero redattore finale dettò i poemi a un assistente che sapeva scrivere; dopo la loro nascita, i poemi furono modificati e integrati da altre mani, com’è successo per le sacre scritture, le variazioni avvennero dopo l’VIII secolo a.c. con interpolazioni rilevabili anche da cambiamenti di stile. I libri furono poi adottati da cantori e rapsodi, la forma definitiva si ebbe intorno al 700 a.c., conteneva un nucleo originale ampliato, opera di generazioni cantori, che si era originato da una vecchia tradizione orale.
La lingua di Omero è prevalentemente ionica, con forme arcaiche eoliche e cipriote, risalenti alla lingua di Micene, il crollo della civiltà micenea era avvenuto nel 1125 a.c.; la tradizione poetica fu portata in Asia Minore dagli emigranti, la poesia orale era esistita prima della guerra contro Tebe e prima della guerra di Troia e conservò nei secoli successivi parole micenee, anche lo schema metrico era miceneo.
Agamennone di Micene era capo degli achei arrivati a Troia, però le altre tribù achee avevano altri re, le armi erano di bronzo, le città greche da dove partì la spedizione erano per la metà micenee, la maggior parte di esse fu abbandonata dopo la fine dell’età del bronzo, Atene sopravvisse all’occupazione dorica; del contingente facevano parte uomini di Tessaglia, Beozia e Peloponneso.
Solo una parte del materiale poetico deriva dall’età achea, nell’Iliade tutti gli eroi avevano un carro da guerra, impiegato però come tale solo dai greci post-micenei, che lo presero dagli hittiti, gli achei combattevano soprattutto a piedi, furono gli hurriti e hittiti ad impiegare i carri e ad insegnarne l’uso agli altri popoli. Il carro divenne uno degli elementi distintivi dei nobili successivi, che poi gli preferirono la cavalleria, davanti a Troia operava la fanteria.
Tuttavia la struttura della società omerica era achea, con l’invasione dei dori, gli achei sopravvissuti furono fatti schiavi dai dori e si ridussero a vivere nei villaggi, il basileus al tempo di Omero era il re o un suo alto dignitario, successivamente, significò anche sindaco, conte o sovraintendente; Omero non ci ha parlato del palazzo di Micene, che doveva essere importante, ma solo del palazzo di Odisseo.
Con l’incendio di Micene, avvenuto nel 1125 a.c. per mano dei dori, crollò la cultura achea dell’età del bronzo e gli achei sopravvissuti che non volevano essere schiavi cercarono scampo oltremare, quelli rimasti divennero gli schiavi iloti dei dori; Atene resistette ma in Grecia la cultura declinò e fu l’età oscura, nel 1050 a.c. si svilupparono le emigrazioni verso l’Egeo, intanto i dori s’integravano nel Peloponneso, poi nacque la cultura classica greca.
Il secolo XI a.c. fornì contributi importanti ai poemi greci e non mancarono contributi eolici, però i poemi di Omero sono poemi ionici, i dori affluirono anche a Creta e colonizzarono Rodi e Tessaglia, il loro eroe era Eracle; con una tradizione partente dal continente greco, gli aedi ionici avevano canti sulla guerra di Troia. Però, secondo una tradizione, Omero sarebbe stato originario di Smirne o l’isola di Chios, per cui la Ionia di cui si parla sarebbe la costa dell’Asia Minore e non l’Attica, regione di Atene.
Nel 725 a.c. l’alfabeto fu introdotto in Grecia, perciò i poemi erano stati in precedenza trasmessi oralmente, ripresi da rapsodi, recitatori e cantori, poi ad Atene, nel V o IV secolo a.c., fu redatto il testo definitivo, praticamente quando nacque la bibbia ebraica definitiva; però nell’VIII secolo a.c. i compositori già cantavano i poemi. Questi poemi rafforzavano i legami tra Grecia e colonie dell’Asia Minore, fondando una cultura comune e una poesia eroica che poi fu copiata da Virgilio.
Nel 1200 a.c. era caduto l’impero hittita, perciò gradualmente Troia, Knosso, Micene, Frigia, Lidia e Ionia greca divennero le potenze principali dell’Asia Minore occidentale; in Grecia il posto degli achei era stato preso dai dori, in Sira e Palestina dominavano Fenicia, Damasco, Israele, Giuda, Moab ed Edom, poi, con l’età del ferro, crebbe la potenza assira e l’espansione dei popoli aramei.
L’espansione coloniale greca era avvenuta soprattutto tra il IX e l’VIII secolo a.c., poi, nelle città greche della Ionia, la monarchia cedette il potere all’aristocrazia, però esisteva rivalità tra Mileto e Samos e i greci facevano anche i mercenari; dopo l’uccisione di Gige, i cimmeri calarono su Magnesia e su altre città ioniche, i lici erano loro alleati.
I cimmeri, provenienti dalla Bulgaria, erano arrivati nell’VIII secolo a.c. attraverso l’Ellesponto, contenevano più di un popolo ed erano differenziati dagli sciti, l’orda dei cimmeri cessò nel VII secolo a.c. quando a Sinope furono sconfitti dagli sciti; allora i popoli del nord erano chiamati genericamente traci. In Lidia, a Gige successe Alliatte, che attaccò Mileto e poi venne a patti con la comunità ionica, nel 590 a.c. si scontrò con i medi che calarono in Cappadocia e i lidi ebbero la meglio; al tempo di Creso, Lidia e Babilonia erano alleate.
Alliatte venne a patti con Mileto e prese Smirne, aveva rapporti con Efeso, Mitilene, Corinto e Atene; da Gige ad Alliatte, crebbe l’influenza greca a Sardis. A causa della minaccia lidia, le città greche passarono da un’organizzazione oligarchica alla tirannia, l’espansione coloniale greca era avvenuta in periodo oligarchico e democratico; i tiranni che vennero si diedero da fare per consolidare il loro potere a spese della democrazia. Quando la Persia s’impossessò della Ionia, sostenne le tirannie delle città ioniche.
Contro i persiani di Ciro, Mileto chiese aiuto a Sparta e, senza successo, un’alleanza politica delle città della Ionia, i focesi fuggirono all’isola di Chios, in Corsica, Cartagine, Etruria e Calabria; con un’emigrazione di massa concentrata avrebbero potuto strappare la Sardegna a Cartagine. Le altre città della Ionia riconobbero i tributi ai persiani, fornirono truppe, ricevettero tiranni di nomina persiana, le città delle isole e della costa, Chios e Lesbos aderirono alle imposizioni persiane e le città ioniche furono sottoposte ad un satrapo persiano; nel 540 a.c. in Anatolia, Lidia, cari, lici, cilici, dori, ioni e eoli pagavano tributi ai persiani di Ciro.
Dopo l’età buia dell’invasione dorica si ebbe il rinascimento ellenico, con la rinascita di Corinto e Sparta, città doriche come Argo, i dori occuparono il Peloponneso, erano alleati con gli elei, quasi simili a loro, mentre gli achei sopravvissuti si diedero alla macchia, emigrarono, furono fatti schiavi o si stabilirono in Acaia, vicini a Corinto. Argo era la corrispondente dorica di Micenee, i fondatori di Sparta venivano dall’Argolide, da Argo presero le mosse gli argonauti e le dodici fatiche di Ercole. Gli argonauti arrivarono al Ponte Eusino, in Adriatico, a Megara e Corinto; Argo ebbe navigatori, fondò con Megara, Bisanzio, poi si scontrò con Sparta per il controllo del Peloponneso e perse.
L’Arcadia aveva una popolazione predorica e occupava il centro montuoso del Peloponneso, confinante con il territorio degli Elei; con l’arrivo dei dori, parte della popolazione emigrò a Cipro, a Pilo era il regno di Nestore che tentò di resistere ai dori; l’Arcadia fu tagliata fuori dal progresso, vi si adorava il dio Pan dall’aspetto caprino, c’era la passione della musica e dei giochi, alcuni dei suoi abitanti arrivarono a Siracusa. Nel 365 a.c. gli arcadi occuparono Olimpia.
In Grecia la nobiltà era ereditaria e raggruppata intorno a re eroici, alla metà dell’VIII secolo a.c. gli eubei iniziarono la colonizzazione e stabilirono contatti con Asia Minore e Sicilia; il centro di gravità si spostò da Argo a Corinto, sotto la dinastia dei Bacchiadi, che nell’VIII secolo a.c. cedettero il posto all’aristocrazia di famiglie che si sposavano al loro interno, per evitare che la proprietà della terra si disperdesse.
I milesi arrivarono all’Eusino e a Sinope, nel 750 a.c. i corinzi, sotto la dinastia dei Bacchiadi, colonizzarono Cuma, nel 734 a.c. fondarono Siracusa, costruirono navi e, assieme all’isola di Eubea, colonizzavano il nuovo mondo. Megara, rivale di Corinto, nel 730 a.c. fondò una colonia in Sicilia, chiamata Megara, in Asia condivise con Mileto parte delle terre dei cimmeri, nel 660 a.c. fondò Bisanzio.
In Italia l’Acaia fondò Crotone e Sibari, i messeni predorici, sconfitti da Sparta, fondarono Reggio e Taranto; Messenia fu sconfitta e divenne terra dorica, i vecchi proprietari terrieri pagavano agli spartani, come pizzo degli indigeni, metà del prodotto della terra; Sparta rese servi i vecchi lavoratori della terra abitanti a Messenia, un processo analogo avvenne a Siracusa e in tanti altri posti del mondo, succedeva quando arrivavano nuovi popoli dominatori.
Sparta aveva anche i suoi servi iloti, che erano achei decaduti, a Sparta, con le conquiste, il ceto aristocratico dorico dei proprietari terrieri si rafforzò, mentre nel resto della Grecia e soprattutto ad Atene, con i commerci si sgretolava. Argo come Sparta aveva una monarchia ereditaria, fu la prima potenza del Peloponneso, poi contesa da Sparta, Corinto e Atene, che non era dorica. Argo corse in aiuto di Egina contro Atene e ne distrusse la potenza marinara, aiutò Megara contro Corinto. Nell’Argolide vi era il tempio di Hera e ad Argo Pheidon cominciò come re ereditario e costituzionale e divenne poi un tiranno.
Dopo il 660 a.c., i tiranni, seguendo l’esempio di Mileto e della Ionia, si stabilirono anche a Corinto, il loro potere poggiava sul popolo, mentre quello dei re da Dio, perciò alcuni tiranni, come accadde a Sikion, potevano venire dal popolo e non essere aristocratici dorici. Con lo sgretolamento della potenza argiva la tirannide arrivò anche a Corinto, nel 655 a.c. a Corinto, Cipselo divenne tiranno, il padre era un aristocratico dorico mentre la madre non era dorica; per ragioni forse edipiche, Cipselo rovesciò la nobiltà dorica dei Bacchiadi e Corinto divenne la prima potenza marinara di Grecia.
Cipselo era un demagogo che sapeva guadagnare l’appoggio popolare, era sostenuto dalla classe degli opliti, cioè da borghesi che non erano dori; Cipselo eliminò le famiglie Bacchiadi ed espanse il commercio di Corinto, nel 625 a.c. gli successe il figlio Perindros; una tendenza delle dittature è quella di trasmettere ai figli la carica, trasformandosi anche in monarchie ereditarie. Anche il tiranno di Mileto era stato spietato con l’aristocrazia, così ai vecchi re pastori del popolo, subentrarono oligarchie e tiranni; nel 632 a.c. Atene ebbe un tiranno e lo ebbe anche Megara.
La caratteristica di questi tiranni era l’ostilità ai grandi proprietari terrieri aristocratici, avevano nel loro programma la liberazione dei servi e la distruzione dei proprietari terrieri, in precedenza, la divisione di classe poteva contenere anche una divisione di razza.
Con la caduta dei cipselidi, la potenza di Corinto scemò, però nel VI secolo a.c. ad Atene, Clistene continuò a sostenere la lotta contro i dori e gli aristocratici terrieri e cacciò i rapsodi che cantavano di Argo, anche a Sikion era forte la tirannide antidorica. A Sparta la cittadinanza era divisa in tribù, vi erano servi e aristocrazia ma non tirannide, la sua aristocrazia era terriera, gli spartani combattevano iloti e democrazia, avevano contatti con la Lidia ed erano la roccaforte dell’ancien régime.
Tuttavia anche a Sparta il legislatore Licurgo propose delle riforme democratiche, cioè l’integrazione razziale, propose l’abolizione delle tribù doriche e la creazione di tribù basate sulla località, anticipando così la riforma di Clistene, propose reggimenti locali non basati sulla discendenza; insomma proponeva di sostituire le tribù locali, basate su razza e famiglie, con i distretti amministrativi; una volta cessata la vita nomade, che aveva caratterizzato tutti i popoli, questa evoluzione è avvenuta in tutti i paesi. A Sparta la cittadinanza dipendeva dal possesso della terra e dal pagamento delle tasse, la terra era inalienabile e la moneta, come valore illusorio, era vietata; i più alti magistrati erano eletti, le donne erano separate dagli uomini e i servi iloti coltivavano la terra.
Il legislatore spartano Licurgo propose di conservare la monarchia, di ridimensionare l’aristocrazia di sangue e di abolire le tribù doriche, a Sparta esisteva anche un’assemblea di uomini liberi e Sparta si diede il migliore esercito della Grecia; i tegeani indigeni, che avevano resistito ai dori, invece che iloti, divennero alleati. Gli spartani combatterono per i greci e per i persiani, crearono la lega spartana del Peloponneso, furono alleati dei lidi e ammonirono Ciro.
La storia di Atene e dell’Attica prende corpo nel VI secolo a.c. e arriva ad Aristotele (384-322 a.c.), come Licurgo e Clistene, anche lui propose una costituzione; Atene era predorica, eppure i poemi omerici ignorano Atene, la sua Acropoli era micenea, il porto del Pireo era la porta di Atene; però le fortificazioni preistoriche di Atene erano state realizzate dal popolo dei pelasgi. Gli ateniesi consideravano Ione un loro eroe nazionale, cioè un signore della guerra, e consideravano l’Attica la patria degli ioni d’Asia Minore.
Atene era originariamente divisa in quattro tribù, il dialetto attico conteneva elementi preionici, forse gli ioni vennero nell’Attica dalla Beozia. Ione e Teseo erano i condottieri degli ioni, poi gli ioni seppero fondersi con la popolazione indigena; l’Attica fece una coalizione o confederazione di dodici stati indipendenti, ci furono disaccordi, dal V secolo a.c. si celebrava l’unificazione dell’Attica in un solo stato, con trasferimento di sovranità dai vari centri ad Atene.
Il primo re ateniese fu Cecrope, che raggruppò l’Attica in dodici stati, come la dodecapoli greca dell’Asia Minore, in precedenza c’era stato un conflitto con la confinante Eleusis; il potere era in mano agli aristocratici, che avevano il diritto di voto assieme ai liberi; secondo la tradizione, l’unificazione fu realizzata da re Teseo, in realtà il processo fu graduale e andò dal 1000 al 700 a.c..
Il popolo di Atene era diviso in tribù, fratrie o confraternite e clan familiari, le fratrie erano alleanze o partiti e officiavano il culto, rappresentavano anche gruppi locali; solo i cittadini liberi potevano far parte di una fratria, le fratrie onoravano Dionisio e difendevano la proprietà. In Attica esistevano quattro tribù, ognuna formata di tre fratrie, le tribù divennero poi distretti amministrativi simili alla contea inglese.
Il re capo della tribù aveva potere militare e giudiziario ed era scelto tra la nobiltà, ogni fratria era divisa in trenta clan familiari, che includevano anche non familiari, erano corporazioni di mestieri, il primo clan era quello dei proprietari terrieri aristocratici. Poiché il centro del potere tende a restringersi in poche mani, i clan esercitavano un potere più grande delle fratrie e delle tribù, però il loro potere fu ridotto dai tiranni e da Clistene.
La lista dei re ateniesi non è autentica, Codro era l’antenato dei Codridi, un’altra famiglia reale era quella dei Metontidi, un’altra dinastia faceva capo ad Akastos, uno degli ultimi re, sostituito dall’arconato; l’ecclesia o assemblea popolare nacque al tempo del legislatore ateniese Solone (635-559 a.c.), il consiglio del re coincideva con l’Areopago. Solone non creò da solo la costituzione ateniese, ma fu preceduto da Draconte; l’Areopago apparve nel VII secolo a.c., era consiglio di stato, organo deliberativo, corte giudiziaria per i delitti, custode delle leggi, vi facevano parte le principali famiglie.
Con la riduzione dei poteri del re, nel VII secolo a.c. Atene era una repubblica aristocratica, il re era eletto e rimaneva in carica un anno, la funzione di comandante militare era riservata a un alto funzionario e la giustizia civile era in mano a un magistrato chiamato arconte eponimo; così la monarchia si era trasformata in un organo collegiale, aveva distribuito i suoi poteri. Dal 683 a.c. l’arconte divenne carica annuale, in precedenza, alla monarchia elettiva, in certi periodi, si era sostituita una dinastia dominante.
Il collasso della monarchia arrivò con la nascita del polemarco e dell’arconte eponimo, cariche attraverso le quali l’alta nobiltà esercitava il suo potere, l’arconte eponimo era magistrato in materia di proprietà e per la salvaguardia della proprietà, il polemarco era a capo dell’esercito ed era ancora più importante, gli arconti erano magistrati annuali. La nobiltà indebolì il potere del re, in precedenza era stato il basileus a rappresentare il re e il santuario di Eleusis era stato nelle mani del basileus.
Probabilmente l’unione dell’Attica aveva favorito la distribuzione dei poteri delle monarchie delle città stato, simili ai duchi delle città rinascimentali italiane, all’inizio gli arconti comprendevano arconte eponimo, il basileus e il polemarco, poi il loro numero fu portato a nove membri, con l’aggiunta di tre legislatori che avevano il compito scrivere e pubblicare gli statuti. La prima registrazione scritta delle leggi di Atene fu fatta da Draconte e così nacquero i codici.
Prima di Solone, i nobili giudici efeti esercitavano i processi per omicidio e autorizzavano i luoghi di rifugio per gli assassini, questa istituzione fu copiata dalla chiesa medievale che aveva le chiese come luoghi di rifugio. Prima di Solone, ad Atene esisteva la classe dei cavalieri, quella dei fanti o opliti e i lavoratori e i contadini, anche senza terra, le associazioni avevano carattere militare; poi fu affidata all’Areopago l’elezione di arconti, magistrati e funzionari e lo stesso Areopago era costituito da ex arconti. Gli ateniesi erano antagonisti dei dori e di Sparta, però in epoca arcaica, cioè tra l’VIII e il VII secolo a.c., Atene non prese parte ai movimenti colonizzatori, anche ad Atene esisteva servitù della gleba o perieci.
Durante il periodo arcaico, il confine della Grecia era segnato a nord dalla Tessaglia, una pianura circondata da montagne, i tessali vi immigrarono al tempo dell’immigrazione dorica, si sovrapposero alle popolazioni locali, tra cui erano gli achei, tassati ma liberi e a volte alleati, però nel bassopiano erano servi iloti pure achei, obbligati a coltivare la terra dei padroni dori. La popolazione dorica dominante era divisa tra demos e nobili, i primi erano uomini liberi con poca terra, i nobili latifondisti trascuravano industria e commercio, possedevano la terra e, si esercitavano alla guerra, i re scomparvero nel VII secolo a.c.. Le città erano state indipendenti sotto un re, nel VII secolo a.c. gli aristocratici presero il potere, durarono fino al 400 a.c. e crearono ad Atene uno stato federale cantonale; a capo di ogni cantone era un tetrarca elettivo, con funzioni militari, che rimaneva in carica per l’intera vita.
Le città del cantone avevano un’assemblea che eleggeva il tetrarca; durante una crisi, a capo del cantone era nominato per breve tempo un dittatore, la carica poteva essere rinnovata; il potere di imporre le tasse era associato a quello di arruolare truppe; in epoca federale i dittatori raccoglievano contingenti in ogni proprietà, la lega assunse forma definitiva nel 700 a.c., la cavalleria era reclutata tra i nobili.
Dopo il 600 a.c. la lega Anfizionica comprendeva tessali, achei, dori, focesi, beoti e ioni di Eubea, però nel consiglio i tessali potevano disporre di sette voti su dodici, nel 590 a.c. alla lega partecipò anche Atene, entratavi a vantaggio del santuario di Delfi; era scoppiata una guerra per abolire un pedaggio reclamato dalla città di Krisa ai pellegrini diretti al santuario. Dopo questa guerra, gli Anfizioni raddoppiarono i voti di ateniesi e dori al consiglio e il predominio sulla Grecia cadde nelle mani di Sparta.
La Beozia, il territorio di Tebe, era un territorio montagnoso, inferiore alla Tessaglia in ricchezze, con popolazioni eoliche come la Tessaglia, assieme a popolazioni ioniche; nel paese ci fu l’invasione beota, Eracle era stato il dio tebano e le città erano indipendenti; dopo il 550 a.c. Tebe unificò la Beozia in federazione e poi il potere passò in mano agli aristocratici. I diritti politici si basavano sul possesso della terra e la legge salvaguardava la proprietà con severe leggi di successione, i beoti coltivavano musica e poesia e influenzarono Omero.
Focesi e locresi appartenevano al gruppo eolico, i focesi arrivarono dopo e soggiogarono i locresi, prendendosi la terra migliore, assieme parteciparono alla lega Anfizionica, i focesi avevano il controllo delle Termopili. Nella Locride vi era un’assemblea di famiglie nobili che con una legge vietò la vendita di terre, i suoi abitanti, assieme agli euboici, colonizzarono l’Italia meridionale. I focesi avevano tentato senza successo di bloccare l’invasione tessalica; nel 590 a.c. la sede della lega Anfizionica fu trasportata a Delfi e i Tessali ebbero libero accesso alla focide; i Tessali, come i beoti, erano eoli, nel VI secolo a.c. l’assemblea federale dei focesi batteva moneta e designava i comandanti militari.
L’isola di Eubea era vicina al continente, non raggiunse l’unione politica è fu considerata terra ionica, era abitata da calcidesi e eretriesi, nell’VIII secolo a.c. i calcidesi fondarono in Italia meridionale Cuma e Napoli; dall’800 al 650 a.c. Eubea fu la prima ad iniziare il processo di colonizzazione, però dal VI secolo a.c. fu superata da Corinto e Mileto. Dal VII al VI secolo a.c. l’isola ebbe un governo aristocratico, interrotto da governi tirannici, nel 650 a.c. gli eretriesi colonizzarono le isole cicladi.
Tra l’VIII e il VII secolo a.c. le due città furono anche in guerra tra loro, i calcidesi erano alleati di Corinto, Samos e lega tessalica, gli eretriesi di Egina, Mileto e Megara; vinsero i calcidesi e il territorio di Eretria sul continente fu diviso tra Beozia, Atene e Corinto. L’alfabeto calcidese arrivò a Cuma e ispirò l’alfabeto latino. Delfi faceva parte della Focide e vi aveva sede l’oracolo di Apollo, anche a causa della sua posizione centrale, divenne la capitale spirituale della Grecia; il santuario di Apollo esisteva anche in epoca minoica, in precedenza vi era adorata la dea della terra.
Delfi deriva da delfino, una vecchia divinità cretese, i dori adoravano Eracle, ma accettarono anche Apollo, che era il Dio della divinazione e divenne il protettore della nazione greca; si consultava soprattutto interpretando i sogni, la risposta del Dio arrivava per bocca di una donna, Pizia, erede delle antiche sacerdotesse della terra.
Vapori tossici provenienti dalla terra favorivano queste illuminazioni, masticando anche alloro, si cadeva in trance, i sacerdoti di Delfi praticavano sacrifici umani, riconobbero le altre divinità e a Delfi ospitarono anche Dionisio. A volte i responsi di Apollo erano oscuri, però esortarono a liberare gli schiavi, si espressero a favore degli umili. Nel VI e V secolo a.c. nel tempio di Apollo si accumularono doni votivi ed ex voto.
Il tempio, con i suoi tesori, era tentazione costante di pirati e uomini d’armi; Apollo era considerato onnisciente in ambito geografico, cioè era utile ai navigatori, approvava anche la creazione di colonie da parte delle città, come fece papa Alessandro VI con spagnoli e portoghesi. Platone riconobbe in Apollo la fonte del sapere, la protezione degli Anfizionici fece divenire Delfi capitale della federazione, così la città fu posta al livello di Olimpia, dove si adorava Zeus; Delfi divenne seda della lega anfizionica, punto di raccolta nazionale e sede di una grande festa.
L’espansione minoica si era sviluppata a Cipro, Cilicia, Palestina e Delta del Nilo, caduta la civiltà minoica, gli achei fondarono città achee sul continente greco, in Asia Minore e in Italia meridionale; con la caduta della civiltà micenea, i greci dell’età classica fondarono colonie eoliche, ioniche e doriche in Asia Minore e in Italia meridionale, questo processo si sviluppò dal 750 al 550 a.c.
I fenici bloccarono l’espansione greca in nord Africa, Sardegna e Mediterraneo occidentale. La tradizione ricordava le imprese coloniali narrando di Argonauti e dei condottieri di Tessaglia, ricordando le imprese di Ercole contro le amazzoni, erano coinvolti i reduci della guerra di Troia e i colonizzatori che vennero con Cadmo, che era di origine cretese. Con la colonizzazione, si sviluppò l’ellenismo egeo.
I focesi arrivarono in Corsica e furono scacciati dai fenici, anche isole Baleari e Malta erano sotto i fenici, nel 709 a.c. Cipro fu presa dall’assiro Sargon II, vi si adorava Eracle Zeus e Baal, a dimostrazione di una certa influenza fenicia; però Cipro rimase indipendente quando i vicini caddero sotto i persiani. In Licia vi erano pirati di origine minoica che irruppero anche in Cilicia, anche Rodi partecipò alle ondate migratorie e bisogna ricordare che i mercanti marittimi erano spesso anche pirati, anche i tirreni facevano parte dei popoli del mare dediti anche alla pirateria.
I coloni della Ionia si mescolarono con lidi e cari dell’Asia Minore, Cadmo era ritenuto contemporaneo di Elleno e zio di Minosse, fondatore di Tebe, gli insediamenti minoici della Beozia iniziarono all’inizio del XIV secolo a.c. Mileto creò colonie in Ellesponto, colonie milesi e megaresi nacquero al dilà del Bosforo; i cimmeri, provenienti dalla Tracia, distrussero Sardis e si installarono in Crimea dove nel 634 a.c. arrivarono i milesi.
La Crimea non face mai parte della Scizia, Mileto ebbe successo nel Ponto; Thera e Samos ebbero loro colonie, i greci arrivarono a Valona in Albania; non solo Troia, ma diverse città, a causa delle invasioni di popoli, furono rifondate più di una volta. I pirati tirreni facevano concorrenza a quelli fenici, nel VI secolo a.c. un popolo parlante latino abitava a sud del Tevere, i fenici erano in Sicilia occidentale e i dori in quella orientale.
Gli achei partirono prevalentemente dal golfo di Corinto, gli etruschi erano avidi di merce greca e Sibari era debitrice di Mileto. In Campania arrivò gente da Rodi, nel 421 a.c. i sanniti misero a sacco Cuma, anche a Cuma erano pirati; generalmente i fuoriusciti fondarono città com’è accaduto in Usa e Australia; Gela fu fondata da dori di Rodi e Corinto. Nel V e IV secolo a.c. le città stato contenevano clan familiari, confraternite e tribù, la coesione interna veniva da un vincolo religioso e dalla fedeltà a un re, dai primi insediamenti nacquero roccaforti rettificate che divennero con l’Acropoli sede del governo.
All’inizio solo la roccaforte era chiamata polis, ai suoi piedi erano le case dei sudditi, fino al IV secolo a.c. ad Atene l’Acropoli era la polis. Gli esuli ed i migranti si fecero i pirati e briganti e, durante le razzie, provocarono la caduta di città, in Grecia eoli e ioni erano prevalentemente popolazioni predoriche, i dori presero Creta e Micene. Le città fondarono unità cantonali e poi confederazioni, nel Peloponneso i dori erano divisi in cantoni, ognuno dei quali aveva una città stato, i dori occuparono le terre migliori, lasciando quelle marginali ad altre popolazioni preesistenti.
Con l’arrivo dei dori, le città più importanti divennero, prima che s’imponesse Sparta, Argo e Corinto, però, al di fuori della Doride, in altri territori come la Locride, la Focide e la Beozia, non si ebbe distinzione tra conquistatori e conquistati, con minori conflitti razziali e sociali. In queste città la giustizia fu amministrata prima dal re e poi dagli anziani aristocratici, però vi era tanto arbitraria nelle sentenze, i nobili giudici di Beozia si aspettavano doni.
Esiodo ricorda che dall’VIII al VII secolo a.c. la giustizia fu una gara di disonestà e perciò nel VI secolo a.c., per ridurre l’arbitrio dei giudici, si introdussero le leggi, i codici e le costituzioni e si entrò nell’età dei legislatori. Anche l’esercito rifletteva le differenze di classi, la falange degli opliti era fatta di borghesi con i diritti civili, la cavalleria era fatta di nobili; i codici segnarono il trionfo dello stato su arbitrio dei giudici, su diritto naturale e consuetudini.
La mescolanza dei popoli cancellò l’esclusivismo delle tribù, le caste erano nate dai privilegi politici, fiscali e terrieri, le città stato avevano rifiutato ai non cittadini la proprietà terriera, il matrimonio con un cittadino e la carica di sacerdote; i greci erano uniti dalla religione, sfruttavano le popolazioni indigene e non ebbero una visione imperiale. L’aristocrazia rovesciò il re ma non sollevò il popolo; con la scomparsa della monarchia, scomparve anche l’assemblea degli uomini liberi o senato, però l’oligarchia allargò l’accesso alla sua classe; in precedenza aveva prevalso il diritto di sangue e di conquista, poi vi si poteva accedere anche con la ricchezza, comunque si fosse ottenuta; venne la democrazia e questa escluse dalla cittadinanza e dal voto donne, emarginati e stranieri. Poiché la classe dominante abusò del suo potere, per sfruttare il resto della popolazione, fu la rivoluzione che partorì i tiranni.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it, numicco@tin.it
Bibliografia:
“Storia del mondo antico” Vol. III – Università di Cambridge – Garzanti Editore
(Osservazioni e commenti sono miei)
Nel 1200 cadde l’impero hittita, le amazzoni erano forse loro sacerdotesse della dea della guerra, l’impero cadde a causa dei cavalieri frigi provenienti dalla Tracia; Priamo, re di Troia, era vicino ai frigi e la città, in uno dei suoi strati, fu anche incendiata dai frigi, lo stato frigio era costituito da una federazione di tribù; in frigi furono loro volta soppiantati, dai lidi e poi dai cimmeri, provenienti dalla Tracia, i cimmeri dagli sciti provenienti pure dalla Tracia. Tutti questi popoli venivano dal nord e dai Balcani.
Fino all’VIII secolo a.c. la Frigia dominava la Lidia e le città greche della costa ionica, i frigi inventarono cembalo e flauto e adoravano Cibele, avevano un alfabeto derivato da quello fenicio e parlavano una lingua indoeuropea, forse Esiodo era frigio. L’Anatolia era abitata anche da lidi che adoravano Artemide e Bacco, pare che il loro il tempio di Artemide era stato fondato dalle amazzoni, adoravano anche la dea madre; Erodoto fa risalire i lidi ad Eracle, anche i dori vantavano questa discendenza.
I lidi erano cavalieri ed inventarono la moneta metallica; un altro popolo dell’Anatolia erano i Lici, che colonizzarono le isole dell’Egeo più vicine, erano affini agli hittiti, erano navigatori e facevano parte dei popoli del mare che attaccarono l’Egitto al tempo di Ramesse III (1193 a.c.), la loro società era matrilineare, resistettero fino al IV secolo a.c. alla penetrazione greca in Asia Minore, poi frigi, lidi e lici furono spazzati dall’avanzata assira.
Gli stanziamenti greci in Asia Minore continuarono fino all’VIII secolo a.c., però nel 705 a.c. si impose il regno di Frigia e nel 685 a.c. il regno di Lidia di re Gige; in Cappadocia, la terra degli hittiti, e in Ionia si conservava il ricordo delle amazzoni, l’impero hittita era esistito nel XIII secolo a.c., e la Frigia era stata influenzata dalla civiltà della Cappadocia. Nel XIII secolo a.c. sulla costa esisteva una civiltà ionica, con la Lidia alle spalle.
I frigi provennero dalla Tracia ed erano simili agli armeni, nel XII secolo a.c. ci furono molti movimenti di popoli, i frigi si scontrarono con le amazzoni, che erano sacerdotesse guerriere e si emanciparono dagli hittiti di Cappadocia. La sposa di Priamo era una principessa frigia, i frigi dominarono l’Anatolia occidentale prima degli ioni, influenzarono i greci immigrati e la stessa Troade aveva influenze frigie.
Nel XII secolo a.c. la Lidia fu invasa dai cimmeri provenienti dal nord, cioè molto prima del saccheggio di Sardis, capitale del regno di Lidia, avvenuto nel 652 a.c., sempre ad opera dei cimmeri; la città era nata dopo la guerra di Troia ad opera dei frigi e poi divenne capitale del regno di Lidia. Durante il dominio frigio, i lidi erano loro alleati, i primi principi lidi a governare Sardis erano degli eraclidi, come gli spartani; erano indoeuropei arrivati all’inizio del XII secolo a.c., prima che i greci si stabilissero a Smirne.
La prima cultura lidia era di tipo costiero o cicladico, poi venne a contatto con quella ionica, i frigi avevano un alfabeto e fino al IV secolo a.c. la scrittura lidia prevalse su quella ionica. I lidi si emanciparono dai frigi; prima dell’invasione dei cimmeri, avvenuta nel 705 a.c., erano state poche le relazioni tra Lidia eraclide e città greche della costa. Nel V secolo l’ultimo degli eraclidi fu ucciso dal mermnade Gige, capo della sua guardia del corpo, che nel 685 a.c. divenne re di Lidia, fondando una nuova dinastia.
Per il complotto, Gige si era alleato con un cario, vecchio popolo dell’Anatolia, dopo qualche anno Gige dovette fronteggiare un’orda di cimmeri, chiese aiuto all’assiro Assurbanipal e ricacciò i cimmeri, poi, con un giro di valzer, si alleò con il faraone Psammetico I contro l’Assiria; nel 652 a.c. i cimmeri lo attaccarono di nuovo, lo uccisero e saccheggiarono Sardis, la sua capitale.
Gige, poiché voleva l’accesso ai porti, aveva fatto una politica ostile verso i vicini greci della Ionia, attaccò Mileto, Magnesia e Smirne, però diede permesso i milesi di fondare delle colonie nell’Ellesponto; le città greche furono sottoposte a sudditanza solo sotto il successivo re lidio Creso. La Lidia era ad oriente della Frigia, ne aveva ereditato la supremazia e i mermnadi erano ricchi.
Mitilene era stata minacciata dalla Lidia ma era in contrasto commerciale anche con Atene, come suo capo elesse un dittatore a tempo per dieci anni, gli ateniesi volevano strappare ai mitilesi e a Lesbos le chiavi dell’Ellesponto. Il tiranno di Mileto arrivò al potere nel corso della guerra con la Lidia ed era in rapporto con Corinto; Mileto stata per riconquistare la democrazia ma poi la Persia impose la tirannide alla città.
Creso salì al potere nel 558 a.c. sua madre era caria, suo padre sposò anche una donna ionica, i popoli di Asia Minore erano sotto influenza lidia, però i greci della costa, cioè ioni, dori ed eoli, erano generalmente sovrani, le città greche fornivano truppe agli altri paesi, ma non avevano guarnigioni o governatori stranieri. La Lidia iniziò a coniare le monete, poi imitata da Ionia, Samos e Mileto, fu il re di Lidia Alliatte, padre di Creso, a creare la prima zecca.
Allora le carovane erano agenti di commercio e Delfi si arricchiva con i voti fatti ad Apollo; Creso aveva rapporti con Atene e Sparta, era alleato dei medi e voleva annettersi la Cappadocia, a tale fine, consultò gli oracoli di Delfi e di Ammone in Egitto; Ciro invitò le città della Ionia a sollevarsi contro Creso, ma i greci avevano troppi interessi commerciali con Creso e gli fornivano anche mercenari, perciò rifiutarono. Ciro inseguì Creso fino a Sardis, allora alleata di Sparta, nel 546 a.c. Creso, figlio di Alliatte, ultimo re di Lidia, fu fatto prigioniero da Ciro e si suicidò, i lidi furono disarmati.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it, numicco@tin.it
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“Storia del mondo antico” Vol. III – Università di Cambridge – Garzanti Editore
(Osservazioni e commenti sono miei)
Nel XIV secolo a.c. gli hittiti crearono in Siria degli stati vassalli, alla fine del XIII secolo l’impero hittita di Anatolia era stato ridimensionato dai frigi e da altri popoli indoeuropei, però il colpo finale agli ultimi re hittiti venne dall’Assiria. A causa della massiccia presenza di popoli aramei, fatti immigrare a forza con le deportazioni dagli assiri, alla fine del X secolo in Siria nacquero piccoli regni arabizzati e l’aramaico divenne la lingua franca di Siria e Palestina.
Gli aramei erano beduini affini ai cananei e l’aramaico divenne la lingua di Damasco, perciò in Siria orientarle nacque una lingua affine al fenicio, al cananeo e all’amorreo e dal VII secolo subì l’influsso assiro-babilonese; come gli amorriti, che erano stati i semiti occidentali, gli aramei, erano un gruppo misto di ceppo semitico tra cui erano gli ebrei. Abramo era arameo ed esistevano aramei ad Ur in Caldea e nell’Elam, gli aramei erano nomadi beduini con cammelli; per la ragione bellica di stato, fecero una confederazione di tribù ed approfittarono prima del crollo degli imperi hittita ed egiziano e poi dell’impero assiro.
Quindi, gli aramei si spinsero verso Siria ed Eufrate, queste tribù erano in maggioranza formate da arabi e risiedevano anche in Assiria e a Babilonia. Nell’XI secolo a.c. Saul si scontrò con gli aramei, che furono sconfitti da Davide e Salomone e fu loro impedita ogni ulteriore espansione in Siria, nel X secolo a.c. gli assiri continuarono le campagne contro gli aramei di Mesopotamia. Il re di Damasco portava il titolo de re di Aram e degli arabi, invece gli armeni discendevano linguisticamente dagli hittiti.
Dalla metà del XIV secolo a.c. vi erano tribù semitiche di nomadi beduini aramei, dal 1100 al 1000 a.c. arrivarono alle rive del Tigri e all’Eufrate e alle frontiere di Babilonia e Assiria, gestivano le vie carovaniere e arrivarono ad Aleppo e Damasco, che divennero centri aramei, Fenicia e Palestina dovettero subire la loro pressione. Queste tribù si combattevano tra di loro e a volte erano federate, facevano razzie, controllavano le vie carovaniere e praticavano il commercio, erano in grado di ostacolare i commerci dell’Assiria; alcune regioni erano state ridotte allo stremo dall’invasione aramaica.
A volte gli assiri riuscirono a imporre un tributo alle tribù aramaiche, i conflitti nacquero a causa dei pagamenti dei diritti di passaggio, la sovranità assira su un territorio esisteva solo con il controllo delle strade di comunicazione e dei passi di montagna. Nell’885 a.c. gli assiri fecero guerra alle tribù aramee, usavano impalare, scorticare vivi e deportare i loro nemici, purtroppo però nel IX secolo a.c. l’Assiria, a causa delle guerre con i Caldei o Babilonia, era indebolita e così gli aramei s’impossessarono di Siria e Damasco.
Nel XIII secolo a.c. gli aramei erano già passati in buona parte dalla Mesopotamia alla Siria, nell’802 a.c. gli assiri entrarono anche a Damasco, dove il re di Damasco portava il titolo di re di Aram; le tribù aramaiche nomadi si curavano poco dell’autorità centrale, perciò ci furono campagne contro le tribù aramaiche di Babilonia e sul Tigri, il re assiro voleva stabilire un suo dominio su queste tribù irrequiete. L’aramaico, per i rapporti stretti con la Siria, era largamente usato in Assiria, il re assiro Ashurnasirpal aveva introdotto in Siria tanti aramei, gli assiri deportavano popoli come hanno fatto i turch. In era volgare in Israele, a causa di questa presenza, non era più parlato l’ebraico antico ma l’aramaico, con cui si redassero le sacre scritture ebraiche definitive.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it, numicco@tin.it
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“Storia del mondo antico” Vol. III – Università di Cambridge – Garzanti Editore
(Osservazioni e commenti sono miei)
Per quanto riguarda la storia di Israele, probabilmente Davide (X secolo a.c.) è un personaggio storico, però solo la tribù di Giuseppe fu in Egitto, poi, alle porte della Palestina, Giosuè divenne il capo della casa di Giuseppe, invase la Palestina e fece una confederazione con tribù locali. Un’iscrizione del faraone Merneptah del 1230 a.c. fa un accenno a Israele, che era forse il nome di una regione preesistente all’arrivo degli ebrei.
Giosuè non occupò rapidamente tutto Israele, la confederazione delle dodici tribù (numero simbolico per ebrei, semiti, greci antichi e altri popoli), si spartì il territorio, creando cioè distretti amministrativi, tuttavia pare che la tribù di Caino rimase fuori della lega, anche per questo il mito si diresse contro di lui; prima di Saul, anche Gedeone avrebbe potuto fondare una dinastia. Gli israeliti dipesero inizialmente da artigiani cananei e fenici, il potere era in mano ai clan familiari e l’unione fu favorita dalla religione e dai santuari di Sichem e di Silo.
Gli ebrei presero le loro leggi da cananei e da babilonesi, in materia di religiosa, agricola, di diritto di famiglia e di proprietà, le norme consuetudinarie erano legate alla religione, le feste erano legate al ciclo agricolo furono prese da Canaan; a Silo vi era un padiglione in cui era l’Arca, abbellita dai cherubini. Gli israeliti copiarono dai cananei la musica ed adorarono anche dei stranieri come Baal, Astarte, il vitello e il serpente.
Prima dell’invasione ebraica, in Israele si parlavano dialetti amorriti e cananei, la lingua ebraica nacque per fusione tra i vari linguaggi ed era imparentata con l’aramaico dei beduini arabi dell’est, poi arrivati in Siria e installatisi a Damasco; però Israele ebbe anche rapporti diretti con la civiltà accadica o babilonese o mesopotamica; Israele prese dai cananei proverbi e leggi, i cananei avevano una scrittura più vecchia di quella fenicia, che ispirò quella ebraica.
L’unità politica si raggiunse grazie ai potenti nemici filistei, perché in precedenza c’erano stati solo scontri con le tribù arabe di edomiti, medianiti e moabiti, i filistei avevano una classe di militari di professione e un comando unificato ed ereditarono la Palestina marittima dagli egiziani; all’inizio gli ebrei furono sconfitti dai filistei, l’arca cadde in mano ai filistei, fu distrutta Silo, gli ebrei furono disarmati, con il divieto di procurarsi il ferro, furono nominati governatori militari filistei in Isdraele e imposti tributi agli ebrei.
A causa della minaccia filistea, il signore della guerra Saul, della tribù di Beniamino, fu proclamato re delle tribù di Israele e sconfisse i filistei, allora Giuda non faceva ancora parte della confederazione, egli si presentò come salvatore e inviato da Dio; in Egitto il re era dio e a Babilonia la monarchia era un’istituzione divina, però in Israele la corona era conferita dai sacerdoti, i quali erano timorosi di perdere il loro potere, perciò conferivano la corona come un dono dio, anche il papa poneva la corona sul capo degli imperatori del sacro romano impero.
Il potere di Saul risiedeva anche nel fatto che era capo dell’esercito e, sentito il consiglio dei capi tribù, chiamava alle armi gli uomini abili, in origine tutte prerogative riservate ai capi delle tribù, con la confederazione c’era stato un trasferimento di sovranità. Saul era comandante supremo dell’esercito, dopo di lui, come capo militare, veniva il comandante dell’esercito suo cugino Abner. Insomma, i sacerdoti parevano retrocessi, anche Mosè era il condottiero e suo fratello Aronne, per tenere il potere in famiglia, era il capo dei sacerdoti, allora non esisteva la separazione dei poteri e la democrazia era una chimera.
Nel regno di Saba o Yemen e presso gli arabi esisteva un’assemblea tribale convocata dal re per promulgare leggi, lo stesso costume vigeva sotto Saul; dopo l’elezione di Saul, il sacerdote Samuele fu costretto ad accettare i poteri trasmessi a Saul dalle tribù e non era contento, aveva cercato inutilmente di allontanare il popolo dal desiderio di un re e il suo potere di chiamata alla leva, perché il potere di chiamare alle armi era allora la fonte del potere (I Sam VIII 11-18).
Da quel momento Israele era come Edom, Moab, Ammon, Filistea e regni aramei del nord, che già avevano un re e con i quali Israele si era confrontato. Con Saul, Davide e Salomone si sviluppò leva e soldati di professione, fino ad assoldare mercenari. Saul governò dal 1020 al 1000 a.c.; gli successe Davide, nato in Giudea, che aveva sconfitto Golia ed i filistei ed era diventato un esperto capo militare, capo dei mercenari, consigliere del re, amico dei suoi due figli, di profeti e sacerdoti.
Ad un certo momento Davide, per sfuggire a Saul, che era geloso di lui, fuggì e si rifugiò presso i filistei, si mise al servizio dei filistei ed ebbe il compito di difendere il loro confine dalle incursioni dei nomadi, poi, nel corso di una battaglia contro i filistei, Saul perse la vita, aveva un erede di cui il generale Abner era il tutore. Con il permesso dei filistei, che pensavano di farne un vassallo, Davide fu eletto re della tribù di Giuda, l’erede di Saul e Abner furono uccisi, forse a causa di un complotto, e perciò anche le tribù di Israele consegnarono la corona a Davide, i sacerdoti erano contenti.
Quindi Davide conquistò Gerusalemme di Giuda, la città dei Gebusei, e ne fece la capitale e il centro religiose dello stato unificato, il suo potere gli era stato concesso da Dio, cioè dai sacerdoti, era il re dei preti, anche se poi ricevette anche l’acclamazione dal popolo. Da quel momento si parlò di patto eterno tra Davide e Dio, probabilmente Davide seppe salvaguardare meglio di Saul gli interessi economici e di potere dei sacerdoti, che ora richiedevano anche un tempio maestoso a Gerusalemme, con ampi poteri e privilegi, mentre l’esercito, come potere alternativo, era ridimensionato.
Davide fu re di Israele e Giuda per 33 anni, con l’aiuto di maestranza fenicia di Tiro, si fece costruire un palazzo nella città di Davide, dove Salomone avrebbe eretto il tempio, sempre con l’aiuto dei fenici, dove sarebbe stata collocata l’arca, ripresa ai filistei. I filistei interpretarono la presa di Gerusalemme da parte di Davide come un suo tentativo di liberarsi dal vassallaggio, perciò ci fu il regolamento dei conti e, fortunatamente, Davide prevalse.
Da quel momento i filistei persero i dazi sulle vie commerciali di transito che attraversavano Israele, una via portava dall’Egitto alla Siria e al Libano, una al golfo di Acaba, una all’Asia Minore, una in Mesopotamia, una a Damasco e una in Arabia; lo scopo delle potenze confinanti era quello di assicurarsi il controllo delle merci che transitavano su queste vie. I sovrani garantivano i trasporti delle carovane dei mercanti e in cambio riscuotevano i dazi; con la vittoria definitiva di Davide sui suoi nemici, divennero tributari di Israele, Moab, Ammon, Edom, Aram-Damasco e forse le piazzeforti filistee.
Probabilmente fu solo allora che avvenne la definitiva divisione del territorio tra le dodici tribù, in precedenza, quelle terre erano appartenute a città stato cananee, le annessioni di Davide arrivavano ai confini della Fenicia e il re di Tiro era amico di Davide. Come accadeva nelle corti reali, la corte di Davide, a spese del popolo, ospitava il capo dell’esercito Joab, i capi dei sacerdoti, il sovraintendente alle corvée, il capo delle truppe mercenarie, alti funzionari, cancelliere, scriba reale, il maestro delle cerimonie, il ministro degli esteri, il segretario generale e il ministro dei lavori pubblici.
Davide aveva un harem ed era osannato, sacerdoti e profeti consenzienti, come un Dio, a corte arrivavano i tributi di popoli e sudditi, mentre il popolo aveva il peso della leva, delle corvée, delle guerre e delle tasse; perciò a Hebrom, in Giudea, Assalonne, figlio di Davide, si ribellò, però, grazie al sostegno dei sacerdoti, al momento la dinastia non cadde e a Davide successe il figlio Salomone, che sposò una principessa egiziana e costruì il tempio.
Dopo la ribellione di Assalonne, con la morte di Davide, Israele al nord, come atto di ribellione, fece re Geroboamo, però il paese era ancora unito, come unione personale sotto il figlio di Davide, Salomone. Salomone creò distretti amministrativi, monopoli commerciali, dazi, ampliò l’attività edilizia, costruì palazzo, tempio, fortificazioni, caserme e scuderie; ampliò rituali di corte, relazioni diplomatiche, commerciali e culturali, assunse mercenari di professione.
Gli uomini obbligati ai lavori pubblici, per non danneggiare l’agricoltura, erano chiamati a turni, però Israele aveva carichi più gravosi di Giuda, i dodici distretti erano stati creati per l’amministrazione e le tasse, delle quali beneficiavano soprattutto corte ed esercito; a capo di ogni distretto c’era un alto ufficiale. Anche allora esisteva una legge speciale per Gerusalemme capitale, poiché Gerusalemme era ricca di privilegi, al nord Israele si sentiva discriminata e sfruttata.
La regina di Saba fece accordi commerciali con Salomone e su certi commerci Salomone si assicurò il monopolio; grazie alle tasse di transito istituite dal padre sul traffico carovaniero, con l’aiuto di Hiram re di Tiro, si fece costruire delle navi stazionanti nel golfo di Aqaba, da dove partivano per Ophir e Saba. Salomone sfruttò miniere e fece attività edilizia, per gli artigiani si rivolse ai fenici, che fornivano anche legname di cedro, per il palazzo e il tempio. Il tempio aveva un altare e pannelli di legno applicati alle pareti, come si usava in Siria, aveva arredi, cherubini ed elementi egizi, babilonesi e siriani.
I cherubini erano figure fantastiche simili alla sfinge egiziana, con corpo di leone, testa umana e ali d’uccello, Salomone imitava modelli stranieri anche a corte; aumentò il numero dei dignitari, nominò un maggiordomo, mise nell’harem donne straniere, aveva tante mogli e concubine; ebbe doti letterarie come suo padre Davide, che scrisse i salmi, mentre Salomone si dedicò alla letteratura sapienziale, un genere erudito che lo faceva saggio di tutti i saggi, perciò la regina di Saba lo sottopose a enigmi.
Poiché non cessarono le discordie tra Israele e Giuda, dopo il regno di Salomone, ci fu la divisione del paese; tra le cause del dissidio, le spese militari e in opere pubbliche di Salomone, la maggiore tassazione a carico di Israele, i privilegi di Gerusalemme e le spese della corte di Salomone; tutti questi fatti portarono alla devoluzione del nord. Della maggiore ricchezza aveva beneficiato una classe ristretta, le masse non ottennero niente; le tasse e lo sfruttamento della provincia hanno sempre provocato rivolte e devoluzione, i borghesi o abitanti del borgo sfruttavano loa campagna, la capitale sfruttava la provincia, in una logica di sfruttamento piramidale.
Il tempio, con i suoi riti e le sue celebrazioni, si arricchì, c’erano state voci contrarie alla costruzione del tempio in pietra ed esso accelerò l’adozione di pratiche religiose cananee; perciò probabilmente Zadok era un gebuseo che assunto tra il clero di Geova, mentre Abiatar, sacerdote israelita discendente di Mosè e di Elia, fu deposto da Salomone; ma i sacerdoti se la legarono al dito.
Israele si ribellò anche a questo fatto, sosteneva di difendere la tradizione del culto prima del tempio, perciò, dopo la secessione, si dedicò ai santuari concorrenti di Betel e Dan, dedicati a Geova. I due regni erano uniti solo dalla fedeltà a Salomone, che non riuscì a ripartire equamente i tributi e a ridurre le tasse e le corvée, perciò al nord crebbe la rivolta e Geroboamo di Israele fu costretto a riparare in Egitto. Alla morte di Salomone gli successe suo figlio Roboamo che governò solo sulle tribù di Giuda e Beniamino; fortunatamente, la religione israelita sopravvisse al crollo di Israele nel 721 a.c., per mano assira e di Giuda nel 587 a.c., per mano babilonese.
Ezechia, re di Giuda, d’accordo con Babilonia si decise per la guerra all’Assiria, ma era contrastato dal profeta Isaia, che nella sua corte rappresentava il partito assiro. Come accade oggi, allora in Israele e Giuda esistevano partiti filo-egiziani, filobabilonesi e filo assiri; il re assiro Sennecherib prese Babilonia, la distrusse e poi la fece ricostruire, come fece l’imperatore del sacro romano impero Carlo V nel 1527, dopo il sacco di Roma ad opera dei lanzichenecchi.
Intanto negli anni 702-701 a.c. il faraone aizzava il re di Giuda, Ezechia, le città fenicie, Damasco e Filistei contro gli assiri; sfortunatamente, scoppiata la guerra, gli egiziani non fecero in tempo a far arrivare aiuti a Giuda; per tutelarsi, Ezechia assunse mercenari arabi e si chiuse in Gerusalemme, abbandonando la campagna agli assiri. Sennecherib prese le città fortificate, Ezechia si arrese e accettò di pagare un tributo, cioè di pagare la protezione mafiosa allo stato dominante.
Salomone (974-932 a.c.), per trovare alleanze, faceva matrimoni plurimi, divise il paese in dodici distretti amministrativi, favorendo Giuda nell’imposizione e nella spesa in opere pubbliche; alla sua morte, il nord fece la secessione; tra i re successivi di Israele, Asa (884 a.c.) pare sia nome arabo, questo pose la capitale a Samaria, che senza abbandonare Geova, si legò ai fenici e ai loro culti, come Baal, mentre a Gerusalemme il culto di Baal era bandito.
L’assiro Salmanasser III (859-824 a.c.) cercò di annientare i regni aramei, di Israele e di Damasco, rese tributari Tiro, Sidone e Damasco; perciò Israele divenne sostenitore di una lega antiassira, a Samaria e Gerusalemme i profeti e i sacerdoti facevano politica, influenzavano i re e seguivano un partito. Nell’822 a.c. in Fenicia una lotta intestina spinse alla fondazione di Cartagine, nel 732 a.c. cadde Damasco e gli assiri v’introdussero il culto di Ashur. Nel 722 a.c. cadde Samaria e Sargon II deportò 27290 persone, nel 715 a.c. v’insidiò arabi beduini, deportò israeliti in Assiria e Babilonia, mantenne però a Betel, città rivale di Gerusalemme, il culto di Geova. Questa politica distruggeva legami religiosi, sociali, familiari e politici, furono distrutti stati semitici ed aramei, si isolò Giuda e si aprì la strada agli sciti barbari.
I nomi dei territori, come accadde con l’arrivo dei dori nel Peloponneso, non furono cambiati, si fecero matrimoni misti con i residenti contadini israeliti e gli arabi edomiti entrati in Israele, divenuti samaritani, si convertirono a Geova. Però i Giudei si consideravano puri e provavano avversione per i samaritani; comunque, Giuda, sotto re Ezechia, divenne tributaria degli assiri e suo figlio Manasse, imitando Israele, era dedito ai culti pagani.
Nel 677 a.c. in Fenicia fu distrutta Sidone, i regnanti mandavano le figlie all’harem del re assiro; in Giudea, Amon, figlio di Manasse, fu ucciso dal ceto dei proprietari di terre, cioè aristocratici e clero, che ne temevano le riforme, e nel 637 a.c. misero sul trono suo figlio Giosia. A corte il partito filo egiziano si faceva sentire e Giosia era a favore di Babilonia. Giosia, caro ai sacerdoti, fece delle riforme religiose e nel 621 a.c., restaurando il tempio, scoprì un antico rotolo, forse il deuteronomio; ossequioso ai sacerdoti di Gerusalemme, voleva centralizzare il culto, legare religione e politica, contrastare il culto di Betel e i culti astrali assiri.
Alla battaglia di Megiddo contro gli egiziani, Giosia morì e il faraone Necao designò erede suo figlio Joachim, allora i sacerdoti di Gerusalemme erano egittofili. Con la vittoria di Babilonia, a corte c’era un partito filo egiziano e uno filo babilonese, il sacerdote profeta Ezechiele fu costretto all’esilio, tra i profeti, Geremia sosteneva il babilonese Nabucodonosor; Geremia ed Ezechiele vedevano in esso lo strumento di Dio contro Gerusalemme, che effettivamente nel 586 a.c. cadde e il re di Giuda, Sedecia, fu accecato, mentre i suoi figli furono uccisi, tempio e città furono distrutti, però a Geremia i babilonesi concessero la libertà.
Alcuni attribuivano le disgrazie al culto della regina del cielo o a Geova, il sincretismo religioso aveva spinto anche alla fede in divinità femminili. Giuda subì due deportazioni da parte dei babilonesi, nel 597 a.c. e nel 586 a.c., fu privata degli artigiani; però, tra i profughi o diaspora di Babilonia il culto di Geova fu conservato e in quella città nacque il Talmud o tradizione orale babilonese. Nel 539 a. c. cadde Babilonia e il re persiano Ciro autorizzò il ritorno, la ricostruzione di Tempo e città di Gerusalemme.
Tiro ed Edom errano invidiosi di Gerusalemme, gli edomiti furono vittime di spostamenti da parte degli assiri, a vantaggio di nabatei e di altre tribù arabe, però andarono anche a ripopolare Samaria. L’invidia nasceva anche dal fatto che il ritorno dalla diaspora dei notabili ebrei, implicava la restituzione delle terre agricole ai vecchi proprietari, questa prospettiva dovette creare disordini e malcontento. A Tiro e Israele i capi locali erano chiamati giudici, perché una volta la funzione legislativa si confondeva con quella giudiziaria, la mescolanza di popoli non aiutava la purezza religiosa, i samaritani erano disprezzati dai giudei, che si sentivano superiori agli idolatri, tanti ebrei erano sparsi tra Egitto e Babilonia.
A causa delle sue concessioni, Ciro fu chiamato pastore di Geova, nel 515 a.c. il re persiano Dario aiutò la ricostruzione del tempio, Zerobabele, discendente di Davide, doveva seguire la ricostruzione, sotto i riformatori religiosi Esdra e Neemia. Il re persiano Cambise protesse la colonia ebrea di Elefantina in Egitto, Dario era zoroastriano ma non un vero monoteista; gli ebrei soffrivano l’ostilità di egiziani, edomiti e samaritani. Probabilmente a Giuda ci fu un conflitto tra potere politico e religioso, e Zerobabele, discendente di Davide, sparì dalla scena, forse l’impero persiano, geloso delle sue conquisto e timoroso della rinata casa di Davide, favorì tacitamente questa soluzione.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it, numicco@tin.it
Bibliografia:
“Storia del mondo antico” Vol. III – Università di Cambridge – Garzanti Editore
(Osservazioni e commenti sono miei)
Gli assiri adoravano Ishtar e volevano controllare le vie commerciali, fonti di reddito per gli scambi; scorticavano, impalavano e deportavano i nemici, esponevano le mani dei vinti alle porte della città, è così nacque il costume della manomorta. Nel medioevo la mano tagliata del servo defunto era consegnata al padrone e inchiodata alla porta, nel diritto medievale europeo la manomorta era attinente alla successione e, per la chiesa, significava esenzione fiscale; in un secondo tempo, l’imposta di manomorta divenne imposta sostitutiva a quella di successione, a carico degli enti religiosi, oggi abolita in Italia. Sono tante le parole che nel tempo hanno cambiato di significato.
A quel tempo la carestia, naturale o indotta da guerra, portava al cannibalismo; i babilonesi, che successero agli assiri, adoravano Marduk ed erano amorriti orientali o accadici, mentre gli ebrei erano amorriti occidentali, in entrambi i popoli, dopo la morte del marito, la vedova sposava un suo fratello. L’anno assiro e quello babilonese cominciavano con l’equinozio di primavera.
Gli accadici di Babilonia erano una confederazione tribale guidata da un’aristocrazia militare che eleggeva per un breve periodo un re, comprendevano hurriti, caldei e cassiti, i primi furono assoggettati dagli hittiti, i secondi erano gli eredi dei sumeri della costa e i cassiti erano indoeuropei provenienti dai monti Zagros, riuscirono a impossessarsi di Babilonia, costituendovi una dinastia babilonese. L’Elam era una società matriarcale, il paese controllava parte della Persia e della Mesopotamia, fu smembrato e incorporato dall’Assiria; le contese tra stati nascevano dai tributi, dai privilegi e dai diritti di passaggio.
L’Assira aveva avuto anche il controllo della Siria, ove erano discordie tra le città stato, rese tributarie di Tiro, Sidone, Byblos e Tripoli, esigeva tributi senza tentare di governare i popoli sottomessi. L’Assiria si scagliò contro Israele e Fenicia, nel 734 a.c. attaccò la Filistea e prese Gaza; poiché Damasco e Israele erano alleati, Giuda si alleò con l’Assiria e nel 732 a.c. Samaria e Damasco furono prese dagli assiri. Da quel momento, la popolazione di alcune città prese dagli assiri, fu costituita da prigionieri deportati, il che alimentò l’antipatia dei giudei verso i samaritani.
In Assiria si parlava di origine divina del sangue reale, però non mancarono gli aspiranti al trono con sangue incerto. L’assiro Salmanassar, morto nel 722 a.c., impose tasse e lavoro obbligatorio alla città sacra di Ashur, prima esente, per questa ragione fu deposto e andò al potere Sargon II (720-640) del partito clericale; accadevano le stesse cose viste in Egitto e in Italia. Esisteva un contrasto tra militari e sacerdoti, visibile ancora oggi in oriente, stranamente però le costituzioni non includono esercito e clero tra i poteri dello stato.
E’da ricordare che in Egitto, in Assiria e Babilonia i sacerdoti accompagnavano gli eserciti in battaglia, gli alti ufficiali a volte avevano anche funzioni religiose, nel mondo cristiano è accaduta la stessa cosa con i vescovi in epoca medievale; alcuni vescovi, fatti santi, come San Martino e San Giorgio, erano condottieri militari, possessori di tanti schiavi e criminali di guerra. Allora nella Babilonia meridionale erano i caldei eredi dei sumeri, abitanti nella Babilonia marittima, invece a nord vi erano le tribù aramee, Babilonia era ostile agli assiri, però vi esisteva un partito filo assiro (queste cose le abbiamo viste in tutte le epoche e in tutti i paesi perché politici, partiti e informazione si vendono anche allo straniero e al nemico).
Poi Sargon II sconfisse Babilonia, scelse governatori capaci e creò stati cuscinetto, Frigia e Cipro divennero suoi tributari, deportò gli israeliti e impiantò a Samaria altre popolazioni e arabi, rese tributaria Gaza; nel 715 a.c. si scontrò con le tribù della penisola arabica che non volevano pagare i tributi. Però gli egiziani tramavano in Palestina, che una volta dominavano, perciò crearono una coalizione contro L’Assiria, tra Filistei, Giuda, Edom e Moab.
Nel 710 a.c. il paese degli aramei est del Tigri era ridotto a provincia di Sargon II, l’opposizione all’Assiria poteva venire solo da Babilonia, con la quale nel 705 a.c. esisteva però un’unione personale; Sargon II esercitò un duro dominio sui nomadi arabi del deserto. Eccetto che a Babilonia, il potere del re assiro Sennecherib era saldo, dal 705 al 703 a.c. il re abbellì Ninive, capitale dell’Assiria.
L’aramaico era largamente usato in Assiria per i rapporti stretti con la Siria e perché il re assiro Ashurnasirpal aveva introdotto in Siria tanti aramei; la corte assira conosceva l’antica la lingua morta sumerica e l’ebraico. Quando il popolo è analfabeta, a corte, anche se si è analfabeti, si conoscono più lingue, prima della rivoluzione francese, alla corte di Francia si conosceva lo spagnolo e l’italiano e alla corte inglese, il francese e l’Italiano.
Il re assiro Sennecherib fu ucciso da un suo figlio, che aspirava al trono promesso ad altro figlio, l’assassino si mise a capo dell’esercito e iniziò una guerra civile, perse e nel 680 a.c. successe al trono l’altro suo figlio Esarhaddon. Le incursioni contro l’impero erano ispirate dall’Egitto, allora il re di Assiria si alleò con gli sciti, che avevano scacciato i cimmeri, fece una campagna in Arabia e catturò la regina degli arabi, gli dei arabi erano custoditi da una sacerdotessa.
Nelle case reali e dove esiste il potere ristretto, si sono sempre ispirati i complotti, anche tra consanguinei, i complotti, i tradimenti e gli assassini sono stati normali in tutte le corti e in tutte le epoche, le potenze si sono sempre fatte le scarpe e hanno sempre trovato collaborazionisti prezzolati all’interno anche dei paesi nemici. Erodoto parla di una pestilenza portata dai topi a seguito di una campagna militare del 675 a.c., certe scoperte recenti pare siano scoperte antiche.
Gli assiri non si contentavano più di riscuotere tributi dalle città sottomesse, distaccamenti assiri erano nelle principali città, nel 674 a.c. gli assiri invasero il Delta egiziano e posero l’assedio a Menphis, l’Egitto fu punito perché aveva istigato i nemici dell’Assiria e il re di Assiria assunse anche il titolo di re dell’Egitto; Assurbanipal (669-626 a.c.) divenne re di Assiria e sventò delle pretese nubiche sull’Egitto.
Lo stato di vassallaggio di uno stato che ha perso una guerra, si riconosce dal pagamento di tributi o riparazioni rateizzate allo straniero, dalla presenza sul proprio territorio di distaccamenti militari stranieri, fortezze e basi straniere gratuite, dall’obbligo di fornire truppe con divisa approvata e di essere alleati in guerra, fino al controllo sulla banca centrale, sull’esercito, sui servizi segreti e sui principali organi dello stato; questo controllo è esercitato attraverso alti funzionari collaborazionisti, la cui carica, assieme alla loro discrezione, si può sempre comprare, se pagata bene. Prima dell’unità d’Italia, a Roma gli uffici pubblici si compravano, oggi l’Italia vive questa generale situazione di vassallaggio.
Nel 651 a.c. il faraone Necao, aiutato da mercenari lidi, scacciò le guarnigioni assire dall’Egitto, nel 660 a.c. i cimmeri raggiunsero la Lidia di re Gige, che li sconfisse con l’aiuto assiro, poi Gige ruppe con gli assiri e si alleò con il faraone, perciò i cimmeri invasero la Lidia e nel 652 a.c. presero la sua capitale Sardis. Nei rapporti tra le nazioni i tradimenti sono normali, si dice che queste seguano gli interessi e non i trattati, perciò sono costrette anche a violare i trattati, però a volte sbagliano a fare i calcoli.
Gli assiri erano in lotta con Babilonia, governata dal fratello di Assurbanipal, Shamash, perché esisteva un’unione personale, i cimmeri furono dispersi e assorbiti dagli sciti, poi le truppe assire si scontrarono con gli sciti. Nel 668 a.c. Assurbanipal aveva nominato suo fratello re di Babilonia, dove Ninive controllava esercito e governatore, ma il fratello non fu leale e si alleò con caldei, Elam, aramei, arabi, Giuda ed Egitto e fu la guerra; nel 648 a.c. Assurbanipal occupò Babilonia e il fratello fuggì.
A Ninive un altro fratello di Assurbanipal era sommo sacerdote, quando nel 626 a.c. Assurbanipal morì, a Babilonia, il potere passò in mano a Nabopolassar, condottiero dei caldei, che si alleò con Ciassarre di Media, nel 616 a.c. Nabopolassar sconfisse l’esercito assiro e Ninive cadde; l’Assiria aveva chiesto aiuto agli sci, ma questi nel 612 a.c., per saccheggiare Ninive, si unirono a Ciassarre e ai babilonesi; poi i medi, come facevano assiri e babilonesi, deportarono gli artigiani a Persepoli. Insomma, quando si parla di deportazioni, ci si riferisce ad artigiani e notabili perché i contadini, sempre disprezzati da tutti, se continuano coltivare la terra, sono utili anche alla nuova potenza occupante.
Gli hittiti abitavano in Asia Minore e all’inizio del II millennio a.c. misero fine alla prima dinastia babilonese, poi Babilonia cadde sotto il dominio dei una dinastia cassita indoeuropea, Davide era in buoni rapporti con gli hittiti e il territorio di Israele era limitrofo con il loro territorio; in Cappadocia, centro importante hittita, era il principato di Metilene, nel XIII secolo a.c. gli aramei passarono dalla Mesopotamia alla Siria.
Gli stati aramei della Siria settentrionale fecero lega sotto Damasco, alleati anche con Israele, gli assiri deportavano popoli come hanno fatto i turchi. Nel 637 a.c. la Siria fu invasa dal settentrione dagli sciti che provocarono il collasso dell’impero assiro, nel 616 a.c. il faraone Neco corse in aiuto degli assiri, contro sciti e babilonesi di Nabopolassar, ma non riuscì a impedire la caduta di Ninive; nel 605 a.c. il faraone Neco fu sconfitto dai babilonesi, alleati con i medi.
A Babilonia Nabopolassar, che non era di sangue reale, sostenuto dalla casta dei sacerdoti, scosse il giogo degli assiri, perciò si fece violenta la reazione del partito anticlericale che si alleò con Ciro di Persia, gli consegnò il paese, però Ciro, prudentemente, poi non dimenticò di assicurarsi il favore della casta sacerdotale di Babilonia. Gli sciti, alla ricerca di prede e di donne, parteciparono alla guerra dei babilonesi contro gli assiri, Necao faraone d’Egitto e alleato dell’Assiria, si riprese Palestina e Siria, il suo cammino era sbarrato dal re di Giuda, Giosia, che morì nella battaglia di Megiddo.
Nel 605 a.c. a Carchemish assiri ed egiziani furono sconfitti, poi i babilonesi, alleati dei medi, sconfissero anche gli egiziani e, sotto il figlio di Nabopolassar, Nebuchadrezzar, si presero la Palestina e Siria. Re Joachim di Giuda era filoegizioano e antibabilonese, invece il profeta Geremia era filobabilonese e antiegiziano e rappresentava l’opposizione a corte. Nel 587 a.c. i babilonesi presero Gerusalemme e la distrussero, gli abitanti furono deportati a Babilonia, il re di Giuda, Sedecia, fu accecato e i suoi figli uccisi.
Nel 567 a.c. i babilonesi attaccarono l’Egitto, che divenne una provincia babilonese, a Babilonia si adorava il dio Marduk gli si facevano processioni; nel 556 a.c. divenne re di Babilonia, Nabonedo, che non era di sangue reale e perciò fondò una nuova dinastia, sua madre era sacerdotessa al tempio della luna di Harran, in Siria; perciò i sacerdoti di Marduk dio di Babilonia lo consideravano un apostata e alimentarono un’insurrezione repressa nel 555 a.c. dall’esercito. I sacerdoti si presero la rivincita e spianarono il potere a Ciro di Persia.
Ciro lasciò la vita a Nabonedo e ossequiò a Marduk, attribuendo la sua presa di Babilonia a Marduk. Creso a quel tempo era re di Lidia ed era residente a Sardis, era nemico dei persiani e alleato con truppe ioniche greche, nel 547 a.c. fu sconfitto da Ciro e poi si alleò con lui contro l’Egitto, nel 539 a.c. Akkad o Babilonia e Caldea fu presa dai persiani.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it, numicco@tin.it
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“Storia del mondo antico” Vol. III – Università di Cambridge – Garzanti Editore
(Osservazioni e commenti sono miei)
Verso la metà della XX dinastia, l’Egitto dovette fronteggiare i libi, tribù abitanti nel deserto, che arrivarono anche alla regione di Tebe, anche gli etiopi o Cus arrivarono a Tebe, passando per la Nubia; i libici s’installarono nel Delta occidentale e poi furono ingaggiati come mercenari dagli egiziani, assieme agli sherden che poi si stanziarono in Sardegna e le diedero il nome; un principe libico riuscì a divenire faraone, Sheshonk, fondando la XXI dinastia.
Sotto la XX dinastia, gli operai addetti ai lavori pubblici si riposavano gli ultimi due giorni del mese e durante le grandi feste, il giorno lavorativo di otto ore era diviso in due parti, con una sosta per il pasto e il riposo; gli operai avevano stoviglie e trascorrevano la notte in capanne, erano pagati in natura, con grano, orzo, verdure, pesce. Quando il faraone era soddisfatto del loro lavoro, ricevevano un extra in sale e carne, gi operai potevano scioperare, durante il regno di Ramesse III (1200-1168 a.c.) (XX dinastia) ci fu uno sciopero molto lungo. La storia dell’Egitto è lunga migliaia di anni e qualcuno ha anche scritto che gli operai delle corvée addetti alle piramidi mangiavano molto male, probabilmente non sono stati trattati sempre allo stesso modo nelle varie epoche.
Nei villaggi le dispute erano risolte da un tribunale fatto di membri dello stesso villaggio, però la pena capitale e la grazia erano concesse dal visir o governatore, la carica di scriba si tramandava da padre in figlio. Alla fine del regno di Ramesse III, un terzo della terra apparteneva ai templi, i tre quarti di queste terre appartenevano al tempio di Amon-Re di Tebe, ove era un gran sacerdote, i dipendenti del tempio erano esenti da tasse, servizio militare e corvée. I privilegi del clero sono sempre stati soprattutto di carattere fiscale, il che consentiva, anche grazie alle donazioni, di accrescere il suo patrimonio, è accaduto anche alla chiesa cattolica.
La carica di gran sacerdote era familiare e poteva cadere in mano ad alti funzionari e militari, i sacerdoti partecipavano alle spedizioni militari e facevano elargizioni; a volte i sommi sacerdoti di Amon erano amministratori del tesoro reale e a capo dell’ufficio delle tasse; anche nella storia della chiesa la carica di vescovo da elettiva, nel medioevo divenne in parte ereditaria e condottieri militari divennero vescovi, il potere tende sempre ad accentrare più ruoli. Il sacerdote Penanuqe di Elefantine si rese responsabile di furti e malversazioni, il sommo sacerdote di Amon, Amenhotpe, sotto Ramesse XI, è stato raffigurato in un tempio di Karnak in dimensioni uguale al faraone, cosa insolita, a testimonianza del potere da lui raggiunto.
A un certo punto, il principe etiope Pinehas, figlio del re di Cus, all’inseguimento del gran sacerdote Amenhotpe, assieme ai nubiani, occupò Tebe e tempio di Amon, in quell’occasione, il faraone Ramesse XI, interessato a ridurre il potere del gran sacerdote, non intervenne. Il successivo gran sacerdote Hrihor, genero di Amenhotpe, era stato un alto ufficiale dell’esercito e portava il titolo di comandante dell’esercito, di primo profeta di Amon-Re e di sovraintendente dei granai del re. Insomma i conflitti tra stato e chiesa sono esistiti anche in Egitto, la religione e l’esercito sono poteri non menzionati come tali nelle costituzioni.
I titoli di Hrihor furono conservati dai discendenti, fino all’estinzione della famiglia, le mogli del sommo sacerdote di Amon-Re erano dette concubine di Amon, Hrihor mantenne il diritto a essere raffigurato nel tempio con le stesse dimensioni di Ramesse XI, governò l’Alto Egitto ed ebbe a Tebe la sua residenza. Gli successe il figlio Piankhi, sempre sotto Ramesse XI, sempre come gran sacerdote e comandante dell’esercito, il quale fece la guerra al principe etiope Pinehas e perse la Nubia.
La XXI dinastia, iniziata (1090 a.c.) con Smendes, citato dallo storico egiziano Manetone, era detta tanita perché risiedeva a Tanis e governavano sul Delta e sul Basso Egitto, con capitale Menphis, mentre a Tebe erano al potere i discendenti di Hrihor, che governavano, come re sacerdoti, l’Alto Egitto. L’ultimo faraone della dinastia, Psousennes I, era riuscito a riunire i due poteri sotto il suo scettro e portava il titolo di re dell’Alto e del Basso Egitto, capo dell’esercito e gran sacerdote di Amon-Re. La separazione dei poteri è sollecitata soprattutto da chi si sente più debole e rivendica l’indipendenza dal potere maggiore, quando re o sacerdote si sentivano più forti, erano tentati di accentrare i due poteri.
In precedenza a Tebe aveva rivendicato il titolo di re il gran sacerdote Pinudjen, figlio di Piankhi, le buone relazioni tra Tanis e Tebe furono rafforzate dalle principesse tanite che divennero consorti dei gran sacerdoti; dal sommo sacerdote Pinudjem I, nipote di Hrihor, i sommi sacerdoti, attraverso le madri, erano discenti dei re taniti. Una principessa della XXI dinastia divenne moglie di Salomone.
Negli edifici di Tanis era raffigurata la doppia ascia di origine egea e dei popoli del mare che, dopo la sconfitta subita per mano di Ramesse III, della XX dinastia, si stanziarono in parte in Palestina. A Tebe c’erano lotte intestine, le questioni giudiziarie erano sottoposte alla statua di Amon-Re, in modo da rafforzare la finzione che lo stato tebano era governato da Dio, il che favoriva consenso, sottomissione e governabilità.
L’Egitto fu dominato per un pezzo da re nubiani, etiopi, libici e da sommi sacerdoti di Tebe che si facevano faraoni, dal 675 al 663 a.c. fu sotto il tallone assiro, nel 595 a.c. fu sotto i persiani, nel 332 a. c. sotto Alessandro, poi sotto i Tolomei e i romani; con la XXI dinastia, succeduta ai ramessidi, il sommo sacerdote Hrihor governava a Tebe, come viceré di Ramesse XI, mentre il faraone Smendes (1100-1090 a.c.) governava a Tanis sul Delta.
Sul Delta il principe libico Bubastis non riuscì a prendere il potere e Smendes riuscì a governare l’intero paese; alla morte del sommo sacerdote Piankhi, figlio di Hrihor, gli successe il sommo sacerdote Painozem, figlio di Piankhi, che divenne faraone e risiedette a Tanis e Menphis, mentre suo figlio era sommo sacerdote a Tebe, però in città ci fu una rivolta e la carica di sommo sacerdote fu usurpata. Insomma in Egitto sono accadute le stesse cose che a Roma sotto i papi, queste cose accadono dove c’è la lotta per il potere e le ricchezze.
Nel 1030 a.c. a Tebe, al tempo del faraone Amenemopet di Tanis, il sommo sacerdote Menkheperre aveva ambizioni reali, nel 942 a.c. era sommo sacerdote di Tebe Shishak, della XXII dinastia, che divenne re dell’Egitto superiore e di quello inferiore. Durante la XXII dinastia, al tempo di Salomone, continuò la sovranità egiziana sulla Filistea, l’Egitto, volendo contrastare l’Assiria, intrigava anche in Giudea.
Nel 930 a.c. il faraone Shishak, che era di origine libica, prese Gerusalemme, portò in Egitto il tesoro del tempio di Salomone e lo depositò nel tempio di Amon a Tebe, tuttavia non stabilì la sua autorità su Giuda. Il successivo faraone Sheshonk assunse il titolo di re e conferì al figlio Iuput la carica di sommo sacerdote, così con la XXII dinastia i re sacerdoti di Tebe si erano impadroniti della corona di Tanis. La separazione dei poteri, riguarda i poteri dello stato, costituzionalmente elencati, più il potere dell’esercito, riguarda inoltre la separazione tra stato e religione.
Sotto i faraoni etiopi, la sacerdotessa di Tebe aveva grande autorità ed era membro della casa reale, nel 663 a.c. Tebe fu distrutta dagli Assiri. Gli antichi non si limitavano a imporre tributi ai popoli sconfitti, ad asportare le ricchezze di templi e dei re sconfitti e a fare rappresaglie, ma, presi da frenesia di distruzione, radevano al suolo anche città che avevano preso, adesso succede solo quando le città sono sacche di resistenza; non era sensato distruggere dei patrimoni, oggi lo si fa con i bombardamenti solo con le città che non si arrendono.
La caduta dell’Egitto fu causata dalla divisione tra potere laico a nord e sacerdotale a sud, perciò il faraone Sheshont, per salvaguardare l’unità del paese, mise Tebe nelle mani del figlio Iuput la carica di sommo sacerdote di Amon a Tebe; il pontefice tebano era di solito un principe di sangue reale, però i re sacerdoti di Tebe avevano generalmente tendenze separatiste, soprattutto quando non avevano in mano tutto il potere. Sembra di leggere la storia d’Italia, contesa tra papi e imperatori germanici del sacro romano impero.
Il sommo sacerdote Harsieni si proclamò re di Tebe, gli successe Pedubaste, fondatore della XXIII dinastia; comunque esisteva ostilità anche tra sacerdoti, come tra i vescovi del sacro romano impero, in lotta per il seggio papale, i vescovadi e per la scelta dell’imperatore da eleggere. Intanto l’infiltrazione libica continuava anche in Nubia e Sudan, mentre a Tebe una sacerdotessa fu elevata alla posizione del sommo sacerdote.
L’etiope di dinastia babastita Osorkon III abolì il sommo sacerdote e a Tebe inaugurò la serie delle sacerdotesse offrendo il titolo alla figlia Shepenopet, intanto a nord regnava l’anarchia, i capi del Delta erano principi indipendenti e si arricchivano con i dazi sulla merce greca. Nell’VIII secolo a.c. in Egitto dominavano nubiani, libici ed etiopi e nel 742 a.c. i principi del Delta riconobbero come faraone il nubiano Piankhi. Nel 772 a.c. gli Assiri presero Samaria, accecarono il re Osea e occuparono il Delta, nel 725 a.c. l’etiope Shabaka, principe di Sais, s’impadronì di Menphis, si unì a Piankhi e riconquistò l’intero Egitto.
Allora chi aveva un debito non risultante da contratto scritto poteva esserne liberato dietro giuramento; il giuramento davanti alla divinità era una garanzia, anche da noi si è continuato a giurare davanti a Dio, sulla bibbia e come testimoni nei processi. Nel 700 a.c. Shabataka successe a suo padre Shabaka come re d’Egitto; l’Assiria occupò il Delta ma non l’Egitto superiore, però nel 663 a.c. fece il sacco di Tebe; sotto il faraone Psammetico o Psamatik (663 a.c.), di origine libica, l’Egitto era vassallo dell’Assiria di Assurbanipal.
Nel 651 a.c. le guarnigioni assire sul Delta, con l’aiuto di re Gige di Lidia, furono cacciate da Psamatik che divenne faraone nel 610 a.c. gli successe Neco II; i re assiri, benché portassero il titolo di re dell’Egitto, non si considerarono faraoni come i re persiani. Dopo il faraone Osorkon II, della XXII dinastia, la spaccatura del paese tra nord e sud si consolidò e crebbero le tendenze separatiste dei capi libici e ciò favorì la penetrazione etiope e assira.
Grazie alla collaborazione dei principi del Delta, gli assiri s’impadronirono di Tebe, allora il sud era sotto la guida di etiopi (750-650 a.c.) ed Heraklopolis era il centro delle famiglie libiche; in Egitto arrivarono i pirati ionici e cari e il faraone Psammetico fu aiutato contro di loro da ionici e cari mandati da re Gige di Lidia. Nel 650 a.c. i milesi di Mileto fondarono una colonia in Egitto, anche gli ioni fondarono una colonia greca a Dafne sul Delta (650-565 a.c.).
Psemmetico riuscì a respingere anche i nomadi sciti (630-625 a.c.) arrivati dalla Tracia fino in Egitto; in Egitto esistevano anche mercenari palestinesi, anche i babilonesi avevano mercenari lidi e ionici, nel V secolo a.c. esisteva una colonia ebraica a Elefantina. Il faraone risiedeva a Sais nel nord e recuperò Tebe solo nel 655 a.c.; sotto il re assiro Assurbanipal, l’Egitto era alleato dell’Assiria, ma con oneri maggiori, in pratica era uno stato tributario con una certa autonomia.
Gli sciti dominarono l’Asia Minore per 29 anni, ritirandosi dall’Egitto, ad Askanon distrussero il tempo di Astarte, Gaza rimase in mani egiziane; il fratello di Assurbanipal era sommo sacerdote ad Harran, vi regnò fino al 610 a.c., quando la città fu presa dagli sciti. Nel 605 a.c. il faraone Necao o Neco fu sconfitto dai babilonesi, nel 598 a.c. i babilonesi presero Gerusalemme, dove il profeta Geremia, anche in precedenza, era strato loro collaborazionista, cioè era del partito filo babilonese.
Nel 586 a.c. i babilonesi rasero al suolo Gerusalemme e ne deportarono gli abitanti; in Egitto la classe militare indigena e libica era irritata per il favore accordato ai mercenari greci, perciò prese il potere il generale egiziano Ahmase, fu proclamato re dai sacerdoti, ridusse i privilegi dei greci e nel 565 a.c. li allontanò, poi, consolidato il suo potere, condusse i mercenari greci a Menphis e ne fece la sua guardia pretoriana. Anche questo è il trasformismo della politica.
Nel 560 a.c. il faraone Amasis, durante un periodo di debolezza babilonese, occupò Cipro e vi diffuse lo stile saita, cioè della dinastia di Sais, l’arte egiziana si sviluppò a Cipro, i re saiti si erano arricchiti con il commercio del grano; sotto Amasis, gli etiopi non diedero preoccupazione e Tebe aveva accettato il dominio del nord. A Tebe era la sacerdotessa capo, i capi militari erano discendenti dei libici, i sacerdoti si vendevano la carica. E’ accaduto anche nella storia dei vescovi europei. Nel 550 a.c. la Media fu assorbita dalla Persia, contro di essa fecero lega Egitto, Babilonia, Lidia di Creso e Sparta; nel 549 a.c. la Persia prese l’Anatolia occidentale e la Ionia, nel 539 a.c. prese Babilonia, Siria e Palestina.
Gli egiziani furono i padri di geometria e aritmetica, mentre i babilonesi di chimica e astronomia, nella religione misterica orfica, da Orfeo, nata in Grecia nel VII e VI secolo a.c., c’era stata influenza egiziana; quando Amasis morì, gli successe il figlio, ultimo re saitico, che fu collocato dal re di Persia, com’era sua consuetudine, tra i nobili nella corte di Persia. Il re persiano Cambise II (529-522 a.c.), figlio di Ciro, conquistò Egitto e Nubia ma, per la ragion di stato, adorava dei egiziani, comunque, ridusse alla metà le rendite dei templi egiziani; lo zoroastriano re di Persia, Dario I (522-485 a.c.), divenne faraone d’Egitto, codificò le leggi egiziane, introdusse il conio delle monete in Egitto, fece canali ed irrigazioni. Ciò malgrado, nel 485 a.c. ci fu una rivolta di egiziani e greci contro i persiani, in Egitto ci furono rivolte anche contro greci e contro ebrei; la marina egiziana partecipò anche alla guerra di Alessandro (332 a.c.) contro la Persia.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it, numicco@tin.it
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(Osservazioni e commenti sono miei)
BABILONESI
Secondo il codice di Hammurabi (morto nel 1748 a.c.), re di Babilonia, l’agente che tornava senza guadagno doveva restituire il doppio dei beni che doveva vendere, inoltre, non si potevano vendere babilonesi all’estero, artigiani e popolo libero erano soggetti a tasse e corvée; come in Egitto, la manodopera era censita per lavori pubblici e le armi, l’arruolamento era forzato. Nelle accademie militari s’insegnava matematica e divinazione, sull’uso dell’acqua vi erano continue lagnanze davanti al re; le terre erano assegnate ai militari con vincolo feudale. Quindi, il feudalesimo è più antico di quello nato in Europa con la caduta dell’impero romano.
Nella coscrizione obbligatoria non si faceva distinzione tra servizio militare e servizio civile, la pena di morte era prevista anche per i reati di piccola entità, il risarcimento ai danneggiati estingueva il reato, invece oggi le due pene si cumulano; il principio “occhio per occhio dente per dente” aveva per lo più un valore simbolico, significava che bisognava pagare in qualche modo. Al figlio che aveva colpito il padre si tagliava la mano, per i morosi gravi c’era la riduzione in schiavitù, in altri casi la fustigazione, però, come in Israele, era prevista la remissione dei debiti.
Alla concubina che voleva farsi pari alla moglie, si radevano i capelli ad un lato della testa e poi vi si apponeva un marchio, le controversie civili erano discusse davanti ai giudici, nel cortile del tempio, ma i giudici non erano sacerdoti, la controversia si poteva risolvere anche davanti ad un arbitro; il sindaco presiedeva il senato cittadino. Come in Israele, i templi avevano diverse funzioni, contenevano chiese, scuole, banche, centri commerciali e corti di giustizia.
A Babilonia, per la ricerca della verità, nei processi era previsto il giuramento davanti al dio Marduk e l’ordalia, che non era usanza solo germanica ma di tanti popoli antichi; ad Ur e a Babilonia le sacerdotesse erano sposate al dio ed erano legate al tempio, erano spesso figlie e sorelle di re, non potevano entrare in un’osteria, non appartenevano alla classe delle prostitute del tempio, avevano proprietà, potevano sposarsi e avere figli e vivere anche fuori del convento. Il costume medievale europeo dei principi di chiudere figlie e sorelle in convento, anche per non disperdere l’eredità, aveva un’origine molto antica.
La donna era considerata moglie appena il padre o il marito accettava il prezzo della sposa, poteva stare in giudizio ed avere proprietà; per lei, la maggiore calamità era non avere un figlio maschio; per avere un figlio maschio, come alternativa al divorzio, poteva fornire una concubina al marito o ricorrere all’adozione; in Israele vigevano gli stessi costumi. Il divorzio era più facile per l’uomo che per la donna, la quale non poteva ripudiare ingiustamente il marito, ma poteva ripudiarlo in caso di maltrattamento, era la stessa cosa in Israele e oggi nell’Islam.
Al tempo di Hammurabi, gli scribi raccoglievano le vecchie tradizioni orali dal sumerico all’accadico, ormai la lingua sumerica era diventata una lingua morta come il latino, era usata in letteratura e nella religione e non era più compresa. A Babilonia, come in Israele, per lodare sovrani e divinità, si componevano inni e salmi e si facevano lamentazioni poetiche a ricordo di città distrutte.
Bibliografia:
“Storia del Mondo Antico” Università di Cambridge – Volume II – Il Saggiatore/Garzanti Editore
(Osservazioni e commenti sono miei.)
A parte l’Italia, dominata dalla finanza della chiesa, con Cina, Giappone e paesi musulmani, la finanza anglosassone nel secolo XX ha visto in prima fila personalità ebraiche o che si dicono tali, come i Rothschild, i Warburg, gli Schiff, il che è servito ad alimentare l’antisemitismo; tuttavia questi finanzieri sono una minoranza tra gli ebrei, i quali sanno fare anche i contadini, i militari, gli impiegati e i fisici.
Rimane l’interrogativo come mai diversi ebrei si sono occupati massicciamente di finanza e commercio, il fatto è che a loro, una volta emancipati nell’ottocento, fu impedito di fare altre attività e di possedere terra; i principi, per tassarli meglio, consentirono loro di fare prestiti a tasso usuraio e quando le casse dello stato languivano e gli ebrei erano arricchiti, alimentavano i pogrom e li espropriavano. L’esproprio di al specie, abbinato allo sterminio, è un’entrata straordinaria dello stato, ne soffrirono anche templari, albigesi, gesuiti, e, in generale, minoranze etniche e religiose perseguitate.
Malgrado questi trascorsi, in tempi moderni la finanza ebraica si è messa al servizio dell’alta aristocrazia, che non desidera comparire direttamente in campo economico e finanziario, non si contenta di società anonime e paradisi fiscali, ha utilizzato prestanomi e soprattutto personalità ebree; in economia gli esperti sanno distinguere gli animali da soma da quelli da carne e da latte, i cani da caccia da quelli da guardia e da tartufi, per questi esperti, un finanziere ebreo è garanzia di qualità, in realtà sono tutti uguali. Pare difficile credere che a Londra il barone Rothschild sia ricco ed i Windsor poveri, sono false le statistiche che forniscono la lista delle persone più ricche; l’alta aristocrazia tira il sasso e nasconde la mano, si serve di burattini e della mafia, forse andiamo verso il medioevo prossimo venturo.
Finanziari ebrei di Wall Street di origine russa finanziarono la rivoluzione borghese russa del febbraio 1917, addirittura Warburg si espresse a favore del bolscevismo, i finanzieri fin da risorgimento italiano, ma questi erano italiani, hanno finanziato le guerre; perciò Schiff aiutò finanziariamente il Giappone nella guerra del 1905 con la Russia. Questi finanzieri aiutarono Trotsky fornendolo di passaporto americano e di dollari, nel 1921 anche Lenin ricevette aiuti finanziari dal banchiere americano Hammer, di origine russa.
Trotsky, Lenin, Mussolini e Hitler attaccarono la plutocrazia, però accettarono i suoi soldi, nel caso dell’Italia i plutocrati finanziatori erano banche, confindustria e agrari, tra cui il più grande era la sua chiesa con i suoi enti, infatti, il Vaticano ritenne provvidenziale l’involuzione da anticlericale a confessionale dello stato italiano sotto il fascismo. Prima di questo trasformismo a 360 gradi, nel 1919 il partito fascista aveva proposto lo scioglimento delle società anonime, la fine della speculazione, la confisca delle rendite di guerra e di quelle improduttive e un’imposta progressiva; poi i capitalisti presero a finanziare il fascismo e usarono le milizie fasciste contro i socialcomunisti, diffidavano anche delle riforme di Giolitti che aveva proposto un’imposta progressiva.
Mussolini trasse ispirazione da Garibaldi, Crispi, che era autoritario, Giolitti, che usava i mazzieri nei seggi elettorali del sud, D’Annunzio, che era nazionalista, però, da un punto di vista pratico, nel suo trasformismo fece il percorso di Napoleone III che, da repubblicano e anticlericale, divenne imperatore e difensore della chiesa. Politici e giornali dipendono dalla finanza, sono burattini e mercenari, il loro motto è: “Comprami che sono in vendita, aggiungi un posto a tavola e sarò come tu vuoi”.
Piccola impresa e piccola borghesia, diversamente dall’industria pesante e dalla finanza, non si arricchiscono con la guerra e, soprattutto in Italia, non sono aiutate dallo stato e sono tassate pesantemente; eppure qualche storico di corte ha sostenuto, nascondendo la verità, che il fascismo fu finanziato dai coltivatori diretti. Certamente alla fine il fascismo ebbe seguito anche tra reduci e piccola borghesia, ma non furono loro a favorirne il successo, ma il mondo dei grandi affari, la chiesa, mentre il re appoggiava tacitamente la rivoluzione fascista.
Così furono soprattutto banche, confindustria e agrari che finanziarono la marcia su Roma, d’altra parte, anche la rivoluzione di Hitler fu finanziata da 200 grandi famiglie tedesche, il denaro della finanza ha sempre pesantemente ingerito sull’informazione e sulla politica, oggi in Italia la prima pare peggiore della seconda. I grossi imprenditori sono legati alle banche e la finanza impone i candidati nelle liste elettorali dei partiti e nelle cariche.
In Germania Farben, Siemens, Deutsche Bank e Krupp sostennero Hitler, perciò questo ricevette dal maresciallo Hindemburg l’incarico di ricoprire la carica di cancelliere. Come c’era stata un’involuzione in Mussolini, anche Goebbels e Strasser in precedenza si erano detti contrari all’alta finanza, volevano nazionalizzare le società anonime, le banche e le holding, ma il progetto fu messo da parte da Hitler; era accaduto che la finanza era riuscita a comprare anche i capi del nazismo. La finanza controlla destra e sinistra, assieme all’informazione.
Visto il successo del fascismo in Italia, in Germania industrie e banchieri si decisero a finanziare Hitler fin dal 1923, però allora finanziavano anche gli altri partiti, nel 1931 Hitler aveva rapporti con le maggiori personalità del mondo degli affari, Schacht, ex presidente della Reichsbank, riunì venti industriali tedeschi e consegnò a Hitler milioni di marchi, tra questi industriali vi erano imprese a controllo ebraico come la AEG e Osram, persuasi che l’antisemitismo di Hitler era diretto solo contro gli ebrei polacchi, antipatici anche agli ebrei tedeschi.
Americani e inglesi, diversamente dai francesi, volevano risollevare la Germania oppressa dalle riparazioni di guerra e salvare gli investimenti americani in Germania, perciò, prima sostennero la repubblica di Weimar e poi, tramite Warburg, avviarono trattative con il partito nazista; Warburg, sentiti Montagu Norman e Rockefeller, nel 1929 incontrò Hitler e gli inviò milioni di dollari, a tale fine, Hitler aveva scritto a lui ed ai suoi soci di Wall Street, poi Goebbels e Goering gli chiesero un supplemento di aiuti.
Gli ebrei come Warburg non credevano alla democrazia, il cancelliere austriaco Dolfuss era a conoscenza delle fonti finanziarie di Hitler e poteva ricattarlo, sapeva che Hitler era ebreo per un quarto perché suo padre era stato concepito dopo una seduzione della nonna da parte del barone Rothschild; Dolfuss voleva diffondere un documento che dimostrava l’origine ebrea di Hitler, non fu ucciso solo perché rifiutava l’annessione dell’Austria alla Germania.
Hitler aveva rapporti anche con il banchiere Thyssen, una volta preso il potere, fece uccidere alcuni uomini che conoscevano i suoi rapporti con la finanza internazionale, tra questi agenti di collegamento assassinati vi era Georg Bell, che era anche a conoscenza dei veri autori dell’incendio del Reichstag; fu assassinato anche Von Ketteler che trasportava il documento segreto di Dolfuss.
Otto Strasser, espulso nel 1930 dal partito nazista da Hitler, era nazionalista, antisemita e anticapitalista e conosceva i trascorsi di Hitler, quando Hitler prese il potere si rifugiò all’estero; anche nel fascismo ci furono defezioni causate dalla sua involuzione. Finita la guerra, nessun finanziere finì davanti al banco degli imputati a Norimberga, su questi fatti, l’informazione, per non offendere i suoi padroni, è stata sempre cauta.
Se i banchieri aiutarono Trotsky e Lenin, per gli storici di corte, visto che la Germania aveva perso due guerre mondiali, furono i tedeschi che nella prima guerra aiutarono finanziariamente Lenin per favorire la rivoluzione in Russia e la sua uscita dal campo dell’Intesa; la finanza ispira complotti, rivoluzioni e manifestazioni di piazza. Al tempo di Lenin, il banchiere Jacob Schiff, ebreo tedesco emigrato in Usa, era nemico dei Romanov ed aveva aiutato nel 1905 il Giappone nella guerra russo giapponese.
Nella prima guerra mondiale Schiff prezzolò agenti provocatori rivoluzionari che crearono disordini tra le truppe russe e nelle città, per non partire per il fronte, la riserva arrivò anche ad ammutinarsi. Nel febbraio del 1917 il governo borghese russo di Kerensky era fatto di frammassoni amici degli inglesi, che volevano continuare la guerra contro la Germania, ma il Kaiser aveva altri progetti, perciò mise a disposizione un treno piombato che portò in Russia dei rivoluzionari bolscevichi tra i quali era Lenin.
Schiff e Warburg finanziarono Trotsky, che era a capo dell’armata rossa, per acquistare armi e nell’ottobre del 1917 la rivoluzione bolscevica rovesciò Kerensky, instaurando un regime sovietico. Oltre Schiff e Warburg, anche gli industriali tedeschi finanziarono la rivoluzione di Lenin e la propaganda tra i soldati russi, si faceva propaganda anche tra i prigionieri russi. Trotsky e Lenin ricevettero oltre mezzo milioni di marchi da banchieri anglo-tedesco-americani.
Questi gruppi finanziari, finanziando i Soviet, non volevano solo l’uscita della Russia dalla guerra, puntavano al saccheggio della Russia, volevano portarla alla sudditanza economica e mettere il suo popolo in ginocchio, volevano distruggere l’economia russa. Quante risate si fa l’élite mondialista sulle polemiche tra militanti di partito e nella stampa, sa che li controlla tutti e che il popolo non è stato mai sovrano e che la sua sorte è segnata, in occidente, ci lascia parlare liberamente, purché le cose non cambino.
La rivoluzione francese non nacque spontaneamente, ma seguiva la parola d’ordine della massoneria, la monarchia assoluta era contro l’usura e contro i suoi piani che miravano ad appropriarsi delle ricchezze del paese indebitandolo; perciò capitalisti e speculatori decisero una rivoluzione che consegnò la Francia agli uomini d’affari. Ancora oggi, l’indebitamento di famiglie, imprese e stati e il sistema migliore per la riduzione in schiavitù, perché ti costringe a lavorare per altri senza poter migliorare la tua condizione.
Dopo la rivoluzione del 1789, i banchieri poterono fare operazioni finanziarie con una facilità sconosciuta all’Ancien Regime, specularono sulle armi e sugli assegnati, una forma di cartamoneta, si appropriarono delle ricchezze di altri paesi occupati dai francesi, in una parola, divennero azionisti privilegiati dello stato. Il banchiere Jacques Necker era riuscito ad indebitare il re e attraverso il suo salotto, prestava denaro anche a Diderot.
Nel 1788 Necker, di origine inglese, divenne direttore Generale delle Finanze, anche in Italia oggi alcuni personaggi hanno ricevuto ottime posizioni in finanza perché favoriti dai soliti ignoti che devono servire, dopo la seconda guerra l’Italia è stato un laboratorio per le manovre della grande finanza internazionale che ha speculato sulle sue crisi politiche e sulla sua valuta. Necker dirigeva l’attacco alla monarchia attraverso dei libelli da lui finanziati, sin fa anche in Italia, anche con le inchieste dell’informazione e della magistratura.
Intanto in Francia il deficit cresceva e non solo per le spese personali della corona, il fatto è che la nobiltà non era uguale avanti alla legge e non pagava imposte, in forza di un antico privilegio in base al quale era tenuta solo a fornire truppe al sovrano. Purtroppo, con l’introduzione della leva a favore dello stato, il privilegio fiscale era rimasto; ancora oggi la sovranità è in mano a chi è esente dalle tasse, beneficia de signoraggio monetario ed è irresponsabile davanti alla legge, la democrazia non ci ha fatto fare un passo avanti ed è una truffa.
La Francia finanziò onerosamente anche l’indipendenza americana e non poteva tassare i proprietari di terre che erano aristocratici ed ecclesiastici, allora la terra era la principale ricchezza. I nobili conducevano anche una vita dispendiosa e spesso avevano ipotecato le loro terre; a causa di questa situazione, il re Luigi XVI era costretto a ricorrere all’usura ed a spremere i sudditi che pagavano le tasse, il paese era alla bancarotta.
In quel quadro, il banchiere Necker, per favorire i suoi interessi ed i suoi mandanti, finanziò diversi candidati agli Stati Generali. Il 17.6.1789 il terzo stato si costituì in Assemblea Nazionale, impegnandosi a rimborsare i creditori dello stato che erano alti borghesi, la borghesia vincente era sostenuta dal capitalismo internazionale, mentre il popolo si allontanò dalla monarchia, espropriata assieme ai nobili, borghesi e avvocati sostenevano Necker, mentre, sotto L’Ancien Régime, la magistratura era stata costituita da aristocratici.
Luigi XVI invalidò le decisioni dell’Assemblea Nazionale, ma Necker gli fece presente che il paese si stava sollevando, a Versailles soldati mercenari del re difendevano il tesoro dello stato e della corona, l’Assemblea Nazionale chiese il suo licenziamento e propose di assumere una milizia borghese con lo stesso scopo; il re si oppose e licenziò Necker. Gli agenti di cambio risposero provocando il crollo di borsa, Boscary, presidente della Cassa di Sconto, ed il banchiere Etienne Dessert sostennero la rivoluzione; Dessert si procurò le armi agli Invalidi e, per la presa della Bastiglia, ne fornì altre a sue spese, con il banchiere Prévoteau anticipò il denaro per formare un pruimo battaglione della milizia chiamato Guardia Nazionale, poi Dessert fu eletto rappresentante del popolo alla Comune di Parigi.
Il banchiere ebreo Cerfbeer pagò le bande della Comune, l’agente di cambio Nicolas Coindre marciò con il popolo contro la Bastiglia, il banchiere Fulchiron partecipò a manifestazioni di fronte al palazzo reale; tutti questi banchieri facevano parte del Club dei giacobini. L’alta finanza fu determinante nell’abbattere l’Ancien Regime; secondo Albert Mathiez, autore di libri sulla rivoluzione francese, un governo è in grave difficoltà quando l’alta finanza divoratrice è contro di esso. Gli eventi successivi fecero trionfare il partito di Necker, il re perse la testa e il tesoro che fu utilizzato per le spese di guerra, cioè a vantaggio di chi forniva e armi (anche in Russia i Romanov sono stati espropriati del loro tesoro finito a Londra).
Per quanto riguarda la libertà di stampa, poiché essa può ricattare o aiutare un partito, è finanziata dai capitalisti, anche con la pubblicità; nel 1904 in Francia, per combattere il capitalismo, nacque il quotidiano l’Humanité, finanziato da capitalisti e dalla Germania, tra i soci vi erano Luigi Dreyfus, Léon Blum e Francois Delais, prestanome di Rothschild; ancora oggi i capitalisti finanziano l’Humanité.
Nel 1921 il quotidiano socialista, le Populaire, aveva tra i soci Léon Blum e Paul Faur, più piccoli azionisti iscritti al partito, però i più importanti sottoscrittori non comparivano nei libri sociali ma si servivano di prestanomi; questi finanziarono il capo del Fronte Popolare, Léon Blum, ebreo e legato al mondo degli affari e delle banche. Naturalmente il giornale era in passivo, ma c’era chi copriva le sue perdite, queste cose accadono ancora oggi, anche in Italia.
Accadeva che quelli che a parole volevano abbattere la società borghese e capitalista, si facevano compensare dai capitalisti per difenderla e per gabbare il popolo, c’erano avvocati rivoluzionari che difendevano i grandi interessi e ricevevano onorari dagli speculatori, da parlamentari fornivano consulenze giuridiche agli speculatori. Nel 1963 il deputato socialista di sinistra, Gaston Deferre, era legato ai grandi centri d’interesse economico e li serviva, suo cognato amministrava giornali socialisti ed era un potente finanziere, il suo uomo Francis Leenhardt intratteneva i rapporti con le 200 famiglie più potenti di Francia.
Stranamente, in quegli anni il partito socialista presentò un progetto di legge per la nazionalizzazione delle banche, però negli anni a seguire abbandonò questo progetto e la sua piattaforma anticapitalista, la stessa cosa accadde in Italia venti anni dopo: Nel 1945, quando in Francia fu votata la nazionalizzazione delle banche, il governo di De Gaulle si oppose all’estensione di questo provvedimento alle maggiori banche d’affari del paese; il partito socialista glie lo rinfacciò, ma avrebbe potuto farlo dopo la caduta del generale, ma non lo fece, come non lo fecero Léon Blum (1946-1947) Guy Mollet (1956-1957) e quindi Francois Mitterand. Oggi abbiamo visto a quali dissesti portano le banche, dopo ad aver distrutto risparmi familiari di una vita.
Destra e sinistra hanno chiesto denaro alla finanza per i loro partiti e per la loro stampa, intanto gli oratori di sinistra si accanivano contro il capitalismo, nel 1937 in Francia la Società Indipendente di Stampa era finanziata da ambienti finanziari e industriali; lo scopo era condizionare e ricattare la politica, servendo un partito, falsificando e nascondendo notizie, facendo clamore contro qualcuno, con lo scopo recondito anche di carpire i soldi dello stato e dei risparmiatori a favore dei capitalisti proprietari dei giornali.
De Gaulle fu portato al potere dalla finanza, il direttore dell’Eco di Algeri, Sérigny, per conto dei suoi padroni, offrì denaro ai gollisti per la loro propaganda, era finanziato a sua volta dai banchieri; Blaustein e Blanchet erano distributori di denaro destinato alla pubblicità giornalistica, che serve a condizionare i giornali; così in Francia, sotto De Gaulle, i posti di responsabilità furono occupati da uomini del grande capitale.
Ha scritto Francesco Saverio Nitti che l’Italia, per poter occupare la Libia, dovette comprare i giornali francesi, ha detto De Gaulle che Italia e Germania, per far restare la Francia fuori dal secondo conflitto mondiale, mandarono fiumi di denaro ai giornali francesi; alla vigilia della prima guerra mondiale da Francia e Germania arrivarono fiumi di denaro per i giornali Italiani, per costringerla a scendere in campo a favore di Francia o Germania; per gli antifascisti, di questo denaro beneficiò solo Mussolini.
Con De Gaulle, un rappresentante della banca Lazard fu nominato ministro, al Quai d’Orsay andò un altro rappresentante dei banchieri, Antoine Pinay era legato a banchieri, Valery Giscard d’Estaing era legato a grossi industriali e uomini d’affario; agli interni e alla presidenza della corte costituzionale andarono rappresentanti di banche e di uomini d’affari, la cassa del partito gollista fu affidata ad un uomo Unilever.
Così uomini dell’alta finanza assunsero il controllo del partito gollista; Georges Pompidou era direttore generale della banca Rothschild e divenne capo del governo, il grande capitale francese era d’accordo con l’alta finanza internazionale ner concedere l’indipendenza ai paesi africani ribelli, che si potevano controllare tramite dittatori, preservando contemporaneamente gli interessi economici della Francia.
L’industria pesante e quella leggera non hanno gli stessi interessi, la prima deve pagare materie prime e macchine e vive di esportazioni, è tassata e non è aiutata dallo stato, anzi, soprattutto in Italia, è pagata e rimborsata in ritardo dallo stato; la grande industria è trattata molto meglio, appartiene ai soliti ignoti e fa affari con speculazioni e guerre, da sempre, l’industria legata alla finanza spinge alla guerra.
Finanzieri israeliti sono Rockefeller della Standard Oil in Usa, il gruppo Lazard della Shell e i Rothschild di Londra; oltre la guerra del petrolio, esistono altre guerre, come quelle per accaparrarsi le materie prime, la terra agricola, l'acqua ed i cereali. Oggi le City di Londra guarda alla Cina, nuovo grande competitore ma capace anche di fornire altre opportunità di guadagno; il gruppo Lazard non è stato a favore dell’Unità Europea, invece Rockefeller è stato favorevole; il fatto è che tra i poteri finanziari esiste anche una sordida lotta, perché i loro interessi non sono sempre coincidenti, ma coincidono quando devono schiacciare il popolo.
Il gruppo tedesco-americano della Banca Lazard controlla France-Soir e Paris Presse, il gruppo Schneider è uno dei maggiori azionisti dell’Express; in Italia accadono le stesse cose, con i grandi giornali finanziati da capitalisti associati alle banche, certi loro fiduciari siedono in più consigli di amministrazione di grandi imprese, come rappresentanti del capitale occulto transnazionale.
In Francia, il banchiere Jean Reye era anticomunista e filoamericano, prese a fare affari con Mosca e divenne ammiratore del comunismo, oggi l’Express è il portavoce ufficiale del capitalismo, il fatto è che la vita biologica alimenta il parassitismo e gli uomini, non solo gli italiani, si fanno corrompere con facilità; perciò, con lo scopo di controllarli e renderli innocui, l’alta finanza ha finanziato contemporaneamente comunisti, socialisti, fascisti e nazionalisti.
Kerensky sapeva che i tedeschi finanziavano Trotsky e Lenin ma non li attaccò perché era finanziato a sua volta da ambienti anglo-americani, anche Lenin era in rapporto con le banche americane, riceveva soldi dalla Germania per agitazioni e propaganda in Russia; anche la Germania finanziava all’estero la propaganda a favore della Germania e finanziò la rivoluzione di Lenin. Alla vigilia di una guerra, per alimentare una guerra alle spalle del nemico, le potenze finanziano sempre i giornali, la libera stampa si vende anche al nemico.
La Germania finanziava la pubblicazione di libelli per rivoluzionari russi ed i tedeschi facevano propaganda anche tra i russi prigionieri, perciò Stalin fece uccidere i soldati russi riconsegnati dagli alleati alla fine del secondo conflitto. Le banche sono sempre state agenti di queste operazioni di finanziamento, la Germania fabbricava anche passaporti falsi per gli uomini di Lenin, queste cose si verificano perché i servizi segreti fanno sempre operazioni illecite; lo stato applica sempre la doppia morale, ad esso è lecito ciò che non è lecito ai sudditi.
Trotsky fu finanziato dalla banca Warburg per conto della Germania, Sheidemann era contemporaneamente propagandista a favore della pace e agente addetto alla repressione in Germania, la quale finanziò l’agitazione anche in Inghilterra e Francia. L’Inghilterra finanziò il governo provvisorio russo, mentre i banchieri ebrei russi, riparati in occidente, sostennero la rivoluzione russa; oggi le banche finanziano il riarmo in tutto il mondo, a favore delle fabbriche di armi alle quali sono legate, mentre i politici compiacenti ricevono tangenti su questo commercio. Nel 1905 il Giappone e nel 1939 la Germania furono aiutati dalla finanza internazionale nello sforzo bellico; questi banchieri mascherano queste loro attività facendo anche attività filantropiche.
Nel 1976, per volere di Usa, Inghilterra, Francia e Arabia Saudita, nacque il Safari Club, poi i servizi segreti sauditi trasformarono il Banco di Credito e Commercio Internazionale pachistano in uno strumento per il riciclaggio di denaro sporco provento di mafia; nel 1977 il presidente Usa Jimmy Carter aveva due terzi dei membri della sua amministrazione costituiti da membri della Commissione Trilaterale, tra cui era David Rockefeller che, a causa dei suoi interessi petroliferi, aveva guidato la politica estera Usa, assieme alla Chase Manhattan Bank.
Nel 1978 gli Usa cominciarono a finanziare i ribelli afgani e nel 1979 l’Afganistan fu invaso dai russi, in precedenza il paese aveva ospitato i pacifici monaci sufi, ma poi il paese, con i finanziamenti sauditi, si volse verso la dottrina wahabita, destinata ad influenzare talebani ed Al-Qaeda di Osama Bin Laden. La BCCI divenne strumento dell’intelligence americana e nel 1986 la Cia appoggiò l’Isi pakistano, i servizi segreti del paese, nel reclutamento di uomini in tutto il mondo per la Jihad afgana, i servizi inglesi addestravano i talebani.
La Banca di Credito e Commercio Internazionale nacque in Pakistan nel 1971, era d’ispirazione islamica e fu fondata dal pachistano Hassan Abedi; era arrivata ad avere 471 filiali in 70 nazioni, con una serie di società controllate; era in rapporto con Pablo Escobar, Manuel Noriega, Gaith Pharaon, Eugenio Cefis, Roberto Calvi, Cia, servizi segreti sauditi e pachistani. Nel 1989 in Florida fu condannata per riciclaggio di proventi da narcotraffico, poi fui indagata a Trento dal giudice Carlo Palermo, nel 1992, coperta da scandali, fu liquidata; in Italia era entrata nelle operazioni finanziarie interessanti Montedison, Eni, BNL, Fincantieri e Agusta.
In Afganistan crebbero le coltivazioni di oppio e nel 1977 il generale Zia s’impossessò del potere e prese il controllo dell’Isi, era un narcotrafficante e spostava denaro tramite la BCCI; con l’invasione russa, Stati Uniti e Arabia fornivano armi ai guerriglieri mujaheddin pakistani e gli Usa importavano droga dal paese; i pasthun (etnia del paese), vicini ai pachistani, erano ideologicamente addestrati con libri forniti dagli americani ed i mujaheddin erano sostenuti da Usa, Arabia Saudita e Pakistan; però solo nel 1989, con la cacciata dei russi, i pasthun divennero talebani.
Però nel 1994, cioè dopo la cacciata dei russi, i talebani erano ancora legati a Isi e ad esercito pakistano, la Cia, per cacciare i russi dall’Afganistan, aveva creato, d’accordo con il Pakistan, i talebani, che ricevano donazioni dall’Arabia ed erano addestrati dagli inglesi; Al-Qaeda nacque come strumento delle agenzie d’intelligenze americane, inglesi, francesi, pakistane e saudite. L’Arabia Saudita ha anche aiutato finanziariamente il Pakistan a fornirsi dell’arma nucleare, ora bisogna solo accertare se i talebani sono sfuggiti di mano ai loro creatori o meno. Secondo l’ex ministro socialista Gianni De Michelis, la democratura che viviamo è un misto tra democrazia e dittatura; la democrazia vigente è una mistificazione e una truffa, quella vera bisogna ancora inventarla, la stessa mistificazione ha investito la repubblica, il socialismo e il comunismo.
La politica occulta dirige fantocci e ispira crisi economiche e politiche, guerre e terrorismo, anche Assange, con Wikileaks ne è uno strumento, segue il disegno di una politica sotterranea che mira ad attizzare il risentimento popolare contro malgoverni ed a favorire fughe di capitali di politici corrotti e capitalisti verso paesi deficitari finanziariamente come Usa e Inghilterra; con l’aiuto di una cattiva stampa prezzolata, Assange mira a destabilizzare governi e alleati troppo indipendenti ed a favorire le speculazioni finanziarie; ciò malgrado, le rivelazioni di Assange sono accolte come vangelo da militanti di partito, che perciò, sempre manipolati come la piazza, si rendono inconsapevolmente suoi strumenti.
In questi giorni, in tutta Europa, le televisioni asservite fanno tifo per le piazze ribelli a Mubarak, Ben Alì e Berlusconi, eppure queste persone, anche con i loro difetti, erano ritenute moderate ed amiche dell'occidente; il disegno è sempre quello di destabilizzare paesi per speculare, è difficile che i popoli, con il cambio di governo, abbiano una vera democrazia e l'abolizione della corruzione, la quale serve a fare affari ed a dirigere, dietro le quinte, la politica. Il barone Rothschild ha affermato che, quando scorre il sangue, è il momento di comprate a basso prezzo, infatti, con le crisi, i capitali miliardari scappano verso i paesi protettori e la gente, per sopravvivere, svende i suoi beni.
E' per questo che grassi politici e grassi capitalisti hanno sempre un piede a terra nei grandi paesi capitalisti, dopo essersi fatti precedere dai loro capitali, come hanno fatto Olivetti e De Benedetti in Svizzera e come ha fatto adesso Mubarak; però Mubarak deve essersi irritato per il tifo della televisione inglese verso la sua piazza, perciò malgrado avesse già casa e capitali a Londra, ora pare stia chiedendo asilo alla Germania, dove si farà seguire dai suoi risparmi.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it.
Bibliografia e altre fonti:
- “L’alta finanza e le rivoluzioni” di H. Coston – Edizioni AR,
- Mensile Nexus n. 89,
(osservazioni e commenti sono miei).
L’influenza dell’antico Egitto arrivava alla Nubia, cioè il Sudan settentrionale, al Sinai ed a parte della Palestina, perciò furono grandi i rapporti tra Egitto e Israele e Giudea; il papiro dei re di Torino assieme ad altri papiri riportano il nome dei faraoni, essi sono stati divisi dagli studiosi in tre periodi dinastici, cioè il regno antico fino al 1720 a.c., quello medio fino al 1580 a.c. e quello recente fin al 1090 a.c. Fino al 1674 a.c. la capitale fu Menphis del Basso Egitto, che fu presa dagli Hyksos,perciò la capitale fu trasferita a Tebe, nell’Alto Egitto; nel 1720 a.c. era cominciato il dominio degli Hyksos, e perciò alcuni faraoni non furono egiziani.
Gli Hyksos erano semiti mediorientali nomadi di diverse stirpi, entrati in origine nel paese anche in posizione servile, si stanziarono sul delta orientale del Nilo e, resisi autonomi, fecero loro capitale la città di Avaris, creando ivi un principato tributario di Tebe; intanto il regno medio andava progressivamente in pezzi. Gli Hyksos furono poi scacciati negli anni 1650-1603 e nel 1567, sotto il Nuovo Regno, quando resistevano ancora alcuni principi locali Hyksos collaborazionisti.
Gli Hyksos non erano una nazione come gli accadi, gli amorrei, gli hurriri, gli huttiti e gli elamiti, ma una federazione di popoli asiatici nomadi, perciò lo storico egizio Manetone (III secolo a.c.), citato dallo storico ebreo Giuseppe Flavio (I secolo d.c.), non li ha descritti come un popolo; non avevano una cultura omogenea e perciò assorbirono facilmente la cultura egiziana e si fecero in parte assimilare. Ad Avaris gli Hyksos, con il solito sincretismo religioso che ha attraversato tutte le religioni, adoravano il dio Seth, già adorato dagli egiziani, che rappresentava un ippopotamo.
Seth era da loro identificato con il dio Baal di Palestina, la dea Astarte era la sua consorte; comunque, gli Hyksos adottarono anche il dio sole egiziano Ra, che doveva aprire la strada al monoteismo egiziano che ispirò Mosè nel XV secolo a.c. e il faraone Amenofi IV nel XIV secolo a.c.; insomma, anche se il faraone adottò il monoteismo, l’idea era nell’aria anche prima di lui. Se la cacciata degli Hyksos precede di oltre un secolo l’esodo ebraico e quindi, per i più, il fatto non sembra unire la sorte di Hyksos ed ebrei, per altri versi, gli ebrei hanno dimostrato, prima di Cristo e dopo di Cristo di essere stati, lungo i secoli, di casa in Egitto.
In guerra gli Hyksos si servivano prevalentemente di carro e cavallo, peraltro già conosciuti dagli egiziani, in Egitto, come avrebbero fatto gi ebrei in Israele, avevano riunito diverse tribù semite, i loro capi erano detti i re pastori (Manetone), anche i condottieri ed i sommi sacerdoti di Israele erano chiamati pastori e avevano come simbolo del potere il pastorale. Gli Hyksos, dalla loro vecchia capitale di Avaris, s’installarono a Menphis e, come segno di sovranità sul territorio, prelevavano tributi nel Basso e dall’Alto Egitto; alcuni di loro portavano il nome semitico di Hur, un loro sovrano portava il nome Horus, che significava sovrano delle regioni.
Secondo il papiro di Torino, il quarto sovrano Hyksos fu Apophis I che, per la ragion di stato, adottò un nome egiziano, come fecero anche i re vichinghi in Russia che, ad un cero punto, adottarono nomi slavi; Apophis I perciò volle farsi egiziano, fu lungimirante e sotto di lui egizi e Hyksos furono in buoni rapporti. Purtroppo, sotto il faraone Kamose, della XVII dinastia con sede a Tebe, gli egiziani si ribellarono e nel 1567 gli Hyksos furono cacciati.
Sotto gli hyksos, la Nubia era indipendente ed i dominatori avevano conservato le tradizioni del Medio Regno; durante la dominazione Hyksos ad Assuan vi erano anche popolazioni camitiche della Bassa Nubia, ingaggiate come mercenari, come truppe ausiliarie, ricognitori e fanteria leggera; avevano il ruolo degli ascari delle moderne potenze coloniali europee. Furono usati da Kamose nella sua campagna contro gli Hyksos; questi nubiani adottarono i costumi egiziani ed hanno continuato a servire nell’esercito e nella polizia egiziana fino ad oggi.
Tra i nomadi mesopotamici di schiatta semitica vi era la tribù dei Beniaminiti, erano semiti occidentali nomadi, pastori di pecore e razziatori; allora i semiti occidentali erano genericamente chiamati amorriti, provenivano dal deserto siriaco ed erravano tra Siria e Mesopotamia. I Beniaminiti erano una popolazione turbolenta ed una confederazione di tribù, erano diretti da sceicchi e facevano scorrerie saccheggiando anche città, erano imparentati con la tribù dei Rabbin e con il popolo degli Habiru, da cui potrebbe essere derivato il termine di ebreo, anche loro nomadi e semiti occidentali (“Storia del Mondo Antico” Università di Cambridge – Volume II – Garzanti editore).
Insomma popolazioni semite, tra cui gli ebrei, penetrarono in Egitto prima degli Hyksos, al seguito degli Hyksos e successivamente alla loro dominazione; secondo la bibbia, lasciarono il paese sotto Mosè, dopo che questo ebbe preso molte idee dal monoteismo egiziano; in Egitto, come in India, esisteva il rispetto verso gli animali e vi coabitavano monoteismo e politeismo. Quando gli Hyksos si diffusero nel Delta, gli Hurriti penetrarono in Siria settentrionale, la decadenza degli imperi offriva occasione d’invasione ad altre popolazioni, anche Bisanzio, attraverso questo processo, avrebbe favorito prima l’espansione araba e poi quella turca.
Secondo la bibbia, la tribù ebraica di Beniamino, una delle dodici, che abitava in mezzo alla tribù di Giuda e dominava a Gerusalemme, fu la prima a disperdersi, anche prima della deportazione che colpì le dieci tribù Israele al nord, causata dalla dominazione assira che fece una pulizia etnica. Secondo la mitologia biblica, i membri della tribù di Beniamino violentarono e procurarono la morte di una concubina appartenente ad un’altra tribù ebraica (Giudici 19-21), il che fece nascere una guerra con le altre tribù ebraiche che provocò lo sterminio e la dispersione dei Beniaminiti, alcuni di loro sopravvissero perché riuscirono a rapire e sposare donne di tribù non ebraiche.
Nel II secolo San Paolo di Tarso diceva di discendere dalla tribù di Beniamino, probabilmente Paolo, fondatore del cattolicesimo, era lo pseudonimo del vescovo gnostico Marcione del Ponto, entrambi dell’Asia Minore; nei Balcani i re merovingi di Meroveo (dal V all’VIII secolo d.c.), a capo delle tribù germaniche dei franchi, affermavano di discendere dalla tribù ebraica di Beniamino. Nel IX secolo d.c. il regno cazaro del Volga, per la ragion di stato, cioè per difendersi e preservare la sua autonomia da russi ortodossi e da turchi islamici, si convertì all’ebraismo (“La tredicesima tribù” di Arthur Koestler – Utet Editore); il che significa che anche l’ebraismo, prima di essere stato stopppato dalla chiesa e dall’Islam, aveva fatto del proselitismo.
Però sfruttare il nome di Beniamino era solo propaganda, lo stato, prima di falsificare le statistiche, ha sempre falsificato la storia; nella ricerca del consenso e della governabilità, i sovrani a volte rivendicavano un’origine o una natura divina, a volte affermavano di discendere da personaggi mitici, da popoli mitici e da animali mitici, che mettevano anche sul loro stemma; visto che la tribù di Beniamino era scomparsa o dispersa, si poteva utilizzare a tale fine anche il suo nome. Si dice anche che in India esistano i discendenti della tribù ebraica di Manasse (che sembra una parola egiziana), però questo potrebbe essere vero.
Secondo la mitologia biblica e conformemente ai costumi dei popoli, la tribù di Beniamino, nella divisione di Canaan o Palestina occupata dagli ebrei di Giosuè, ottenne la città di Gerusalemme, già appartenuta ai Gebusei e dove era già adorato Geova, il Dio che poi fu di Israele; poi fu attaccata dalle altre tribù, decimata e si trasferì nel Danubio, dando origine ai merovingi franchi. (“I segreti del codice da Vinci” di Dan Bernstein – Sterling & Kupfer Editore)
I merovingi di Francia provenivano dall’Asia Minore, arrivarono nel Mar Nero, nel Danubio e nei Balcani, affermavano di discendere da Beniamino e dal Messia per linea materna, il loro simbolo era il giglio che, secondo le norme ebraiche, ricordava la loro discendenza materna da Maria (“La Linea del sangue del Santo Graal” di Laurence Gardner – Newton Editore).
A causa di guerre, ambizioni territoriali, rivalità economiche e antipatie culturali, tanti popoli sono stati sterminati, scacciati dalle loro terre o assimilati, in pratica sono scomparsi per la storia; gli ebrei sono stati colpiti duramente da tanti popoli, soprattutto per cause religiose, ma non sono scomparsi perché attaccati alla loro fede ed alle loro prescrizioni religiose e secondariamente perché contrari ufficialmente, per evitare contaminazioni culturali, ai matrimoni misti, il che ne impedì durante la dispersione l’assimilazione.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it
Note: bibliografia citata nel testo
Tutti i partigiani dei borboni furono chiamati briganti, invece i mafiosi arruolati da piemontesi e Garibaldi ebbero riconoscimenti e medaglie dai Savoia, ad alcuni intestarono strade e piazze, ad altri diedero un posto in parlamento. L’Italia fu fatta con il furto e con il sangue, poi si teorizzò l’inferiorità razziale dei meridionali, infatti, le teste mozzate dei meridionali erano inviate ai seguaci di Cesare Lombroso per individuare i caratteri fisici dei delinquenti nati; il sud, annesso al Piemonte, fu condannato ad essere colonia di sfruttamento per consentire lo sviluppo del nord..
L’Italia unità generò il brigantaggio perché i cafoni meridionali, privati delle terre demaniali per il pascolo e il legnatico, si scatenarono contro i galantuomini borghesi che le avevano tolte loro con l’aiuto dei piemontesi; i briganti erano guidati da ufficiali e sottoufficiali borbonici legittimisti, tra essi, il sergente Romano lottava per Francesco II e la chiesa, fu ucciso ed il suo cadavere fu fatto a pezzi.
Nel 1799 a Napoli c’era strato lo scontro tra giacobini liberali e sanfedisti, seguaci della chiesa e dei borboni e nel 1861 ci fu lo scontro tra legittimisti borbonici e unitaristi filopiemontesi; ci furono vere sollevazioni popolari, militari piemontesi e garibaldini furono linciati dalla folla, poi interi paesi dovettero subire la rappresaglia piemontese, con stupri, uccisioni e distruzioni di paesi
La rivolta antipiemontese si confuse con la rivolta sociale e così furono linciati anche proprietari terrieri, anche i guerriglieri briganti conducevano la lotta con metodi brutali; i piemontesi non unificarono l’Italia ma allargarono il Piemonte, imponendo all’intero paese le loro leggi e la loro burocrazia inefficiente al confronto di quella austriaca di Trento, come gli stessi Savoia ebbero a riconoscere. Il regno delle Due Sicilie nacque per il tradimento dei suoi ufficiali superiori e della flotta, questi trattennero i soldati ed i marinai dalla reazione all’invasione, così il Piemonte s’impossessò facilmente del sud; però a Gaeta e a Civitella i piemontesi incontrarono una dura resistenza da parte delle truppe lealiste.
Gaeta fu distrutta e saccheggiata ed oggi è diventato territorio demaniale, un gaetano su cinque morì sotto i cannoni, gli altri quattro quinti divennero nullatenenti e mendicanti; nel 1849, quando il Piemonte punì Genova ribelle, i danni delle bombe furono dieci volte inferiori ai furti dei soldati. A Gaeta i soldati piemontesi distrussero anche gli alberi d’olivo e trecento frantoi, alcuni dei quali furono trasportati sul lago di Garda.
Il commercio marittimo della città, i suoi pescherecci ed i suoi cantieri navali furono distrutti, era stata una città importante e fu ridotta ad un paesello da cui partivano emigranti per gli Usa; alcuni di loro si arruolarono con gli austriaci, contro gli italiani, a Lissa e Custoza. Prima del massacro del 1861-61, i gaetani e gli altri sudditi del regno non avevano conosciuto l’emigrazione.
A Gaeta fu promesso un risarcimento dello stato poi mai ricevuto, per il centenario dell’unità d’Italia lo stato fece intendere agli amministratori di Gaeta che non avrebbe dato soldi alla città se questa non avesse intestato delle strade agli eroi del risorgimento. Oggi in Italia la destra difende l’economia lombardoveneta, la sinistra quella toscoemiliana, mentre dall’unità il sud è stato appaltato dallo stato alla mafia, nelle sue varie denominazioni regionali.
L’invasione ed il saccheggio provocarono la reazione violenta dei meridionali, brigantaggio e attività malavitose, quando la gente si vendicava sui piemontesi provocava rappresaglie; poi i liberatori del nord si allearono con la mafia e con gli usurpatori borghesi delle terre demaniali contro i poveri e gli onesti. Questi usurpatori potevano tenersi le terre rubate se sostenevano i Savoia, perciò crebbe anche una rivolta sociale tra cafoni e signori, che avevano loro milizie private ed ospitavano mafiosi; sotto i borboni, l’Italia meridionale era autosufficiente e non più povera del resto dell’Italia, però con l’unità fu spogliata e la proprietà si concentrò nelle mani di ricchi, speculatori e usurai.
Garibaldi denunciò in Parlamento gli oltraggi commessi sui meridionali, le donne furono abusate vicino agli altari, spogliate, uccise e poi furono mozzate loro le mani, alcune furono legate nude agli alberi; quelle che volevano salvare il loro onore erano uccise all’istante, i piemontesi razziavano valori e alimenti, strappavano gli orecchini alle donne e tagliavano loro le dita per sfilare gli anelli, incendiavano paesi, a volte impiccavano la gente per risparmiare pallottole.
Dopo le stragi, ci furono profughi e madri impazzite, i bersaglieri facevano mercato dei beni saccheggiati, per ogni piemontese o lombardo ucciso, si fucilavano fino a venti terroni. Fu così che fu distrutto il paese di Pontelandolfo nel Sannio, dove i romani avevano deportato liguri ribelli e dove erano immigrati nel medioevo esuli senesi; a guidare l’eccidio di Pontelandolfo fu il colonnello Pier Eleonoro Negri, medaglia d’oro al valor militare.
Alcuni proprietari si salvarono pagando un riscatto, però non tutti ebbero questa fortuna, perché avevano ricchezze che facevano gola ai piemontesi; tra gli abitanti di Pontelandolfo, Antonio Rinaldi, malgrado fosse liberale ed unitario, fu derubato e costretto a pagare un riscatto, poi fu fucilato assieme ai figli. Con i savoiardi combattevano anche i feroci ussari della compagnia ungherese, così tanti comuni sparirono dalla carta geografica, ben 1.500 comuni si erano ribellati ai piemontesi che reagirono con le atrocità che suscitarono le proteste della stampa straniera.
I cadaveri delle brigantesse erano esposti nudi dopo le sevizie, contadini poveri furono squartati e seppelliti vivi, lo ha ricordato anche Gramsci; però è anche accaduto che delle donne evirassero ed impiccassero i garibaldini sconfitti dalla legione borbonica matese. A Napoli i liberatori promossero i camorristi a poliziotti e giustizieri; si stupravano le donne per fiaccare gli uomini, l’avidità portava al sangue, l’ordine era di atterrire la popolazione.
Così ci fu uno sterminio di massa, su nove milioni di abitanti, forse perì un milione di persone, il numero dei morti fu superiore a quello dei voti al plebiscito; del resto, Covour aveva ordinato di non perdere tempo a fare prigionieri; poi gli autori dei massacri ricevettero medaglie d’oro, d’argento e menzioni onorevoli. I prigionieri erano costretti a scavare una fossa e poi erano fucilati, chi era trovato in possesso di un’arma era fucilato, a volte si esponevano i cadaveri dei cosiddetti briganti in piazza e poi s’invitava la gente a dare soldi.
A Marsala si fucilarono i renitenti alla leva, in provincia di Agrigento furono imprigionate, in condizioni inumane, 32.000 persone, i militari del generale La Marmora tenevano in galera anche i prigionieri assolti e quelli che avevano scontato la pena; la legge Pica fece imprigionare i sospetti senza condanna e portò alla cattura di 60.000 persone. Agli ultimi difensori di Gaeta era stato promesso il ritorno a casa in caso di resa, in realtà, furono imprigionati, deportati in carri bestiame e fatti morire di stenti nei lager del nord.
Alcuni di essi si suicidarono ed altri furono massacrati dai cittadini di Mantova, altri profughi si rifugiarono in Francia, Svizzera e Austria; ai napoletani si chiedeva di rinnegare il giuramento fatto a Francesco II borbone, però pochi, diversamente dai loro comandanti, lo fecero. I generali borbonici si arresero ai garibaldini, malgrado comandassero migliaia di uomini, a volte i soldati napoletani combattevano a dispetto dei loro comandanti.
Sembrava che l’Italia volesse elevare la qualità della popolazione facendo una pulizia etnica, infatti, il ministro degli esteri Luigi Menabrea ed il generale Cadorna proposero agli inglesi di deportare i meridionali in qualcuna delle loro colonie, ma l’Inghilterra si oppose e rispose di deportarli in Alta Italia; gli inglesi temevano che questi insediamenti italiani potessero far scaturire rivendicazioni coloniali italiane sulle terre di destinazione.
Con l’annessione del sud, le sue industrie persero le commesse e chiusero con fallimenti e licenziamenti, mentre i capitalisti, come fanno di solito in periodi d’incertezze, esportavano capitali all’estero, i piemontesi licenziarono anche impiegati pubblici meridionali. Non è vero che la corruzione è esistita solo al sud o nello stato della chiesa, Luciano Salera nella “Storia del Piemonte” rivela che anche in Piemonte si vendevano favori, titoli e sentenze; se oggi al sud esiste malaffare, questo malaffare esiste anche al nord, vedi i casi di Parmalat, Cirio e sanità lombarda.
I piemontesi requisirono proprietà ecclesiastiche che facevano assistenza, per costruire le ferrovie al sud fecero arrivare operai dal nord, anche le balie arrivavano dal nord, i napoletani che lavoravano erano pagati la metà rispetto ai piemontesi. La popolazione, per salvarsi, doveva finanziare contemporaneamente liberali, briganti, piemontesi e lealisti, la violenza dei piemontesi riceveva la medaglia al valore, quella dei briganti la fucilazione, ai detenuti si chiedevano soldi per la liberazione. Sarà per questo che nel 1900 l’uccisione di re Umberto I fu salutata con manifestazioni popolari di giubilo da parte degli emigranti italiani all’estero.
A Rionero in Vulture, in Lucania, Giustino Fortunato ed il suo discepoli, Francesco Saverio Nitti, erano a favore dell’unità, in città risiedeva anche il brigante Carmine Crocco, suo massaro filoborbonico che collaborò con il sergente Romano; i Fortunato erano ben visti dal popolo e Crocco aveva ordinato di non torcere loro un capello. In generale, quando arrivarono i piemontesi, i possidenti nascosero i briganti, poi però, per opportunismo e interesse, divennero unitari e liberali mentre i briganti furono catturati.
Crocco era stato un soldato borbonico, uccise per vendicare sua madre e sua sorella, fu imprigionato dai borboni e combatté sul Volturno per Garibaldi, poi passò ai borbonici, dai quali ricevette riabilitazione ed armi e così divenne brigante. Alcuni galantuomini avevano assoldato ex soldati borbonici sbandati, per ripristinare la dinastia spodestata, però c’era chi non aderì all’iniziativa affermando di temere le rivendicazioni del popolo che era con il re. Quanto i piemontesi prevalsero, confessarono ai magistrati di essere stati costretti ad assecondare il popolo, perciò furono assolti mentre i briganti furono condannati.
In generale, i signori erano disuniti ma erano uniti contro i cafoni, fu Giustino Fortunato che fece evadere Carmine Crocco dal carcere di Cerignola, la famiglia di Giustino Fortunato era imparentata con i principi Alliata siciliani. Crocco mise su un esercito che accettava anche la battaglia in campo aperto, era capace di trascinare i suoi uomini, anche il generale piemontese Emilio Pallavicini riconobbe le sue doti militari.
Fu il ministro borbonico Liborio Romano a suggerire a Francesco II di lasciare Napoli per ritirarsi a Gaeta, se fosse rimasto a Napoli, Garibaldi avrebbe dovuto espugnare una città bene armata legata al suo re; Liborio era massone e liberale e voleva l’Italia unita, malgrado ciò, divenne prefetto di polizia e ministro dell’interno, sembra che preparò l’ingresso di Garibaldi a Napoli per scongiurare un bagno di sangue nella città; comunque, come avevano fatto con la mafia garibaldini e piemontesi in Sicilia, diede incarichi di polizia alla camorra di Napoli. Liborio, aveva sconfitto in tribunale il suo re, quale rappresentante legale delle Gran Bretagna nella causa per il commercio dello zolfo siciliano; questo fatto dimostra la tolleranza da parte di Francesco II verso repubblicani, liberali, unitari.
Luigi Farini affermava che pochi in Italia meridionale erano a favore dell’unità, però Liborio Romano divenne ministro dell’interno del governo provvisorio di Garibaldi a Napoli, poi divenne ministro piemontese ma si dimise per l’avidità dei piemontesi. Il salentino Liborio aveva ricevuto molte preferenze alle votazioni e divenne ministro, Costantino Nigra era geloso di lui; Liborio non fu nepotista, non voleva l’annessione del sud ma la sua fusione con il resto dell’Italia.
In epoca di gold standard e d’economia fisiocratica, nel sud d’Italia, con un terzo della popolazione, c’era il doppio dei depositi aurei del resto d’Italia, invece le finanze del Piemonte erano in dissesto, a causa delle spese di guerre sostenute nelle prime due guerre d’indipendenza e nella guerra di Crimea. Nel 1859, mentre il Piemonte progettava la conquista del sud, il deputato cavouriano Pier Carlo Poggio affermò: “O la guerra o la bancarotta”.
Con l’unità si fece cassa comune così i soldi del sud servirono a pagare i debiti del nord ed il regno delle due Sicilie sanò il passivo del regno di Sardegna che superava il miliardo di lire; poi il meridione fu colpito anche dal severo sistema fiscale savoiardo e dovette sostenere anche le spese per la sua liberazione cioè dell’esercito piemontese occupante; quando i meridionali capirono che la resistenza armata era persa, a causa dell’impoverimento, decisero di emigrare in America, in precedenza non avevano conosciuto l’emigrazione.
Da allora gli investimenti statali in infrastrutture si fecero soprattutto al nord, così crebbe la distanza tra nord e sud, intanto Milano è diventata capitale di reati finanziari e capitale della ndrangheta. Sotto i borboni le tasse erano più basse che negli altri stati italiani, le riserve auree erano maggiori, vi era una grande flotta e industrie, ma vi erano poche infrastrutture perché i borboni ritenevano di fare del mercantilismo con la flotta, i loro porti erano orientati verso l’esportazione di prodotti in Europa settentrionale ed in Usa.
Prima dell’Unità non esisteva una reale differenza di reddito pro capite tra nord e sud, se il nord ebbe l’età comunale, il sud ebbe lo sviluppo favoloso del periodo svevo in Puglia e Sicilia ed ereditò la superiorità navale delle repubbliche marinare italiane; nel Mezzogiorno c’era meno feudalesimo che in Giappone, Napoli era la terza città d’Europa per popolazione e la flotta napoletana era la terza flotta del mondo.
La ricchezza fu drenata dal sud al nord con le spoliazioni, le tasse, i disinvestimenti, i soldi esportati dalla mafia, coltivata dallo stato e dai partiti; perciò il divario tra nord a sud cominciò a manifestarsi alla fine degli anni 1880, quando espose anche l’emigrazione meridionale e nacque la questione meridionale. Da ricordare anche che nel 1861 in Italia si viveva meglio che in Inghilterra, i divari regionali erano modesti, però poi aumentarono per quasi un secolo.
Nel 1891, dopo trent’anni di furti, industrie chiuse al sud, tasse maggiori al sud e spese statali solo al nord, il reddito pro capite della Campania era ancora comparabile a quello della Lombardia, le regioni più disastrate erano la Calabria, la Val d’Aosta e la Sardegna, queste due ultime già sotto amministrazione piemontese. Nel 1891 il sud aveva il 37% della popolazione e produceva poco meno del 27% della ricchezza nazionale.
Nel 1911 la Campania aveva un reddito pro capite ancora superiore a quello medio italiano, però nel 1921 il mezzogiorno era complessivamente area di sviluppo ritardato, il fascismo accelerò le distanze tra le due Italie; perciò nel 1951 l’Italia si presentava con un’economia dualista, con un centro nord in sviluppo ed un sud sottosviluppato, il sud produceva il 22% della ricchezza nazionale; oggi la Campania è la regione europea con più poveri e con più disoccupati.
Nel 1860 Napoli era la prima città italiana e la terza d’Europa, per abitanti e cultura, a Napoli non c’era più miseria che a Parigi o Londra, nel regno arrivavano stranieri che vi facevano investimenti, si arricchivano e rimanevano, come gli inglesi di Sicilia; prima dell’unità, le condizioni dei contadini meridionali erano state migliori, l’industria si stava sviluppando e il re borbone contrastava la nobiltà e forniva assistenza, con profilassi intitubercolare, case popolari, aiuti ai contadini e pensioni ai letterati poveri, che erano quasi sempre repubblicani.
Allora il Friuli, sotto l’Austria, era molto povero e, secondo Francesco Saverio Nitti, prima del 1860 nel sud vi era maggiore ricchezza che in quasi tutte le regioni del nord; però nel sud solo il 10% del commercio era effettuato con gli altri stati italiani, dal sud non emigrava nessuno, le tasse erano poche. La prima cattedra del mondo di economia politica nacque a Napoli, dove nacque la prima ferrovia d’Italia, il primo telegrafo, il primo ponte in ferro e l’illuminazione a gas; Napoli aveva la seconda flotta mercantile e la terza flotta militare d’Europa.
Dopo l’unità il mezzogiorno fu isolato dall’Europa e dal mondo, perdette le rotte e non ebbe le strade, la sorte del Mezzogiorno era stata decisa da massoneria, Inghilterra, Francia e Piemonte, che si servirono per il loro delittuoso progetto della malavita meridionale; l’Inghilterra temeva la concorrenza dell’industria nascente e della flotta mercantile napoletana. Da allora il crimine organizzato del sud divenne alleato del sistema economico del nord e perciò Giovanni Giolitti fu chiamato dal pugliese Gaetano Salvemini, ministro della malavita.
Ancora aggi grandi imprese del nord subappaltano al sud lavori ad imprese mafiose, mentre la borsa di Milano è divenuta la lavanderia dei soldi sporchi delle cosche; dal tempo dell’unità, ndrangheta, mafia e camorra erano legate alla massoneria, in un sistema economico integrato massonico-mafioso-imprenditoriale-politico. Gaetano Salvemini affermava che esisteva un’alleanza tra camorristi del sud e moderati del nord.
Purtroppo il padre di Francesco II, Ferdinando, spese in politiche sociali e non in armi per l’esercito, non curò la politica estera e non fece complotti, non intessé trame internazionali e morì alla vigilia dell’invasione del suo paese, quando Francesco II era ancora giovane e inesperto, circondato da ufficiali superiori venduti ai piemontesi, malconsigliato dal ministro Liborio Romano. Invece Cavour aveva operato con i suoi agenti nelle varie regioni d’Italia per destabilizzarle ed annetterle al Piemonte, pagava i moti spontanei che si ebbero nel sud e nel centro Italia.
Anche Giuseppe Garibaldi affermò che tra i garibaldini, cresciuti dopo lo sbarco in Sicilia, vi erano ladri e gente votata alla violenza; ciò malgrado questi ebbero tutti riconoscimenti dalla stato savoiardo; i moti spontanei servivano a provocare l’intervento piemontese, a Firenze il patriota agente del Piemonte era Bettino Ricasoli a Parma Luigi Farini, che spogliò la reggia di Parma, in Sicilia era agente Francesco Crispi.
Comunque, quando fu sciolto l’esercito dei volontari garibaldini, solo i volontari settentrionali furono inseriti nell’esercito settentrionale, mentre i generali e gli ammiragli traditori napoletani ottennero riconoscimenti e privilegi dal Piemonte. Garibaldi sbarcò a Marsala, dove erano più inglesi che siciliani, protetto dalla flotta inglese, nell’isola i mille divennero decine di migliaia, con ungheresi, polacchi, russi, dalmati, inglesi, francesi, greci, piemontesi.
Il siciliano Francesco Crispi, segretario di Garibaldi e fiduciario dei Savoia, confiscò il tesoro del Banco di Sicilia, poi i fratelli massoni d’Italia presero possesso delle migliori residenze ed i garibaldini spogliarono la reggia borbonica. Francesco II fuggì da Gaeta, abbandonando l’oro dello stato, le opere d’arte, il patrimonio personale e la dote della moglie; invece quando nel 1946 i Savoia partirono per l’esilio, diciotto treni si diressero per la Svizzera con il loro bagaglio a mano, mentre i valori avevano già preso quella strada in precedenza.
Furono razziati enti, case, chiese, regge, la ricchezza asportata fu di centinaia di milioni di lire oro, poi ci fu il drenaggio fiscale, il sud fu trattato come una colonia; forse i piemontesi si comportavano così da cattivi amministratori perché la conquista era stato troppo facile e temevano di perdere a breve il territorio. Con l’unità si realizzò un’enorme trasferimento di ricchezza, a favore di borghesi, militari e nobili; nel 1899 Giustino Fortunato, che aveva creduto all’unità, riconobbe che l’unità era stata la rovina del sud.
Con la vendita dei beni demaniali ed ecclesiastici, la nuova Italia incassò l’equivalente di 500 miliardi di euro attuali; poi, poiché gli sportelli bancari seguono gli affari e le industrie che si spostano, al Banco di Napoli fu vietato di aprire filiali al nord, mentre le banche del nord aprivamo filiali al sud; perciò, quando nacque la Banca d’Italia, 20.000 sue azioni furono date alle banche del sud e 280.000 a quelle del centro nord.
Il primo provvedimento dell’Italia unita fu la tassazione aggiuntiva per il sud, con l’imposta del decimo di guerra, invece al nord si fecero strade, ferrovie, scuole, porti e bonifiche, fino ai primi del novecento vi s’investiva come se fosse stato scoperto un giacimento d’oro; la Cassa depositi e prestiti, che raccoglieva risparmio postale per il 40% in Italia meridionale, finanziava solo gli investimenti pubblici il nord.
Nel 1861 al sud i comuni popolosi erano il doppio che al nord, oggi sappiamo che l’urbanesimo si sviluppa con commercio, artigianato e industria e non con la campagna; secondo Gaetano Salvemini, fatta l’Italia unita, le tasse era più alte nei comuni più poveri del sud, inoltre, con l’unità, lo stato prese a finanziare di più i comuni del nord che quelli del sud; all’alba del novecento, lo stato spendeva 93 lire per ogni abitante del Lazio e 9 lire per ogni abitante della Basilicata.
Nei primi tre decenni dell’unità la classe dirigente fu in larga misura settentrionale e l’inevitabile clientelismo della politica decideva le spese che si concentrarono soprattutto al nord, dal 1860 al 1998 lo stato spese in Campania duecento volte meno che in Lombardia; come accade oggi in Italia, il Piemonte, diversamente da Napoli, era abituato a spendere più di quanto s’incassava. Le imposte sulla casa erano più alte quanto più misera era l’abitazione, secondo Nitti, la tassazione cresceva con la povertà, Sidney Sonnino definì il processo saccheggio fiscale della miseria.
Sembrava che il nord volesse la pulizia etnica del sud, mentre in Lombardia c’era un pignoramento ogni 27.416 abitanti, in Calabria ce n’era uno ogni 114, nel napoletano un abitante su diciotto fu privato di tutto. Intanto la monarchia sabaudia utilizzava per la sua corte due punti percentuali del reddito nazionale, era un primato mondiale; consideriamo a paragone che la Cassa del Mezzogiorno, abolita per i suoi sprechi, ebbe una dote lo 0,5% del PLI annuo, mentre i borboni, per non aumentare le tasse, usavano attingere al patrimonio personale per bonifiche e ed opere pubbliche.
Nonostante tutto, l’agricoltura meridionale, agganciata saldamente ai mercati esteri, reggeva, con agrumi, mandorle e olio; purtroppo nel 1887, per favorire lo sviluppo dell’industria al nord, fu rotto il trattato commerciale con la Francia, così si danneggiò l’esportazione agricola meridionale in quel paese ed anche in Puglia arrivò la fame, costretta anche a pagare di più i prodotti industriali del nord, che chiedeva protezioni doganali allo stato.
A causa della guerra commerciale, la Francia ritirò i suoi capitali dalla Banca di Sconto di Torino, che soffrì gravissime perdite, a danno soprattutto dei meridionali, infatti, 400.000 suoi creditori erano del sud ed avevano tesaurizzato a causa delle incertezze dei tempi; comunque, lo stato incassò denaro dai possidenti, ai quali svendette terre demaniali sottratte all’uso civico.
Gramsci scrisse che con la guerra al brigantaggio erano stati massacrati meridionali innocenti, che l’unità non era avvenuta su base d’eguaglianza, che il nord si era sviluppato con lo sfruttamento del sud; Don Sturzo scrisse che il risparmio meridionale fu pompato dallo stato a beneficio del nord, Nitti scrisse che le ricchezza del Mezzogiorno era trasmigrata al nord, Salvemini scrisse che il meridione fu rovinato dall’unità e dal 1887 dallo sviluppo industriale del nord.
Finalmente dal 1904 al 1906 furono ridotte le tasse al sud e varati i primi interventi straordinari a favore del mezzogiorno, fu costruito l’acquedotto pugliese; però, con la prima guerra mondiale, il sud diede la metà dei morti, ma incassò solo il 7,4% delle spese di guerra; infatti, le forniture per la marina furono assegnate alla Liguria, mentre i cantieri più grandi e moderni della Campania chiusero uno dopo l’altro.
Nel 1929 la crisi colpì imprese e banche e nacque l’Iri, lo stato aiutò finanziariamente il processo di risanamento con i soldi di tutti, sempre a vantaggio degli industriali e delle banche del nord, abituati ad esportare capitali all’estero che compensavano le rimesse dei nostri emigranti. Così lo stato fascista, che si era detto a favore del mercato, arrivò a controllare gran parte delle industrie e delle banche; era accaduto ciò perché Milano esigeva protezione, aiuti e profitti, con oneri per lo stato.
Dai fascisti la bonifica delle paludi pontine fu assegnata esclusivamente a settentrionali, con contributi pubblici e trasferimenti di contadini del nord, come se al sud non ce ne fossero di capaci e bisognosi di lavoro; poi il fascismo condannò il sud e produrre grano, a danno delle produzioni pregiate per l’esportazione. In precedenza il regno delle due Sicilie aveva praticato l’agricoltura specializzate e di pregio, poi, grazie al fascismo, l’Italia divenne importatore d’olio d’oliva per il mercato interno.
La Puglia era stato un immenso oliveto, soprattutto il nord barese, quest’olio era usato anche come lubrificante delle macchine in Europa, a Gallipoli c’era la borsa dell’olio, poi l’industria sostituì quest’olio con quello di semi e con quello minerale; la rottura degli accordi commerciali con la Francia, la vendita delle terre ecclesiastiche, l’accaparramento delle terre demaniali, i boschi spianati e la battaglia del grano fascista portarono a divellere viti, frutteti, oliveti e agrumeti, mentre aumentarono i braccianti senza terra.
Ci furono rivolte ed i fascisti uccisero il sindacalista socialista Peppino di Vagno, i mazzieri fecero la loro prima apparizione in Puglie e poi furono adottati dal fascismo; durante il fascismo, i progetti di elettrificazione del sud furono bloccati ed il sud diventò definitivamente più povero del centro-nord, poi i fallimenti bancari distrussero i risparmi degli agricoltori. Il fascismo ostacolò l’emigrazione dei meridionali a nord e favorì l’emigrazione dei settentrionali a sud in terre bonificate, malgrado ciò, durante il regime crebbe l’emigrazione dei meridionali, anche se clandestina, al nord e all’estero.
Nel 1921 gli Usa misero restrizioni all’immigrazione e nel 1931 la Francia restituì all’Italia gli immigrati, perciò i meridionali cominciarono ad affluire nel nord Italia; a causa della crisi in Puglia, crebbe l’immigrazione pugliese a Milano e a Torino; alcune speranze per gli immigrati nacquero con l’impresa coloniale libica del 1912 e con quella etiopica del 1936 che, secondo il fascismo, dovevano fornire uno sbocco sicuro alla nostra emigrazione.
Nella seconda guerra mondiale l’Italia meridionale divenne campo di battaglie e subì più distruzioni del nord; nel sud si sentì più forte l’inflazione. Finita la guerra, i risarcimenti per la ricostruzione andarono soprattutto al centro-nord, inclusi i duecento milioni di dollari versati dagli anglo americani come danni di guerra, inclusi gli aiuti del piano Marshall per la ricostruzione; poi, mentre l’industria settentrionale si apriva alla concorrenza estera, quella meridionale, troppo debole, dovette soccombere con i nuovi accordi di libero mercato europei.
La Germania, che voleva risorgere dalla guerra, chiese una riduzione di dazi sull’importazione delle sue macchine, pena il taglio d’importazione dei nostri prodotti agricoli meridionali; a causa di tutti questi fatti, nel 1947 il reddito pro capite della Campania era la metà di quello nazionale. Alla fine dell’ottocento lo stato italiano, con poca lungimiranza, mise una tassa sugli emigranti, infatti nel 1938 le rimesse degli emigranti salvarono la bilancia valutaria dello stato.
Comunque, il denaro degli emigrati fu drenato dalle banche e utilizzato per lo sviluppo industriale del nord e per esportazione illegali di capitali all’estero. Dopo la seconda guerra, la Confindustria si oppose all’industrializzazione del sud, affermava che era più conveniente trasferire manodopera al nord; il sindacalista Giuseppe di Vittorio, ex bracciante di Cerignola, contrastava il presidente degli industriali Costa.
Cinque milioni di meridionali partirono per il nord, la confindustria voleva anche che gli impiegati pubblici fossero pagati meno al sud. Il valore economico dei 5 milioni di meridionali adulti spostati al nord era quintuplo rispetto agli stanziamenti della Cassa per il mezzogiorno per tutta la sua durata; intanto al sud la polizia sparava sui braccianti che volevano le terre.
Finalmente nel 1961 fu abolita la legge fascista che proibiva l’emigrazione interna, che aveva favorito lavoro clandestino e bassi salari, i clandestini si erano recati anche in Germania e in Svizzera; in Lucania fu scoperto dall’Eni un grande giacimento di gas, che fu utilizzato dallo stato e dalle industrie del nord. Se la Lucania fosse stato uno stato estero, avrebbe preteso royalities per il suo sfruttamento e avrebbe favorito il suo sviluppo, sempre che la sua classe politica avesse operato in tal senso.
Il sud è stato svuotato di denaro, di beni e della migliore gente, lo si è assistito perché non producesse, ha esportato manodopera a basso costo; i soldi spesi per il sud, per investimenti, bonifiche e varie emergenze naturali, sono per lo più tornati al nord, perché i lavori sono stati appaltati ad imprese del nord. I soldi spesi effettivamente al sud hanno avuto carattere assistenziale e di sostegno al reddito delle persone; l’evasione e il lavoro nero al sud sono stati tollerati dallo stato perché valvole di sfogo alla miseria e perché capaci di contenere il costo del lavoro.
Oggi il nord incassa quasi tutti gli interessi del debito pubblico, perché lì sono banche e creditori, e quasi tutte le pensioni d’anzianità, anche questi sono trasferimenti di ricchezze, mentre il sud ha le pensioni d’invalidità ed i sussidi, sempre condannati; le grandi imprese del nord eseguono lavori al sud appoggiandosi alla criminalità, in tal modo, assieme alla politica, contribuiscono a tenerla in vita; hanno avuto appalti per il terremoto dell’Irpinia e sulle altre calamità, come per l’autostrada A3 e per altre opere pubbliche.
Nella storia d’Italia unita, diversamente dal nord, il sud ha ricevuto meno investimenti pubblici e servizi delle tasse da esso pagate, Liguria, Valle D’Aosta, Trentino e Friuli Venezia Giulia sono stati trattati meglio; oggi nel sud ci sono stabilimenti industriali, ma generalmente le loro sedi sono al nord, per cui il fatturato risulta realizzato al nord e così le tasse pagate. Ciò è di rilievo anche per la partecipazione alle imposte da parte di comuni, province e regioni, sia oggi che quando dovesse nascere il federalismo.
Nel 1992 fu soppressa la Cassa per il Mezzogiorno per sprechi, però in Italia si spreca, a vantaggio dei soliti amici, anche con calamità, opere pubbliche, sanità, G8, olimpiadi, Tav, ecc., con opere che costano molto più che all’estero, a vantaggio sempre delle grandi imprese del nord. In Puglia, dal 1950 al 1992, l’acquedotto pugliese ha aumentato enormemente la produzione agricola, producendo più valore aggiunto dello stabilimento siderurgico di Taranto, vuol dire che non solo i veneti, ma anche i pugliesi sono buoni agricoltori.
Oggi le imprese si trasferiscono al nord per migliori trasporti, migliori infrastrutture, minori interessi bancari e minore criminalità, l’industria del nord ha beneficiato di protezione, commesse e sussidi statali; tra il 1930 e il 1932 lo stato ha coperto le perdite delle banche causate dall’insolvenza delle industrie. Oggi, a causa delle leggi, le industrie ricevono incentivi anche per investire a Busto Arsizio, che è già industrializzato; negli anni settanta la Confindustria ottenne finanziamenti dalla Cassa per il Mezzogiorno per finanziare al nord scuole professionali per immigrati del sud, affidandone la gestione agli industriali; la legge sullo sviluppo dell’imprenditoria giovanile è stata estesa a tutto il paese, cioè anche laddove l’industria già esiste.
Le banche hanno tutte sede al centro nord e quando Tremonti ha annunciato di volere creare una banca per il sud, il nord ha chiesto di istituire anche una banca per il nord, oggi il 98% delle spese delle Fondazioni bancarie è diretto al nord; nel 1996 l’Isveimer, la banca per lo sviluppo del sud, finanziava anche la Fininvest di Berlusconi, che investiva prevalentemente al nord. Dal 1991 al 1996 gli investimenti per il sud sono scesi e si sono persi 600.000 posti di lavoro, i fondi Fas per le aree sottosviluppate sono stati utilizzati anche al nord.
Le risorse per il sud finiscono in gran parte al nord, a parte i sostegni ai disoccupati organizzati e alle pensioni d’invalidità per i meridionali, il 40% della raccolta della Cassa depositi e prestiti, fatta tramite le poste, è costituita da risparmi di meridionali che finiscono investiti al nord. Nel sud è difficile trovare lavoro ed i suoi disoccupati non compaiono nelle liste di disoccupazione e nelle statistiche Istat, che perciò sottostima il tasso di disoccupazione italiana.
Negli altri paesi le liste sono aggiornate ed esiste un’efficiente rete d’aiuti sociali, perciò non è necessario ricorrere alle pensioni d’invalidità false, in Italia c’è poca assistenza sociale, non è previsto salario sociale per i senza lavoro, ma solo sostegno per chi il lavoro lo perde; i beneficiari della cassa integrazione e delle pensioni d’anzianità sono al nord, perché al sud domina il lavoro nero. Le pensioni d’anzianità vanno al nord, mentre quelle di validità vanno al sud, dove sono usate per comprare sostegno elettorale e come aiuto alle famiglie.
In Emilia Romagna, per le famiglie in difficoltà, si spende nove volte più che in Calabria, sui risultati più modesti degli studenti meridionali influiscono strutture scolastiche peggiori e maggiore difficoltà economica. Dal 2002 al 2006 si è creato oltre un milione di posti di lavoro in Italia, di cui solo 40.000 al sud; i Fas o fondi per le aree sottosviluppate non hanno compensato la maggiore spesa pubblica ordinaria per il centronord.
Un federalismo mal attuato potrebbe, invece che responsabilizzare la spesa delle regioni, mettere in pericolo anche il soddisfacimento dei bisogni primari del sud; è vero che al sud la sanità spende più che al nord e fornisce prestazioni più scadenti, ma i beneficiari appaltatori della maggiore spesa potrebbe essere anche al nord; non sono i lavoratori a far man bassa degli investimenti pubblici e delle forniture per il pubblico, quando la sanità esternalizza i servizi fa regali agli amici. Per la raccolta rifiuti, dal 2000 al 2006 sono stati spesi 138 milioni di euro l’anno per il sud, a vantaggio anche d’imprese del nord e della camorra, per inceneritori, discariche e trasporto immondizia, e 574 per il centro nord, il meridione ha un terzo della popolazione italiana.
Prima dell’unità, le più grandi e moderne acciaierie d’Italia erano in Calabria e furono chiuse dai piemontesi, nel sud la percentuale di popolazione addetta all’industria era superiore che al nord, vi era sviluppata anche l’industria tessile; dopo la spoliazione, nel 1903, per quantità di stabilimenti industriali, Napoli era seconda solo a Milano, nel 1925 era meridionale la più grande azienda cotoniera d’Italia. Nel sud si produceva seta, zucchero di canna, olio d’oliva e frutta da esportazione, vi arrivavano capitali stranieri che impiantavano fabbriche creando lavoro.
La Mongiana delle Serre calabresi era un importante distretto siderurgico, Napoli aveva la seconda flotta mercantile del mondo, dopo quella inglese; nel 1931 il cantiere di Castellamare costruì la Amerigo Vespucci, la nave scuola più bella del mondo. A Pietrarsa esisteva un’industria ferroviaria meccanica che aveva il doppio dei dipendenti dell’Ansaldo di Genova e produceva rotaie, motrici navali e locomotive.
Questo stabilimento fu copiato anche in Russia, questo capitale d’esperienze fu cancellato dai piemontesi, in Calabria era importante anche la seta, vetrerie, maiolica, profumi, saponi e carta; a causa di agricoltura e industria e relative esportazioni, dal 1824 al 1838 la flotta napoletana salì di venti volte. Gli altiforni di Mongiana prima furono ribattezzati Cavour e Garibaldi e poi furono spenti.
La Mongiana aveva avuto 1.500 operai, nel 1845 tutti gli stabilimenti analoghi di Piemonte, Liguria e Val d’Aosta raggiungevano lo stesso numero di addetti di Mongiana e Pietrarsa, i tecnici delle acciaierie calabresi chiuse dai piemontesi emigrarono a Terni e a Brescia. Nel 1861 l’acciaio di Mongiana aveva ottenuto premi di qualità per ghisa, ferro, carabine, sciabole ed armi in genere; chiusa la fabbrica crebbe l’emigrazione verso l’America dalla zona.
Grazie ai borboni, come nei setifici di Caserta, gli operai di Mongiana avevano medico, farmacista, giudice di pace, esenzione militare, cassa mutua, assistenza malattie, assistenza infortuni, tra gli operai mancavano i casi d’alcolismo. Il valore degli stabilimenti di Mongiana è oggi celebrato da studiosi italiani, americani e russi; Ferdinando II aveva creduto fortemente a questi stabilimenti, ma i Savoia preferirono mandarlo in malora per favorire le industrie del nord.
Al plebiscito per l’annessione al regno di Sardegna, la Mongiana ebbe la più alta percentuale di no dell’intera provincia di Catanzaro, i mongianesi producevano il migliore acciaio d’Europa; in Calabria c’erano anche tonnare, fabbriche di liquirizia e pastifici; alla Mongiana arrivarono specialisti tedeschi, svizzeri, francesi e inglesi. Ferdinando II fece anche dello spionaggio industriale all’estero, a vantaggio della sua industria, e fece arrivare sue spie fino in Scozia, perciò nulla rimase ignoto ai tecnici mongianesi; gli inglesi temevano la concorrenza di Mongiana, a Mongiana c’erano manager e tecnici valenti, vi si lavorava dodici ore al giorno, mentre a Liverpool sedici.
Oggi alla Mongiana esistono lavori socialmente utili, una segheria grazie ai boschi, la raccolta di funghi, la coltivazione delle fragole ed i lavori della forestale, vi esiste un’economia poverissima. Dopo l’unità, i boschi calabresi furono sfruttati intensamente perciò nel 1914, a loro tutela nacque l’azienda forestale italiana, però il regno di Napoli aveva già un corpo di guardie forestali allo scopo; gli ingegneri borbonici avevano un sistema di tracimazione controllata dei laghi creati dalle frane.
Disboscare la Calabria era come distruggerla, perché il terreno è fragile e frana; si dice che in Calabria sono tanti i forestali, è una delle tante forme d’assistenza locale, trattasi però d’operai perché le vere guardie forestali sono meno che in Veneto. Le tecniche dei forestali calabresi, per contenere le frane, preservare i boschi e sistemare strade costiere, sono state copiate in Andalusia, però tra i forestali si è infiltrata anche la ndrangheta.
Nel sud gli imprenditori onesti hanno contro geografia, mafie e stato, chi non è protetto riceve attentati o funzionari statali alla ricerca d’illegalità; l’energia elettrica, il denaro ed i trasporti costano di più che al nord e poi bisogna pagare il pizzo alla mafia. Il grande porto di Gioia Tauro, voluto dalla ndrangheta, serve i grandi traffici, anche illeciti di cocaina, non è servito a sviluppare la Calabria, anche perché è collegato male con strade e ferrovie.
Oggi le imprese meridionali, poiché si sentano scarsamente rappresentate, vogliano abbandonare la Confindustria e chiedono una Confindustria del sud; in Confindustria le imprese contano in base al numero dei dipendenti, perciò il sud pesa solo per il 7,5% e nel suo consiglio d’amministrazione gli industriali meridionali hanno solo un rappresentante su 17. L’autostrada A3 Salerno Reggio Calabria è un cantiere sempre aperto, è finanziata dallo stato ed è affidata all’Anas senza pedaggio, ma è costruita da imprese del centro nord che subappaltano ad imprese mafiose, per movimento terra, fornitura di calcestruzzo, ghiaia e bitume; però questo connubio affaristico-mafioso esiste anche nella Tav del Piemonte e nell’Expò di Milano.
Ai primi del Novecento, tolte Campania e Puglia, nel resto del sud, su 1848 comuni, 1321 erano privi di strade, la prima autostrada del mondo nacque a Milano nel 1924; dopo la seconda guerra mondiale nacquero le autostrade del centro nord, l’Iri, azienda statale, le costruiva a pedaggio solo al centro nord; ancora oggi, le grandi vie di comunicazione si fermano tutte a Napoli. Nel 1955 l’ANAS si iniziò la Salerno Reggio Calabria, ancora incompiuta, perché fonte di reddito e di lavoro nella zona.
Giacomo Mancini aveva voluta la A3, che doveva passare per la sua Cosenza, e voleva il ponte sullo stretto, invece questa autostrada avrebbe dovuto passare lungo la costa tirrenica; però anche l’autostrada del sole avrebbe dovuto essere costiera, eliminando tortuosità e viadotti, però quando la politica detta legge. La A3 ricalca il percorso della via Popilia dei romani, per costruirla i mafiosi hanno preso il pizzo dalle aziende del nord, pari al 2%, inoltre subappaltano i lavori.
Gli attuali lavori di rifacimento sono stati preceduti da una guerra di mafia, alcuni imprenditori sono diventati prestanomi locali della ndrangheta. Le famiglie mafiose sono dentro gli affari e le grandi aziende si mettono d’accordo a Roma tra loro e con la mafia; le cosche riscuotono un pizzo che è inferiore alle mediazioni riscosse dai partiti nel commercio estero, un general contractor o impresa capofila cura gli affari.
Però le cose non sono filate lisce, ci sono stati fallimenti, richieste di revisioni prezzi, ostacoli nelle esecuzioni, ritardi nei finanziamenti e cause giudiziarie, i lavori sono stati procrastinati e dovevano finire nel 2000, ma oggi l’opera di rifacimento non è ancora finita. Nel lavori sono interessate le ditte Astalti, Leonardo e le Cooperative rosse, che subappaltavano regolarmente alle imprese mafiose; poiché le ditte subappaltatrici fanno offerte di ribasso eccessive, devono risparmiare su bitume, cemento e ghiaia impiegati; le perizie non rivelano le irregolarità ed è stato scoperto che alcuni periti erano stati in precedenza condannati per mafia in Sicilia.
Oggi la Calabria non ha un’economia ma solo lavori pubblici e perciò i lavori a questa autostrada A3 non finiscono mai, però se il meridionale paga il pizzo e tace è definito omertoso, se lo pagano le grandi aziende del nord, nessuno ha niente da dire e le industrie implicate non sono radiate da Confindustria. I processi di mafia hanno caratteristiche curiose, la verità dei fatti è lampante mentre quella processuale è contorta, nemmeno la giustizia vuole disturbare la mafia.
A volte le intimidazioni colpiscono camion e macchinari vecchi, il che giustifica ritardi nelle consegne e ritocco dei prezzi; le imprese hanno diritto alla manutenzione del tratto da loro costruito, perciò simulano una frana per un appalto di consolidamento. Se fanno male la strada, guadagnano di più con la manutenzione, la mafia imprenditrice ha anche appoggi presso dirigenti dell’Anas. Gioia Tauro per la Calabria è come Corleone per la mafia e Casale per la camorra, il porto di Gioia Tauro, da cui parte la cocaina colombiana, è il più grande porto portaconteiner del Mediterraneo ed il terzo in Europa; come il porto, l’autostrada A3 attraversa la Calabria ignorando la regione, che non fa sistema con strade, ferrovie, porti e aeroporti.
Oggi non si sta ristrutturando un’autostrada, ma si sta costruendone praticamente una nuova su quella vecchia, la ndrangheta comanda ed ha i suoi uomini nelle segreterie dei sottosegretari di stato; la Salerno Reggio Calabria favorì anche i sequestri, con il trasporto di sequestrati da Milano all’Aspromonte, con i soldi di sequestri poi si passò al traffico di droga. Oggi i mafiosi calabresi sono soci dell’imprenditoria milanese, oggi capitale della ndrangheta è Milano, Vincenzo Morabito ha ripulito i soldi grazie a commercialisti, avvocati e fiscalisti legati alla ndrangheta; questi professionisti, sono fiduciari della ndrangheta e sono nei consigli d’amministrazione di banche e industrie.
Il pentitismo di Cosa Nostra non esiste nella mafia calabrese, dove domina la struttura familiare dei Pesce, dei Piromalli e dei Morabito, in provincia di Reggio Calabria esistono 83 famiglie del genere, 22 sono state condannate. Il connubio industriale.finanziario-politico-mafioso ha preso in ostaggio la Salerno Reggio Calabria e l’intera regione. La stato sa molto sulla criminalità organizzata ma esita a colpirla, in Calabria il 27 % della popolazione è collegata alla criminalità, contro il 12% in Campania, il 10% in Sicilia e il 2% in Puglia.
A Parma e Modena sono attivi i camorristi, a Reggio Emilia la ndrangheta, a Bologna i corleonesi, imprenditori veneti hanno favorito la latitanza del boss camorrista Pietro Licciardi; ogni anno, con il pizzo, la criminalità sottrae al sistema economico 20 miliardi di euro, trasferiti al centro nord e all’estero, poi ci sono i proventi del traffico di droga, del controllo su gioco e prostituzione, sul traffico d’immigrati irregolari e sull’usura.
Se il paese vincesse la guerra contro la mafia, il centro-nord ci rimetterebbe, la mafia è stata alimentata dallo stato e dai partiti, l’industria del crimine produce il 17% della ricchezza nazionale, fornisce occupazione e favorisce l’accumulazione della ricchezza che poi è riciclata in attività utili e pulite, però l’economia mafiosa danneggia quella sana, anche perché non ne rispetta le regole. Oggi la ndrangheta investe a Francoforte e acquista azioni della Gazprom russa.
Intanto turisti stranieri hanno cominciato a scoprire il Pollino e la Sila, dove comprano case; prima dei treni a 200 all’ora, l’Italia avrebbe dovuto eliminare i treni calabresi da venti chilometri all’ora; come ha fatto l’Iri con le autostrade, le ferrovie statali, secondo una logica privata, preferiscono investire al centronord; a tale proposito hanno utilizzato anche fondi FAS per le aree sottosviluppate, hanno ridotto i treni merci per il sud e chiedono per i prodotti agricoli del sud tariffe più alte, tagliano i rami secchi meridionali. A Reggio Calabria il, treno arrivò nel 1895 a Matera non c’è ancora oggi.
La condizione umana genera le nostre azioni, il ruolo sopravanza la personalità, perciò i militari possono diventare geni del male o compiere atti d’eroismo; l’obbedienza, il conformismo e l’affiliazione al gruppo suggeriscono le azioni. A Napoli prima dell’unità si stampavano giornali repubblicani finanziati dai Savoia, nessuno dei padri del risorgimento era stato nel sud, eppure a Napoli esisteva un’eccellente cultura.
I liberatori del nord dissero ai soldati che la pietà sarebbe stata considerata tradimento, con il terrore volevano favorire la conquista, poi, come accade ai perdenti, il sud conquistato accettò la condizione d’inferiorità ed ai meridionali restò la scelta tra brigantaggio, resistenza, criminalità ed emigrazione, in tutto dal sud emigrarono in un secolo 13 milioni di persone. Le ideologie ed i partiti vincenti mirano a colpevolizzare le vittime ed a farle sentire inferiori, nel 1863 la più spaventosa legge repressiva a danno del mezzogiorno fu presentata dal deputato aquilano Giuseppe Pica; non sono i vinti che scrivono la storia, l’educazione alla minorità dei meridionali dura da centocinquantanni.
Il sud fu lacerato da una guerra d’invasione, ma questo è accaduto anche ad altri paesi che poi si sono ricomposti, il Mezzogiorno era legato come il Giappone a valori antichi della famiglia, ma questo, visto lo sviluppo del Giappone, non doveva necessariamente essere d’ostacolo alla modernità. A causa dell’emigrazione, l’unità della famiglia si è disgregò, la perdita di paternità, perché erano gli uomini ad emigrare, determinò perdita di civiltà e di legami familiari.
Perciò il meridione divenne prevalentemente a direzione femminile, il mafioso è figlio della madre e non del padre, con l’invasione in Abruzzo solo il 5% delle donne si mantenne casto, a causa dell’assenza degli uomini crebbe l’adulterio (Friedrich Vochting); aumentarono i delitti contro il costume, separazione coniugale, infedeltà, sifilide e si allentarono i freni sociali; la donna si corruppe, aumentarono nascite illegittime ed aborti (oggi in Italia le nascite illegittime sono il 12%).
Nel primo quindici anni del secolo scorso, in Italia meridionale gli uomini adulti furono quasi sempre assenti, in Calabria le famiglie acefale erano una su tre; mentre in precedenza la responsabilità del pudore femminile era ricaduto sulle spalle degli uomini, ora non c’erano più freni, padre padrone e marito autoritario erano stati estromessi dalla famiglia. Quando si vuole distruggere un popolo si ricorre alla pulizia etnica ed allo stupro etnico; in precedenza la società meridionale non ti faceva sprofondare, invece, nella nuova situazione, aumentarono delitti contro la persona e il patrimonio.
A causa della crescente miseria e disoccupazione, crebbe emigrazione e delinquenza, via i padri, si scatenarono i figli, si ebbero donne senza freni, figli delinquenti e padri derisi per il costume delle mogli, era il disfacimento delle famiglie e di una civiltà; infatti, dopo la caduta di Troia, tra i troiani si trovavano solo schiavi e fuggiaschi; senza gli adulti, anche tra gli elefanti i giovani smarriscono la regola. Partiti gli uomini più intraprendenti dal sud, rimasero i più rassegnati, perdenti e oziosi.
Nel diciannovesimo secolo nel mezzogiorno c’erano ruoli molto distinti tra uomo e donna, bisogna ricordare che la figura del padre è creazione della cultura, non della natura com’è per la maternità; questa figura andrebbe insegnata, il potere diseducativo della mancanza del padre è spaventoso; l’eccesso di libertà senza paternità favorisce alcolismo e criminalità, determina labili legami familiari e porta all’emarginazione sociale; le figlie femmine sentono molto la mancanza del padre, i figli di divorziati non si sposano.
In precedenza il sud era stato unito per oltre tredici secoli, con la lacerazione sociale nacquero egoismo, corruzione e arbitrio, i funzionari messi dallo stato a reggere il sud furono i peggiori, i più incapaci ed i più disonesti, vi si arrivava per punizione. Ogni perdita di paternità è perdita di civiltà, lo sporco attira la sporcizia, la pulizia attira la pulizia, perciò gli italiani in Svizzera si comportano bene.
A causa delle sue risorse agricole, la Puglia resistette all’emigrazione fino al secondo dopoguerra, quando si riversò su Milano; con l’emigrazione forzata, l’Abruzzo perse il 43% dei suoi abitanti, la Calabria il 40% e la Basilicata il 38,5%, ne derivò il degrado sociale e l’impressione di poter fare quello che si vuole. Il sud è stato considerato il luogo dove far transitare i soldi dello stato diretti al centronord, il divario tra nord e sud è stato costruito dallo stato e lo si vuole mantenere, lo stato ha anche allevato e protetto la mafia.
Il pugliese Gaetano Salvemini negli anni venti, per fermare le risorse finanziarie che si dirigevano dal sud al nord, propose l’Italia federale; come Giustino Fortunato voleva che alla soluzione dei problemi del paese cooperassero settentrionali e meridionali; fino ad allora dai meridionali l’Italia era stata vista come uno stato estero occupante, a difesa degli interessi dell’alta borghesia settentrionale.
Oggi i problemi del meridione si possono risolvere solo con l’autonomia ed il federalismo; tutti gli editori ed i giornali sono al centro nord, come le televisioni generaliste, però oggi nel sud c’è un risveglio d’orgoglio, in Sicilia un supermercato vende solo prodotti del sud, la case editrice Controcorrente diffonde la vera storia del Risorgimento, bisogna riscrivere la storia dell’Unità d’Italia.
Il traghetto Terracina-Ponza espone la bandiera borbonica accanto al tricolore e diffonde l’inno nazionale delle due Sicilie, a Napoli il capo di vestiario che riscuote maggior successo è una cravatta con la riproduzione di tutte le navi della perduta flotta borbonica, con lo stemma della marina napoletana. Secondo Pasquale Saraceno, è difficile correggere l’attuale dualismo italiano.
Lo stato nazionale sembra in crisi, anche l’Europa, contraddittoriamente, da una parte omologa, dall’altro difende lo stato pluriculturale, più difficile da gestire; se la lega nord vuole autonomia e federalismo, anche il veneto è ostile alla supremazia di Milano è vuole una sua autonomia; spariti i privilegi concessi dallo stato, anche Val d’Aosta e Trentino Alto Adige si potrebbero squagliare. La Spagna è scossa da fermenti autonomistici in Catalogna e paesi Baschi, il Belgio è diviso tra fiamminghi e valloni, in Gran Bretagna si agitano gli scozzesi, l’Irlanda è divisa tra cattolici e protestanti.
In Francia mira all’autonomia la Corsica, la repubblica ceca e la Slovacchia si sono divise, la Juogoslavia si è disintegrata, la Russia ha perso territori resisi autonomi nel Caucaso, in Canadà il Quebec vuole l’autonomia, il Tibet vuole essere autonomo dalla Cina. La Germania riunita ha fatto ampie investimenti all’est tedesco, però anche lì permane il degrado e la rassegnazione; i suoi industriali hanno fatto ampi investimenti anche negli altri paesi dell’est, dove il salario è più basso, perciò anche la Germania dell’est pare in declino.
Un meridione autonomo, se il debito fosse accollato al nord a titolo di risarcimenti dei furti subiti e perché li sono banche e creditori, con poche pensioni d’anzianità, visto il sistema pensionistico a ripartizione, potrebbe avere una fiscalità più bassa che al nord e favorire così gli investimenti esteri; potrebbe dare le ferrovie in concessione ai francesi e far costruire il ponte sullo stretto agli americani, che si erano offerti di realizzarlo a pedaggio.
I giapponesi potrebbero fare autostrade a pedaggio ed il sud avrebbe diritto agli incentivi europei allo sviluppo, che rimarrebbero al sud, invece che transitarvi per arrivare al nord; certamente però il sud per riemergere dovrebbe dotarsi di una classe politica adeguata, potrebbe utilizzate il suo gas, potrebbe sviluppare la navigazione marittima di cabotaggio com’è nella sua natura geografica.
Il meridione non è precipitato con l’abolizione della Cassa per il Mezzogiorno, negli anni novanta ha aumentato produzione ed esportazione, ha accolto industrie, non vuole vivere solo d’assistenza; oggi la prima città industriale del sud, per numero di occupati, è Scampia, in provincia di Napoli, dove dominano lavoro nero, imprese cinesi, evasione fiscale e marchi contraffatti. Napoli ha sempre cercato di sopravvivere ed una parte dell’Italia, con uno stato così fiscale, è sopravvissuta fino ad oggi solo grazie ad evasione fiscale, lavoro nero ed attività illegali.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it.
Per chi vuole approfondire:
“Terroni” di Pino Aprile – Piemme Editore.
Con il denaro dei paesi dell’Intesa, della grande industria nazionale e del governo, Mussolini fondò il giornale “Il popolo d’Italia” che voleva l’intervento dell’Italia a fianco dell’intesa nella prima guerra mondiale; il suo giornale durante la guerra fu finanziato anche dai fabbricanti d’armi, come la Fiat, l’Ansaldo e l’Ilva. Dopo la disfatta di Caporetto, a causa della crisi economica e politica e dei disordini propose al capo di stato maggiore Cadorna un colpo di stato; per ottenere consensi dal popolo, propose a titolo propagandistico e secondo il programma del presidente Wilson, la giornata lavorativa di otto ore, l’assegnazione della terra ai contadini e l’autodeterminazione dei popoli.
Finita la guerra, capì che il regime parlamentare era finito e cercò dei sostegni per una dittatura e per abolire il regime parlamentare. Nel 1919 fondò il movimento fascista, gli aderenti erano chiamati sansepolcristi; nel movimento vi erano futuristi, anarchici, comunisti, sindacalisti, socialisti, repubblicani, cattolici, liberali, nazionalisti, clericali e anticlericali. Per aumentare le adesioni al suo movimento, Mussolini chiese la terra per i contadini, un’imposta progressiva ed una di successione, la tassazione dei profitti di guerra, la nazionalizzazione dell’industria degli armamenti, il minimo salariale, il voto alle donne, il decentramento amministrativo e l’abolizione del senato di nomina reale.
Perciò il fascismo nacque non come ideologia, ma come movimento eterogeneo per la presa del potere, infatti, includeva destra e sinistra, monarchi e repubblicani, clericali e anticlericali; il programma del movimento fu mutuato soprattutto dai futuristi di Marianetti che voleva anche la confisca delle proprietà ecclesiastiche, ma su questo tema Mussolini, prima anticlericale, taceva. Poiché nel parlamento il partito socialista era il più forte, le forze conservatrici, per contrastarlo, pensarono ad un accordo con i fascisti, così, con la forza del denaro, il movimento si spostò sempre più a destra, perciò Mussolini prese le distanze dall’anticlericalismo, dal socialismo e dal repubblicanesimo.
Gli agrari, le banche, gli industriali concorsero con largo finanziamento a determinare il successo del fascismo e gli stessi Salandra, Albertini, Giolitti e Croce ritenevano che il fascismo potesse rinnovare la vita nazionale. Quando si parla di agrari, s’intendono soprattutto gli enti ecclesiastici, grandi proprietari latifondisti di terre, alti aristocratici e la baronia di Sicilia, collegata alla mafia; quando si parla di banche e industria ci si riferisce alle grandi famiglie ed alla stessa chiesa.
La Banca di Roma era controllata dal Vaticano, altre banche locali dai vescovi, oggi in Italia la chiesa controlla quasi tutte le banche. Come la chiesa, i Savoia avevano larghe partecipazioni in banche e industrie, che fecero buoni affari nel corso della guerra, ed alla vigilia della seconda guerra mondiale acquistarono anche titoli del debito pubblico inglese, per finanziare la guerra degli inglesi, in altre parole investirono contro le sorti belliche dell’Italia.
L’acquiescenza del re alla marcia su Roma, che avrebbe facilmente potuto fermare con l’esercito ed i carabinieri, nasceva dalla crisi dei partiti e da un’intesa segreta del re con la stessa chiesa, ormai i tempi erano maturi per la riconciliazione e per un concordato; Mussolini lo fece, concesse nuovi privilegi alla chiesa e divenne l’uomo della Provvidenza. La chiesa non aveva mai avuto vocazioni democratiche e liberali, perciò Mussolini al governo, in collegamento con il segretario di stato Vaticano e con i gesuiti, adottò simboli, mistica e programmi della chiesa medievale, come le corporazioni, l’obbedienza, la gerarchia, l’esaltazione della patria, della religione, della famiglia e della vita rurale e invitando tutti a credere, obbedire e combattere.
All’inizio gli industriali erano divisi sul fascismo, perché questo nel 1919 aveva anche una sinistra che chiedeva le otto ore lavorative, la partecipazione dei lavoratori nella gestione delle aziende ed un’imposta progressiva sul capitale. Poi banche, industriali ed agrari, improvvisamente tranquillizzati su questi temi, presero a finanziare i fascisti ed il giornale di Mussolini, il Popolo d’Italia, perché la stampa ha sempre un potere di ricatto e con il denaro si fa condizionare.
Nel settembre del 1920 gli operai del nord occuparono le fabbriche e le squadracce fasciste reagirono con la violenza, quindi Mussolini sondò D’Annunzio per preparare la marcia su Roma; dopo il 1920 nacquero i fasci di combattimento e, per porre fine all’occupazione delle fabbriche, il fascismo divenne un movimento antisindacale e ricevette sempre più sovvenzioni. Alla fine del 1921 Mussolini sembrava pendere più per gli industriali che per gli agrari e aveva abbandonato il programma di sinistra, che aveva consentito nello stesso anno a fascisti e liberali di presentarsi assieme alle elezioni politiche con il cosiddetto blocco.
Nel 1921 dal partito socialista si staccarono i comunisti e Giolitti pensò ad una coalizione tra socialisti moderati e liberali, fu preceduto da Mussolini che gli propose un’alleanza e Giolitti accettò; Giolitti era l’uomo per tutte le stagioni e per tutte le alleanze. Da allora in poi la polizia concesse alle squadre fasciste i suoi autocarri, l’esercito fornì le armi, la magistratura assicurò l’impunità al vandalismo dei fascisti; grazie alle violenze ed alle intimidazioni, alle elezioni del 1921 Mussolini conquistò 35 seggi, il 7% del totale, una provvidenziale legge sull’immunità parlamentare salvò Mussolini all’accusa di essere stato mandante di tanti atti di violenza.
Mussolini in parlamento si collocò alla destra estrema, proseguì gli atti di violenza contro alcuni deputati, secondo gli accordi con il Vaticano, sostenne sempre di più gli interessi della chiesa e chiese sussidi per le chiese e le scuole religiose, nel 1921 abbandonò definitivamente il programma di sinistra; nel movimento fascista Mussolini rappresentava il fascismo urbano, Dino Grandi, Italo Balbo e Roberto Farinacci il fascismo agrario di provincia, i fascisti urbani erano inizialmente in minoranza; gli agrari sostenevano il fascismo, il primo agrario d’Italia era la chiesa.
Il movimento si espresse per la libera impresa e contro le nazionalizzazioni e fu trasformato in partito, le squadre fasciste avevano un’organizzazione paramilitare e la polizia non interveniva contro di esse; Italo Balbo utilizzò la tecnica del terrore nelle province di Ferrara e Ravenna, operando contro socialisti e sindacati, ottenne i finanziamenti dagli agrari. A causa della crisi post-bellica, i ceti medi ed i capitalisti erano spaventati da una possibile rivoluzione.
Mussolini ottenne l’appoggio tacito del Vaticano e del re e perciò Orlando, Amendola, Nitti e Giolitti pensarono ad un governo di coalizione con i fascisti, Giolitti fu incoraggiato in tal senso anche da industriali come Pirelli e Olivetti. I fascisti continuavano a devastare i giornali d’opposizione, però Mussolini era cauto e sondava con discrezione casa reale, sapeva che l’esercito ed i carabinieri erano fedeli al re; secondo Badoglio, l’esercito avrebbe potuto distruggere in ogni momento il fascismo.
Di fronte alle violenze fasciste, il re si rifiutò di dichiarare lo stato d’assedio, d’imporre la legge marziale e di arrestare Mussolini, perciò il presidente del consiglio Facta si dimise ed il nuovo presidente del consiglio, Salandra, invitò Mussolini ad entrare nel governo; al momento Mussolini rifiutò perché aveva ambizioni maggiori. Nel 1922 ci fu la marcia su Roma, finanziata sempre da agrari, banche e industriali, è evidente che questi cercassero di mantenere segreti i finanziamenti, i quali perciò sono documentabili solo in parte.
Quando partirono le squadre fasciste per la marcia su Roma, il re aveva già chiesto a Mussolini di formare il governo, Mussolini arrivò a Roma in treno, non ostacolato dall’agguerrita guarnigione militare della città e presentò la sua lista dei ministri al re che l’accettò. La borsa italiana reagì positivamente alla nomina di Mussolini, Marconi, Giolitti e Salandra si congratularono con lui, non ci furono scioperi ed i ferrovieri trasportarono, senza intoppi, i fascisti a Roma, i ricchi reagirono positivamente alla nomina di Mussolini perché temevano l’anarchia e le riforme fiscali di Giolitti, che insisteva per un’imposta progressiva.
Per avere il voto de parlamento, Mussolini fece entrare nel suo governo popolari e liberali, tenne per se esteri ed interni e poi rispedì le camicie nere alle loro case, con treni speciali messi a disposizione gratuitamente dallo stato. Mussolini chiese pieni poteri ai deputati e la camera votò con enorme maggioranza la fiducia a Mussolini; Giolitti, Salandra, Bonomi, De Gasperi Orlando e Facta votarono a favore. Nel senato, di nomina reale, dove i fascisti erano quasi inesistenti, il governo ottenne una maggioranza ancora maggiore, votarono a favore anche Einaudi ed Albertini, la maggior parte degli ambasciatori salutò la nuova era.
A Roma e a Torino squadre di fascisti commisero degli omicidi ma non furono fermate dalla polizia, una provvidenziale amnistia cancellò i reati commessi dai fascisti, la quale fu interpretata anche largamente dalla magistratura. Mussolini ordinò che agli studenti fascisti feriti fosse consegnato il diploma senza esami e che ai parenti dei fascisti caduti nella guerra civile fosse concessa la pensione, il re che, dietro le quinte, controllava sempre la situazione, non eccepì.
Lo squadrismo esplose violento in Emilia, tanto che il primo fascismo ad alcuni sembrò soprattutto agrario. Nel 1922 aumentò la fiducia degli industriali verso Mussolini, perciò chiesero la partecipazione al governo dei fascisti, anche se volevano che il governo fosse affidato ad un liberale come Giolitti, il re aveva già deciso di affidare la direzione del governo a Mussolini. Alla vigilia della marcia su Roma, Giolitti si era detto disposto ad un’alleanza con socialisti o popolari, ma poi, visti i sentimenti del re, vedette nel fascismo una forza di rinnovamento.
Il re, d’accordo con la chiesa, per rifiutare responsabilità, aveva seguito e diretto gli avvenimenti in segreto, cioè, aveva gettato il sasso e nascosto la mano, era irresponsabile per legge ed il primo ministero controfirmava anche le leggi da lui volute e se ne assumeva la responsabilità. Quando il re, dopo la marcia, diede a Mussolini l’incarico di formare il governo, la confindustria si accodò, manifestando la fedeltà al re e la sua collaborazione al regime, in questo clima, anche i liberali ed i popolari erano disposti ad entrare nel governo Mussolini. Gli industriali erano riconoscenti al fascismo perché aveva messo fine all’occupazione delle fabbriche.
Nel dicembre del 1922 le squadre fasciste furono trasformate in milizia volontaria e polizia politica e messe a carico dello stato, sotto la dipendenza di Mussolini. Pochi fascisti furono condotti davanti ai giudici, dei parlamentari furono uccisi ed una cinquantina subirono aggressioni, pochi erano disposti a testimoniare contro i fascisti. Mussolini amava Toscanini che però si allontanò dal fascismo e nel 1922 rifiutò di suonare alla Scala, Giovinezza, perciò subì un pestaggio e se ne andò a lavorare negli Stati Uniti.
Nel 1922 il filosofo del regime, Giovanni Gentile, divenne ministro dell’istruzione e nel 1923 fece una riforma della scuola mediante la quale lo stato, seguendo le indicazioni dei gesuiti, s’impadroniva dei bambini a sei anni e li restituiva ai genitori a sedici, dopo averli permeati di idee fasciste. Gentile accettò la censura, era contro il libero pensiero e giustificò lo squadrismo e la guerra, invece nel 1925 Benedetto Croce si allontanò dal fascismo. Nel 1923 ci fu la fusione tra fascisti e nazionalisti e Mussolini, con la mediazione dei gesuiti, si avvicinò al cardinale Gasparri, segretario di stato vaticano, che vedeva meglio i fascisti che i liberali, la chiesa non aveva mai amato la democrazia.
Perciò Mussolini aumentò la congrua ai preti ed ai vescovi, introdusse l’insegnamento della religione nelle scuole, dichiarò illegali la bestemmia, le pubblicazioni oscene ed i contraccettivi; in cambio il Vaticano, d’accordo con il fascismo, operò per lo scioglimento del partito popolare e così Don Sturzo fu costretto a rifugiarsi all’estero; il re approvò tacitamente queste misure del governo, i Savoia non sono stati mai assenti nelle scelte dei governi italiani, in quel momento erano per la riconciliazione con la chiesa cattolica e contro il parlamentarismo degenerato.
Mussolini fece arrestare degli avversari politici e Luzzatti, Boselli, Giolitti, Orlando, Salandra e Facta non gli crearono problemi, per tanti il fascismo era un’alternativa al socialismo. Mussolini, per formare l’opinione pubblica, impose la censura e il controllo sulla stampa, intere tirature di giornali furono bruciate ed i loro direttori furono minacciati, notizie e commenti uscivano dall’ufficio stampa di Mussolini; dei giornalisti stranieri furono espulsi dal paese e parecchi giornali d’opposizione, con il pretesto che erano pericolosi per l’ordine pubblico, furono sospesi dalla polizia. Inutile ricordare che la chiesa era stata sempre contraria alla libertà di stampa.
Nel 1923, anche a causa delle legge elettorale maggioritaria, ci fu la rottura tra fascisti e popolari, il ministro delle finanze, Alberto De Stefani, ridusse l’imposta di successione, soppresse la nominatività dei titoli come sollecitato anche dalla chiesa, ridusse l’imposta sul reddito, pose termine al blocco degli affitti e riportò il bilancio in pareggio, tutte misure benviste dagli industriali.
Dopo la crisi economica post-bellica, i fascisti andarono al potere in un periodo di grande ripresa economica e di sviluppo industriale, infatti, tra il 1922 ed il 1925 gli iscritti agli uffici di collocamento passarono da 407.000 a 110.000, cioè ci fu una notevole diminuzione della disoccupazione.
Nel 1923 le giornate perse per gli scioperi erano passate da 6 milioni a 300.000, lo sviluppo della produzione industriale fu anche favorito da una riduzione del costo del lavoro e dal deprezzamento della lira che faceva aumentare la competitività delle esportazioni. Gli industriali guardavano però con preoccupazione al progetto delle corporazioni di Rossoni, che potevano scalzare le posizioni di comando dell’imprenditore nell’impresa, però non tutti gli industriali erano personalmente fascisti, alcuni di loro si dissero disposti a rispettare i patti già conclusi con socialisti e cattolici.
Allora nessuno immaginava che il fascismo sarebbe durato venti anni, diversamente dai contadini, la maggioranza degli operai dell’industria restavano rossi; casa reale, riconciliata con la chiesa, seguiva senza ansia gli avvenimenti, sostenuta dai nazionalisti, dall’esercito, dalla massoneria e in accordo con Mussolini. Il primo scontro tra industriali e Mussolini si ebbe sulla festa del lavoro, Mussolini voleva spostarla al 21 aprile, data di nascita di Roma, gli industriali volevano conservare il primo maggio, alla fine vinse Mussolini.
Gli industriali cercarono anche di allearsi con i fascisti di destra contro quelli di sinistra come Rossoni, cioè cercarono di dividere il fascismo, perciò i fascisti di sinistra accusarono la confindustria di aver finanziato anche la CGIL quando Mussolini non era condizionato dal denaro, cercava di muoversi con indipendenza dai capitalisti. Nel 1923 Agnelli, anche se non era fascista, fu fatto senatore da Mussolini e chiese senza successo di smobilitare la milizia.
Nel 1923 il duce, per avvicinarsi ancora di più alla chiesa, fece battezzare i figli e sposò Rachele, mise al bando la massoneria, concesse esenzioni fiscali alla chiesa, aumentò le congrue al clero, aiutò la Banca di Roma, controllata dal Vaticano, che, a causa delle sue speculazioni, era vicina al fallimento, vietò la costruzione di una moschea a Roma e difese gli interessi della chiesa cattolica in Palestina.
A Rodi costrinse la chiesa ortodossa a recidere i legami con Costantinopoli, per riconoscere l’autorità del papa; poiché aveva bisogno di soldati, condannò la contraccezione; per favorire le unioni, introdusse una tassa sui celibi, punì gli aborti, mentre nella pubblica amministrazione si assumevano solo coniugati con figli; Mussolini si disse contro l’emancipazione della donna.
Nel 1923 fu modificata la legge elettorale, al partito che raggiungeva un quarto dei voti sarebbero stati assegnati due terzi dei seggi della camera. Roberto Farinacci era votato alla violenza in campagna e Mussolini incoraggiò gli atti di violenza contro gli oppositori del regime, però in politica estera chiese la revisione del trattato d Versailles, aiutò i movimenti autonomisti di Malta e Corsica, prese a contrastare l’Inghilterra e la Società delle Nazioni.
Alle nuove elezioni politiche ci furono le solite violenze, il segreto dell’urna fu violato, morti e analfabeti furono iscritti nelle liste degli elettori, furono distrutte schede con il voto d’opposizione, i fascisti misero le mani sulle urne prima dello scrutinio, aggredirono deputati, conseguentemente ottennero il 65% dei voti. Perciò l’onorevole Matteotti chiese l’invalidazione delle elezioni, ma fu ucciso su ordine di Mussolini che poi fece arrestare l’esecutore Dumini, che restò in carcere poco tempo e, per ottenerne il silenzio, ricevette del denaro dal regime.
A causa dell’omicidio di Matteotti, tanti pensarono che Mussolini potesse dimettersi ed essere arrestato, per protesta, socialisti, popolari e liberali di Amendola abbandonarono la Camera; invece Giolitti ed il Vaticano condannarono questa secessione aventiniana; Benedetto Croce votò a favore di Mussolini, sostenendo che esso aveva il merito di aver respinto il socialismo. Poiché Mussolini aveva posto fine alla libertà di stampa ed alle autonomie locali, Giolitti prese le distanze da lui, invece Orlando, dando la colpa degli eventi ai socialisti, si astenne dal voto, poi aggiunse che poteva essere utile una fase di dittatura.
Alcuni industriali si dicevano mussoliniani e non fascisti, perché volevano staccare Mussolini dagli estremisti di sinistra del fascismo; alla fine del 1924 fu siglato un patto tra confindustria e sindacati fascisti, che accantonò il corporativismo integrale di Rossoni, in cambio il sindacato fascista diventava contraente preferito nei contratti di lavoro, però in fabbrica esistevano ancora sindacati rossi.
Poiché Mussolini riconosceva chi aveva in mano la forza e il potere, disse che era disposto a dimettersi ad un ordine del re, perciò a gennaio del 1925 tanti ritenevano che Mussolini sarebbe caduto, però il re rimase passivo o meglio solidale con Mussolini. Senza giornali e senza parlamento l’opposizione era disarmata, i ministri liberali della corrente di Salandra si accostarono al governo e Giovanni Gentile dichiarò che Mussolini rappresentava la tradizione liberale.
Dopo Matteotti e don Minzoni anche Amendola fu ucciso da Carlo Sforza, che poi divenne segretario del partito fascista, i Rosselli subirono azioni punitive, poi andarono in esilio con Turati, Salvemini, Nitti, Giolitti e Sturzo. I maggiori giornali nazionali, tra i quali Il Corriere, furono affidati a direttori fascisti, alcuni giornalisti furono aggrediti, i giornalisti stranieri che tenevano contatti con l’opposizione, erano dichiarati persona non gradita ed espulsi dall’Italia. Alcuni giornalisti stranieri accomodanti furono premiati con informazioni di prima mano, altri furono comprati, dovevano scrivere che il fascismo aveva salvato l’Italia dal bolscevismo; ai giornali italiani fu proibito di parlare di banditismo sardo, di mafia e di camorra, però in Italia meridionale la mafia controllava i tribunali ed i suffragi.
Nella primavera del 1924 le elezioni alla camera si svolsero con il sistema maggioritario e premio di maggioranza, vinse il listone, che aveva anche alcuni liberali e popolari, che ottenne il 60% dei voti, tra i liberali vi erano Orlando e Salandra; inoltre furono eletti venti industriali, tra i quali vi era Benni, presidente della confindustria; altri industriali, come Agnelli, erano senatori a vita, nominati dal re.
La confindustria finanziò largamente il listone e stabilì per i suoi membri un contributo fisso a sostegno delle spese elettorali del partito fascista, come aveva finanziato in precedenza le squadre d’azione di Mussolini (parole scritte da Luigi Sturzo). Le società di capitale versarono il 2°% del capitale, mentre le società di persone e le aziende individuali aderenti lire 20 per dipendente; dopo l’assassinio di Matteotti, avvenuto il 10/6/1924, si temette la caduta del fascismo, le fabbriche interruppero il lavoro e la confindustria rimase neutrale ad aspettare.
Einaudi accusò gli industriali di ritenere che un governo forte, la pace sociale, l’assenza di scioperi e il pareggio di bilancio erano meglio della mancanza della libertà politica, l’industriale fascista Giovanni Silvestri gli replicò che industriali pensavano a lavorare e non a fare politica e che dovevano accettare il male minore. Olivetti disse che la confindustria, unendo le sue sorti al partito fascista, non doveva ripetere la strategia della CGIL che si era unita ai socialisti, cioè voleva che il sindacato degli industriali fosse neutrale nei confronti del regime, però riconobbe che il fascismo aveva fatto gli interessi degli industriali.
Olivetti, con il plauso dell’Avanti, aggiunse che bisognava lottare per impedire che la bandiera nera delle corporazioni, non meno pericolosa di quella rossa, s’installasse in fabbrica. Il 9.9.1924 la confindustria chiese al duce la normalizzazione della vita politica, una pacificazione ed il rispetto delle libertà sindacali per operai ed industriali, cioè l’accantonamento del corporativismo, chiese uno stato superiore e neutrale rispetto al partito; questa visione era invisa a fascisti e comunisti.
Gli industriali chiedevano di far partecipare anche gli altri partiti alla vita pubblica, di favorire la libertà di mercato, di abolire la milizia e di escluderla dai servizi d’ordine pubblico, chiedevano anche la libertà di stampa e di riunione. L’Avanti minimizzò sulle richieste, affermando che gli industriali non avevano chiesto al re la testa di Mussolini, ma solo un cambiamento di politica; da considerare e Mussolini ne era cosciente, che il re avrebbe potuto far cadere Mussolini quando avesse voluto.
Alla fine del 1924 sembrava finita la luna di miele tra governo e industriali, soprattutto a causa dell’aumento delle tasse, dal calo dei consumi e dalla scarsezza dei capitali, che erano esportati all’estero; la politica del bilancio in pareggio, ad oggi costo, faceva aumentare le tasse, ridurre i salari e contrarre i consumi. Della penuria di denaro soffrivano soprattutto le piccole imprese; a causa della sua instabilità politica, ad alcuni sembrava rischioso investire in Italia.
Il 18.7.1924 Mussolini ricevette una delegazione di sindacalisti fascisti che denunciavano il ritardo degli industriali nella chiusura di tante vertenze sindacali, Mussolini rispose che gli industriali, dopo essersi assicurati con il fascismo due anni di pace sociale in fabbrica, ora dovevano fare partecipare anche gli operai ai profitti della produzione, anche perché il governo li aveva favoriti, condonando loro 300 milioni di imposte da profitti di guerra.
Il 22 luglio 1924 al Gran Consiglio fascista Mussolini disse che compito del sindacalismo fascista era quello di fare delle corporazioni una forza dello stato, nella seconda metà dell’anno ci fu lo sciopero dei minatori fascisti di Valdarno. Amendola affermò sul Mondo, la rivista degli industriali, che era fallita la collaborazione corporativistica tra le classi, gli industriali conservatori si dicevano delusi da Mussolini e pensavano che il fascismo fosse alla fine, non tenevano conto che questa fine dipendeva solo da re.
La confindustria aveva sempre paura dei fascisti di sinistra e del corporativismo, tuttavia i singoli industriali erano divisi, in generale, temevano di più il bolscevismo. Tra gli industriali, il più accanito oppositore di Mussolini era il senatore Conti, che premeva per un intervento del re; il 15.11.1924 la camera dei deputati giurò la fiducia a Mussolini, mentre la maggioranza degli oppositori si ritirò sull’Aventino, Orlando si astenne, Benni, Olivetti e Silvestri votarono a favore.
Il 3.12.1924 il senatore Conti, dopo aver riconoscendo le benemerenze del fascismo, si disse contrario alle violenze fasciste ed al monopolio sindacale fascista, alla fine del 1924, anche a causa dell’assassinio di Matteotti, il fascismo era in crisi, ma l’opposizione sbagliò a ritirarsi sull’Aventino, facendo dei fascisti i padroni assoluti della camera.
Mussolini chiese a D’Annunzio d’aiutare il fascismo e in cambio finanziò la sua vita privata sul lago di Garda, nel 1924 Mussolini riconobbe la Russia sovietica, ammirava Lenin, perciò i russi tennero buoni rapporti con i fascisti. Mussolini inviò armi allo Yemen, in funzione antinglese, fomentò rivolte in Marocco, Tunisia e Corsica, inviò armi all’Afghanistan. Nel 1927, poiché solo il 15% dei burocrati era fascista, raddoppiò il numero dei burocrati assumendo dei fascisti, malgrado il fascismo avesse promesso di ridurre il numero di burocrati.
Con una legge si ottenne di poter licenziare i giudici recalcitranti, poi il governo prese a nominare solo giudici fascisti e non indipendenti, i consigli comunali e provinciali persero il carattere di organi elettivi ed il sindaco fu sostituito dal podestà. Il consiglio dei ministri aveva un ruolo consultivo ed il capo del governo legiferava senza l’assenso del parlamento, ma con il benestare del re; poiché Farinacci, divenuto segretario del PNF, cercò di impedire al duce di sottrarsi all’influenza del partito, Mussolini lo licenziò.
Mussolini aveva possibilità di attingere illimitatamente ai fondi statali per le sue spese, senza obbligo di rendiconto, gli insegnanti dei suoi figli davano loro sempre il massimo dei voti; Mussolini, per dimostrare che lavorava sempre, anche di notte lasciava accesa la luce della sua camera. Con il fascismo, ricchi, banchieri, industriali e latifondisti, ebbero facilitazioni fiscali, la fine dei controlli sulle rendite e profitti elevati; Mussolini prese a dire che lo stato doveva mantenersi fuori dall’economia, perciò ci furono privatizzazioni nelle assicurazioni e nei telefoni.
Anche il fascismo praticò il clientelismo, però la politica liberista del ministro delle Finanze, De Stefani, che aveva raggiunto il pareggio di bilancio, era avversata dalla grande industria; abituata ai sussidi governativi ed ai dazi doganali, non si contentava delle facilitazioni fiscali e dell’assenza di scioperi. Il fascismo introdusse le corporazioni, costituite di sindacati di lavoratori e di datori di lavoro, che un giorno avrebbero dovuto prendere il posto del parlamento per legiferare; le corporazioni dovevano eliminare gli scioperi, fissare i salari, mentre i sindacalisti erano nominati dall’alto; però non riuscirono a funzionare per il boicottaggio degli industriali che volevano conservare il loro controllo sulle industrie.
A gennaio del 1925 Antonio Salandra passò all’opposizione e gli industriali Motta e Ponti passarono dall’astensione all’opposizione; i sindacalisti fascisti premevano per applicare il corporativismo integrale, affermavano di voler difendere i diritti degli operai. Nella primavera del 1925 tornarono gli scioperi, la maggioranza degli operai metallurgici aderiva ancora ai sindacati rossi. Antonio Gramsci, che aveva abbandonato l’Aventino, il 16.5.1925 parlò alla camera e denunciò le collusioni tra capitale e fascismo, fu interrotto da Mussolini che gli ricordò che tanti industriali, come Motta e Conti, e delle banche gli erano contro; Farinacci entrò nella discussione e aggiunse che tanti industriali finanziavano anche i giornali di sinistra.
Mussolini aveva dei dossier segreti, curati dai servizi d’intelligence, per ricattare gerarchi fascisti, socialisti e capitalisti, quelle notizie esplosive erano contenute lì. Improvvisamente Mussolini telegrafò ai prefetti chiedendo di ostacolare le vertenze sindacali ed attaccò i sindacati rossi, la classe operaia era ancora rappresentata, in maggioranza, dalle organizzazioni sindacali antifasciste. I sindacati fascisti ne approfittarono per chiedere il monopolio della rappresentanza sindacale e per chiedere che nelle fabbriche le commissioni interne dei lavoratori fossero sostituite da fiduciari fascisti nominati dalle corporazioni.
Gli industriali si opposero alle due richieste ed alla Fiat Agnelli chiuse con i sindacalisti comunisti della commissione interna un accordo sull’aumento del salario, mettendo i fascisti davanti al fatto compiuto; i fascisti accusarono comunisti di aver accettato aumenti irrisori, mentre il Mondo parlò di doppio gioco e di regalo dei comunisti ad Agnelli. L’accordo compromise anche l’introduzione della scala mobile voluta alla Fiom, socialista ed i fascisti ne approfittarono per attaccare le commissioni interne e la confindustria che le sosteneva.
Rossoni affermò che gli industriali erano contrari al monopolio sindacale fascista e che i sindacati rossi, pur di conservare una presenza in fabbrica, erano disposti ad accettare salari più bassi. In effetti, la confindustria riteneva che il pluralismo sindacale, cioè il sindacato diviso in più sigle, era più vantaggioso per gli imprenditori, si dicevano antimonopolisti anche per il sindacato, inoltre sapevano che tante volte le commissioni interne avevano svolto un ruolo di moderazione in fabbrica.
Comunque, anche nel partito fascista esistevano sia i monopolisti che i pluralisti, questi secondi erano sostenuti finanziariamente dalla confindustria; alla fine di settembre del 1925 Mussolini, dimostrando ancora una certa indipendenza dalla confindustria, si schierò con i monopolisti. Il 2 ottobre 1925 fu raggiunto l’accordo tra confindustria e governo per l’abolizione delle commissioni interne e per attribuire alle corporazioni la rappresentanza esclusiva dei lavoratori, con presenza nelle fabbriche di fiduciari fascisti al posto delle commissioni interne; però poi, poiché gli industriali non volevano questi fiduciari nelle fabbriche, Mussolini non volle più sentir parlare di fiduciari.
Il monopolio sindacale fascista in fabbrica aveva apparentemente sconfessato la confindustria, però ebbe anche il vantaggio di attribuire alla confindustria la rappresentanza esclusiva degli industriali, cioè anche di quelli che, fino ad allora, erano rimasti fuori dall’organizzazione, inoltre, per il momento, fu sventata la manovra per creare un’unica corporazione dei datori di lavoro e dei lavoratori.
La confederazione del lavoro CGIL era scesa da 2.200.000 iscritti nel 1921 a 270.000 nel 1924, anche se fino al 2/10/1925 continuò a dominare nelle commissioni interne. I fascisti rinfacciavano agli industriali di aver collaborato a lungo con i sindacati antifascisti ed alla Banca Commerciale di essere antifascista, in effetti, Ugo La Malfa lavorava indisturbato e protetto negli uffici interni di questa banca.
Il 28.10.1925 Mussolini proclamò: ” Tutto nello stato, niente al di fuori dello stato, nulla contro lo stato”, era la concezione totalitaria che anche la chiesa medievale aveva coltivato. Poi i poteri del capo del governo e dei prefetti furono estesi, la stampa fu imbavagliata ed i partiti, i sindacati e le associazioni antifasciste furono posti fuori legge, furono creati sindacati misti di datori di lavoro e lavoratori e abolito lo sciopero e la serrata; in loro luogo, per risolvere le vertenze, fu creata la magistratura del lavoro.
Gli industriali si dissero subito contro la magistratura del lavoro, contro i sindacati misti ed a difesa del diritto di sciopero e della serrata. Alla fine del 1925 il capitalismo italiano si era rafforzato ed il commercio mondiale aveva superato quello dell’anteguerra, però crebbe l’inflazione e la bilancia commerciale era peggiorata; da quel momento il fascismo prese a manifestare la sua ostilità all’urbanesimo, favorito dallo sviluppo industriale.
Contro gli iniziali progetti di liberismo, nel 1925 Mussolini lanciò la battaglia del grano, con forti dazi d’importazione si volle raggiungere l’autosufficienza in questa produzione, preferì rinunciare alla coltivazioni pregiate che avrebbero consentito di acquistare grano all’estero; questa politica si risolse in un massiccio sussidio ai latifondisti, tra i quali la chiesa era il primo, era un debito di riconoscenza perché avevano finanziato il fascismo.
Per evitare i controlli sulla spesa e sul reddito nazionale, la corte dei conti e l’Istat furono messi sotto il controllo del capo del governo; seguendo la tradizione della chiesa, Mussolini diceva che il popolo aveva bisogno di credere e non di conoscere, diceva che il popolo era mosso dalle illusioni; per Mussolini, la gente comune non voleva libertà, ma la disciplina. Mussolini soleva dire che l’opinione pubblica era una prostituta, ai suoi discorsi era presenta la squadra degli applausi.
Nel 1926 aveva sei dicasteri su tredici, era presidente del PNF, del Gran Consiglio, del consiglio nazionale delle corporazioni, capo del governo, capo della milizia, presiedeva il consiglio di stato, la corte dei conti, l’Istat e tutte le corporazioni; inoltre prendeva decisioni di competenze di altri ministri, senza consultarli. Sapeva con ogni uomo aveva il suo prezzo e che i gerarchi non erano onesti, non si fidava di nessuno, soprattutto di quelli che erano più capaci, più indipendenti e meno ricattabili, cercava capi espiatori degli insuccessi del suo governo; chiese che la storia fosse purgata nelle scuole, valorizzando la storia di Roma e del Risorgimento.
Il 13.4.1926 fu emanata la nuova legge sindacale, gli industriali volevano essere gli unici arbitri in fabbrica, invece Rossoni, con i nuovi istituti corporativi, voleva sopprimere anche le organizzazioni padronali. Rossoni propose alla confindustria di entrare a far parte di un’unica confederazione delle corporazioni fasciste, dove ogni branca della produzione doveva avere tre sezioni, quella dei lavoratori, quella dei tecnici e quella dei rappresentanti del capitale.
Il presidente della confindustria Benni rispose che nelle officine doveva esistere una sola gerarchia, quella tecnica, Mussolini sembrava d’accordo, era sempre il balletto della politica; Rossoni amareggiato affermò che, purtroppo, il fascismo poteva dire di controllare i lavoratori, ma non controllava i capitalisti. Dietro i capitalisti ufficiali vi erano anche poteri anonimi più alti che li finanziavano, erano quelli che provocavano anche i cambi di regime.
Poi Rossoni pensò di realizzare delle corporazioni integrali senza le grandi industrie, cioè spaccando la confindustria, allora Olivetti mise in guardia Mussolini dal pericolo di un’onnipotente confederazione delle corporazioni. Mussolini, per non perdere il controllo della situazione, prima si fece titolare del ministero delle corporazioni, mentre Rossoni era sottosegretario, poi, supino ai desideri della confindustria, volle che le organizzazioni del capitale rimanessero separate da quella dei lavoratori.
Il 2.7.1926 Mussolini proclamò che l’ordinamento corporativo era ormai compiuto, sapeva che l’arte di governo consisteva nel cambiare i nomi delle cose, che però restavano immutate nella sostanza; infatti, il ministero delle corporazioni fu istituito proprio per impedire l’avvento delle corporazioni volute da Rossoni; contro il suo progetto, i sindacati dei lavoratori e dei datori di lavoro rimasero indipendenti, cioè senza dei collegamenti.
Ora gli industriali erano preoccupati dalla politica deflazionistica del regime; per ridare competitività all’economia, erano favorevoli alla svalutazione della lira ed al protezionismo, mentre in precedenza si erano espressi a favore del mercato. La confindustria era contraria alla deflazione che, rivalutando la lira, avrebbe creato difficoltà all’esportazione, anche se sarebbero diminuiti i prezzi delle materie prime importate.
La svalutazione della lira, sostenuta dagli industriali, favoriva le speculazioni sul tasso di cambio della lira, a vantaggio di pochi italiani e stranieri ed a spese delle riserve auree dello stato. Mussolini invece, sia pure per ragioni di prestigio, voleva difendere il cambio della lira e non voleva svalutare; comunque, riuscì a raggiungere il pareggio di bilancio, a far diminuire la circolazione monetaria ed i prezzi e, grazie alle rimesse degli emigrati, a ridurre il debito estero, inoltre il deficit della bilancia dei pagamenti non era molto elevato.
Il 31.8.1926 il regime, incurante dei desideri della confindustria, adottò alcuni provvedimenti per la stabilizzazione del cambio della lira, così nel marzo del 1927 la sterlina scese da 149 lire a 90 lire, però gli industriali, che tifavano per la svalutazione, denunciavano il cattivo andamento produttivo e delle esportazioni e, a causa della concorrenza estera, volevano un cambio a 125 lire, perciò minacciavano licenziamenti e riduzioni salariali.
Contro Mussolini si fecero attentati, l’ultimo avvenne nel 1926 fu il pretesto per instaurare la dittatura totalitaria, il presunto attentatore, probabilmente innocente, era un ragazzo di sedici anni, fu linciato e fatto a pezzi, mentre i suoi familiari furono imprigionati come complici. Mussolini, per rappresaglia, abolì gli altri partiti e sospese i giornali indipendenti; i fascisti attaccarono le abitazioni di antifascisti, i deputati aventiniani furono dichiarati decaduti e Gramsci fu arrestato.
Fu creato un tribunale politico che potesse operare con segretezza e velocità, le cui sentenze erano inappellabili, i relativi giudici furono scelti da Mussolini tra gli ufficiali della milizia, inoltre fu introdotta la pena di morte. In questo tribunale gli avvocati difensori chiedevano al giudice la condanna a morte dei loro assistiti e poi inviavano la parcella ai familiari del giustiziato. Mussolini, attraverso la polizia segreta, conosceva tutti i peccati dei gerarchi e teneva dei dossier per ricattarli, i giuristi avallavano le scelte del regime in materia di giustizia, così si mandarono al confino tanti antifascisti.
La carta del lavoro del 1927 faceva del lavoro un dovere sociale e dello sciopero un reato, esaltava l’impresa privata, però garantiva ai lavoratori l’assicurazione malattie, la pensione, la maternità, le vacanze organizzate. Assecondando la chiesa, Mussolini corteggiò i contadini, che erano meno critici degli operai, mentre le condizioni urbane incoraggiavano la disobbedienza, perciò ordinò ai prefetti di impedire alla gente di abbandonare la campagna. Nel 1927 il capo della polizia Bocchini creò la polizia segreta del regime, detta Ovra, che Mussolini utilizzò anche per controllare la vita dei suoi collaboratori.
Il 21.4.1927 il regime approvò la Carta del lavoro, che sanciva anche la nascita dello stato corporativo, il governo si mosse anche a favore dei lavoratori, però le cinque confederazioni dei datori di lavoro, cioè di agricoltura, industria, commercio, banca e trasporti, erano contro la riduzione dell’orario di lavoro, contro i minimi salariali e contro la gestione degli uffici di collocamento da parte dei sindacati fascisti.
I datori di lavoro volevano anche conservare il diritto di assumere lavoratori non fascisti o non iscritti ai sindacati fascisti, il loro nemico era sempre Rossoni, che accusava gli industriali di voler far pesare la crisi economica solo sui lavoratori, poi tornò a chiedere i fiduciari fascisti nelle fabbriche. Si dice che, ancora oggi in Italia, certe assunzioni e promozioni si ottengono solo con la raccomandazione del vescovo, del partito o del sindacato, i concorsi del mondo del lavoro sono una farsa, probabilmente anche il fascismo voleva del favoritismo per i suoi uomini nei posti di lavoro.
I sindacati fascisti chiedevano anche che fossero calmierati, non solo i salari, ma anche i profitti, una richiesta questa velleitaria, anche perché il salario è un costo ed il profitto un residuo; spesso questa rivendicazione è stata invocata dalla sinistra, ma è irrealizzabile sotto il capitalismo, anche perché gli imprenditori non collaborano al riguardo; però i profitti possono essere tassati di più.
Mussolini cercò una linea di compromesso e impose ai datori di lavoro di assumere mano d’opera solo attraverso gli uffici di collocamento, dando la preferenza agli iscritti al partito o al sindacato fascista; sostanzialmente però, la Carta del lavoro rimase senza valore, perché non introdusse nessuna novità. In certi momenti sembrava che la politica di Mussolini volesse contenere lo sviluppo industriale che favoriva inflazione, consumi, urbanesimo e sviluppo del proletariato, che era il più avverso al regime; infatti, il fascismo era andato al potere combattendo le organizzazioni operaie.
Perciò il fascismo, in accordo con la chiesa, guardava con maggiore simpatia al mondo rurale, che era più prolifico e aveva meno rivendicazioni economiche e politiche; con le bonifiche agrarie e con la battaglia del grano dell’estate del 1925, il regime aveva puntato anche ad un aumento della produzione agricola. Il fascismo aveva ereditato molti miti della chiesa medievale, come il culto patria, della religione e della famiglia; come la chiesa, aveva la sua mistica e invitava a credere, obbedire e combattere; come la chiesa, che non era mai stata liberale, voleva ordine, gerarchia, disciplina, centralismo, unità, autoritarismo e totalitarismo; il fascismo erra stato incubato dalla chiesa, vicina anche a Franco e Salazar.
Mussolini era stato anche influenzato dai governi Crispi, che era autoritario, da Giolitti, che nel sud d’Italia aveva usato i manganellatori nei seggi elettorali, e da D’Annunzio, che aveva inventato le adunate, gli arditi, il saluto fascista, il fascio e aveva introdotto il saluto romano e il titolo di duce. Dal fascismo e dalla chiesa i contadini erano visti come meno ribelli dei borghesi cittadini e con meno pretese politiche ed economiche, i contadini facevano più figli e soldati.
Alcuni liberali come Nitti erano anche contro l’emigrazione dei contadini che, come la bassa natalità, portava alla crescita delle rivendicazioni economiche dei pochi contadini rimasti, invece di tenere bassi i loro salari. Nel gennaio del 1927 i dirigenti riformisti della CGlL decisero di sciogliere la confederazione, dichiarando di accettare la realtà fascista ed i suoi indirizzi economici; ciò è veramente eclatante, gli storici di corte e di partito preferiscono non ricordarlo.
L’Italia subiva l’emorragia dell’emigrazione e calava il tasso di natalità, soprattutto nelle città industriali, perciò il 26.5.1927 fu annunciata la battaglia demografica, con incentivi alle famiglie numerose; Mussolini voleva fondare un impero puntando sullo sviluppo della popolazione, invece che sullo sviluppo industriale, con i nuovi nati voleva popolare le colonie. Mussolini dichiarò che la vittoria del 1918 fu dovuta a contadini, perché gli operai erano rimasti a lavorare nelle fabbriche di guerra, inoltre nel primo dopoguerra il fascismo fu aiutato dallo squadrismo rurale e non dagli operai, mentre il capitale fornì i soldi al movimento fascista.
Olivetti fece notare che gli interventi statali in agricoltura potevano costituire anche degli incentivi all’industria, che forniva all’agricoltura macchinari e prodotti chimici. Comunque, malgrado la politica di Mussolini, sotto il fascismo, la popolazione rurale continuava a diminuire. Nel 1926-27 l’economia italiana andò in recessione e gli industriali tornarono a chiedere quota 125 lire per una sterlina, Mussolini, che non voleva svalutare la lira, replicò dicendo che gli industriali erano buoni solo per i tempi grassi, Rossoni accusò gli imprenditori di esportare il denaro.
Gli industriali avevano accettato la legge sindacale fascista del 3.4.1926 perché Mussolini, in disparte, li aveva rassicurati, affermando che la teoria e gli impegni scritti erano diversi dalla pratica; era la solita ambiguità della politica, in pratica fece l’occhiolino agli industriali, poi, poiché la Fiat voleva ridurre salari e dipendenti, Mussolini accusò il gruppo di ricattare il regime fascista.
Comunque Mussolini, dopo aver difeso la quota 90 per la lira, aveva varato dei provvedimenti appositi per risarcire gli imprenditori della perdita economica subita dalla rivalutazione della lira, cioè concesse loro degli sgravi fiscali ed aiuti economici, ad agosto del 1927 la borsa ricominciò a salire, in banca cresceva il risparmio e la crisi era superata. La rivalutazione della lira richiese anche una riduzione dei salari, diminuirono i prezzi al consumo e aumentarono leggermente i consumi; Rossoni si disse contro le riduzioni salariali e contro i licenziamenti, però, tra il dicembre del 1926 e il dicembre del 1927 i disoccupati dell’industria passarono da 181.000 a 414.000.
Le grandi imprese introdussero l’organizzazione scientifica del lavoro o lavorazione a catena, ideata da Ford, il 1928 era l’anno della ripresa economica, però, a causa dei licenziamenti e delle riduzioni di salario, aumentarono il malcontento dei lavoratori e gli scioperi. Farinacci accusò gli industriali di violare la carta del lavoro ed al congresso sindacale fascista anche Rossoni disse che i patti sul lavoro non erano rispettati dagli industriali, che non volevano nemmeno rinnovare i contratti.
Mussolini riconobbe che, purtroppo, non si era ancora in un vero regime corporativo, alcuni fascisti fecero notare che, aboliti i liberi sindacati dei lavoratori, la lotta di classe continuava solo da parte del padronato. Il sottosegretario alle corporazioni, Bottai, in appoggio agli industriali, attaccò Rossoni e lo accusò di incubare il sindacalismo rivoluzionario; Bottai diceva che, mentre i datori di lavoro erano divisi in sei confederazioni, i lavoratori erano inquadrati solo nella confederazione rossoniana, che aveva 2.800.000 lavoratori, la più grande organizzazione di massa d’Italia, mentre il partito fascista aveva solo poco più di un milione d’aderenti.
Faceva anche notare che la lista unica per le elezioni alla camera era fatta con candidature proposte anche dal sindacato, in questo modo la confederazione rossoniana avrebbe avuto 440 candidature su 1.000. Era la lotta per il potere all’interno del partito fascista e, per altri versi, anche una parvenza di dibattito, però era la confindustria che stava dietro Bottai. Il ritornello celato dei politici e giornalisti di successo sembra dire:” Comprami io sono in vendita, aggiungi un posto a tavola, sarò come tu vuoi”.
Mussolini sceglieva da solo il vertice della gerarchia, il partito doveva allinearsi ed applaudire, gli indipendenti furono espulsi dal partito; Mussolini voleva la guerra e aspirava al premio Nobel per la pace, altri dittatori lo hanno ricevuto dopo la seconda guerra mondiale. Mussolini continuava ad agitare le acque internazionali, incoraggiò le forze antinglesi in Egitto, Palestina e Yemen ed i ribelli antifrancesi in Siria e Libano, nel Dodecanneso impose ai greci l’italiano ed il cattolicesimo, aveva mire sull’Albania e sulla Jugoslavia, finanziò il secessionismo croato; nel 1927 per il croato Ante Pavelic fu creata, vicino a Parma, un centro d’addestramento al terrorismo.
Mussolini entrò in contatto con i terroristi macedoni per fomentare altri disordini nei balcani, Grandi li riforniva di denaro ed armi, il duce sussidiava anche squadre di assassini in Italia e all’estero ed in Albania appoggiava gruppi armati locali. Accusò i francesi di snazionalizzazione nei confronti degli italiani di Tunisia e Corsica e gli inglesi per analoga politica perseguita a Malta. Mussolini inviò armi in Germania, Bulgaria, Austria, Ungheria e aviatori ungheresi furono addestrati in Italia, finanziò un tentativo di putsch a Vienna, mandò denaro a gruppi nazisti austriaci. Aumentò gli stanziamenti militari e impiegò gas tossici in Libia, chiese la parità navale con la Francia e l’Inghilterra nel Mediterraneo.
Per contenere il potere di Rossoni e fare un regalo agli industriali, il 21.11.1928 Mussolini decise lo smembramento del sindacato di Rossoni in sei federazioni autonome per categorie, come quelle degli imprenditori, perciò Rossoni diede le dimissioni e si ritirò dalla vita sindacale. Per rifarsi, il sindacato fascista tornò a chiedere i fiduciari di fabbrica e Arnaldo Mussolini, fratello del duce, poiché il capitale sfuggiva alla sorveglianza del partito, suggerì di far entrare dei fascisti nei consigli d’amministrazione delle grandi imprese.
Già Olivetti aveva denunciato che il partito fascista voleva mettere le mani sui principali settori economici, anche per finanziare il partito, com’è successo anche nella prima repubblica, cioè in regime democristiano, e come succede anche oggi. Com’è noto gli emigranti italiani, senza essere assistiti dallo stato italiano, mandavano i risparmi in Italia, mentre il capitalismo li faceva arrivare in Svizzera. Nel 1928 i disoccupati passarono da 240.000 a 440.000 e diminuirono anche le retribuzioni; comunque, sulla faccenda della svalutazione della lira, che è stata sempre un grosso affare per gli speculatori italiani e stranieri, la prima repubblica e la Banca d’Italia è stata più cedevole di Mussolini agli interessi censurabili di pochi.
Dopo il concordato ci furono contrasti tra fascismo e chiesa, perché la chiesa e lo stato si contendevano l’educazione dei giovani, cioè Mussolini, diversamente dai regimi repubblicani, voleva conservare un certo grado d’indipendenza verso la chiesa; nel regime fascista i giornalisti inquadrati erano, secondo l’espressione di Mussolini, l’equivalente dei marescialli di Napoleone. Augusto Turati fu segretario del PNF dal 1926 al 1930, accusò di affarismo i gerarchi e Ciano, perciò fu costretto da Storace e Farinacci a dimettersi e ad andare in esilio a Rodi, accusato di sadomasochismo, incesto, pederastia, tossicodipendenza e squilibrio mentale.
Mussolini cercava di coprire gli scandali fin dove poteva, nella amministrazione pubblica si faceva carriera adulando il duce, perciò era grande la sua inefficienza. Per la ventottesima elezione della camera del 1929, fu fatta un’altra riforma elettorale, si sarebbe presentata una lista unica, con nomi scelti dal regime, gli italiani potevano votarla o rifiutarla; Giolitti si disse contrario alla riforma, invece la chiesa si disse d’accordo ma chiese un certo numero di cattolici tra i quattrocento candidati.
Come al solito, all’elezione si fece uso di minacce e violenza fisica, il voto fu manipolato, la segretezza del voto fu violata, si ricorse alla falsificazione dei voti, così la lista fascista ottenne il 98,4% dei suffragi, poi il Duce confessò che tutti i plebisciti italiani erano stati manipolati. Mussolini cambiava spesso i ministri e le alte cariche, perché nessuno dei suoi collaboratori diventasse troppo potente. Nel 1931 entrò in vigore il nuovo codice penale Rocco che riduceva i diritti individuali.
La legge imponeva al gran consiglio di preparare una lista di successori a Mussolini, tra i quali il re avrebbe fatto la scelta, però il duce temeva che una nomina ufficiale indebolisse la sua posizione. Mussolini voleva che l’Italia dominasse nel Mediterraneo; dal 1923 continuava la rivolta nella colonia libica, in Libia Badoglio fece feroci rappresaglie, espropriò la terra ai senussi, a beneficio dei coloni italiani, usò il gas ed internò la popolazione araba in campi di concentramento.
Mussolini introdusse il reato di bestemmia, perciò i vescovi italiani erano conquistati dal nuovo regime, prima del fascismo si era vicini ad un accordo con la chiesa, dopo gli accordi del 1929, il fascismo riconobbe la giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale e familiare, prese a perseguitare valdesi, pentecostali ed esercito della salvezza, perciò Pio XI definì Mussolini l’uomo della Provvidenza.
Quell’anno in Italia i consumi e la produzione avevano raggiunto il record e prima della crisi l’economia italiana era in sviluppo; al plebiscito del 24.3.1929 fu presentata una lista unica di 400 deputati, selezionati dal Gran Consiglio fascista tra mille nomi, proposti dai sindacati fascisti, dalla chiesa e da vari enti, anche la confindustria propose ottanta membri, la sua lista si apriva, come le altre, con il nome di Mussolini; stranezze poi adottate anche in regime repubblicano.
Malgrado lo stato si dicesse corporativo, complessivamente alla camera i rappresentanti del padronato erano maggiori di quelli dei lavoratori, ancora oggi i rappresentanti in parlamento non sono quasi mai vera emanazione dei lavoratori dipendenti, il voto è un rituale inutile per i sudditi. L’opposizione non potette presentare una propria lista, ma, come succede sempre nella dittature, ufficialmente votò quasi il 90% degli aventi diritto, tra gli industriali furono eletti Benni e Conti, però Mussolini fece fare senatori dal re anche altri industriali come Borletti e Romeo.
Mussolini tentò ancora di ostacolare l’immigrazione in città, che creava penuria di case, e diede istruzioni ai prefetti per ostacolare quest’afflusso, il 14.10.1928, per favorire lo sviluppo dell’agricoltura, aveva varato un programma di bonifica in agricoltura. Però la politica economica di Mussolini non arrestò lo sviluppo industriale del paese e l’Italia diventò paese industriale proprio durante gli anni del fascismo, nel 1931 gli addetti in industria e servizi superavano quelli in agricoltura e il reddito italiano proveniva dall’agricoltura scese al 30,7%.
Mussolini avrebbe voluto invece un’Italia ad economia mista, cioè, con una forte agricoltura e con una piccola e media impresa, però già nel 1923 anche l’Italia era un paese a forte concentrazione capitalistica, a favore di poche famiglie; in quell’epoca in Italia non dominavano le piccole e medie imprese ed i collegamenti economici tra banche ed imprese erano molti. In diversi consigli d’amministrazione di grandi imprese erano presenti le stesse persone, il 2% dei consiglieri d’amministrazione amministrava un terzo del capitale di tutte le società di capitale e 422 consiglieri controllavano la metà del capitale azionario italiano.
Il risparmio popolare, affluito in borsa, non aveva modificato questo stato di cose, inoltre nel 1932, su 16.277 società per azioni italiane, appena 144 di esse deteneva il 51,7% di tutto il capitale delle stesse; dal 1927 al 1939 aumentarono anche gli addetti nelle grandi industrie con più di mille dipendenti, che alla fine diedero occupazione a più del 50% della mano d’opera industriale. Purtroppo il fascismo, anche se vedeva con sospetto i capitalisti, ne era stato finanziato e con le agevolazioni fiscali aveva anche favorito le fusioni e le concentrazioni tra imprese, che erano avvenute in tutti i paesi.
Gli anni del primo dopoguerra, ufficialmente liberisti, furono caratterizzati da interventi importanti dello stato nell’economia, infatti, a seguito della crisi del 1929, nel 1931 nacque l’IMI e nel 1933 l’IRI, inoltre, in generale le imprese, soprattutto in momenti difficili, non potevano rinunciare agli aiuti dello stato. Nei primi mesi del 1929 la borsa americana era salita vistosamente, per conseguenza, la Federal Reserve adottò una politica restrittiva del credito e fu il crollo di Wall Street e la crisi, che si ripercosse anche in Europa e in Italia, facendo cadere il commercio internazionale ed aumentare la disoccupazione.
Nel giugno del 1929 a Torino i sindacalisti fascisti criticarono l’organizzazione scientifica del lavoro, detto anche sistema Bedaux o Ford o in serie, difesa dagli industriali; dicevano che favoriva lo sfruttamento dei lavoratori, difendevano i lavoratori per riceverne il consenso a favore del partito fascista. I fascisti, come la chiesa, volevano una società sobria, ispirata a Dio, patria, e famiglia, invece l’industrialismo minacciava proprio quei valori; il fascismo, per calmierare i consumi, si era anche pronunciato contro le vendite a rate e contro i salari troppo alti, inoltre si era detto a favore dell’artigianato e dell’agricoltura e non dell’industria.
Comunque Mussolini, concordando con gli industriali, affermava che nelle fabbriche doveva esistere solo una gerarchia tecnica e non voleva sentir parlare di fiduciari fascisti, anche se questi esistevano di fatto, ma non di diritto, già in alcune industrie, perché gli industriali non avevano tutti la stessa testa. Questi fiduciari erano anche chiamati segretari di fabbrica, capi fabbrica, corrispondenti di fabbrica e delegati di stabilimento; ufficialmente erano però invisi al ministero delle corporazioni ed alla confindustria.
Alcuni sindacalisti fascisti avevano sollevato la questione dei fiduciari dicendo che dovevano essere protetti dalla legge dai licenziamenti per rappresaglia, perché spesso, quando gli operai o i loro fiduciari denunciavano le inadempienze dei datori di lavoro, erano licenziati. Nel 1929 i metallurgici di Milano introdussero ufficialmente i fiduciari d fabbrica; i datori di lavoro volevano che le controversie collettive fossero risolte dall’associazione di categoria e quelle individuali dalla direzione.
Si erano dimenticati della magistratura del lavoro, creata dal fascismo proprio per risolvere queste controversie, ora si rendevano conto che per loro era stato un affare anche l’abolizione delle commissioni interne, che, nei primi anni del fascismo, volevano mantenere. D’altra parte i sindacalisti fascisti proclamavano che i fiduciari non avrebbero rassomigliato alle commissioni interne soppresse nel 1925, perché sarebbero stati fascisti e non sovversivi.
Il 30 .4.1929 la confederazione dei sindacati fascisti chiese il riconoscimento dei fiduciari, la confindustria si oppose sostenendo che l’associazione dei lavoratori doveva trattare solo con l’associazione dei datori di lavoro. Gli industriali affermarono che i fiduciari avrebbero frantumato il sindacato dei lavoratori in una serie di sindacati di fabbrica, avrebbero portato all’eliminazione dell’organizzazione dei datori di lavoro e annullato la gerarchia tecnica in fabbrica.
I sindacati fascisti replicarono che l’accordo tra governo e confindustria, aveva abolito solo gli intermediari per i rapporti contrattuali, però vi erano anche le controversie individuali. Nella primavera del 1929 i sindacati fascisti erano tornati a chiedere il salario minimo garantito, la partecipazione dei lavoratori nella gestione delle mutue, nei consigli provinciali dell’economia e nei consigli d’amministrazione delle fabbriche; denunciavano che, poiché gli imprenditori non avevano l’obbligo di assumere attraverso gli uffici collocamento, questi uffici tenevano solo i registri dei disoccupati, cioè servivano a poco; ce ne siamo accorti anche nell’Italia repubblicana.
Poiché gli industriali avevano accettato le vecchie commissioni interne, ora potevano anche accettare i fiduciari fascisti, perciò gli industriali erano accusati di scarse simpatie fasciste; accadeva ciò malgrado l’Italia assicurasse anche alcune esportazioni industriali all’estero, infatti, per le navi vendute a credito alla Turchia, lo stato si assunse il rischio al 50%. Al congresso sindacale di Milano del 1929 Mussolini, tenendosi in mezzo, attaccò gli industriali, che non rinnovavano i contratti ma non sostenne la figura dei fiduciari; Benni, presidente della confindustria, chiese il rispetto della gerarchia e della disciplina in fabbrica e che fosse lasciato il comando ai capi delle aziende; i senatori Agnelli e Pirelli si professavano non fascisti, invece Olivetti aveva aderito al fascismo, ma poi fuggì in Svizzera a causa delle leggi razziali.
Allora i dirigenti fascisti dei lavoratori proposero a Mussolini dei fiduciari con mansioni ridotte, promisero che i fiduciari non avrebbero controllato le aziende, né creato gerarchie diverse da quella tecnica; di fatto però i fiduciari già esistevano in alcune aziende, per non correre il rischio di licenziamento, dovevano avere solo il riconoscimento giuridico. Arnaldo Mussolini si disse contro i fiduciari che, secondo lui, potevano costituire una forma di controllo sull’azienda e potevano sfuggire al controllo dei sindacati e del partito fascista, alla fine Mussolini respinse ancora una volta la figura dei fiduciari.
Nel 1929 Mussolini era ancora a favore del capitalismo, però nel 1933, con la crisi, denunciò la crisi del sistema capitalista e divenne interventista in economia, creando l’IMI nel 1931 e l’IRI nel 1933; in ogni caso, dopo la caduta di Rossoni, la sinistra fascista continuò ad essere una minaccia per i datori di lavoro. Nel 1933 Vittorio Foa riconobbe che a sinistra fascista, in nome di un’organizzazione mista di capitale e lavoro, voleva superare la libertà delle imprese; per Salvemini, il fascismo del 1936 era abbastanza indipendente dai capitalisti, come lo erano i capitalisti nei confronti del fascismo.
Gli industriali avevano sostenuto il movimento fascista, però nel dicembre del 1925 alla camera i dirigenti della confindustria si pronunciarono contro il ricorso alla magistratura del lavoro, previsto dalla Carta del lavoro e difesero sciopero e serrata. Volevano le assunzioni libere e proteggevano gli antifascisti nelle fabbriche, alla fine della seconda guerra mondiale alcuni di loro nascosero in fabbrica anche le armi dei partigiani; furono contro le corporazioni integrali proposte da Rossoni, a favore delle commissioni interne, dominate dai rossi, e contrari ai fiduciari fascisti.
La democrazia si perde quando essa perde la stima di tutti, infatti, il fascismo in questo clima andò al potere e affossò la democrazia; oggi in partiti sono meno indipendenti del fascismo nei confronti dei poteri forti, cioè soprattutto verso la chiesa e le banche; eppure Mussolini si affermò grazie all’appoggio del re, della chiesa, degli agrari e degli industriali, non grazie alla piccola borghesia come affermano gli storici venduti, che ritengono di dovere restituire una verginità a lor signori.
In cambio di petrolio, il fascismo esportava navi ed aeroplani in Russia, in America il duce era visto con ammirazione dai gangster italo-americani, Winston Churchill definì il fascismo baluardo contro la rivoluzione bolscevica; in realtà Mussolini era una minaccia per la pace mondiale, aiutava il riarmo della Germania, inviò denaro ai nazisti e piloti tedeschi furono addestrati in Italia. Hitler ammirava Mussolini ed il suo percorso politico, perciò pensò anche ad una sua marcia su Berlino, però inizialmente non era ben visto dai baroni, ma ricevette aiuti economici dall’industria e dalla finanza anglosassone, poi si finanziò espropriando gli ebrei.
Poiché il Giappone aveva aggredito la Manciuria, senza reazioni internazionali e senza sanzioni da parte della Società delle Nazioni, nel 1932 Mussolini progettò l’invasione dell’Etiopia, non ebbe la stessa fortuna perché per quella assise gli stati non erano uguali. Nel 1931 il gerarca fascista Storace era implicato in prostituzione, droga, peculato, stupro e pederastia, però era obbediente a Mussolini ed era da lui protetto, era il creatore delle coreografie e delle adunate di massa del fascismo.
Fu approvata una legge che rendeva obbligatoria l’appartenenza al partito di tutti i dipendenti pubblici, tutti i dirigenti fascisti cercarono di far credere che erano rivoluzionari della prima ora o sansepolcristi, l’anzianità portava decorazioni, riconoscimenti, promozioni, pensioni e precedenza nelle assunzioni; Mussolini era definito infallibile dai cortigiani desiderosi di fare carriera. Nel 1931 i docenti universitari, dopo quelli di scuola media, furono costretti da Gentile a giurare fedeltà al regime, se non volevano perdere la cattedra.
La popolazione agricola sembrò aumentare solo dal 1931 al 1936, perché le donne della campagna presero a farsi censire da casalinghe a lavoratrici agricole, falsando le statistiche; infatti, la popolazione agricola maschile continuava a diminuire anche in quegli anni. Certe statistiche sono curiose ancora oggi, sembra che, prendendo i numeri giusti, con la statistica si possa dimostrare qualunque cosa.
Alla diminuzione della popolazione agricola si accompagnò la crescita della popolazione urbana, diretta nelle industrie e nei servizi; nel 1932 gli addetti nell’industria più gli addetti ai servizi superavano quelli nell’agricoltura, cioè l’Italia non era più un paese prevalentemente agricolo, inoltre, nel calcolo del reddito nazionale prodotto, l’apporto dell’agricoltura era ancora più basso.
Mussolini diceva che la sua non era una dittatura, perché la sua volontà di comando coincideva con la volontà all'obbedienza del popolo italiano, l’obbedienza era stata sempre coltiva dalla chiesa; preferiva essere temuto che amato, diceva che gli agi del popolo erano nemici del militarismo che egli voleva promuovere; come la chiesa medievale, era a favore della guerra giusta. Negli anni trenta l’Italia ospitò due campi d’addestramento, dove i terroristi croati erano istruiti all’uso delle armi contro i serbi; nel 1934 re Alessandro di Jugoslavia fu ucciso, i responsabili avevano denaro e passaporti italiani, per questo delitto Pavelic fu condannato a morte in Francia, ma Mussolini si rifiutò di estradarlo e Pavelic continuò a vivere in Italia, a spese del governo italiano.
Poiché Mussolini prendeva decisioni senza consultare nessuno, ora era titolare di sette ministeri su quattordici, si credeva un condottiero militare, si diceva a favore del liberismo e praticava il protezionismo e l’autarchia. Allora lo stato italiano controllava la grande industria e le banche; per preparare l’Italia alla guerra, Mussolini volle l’autarchia e volle lanciare la battaglia autarchica del grano. Gli inglesi,. Malgrado il loro colonialismo, erano ostili alla guerra d’Etiopia dell’Italia, perché l’Etiopia era membro della Società delle Nazioni, allora Mussolini minacciò di abbandonare la Società delle Nazioni, come aveva già fatto la Germania, che ormai stava riarmando.
Le sanzioni contro l’Italia della Società delle Nazioni furono inutili e resero la guerra più popolare tra gli italiani, il canale di Suez non fu chiuso e l’Italia continuò a ricevere forniture dall’estero; Mussolini voleva da Badoglio una vittoria militare in Etiopia e lo autorizzò ad usare il terrorismo, il gas ed a distruggere villaggi, pensò anche di utilizzare batteri patogeni, l’arma segreta di Mussolini era l’iprite.
Badoglio occupò Addis Abeba, ma i combattimenti durarono per tre anni, per ogni italiano ucciso, erano fucilati dieci ribelli etiopi; a causa di questa guerra, l’Inghilterra accelerò il riarmo mentre Mussolini si avvicinò di più a Hitler; il governo nazista approfittò della guerra etiopica per occupare la Renania. Nel giugno del 1936 Galeazzo Ciano diventò ministro degli esteri e organizzò l’intervento italiano nella guerra civile spagnola, Mussolini aveva già inviato armi ai partiti di destra ed offerto ad essi la possibilità di addestrarsi in Italia, poi fece intervenire le camicie nere e l’esercito regolare; i nazisti erano certi che questa guerra avrebbe allontanato definitivamente l’Italia dalla Francia e dall’Inghilterra.
I repubblicani spagnoli avevano colpito duramente la chiesa, espropriando le sue proprietà, perciò l’intervento del fascismo in Spagna fu sollecitato dalla chiesa che sosteneva Franco e la monarchia; gli italiani approfittarono dell’occasione per occupare le Baleari, mentre in Africa orientale il generale Graziani continuava nelle esecuzioni di massa. Visto lo sviluppo degli eventi, Ciano fece nascere l’asse italo-tedesco.
Per tutto il 1937 il fascismo rifornì la Spagna di armi ed uomini, le truppe italiane in Spagna si confrontavano anche con volontari antifascisti italiani, i quali combattevano con i repubblicani assieme a quelli delle altre nazioni. Nel giugno del 1937, su ordine di Mussolini, in Francia furono assassinati i fratelli Rosselli, Mussolini ordinò anche il siluramento nel Mediterraneo di navi neutrali che trasportavano rifornimenti ai repubblicani spagnoli.
Gli alti generali sapevano che potevano conservare il posto solo alimentando le illusioni di Mussolini; prima di Hitler, il duce affermava di voler preparare una guerra lampo, lasciava intendere di voler usare massicciamente i gas. In previsione di una guerra, Mussolini costituì scorte di armi italiane presso le frontiere egiziana e francese, in Etiopia e in Spagna ordinò il bombardamento terroristico di popolazioni civili, era pronto anche ad usare la guerra batteriologica. Mussolini incoraggiò la rivolta araba antinglese in Palestina e, per tenere fede al Giappone, nuovo alleato, ordinò di affondare nel Mar Giallo un carico di armi già pagato dalla Cina. Poiché Hitler era comandante dell’esercito, mentre in Italia lo era il re, Mussolini ottenne dal re il titolo di Maresciallo dell’Impero.
All’inizio nell’Italia fascista non ci fu una questione ebraica, però nel 1936 fu lanciata una campagna antiebraica e cominciarono le discriminazioni contro gli ebrei nei posti di lavoro, 1938 la il duce prese ad abbozzare la carta della razza. Mussolini alla conferenza di Monaco, con la scusa di mediare, fece felici i tedeschi che si assicurarono, senza guerra, dopo essersi annessa l’Austria, la Cecoslovacchia; però alcuni gerarchi fascisti mugugnavano affermando che, fino a quel momento, l’asse aveva procurato vantaggi territoriali solo alla Germania.
Mussolini attizzava la rivoluzione nelle colonie francesi ed inglesi, ed appoggiava i movimenti autonomisti in Alsazia, Bretagna, Corsica ed Irlanda, gli irlandesi ricevevano denaro anche dalla chiesa; nel 1938 Mussolini si disse pronto a firmare un trattato d’alleanza formale con i nazisti, però chiedeva alla Germania alcuni anni per preparare l’Italia alla guerra, purtroppo l’Italia dipendeva dai rifornimenti marini che transitavano via Gibilterra e Suez.
L’Italia vendeva armi all’estero ed aveva dilapidato armi e risorse finanziare in Etiopia ed in Spagna, che avrebbero potuto essere utili in una prossima guerra europea. Il fascismo dall’Albana progettava di attaccare Grecia e Jugoslavia, poiché i tedeschi erano pronti ad attaccare la Polonia, per non allargare il conflitto, cercarono di dissuaderlo, promettendo all’Italia quei paesi a guerra finita; Mussolini, da parte sue, accortosi che l’attacco tedesco alla Polonia avrebbe potuto portare alla guerra, cercò anche di trattenere Hitler.
Quando Hitler attaccò la Polonia violò il patto d’acciaio con l’Italia che imponeva la preventiva consultazione dell’alleato, anche il patto segreto tra Hitler e Stalin aveva violato il patto d’acciaio. Mussolini non voleva la guerra però, quando la guerra scoppiò, fece una richiesta esorbitante di aiuti militari ai tedeschi, che non poteva essere soddisfatta, poi si offri, ancora una volta, come mediatore di pace, ma senza successo.
Come avevano fatto i Savoia, Mussolini temporeggiava per vedere quale potesse essere il probabile vincitore in una futura guerra, i collaboratori di Mussolini, scelti da lui perché poco indipendenti, erano gente che sapeva che avrebbe conservato il posto solo rafforzando i pregiudizi di Mussolini, cioè mentendo; Ciano affermò che Mussolini temeva a tal punto la verità che preferiva essere ingannato. I capi d Stato maggiore, Badoglio e Graziani, avallavano il bluff militare di Mussolini, però conoscevano l’impreparazione militare dell’Italia per una guerra europea.
Il 7 dicembre 1939 si riunì il Gran Consiglio e si pronunciò a favore della neutralità e Mussolini avvertì i belgi che i tedeschi si preparavano ad invadere il loro paese, intanto continuava la fortificazione del Brennero. Nel 1940 Mussolini propose a Hitler la pace con l’occidente e l’attacco alla Russia, egli, d’accordo con il re, più che ad un’alleanza organica con i tedeschi, pensava ad una guerra parallela dell’Italia contro Grecia e Jugoslavia, anche i Savoia avevano operato così nella prima guerra mondiale, cioè senza un comando integrato con gli alleati.
L’Italia dipendeva dall’importazione estera di carbone che arrivava via mare, la guerra avrebbe reso più difficile questi rifornimenti; come accadeva negli altri paesi, spingevano alla guerra anche i fabbricanti di armi, la guerra è sempre un buon affare per le armi vendute e per la concentrazione di ricchezza che si realizza per mezzo di essa. Comunque l’autarchia non aveva funzionato perché la lana artificiale si produceva con il latte importato, l’acciaio si produceva con carbone ed i rottami importati ed i cereali si producevano con fertilizzanti importati.
Hitler voleva che Mussolini intervenisse attivamente nel Mediterraneo, perché tra le forze militari italiane solo la flotta era temibile, però Mussolini voleva prima essere certo della vittoria tedesca. Quando i nazisti invasero Belgio, Francia e Norvegia, per mantenere l’Italia neutrale, Francia ed Inghilterra si dissero disponibili a fare delle concessioni, ma in quel momento Mussolini, abbagliato dai successi tedeschi, dichiarò guerra a Francia e Inghilterra.
In quel momento i generali tedeschi preferivano l’Italia neutrale, però Mussolini decise di invadere la Jugoslavia; il maresciallo Graziani, capo di stato maggiore dell’esercito, non fu informato dei preparativi di guerra contro la Jugoslavia; generalmente il duce, per paura che si pensasse che non era in grado di prendere decisioni da solo, non consultava i generali, però sicuramente consultava il re che era a capo dell’esercito.
Allo scoppio della guerra, le navi mercantili italiane non furono preavvertite in tempo, con il risultato che un terzo della flotta mercantile italiana andò perduta. Mussolini chiese a Hitler il privilegio di prender parte all’invasione dell’Inghilterra, i tedeschi però gli fecero capire che doveva impegnarsi nella guerra in Africa e nel Mediterraneo. Mussolini non preparò l’attacco a Malta, da dove partivano gli attacchi alle navi mercantili italiane, dava la guerra ormai praticamente vinta.
Mandò aerei a bombardare l’Inghilterra che potevano essere d’aiuto nel Mediterraneo, poco prima Mussolini, pensando che la guerra fosse alla fine, aveva ordinato la smobilitazione di metà degli effetti; il maresciallo Graziani seppe dell’invasione alla Grecia dopo che questa era cominciata, per facilitare la conquista del paese il fascismo aveva comprato politici e generali greci e, per giustificare l’invasione, provocò anche incidenti al confine greco.
Mussolini, a causa delle rivendicazioni italiane sulla Tunisia, bloccò un accordo con la Francia di Vichy che avrebbe potuto essere d’aiuto in Africa settentrionale. Nel settembre de 1940 il duce si decise a chiedere l’aiuto di Hitler, i tedeschi attaccarono Jugoslavia e Grecia, la Grecia fu occupata ed i fascisti si diedero alla repressione. Nei balcani gli italiani restarono impegolati nella guerriglia e fucilavano venti ostaggi per ogni italiano ucciso, nel febbraio del 1941 Rommell prese il comando in Nord Africa e ottenne una bella vittoria, respingendo gli inglesi, egli operava in piena autonomia, senza consultare Roma.
Quando Hitler decise di attaccare la Russia, Mussolini si offrì di inviare truppe, perché considerava vicina la vittoria, anche in questo caso i tedeschi accettarono l’aiuto malvolentieri, perché avrebbero voluto che quelle truppe fossero utilizzate in Africa. I tedeschi erano furiosi del fatto che Mussolini aveva informato i belgi dell’invasione del loro paese, perciò presero l’abitudine di comunicare a Mussolini i loro piani solo all’ultimo momento; nell’ottobre del 1941 Hitler mandò una potente forza aerea in Sicilia per attaccare Malta e propose uno stato maggiore unificato italo-tedesco, ma Mussolini, sentito il re, rifiutò; i Savoia erano sempre informati di tutto e dall’unità avevano ispirato tutti gli atti importanti dei governi.
Quando Mussolini si incontrava con Hitler, il ministro degli esteri italiano restava spesso all’oscuro di ciò che era stato concordato, quando il duce mancava da Roma, era la paralisi dell’amministrazione centrale, perché nessuno era abilitato a prendere decisioni. Quando Ciano si accorse che la guerra era ormai perduta, propose a Mussolini un armistizio, ma Mussolini lo licenziò da ministro degli esteri e si prese anche quella carica.
Mussolini ordinava di tutto senza controllare l’esecuzione dei suoi ordini, la disorganizzazione era enorme, soprattutto nei porti che dovevano sostenere lo sforzo bellico, poi a Badoglio fu imputata la sconfitta in Grecia ed a Cavallaro la sconfitta in nord Africa. Ciano pensò di sbarazzarsi del regime ed a tale fine sondò gli alleati per onorevoli condizioni di resa; dopo le sconfitte d’Africa, anche il nuovo capo di stato maggiore, Ambrosio, pensò che l’unica cosa sensata fosse una pace separata con gli alleati.
Contro il parere di Hitler, Mussolini si era rifiutato di aiutare i nazionalisti arabi in nordafrica perché aveva ambizioni in quei paesi; alla fine anche Mussolini pensò ad una pace separata, ma quando seppe che gli alleati avrebbero negoziato solo con un suo successore, abbandonò l’idea. Mussolini autorizzò il generale Messe ad arrendersi in Tunisia e poi lo accusò di tradimento per averlo fatto, accusò di terrorismo i bombardamenti alleati sull’Italia, dimenticandosi quelli italiani in Etiopia, Spagna e Grecia.
Il 25 luglio del 1943 il Gran Consiglio votò un ordine del giorno, proposto da Grandi, che chiedeva al re le dimissioni di Mussolini dalle sue cariche. Mussolini disse che era pronto a restituire al re il potere di comandante militare ed a restituire i poteri al parlamento, però i fascisti intransigenti gli consigliarono di fare arrestare i diciannove membri del Gran Consiglio che avevano votato a favore dell’ordine del giorno Grandi.
Il re era informato su tutto, aveva appoggiato l’ordine del giorno e conosceva l’esito del voto, invitò il duce a dare le dimissioni da capo del governo e chiamò Badoglio alla successione, poi fece arrestare Mussolini, ultimo capro espiatorio dei Savoia. La milizia, nonostante i giuramenti, non mosse un dito per liberare Mussolini che personalmente, prima di essere arrestato, aveva offerto ogni collaborazione a Badoglio, fiduciario del re; il re decise la continuazione delle ostilità e intanto trattava in segreto per la pace, mentre Mussolini fu trasferito sul Gran Sasso; il 12 settembre il duce fu liberato, senza difficoltà, da un commando tedesco.
Nel settembre del 1943 Badoglio fece un armistizio con gli alleati, mentre i tedeschi misero Mussolini a capo della repubblica di Salò, al nord del paese, stato fantoccio dei tedeschi, mentre il sud era occupato dagli alleati. Mussolini fece delle riforme democratiche che ricordavano il suo passato socialista ma che rimasero sulla carta, di fatto la repubblica di Salò diventò uno stato di polizia.
Furono fucilati cinque gerarchi traditori, tra loro Ciano, Marinelli e De Bono, mentre Grandi, Federzoni e Bottai erano riusciti a scappare, Mussolini promulgò una legge apposita che prevedeva la pena di morte per i traditori; giudici e avvocati difensori furono minacciati, anche la moglie di Mussolini, Rachele, chiese l’esecuzione del genero Ciano. Se non ci fosse stato un verdetto di condanna, le guardie fasciste avrebbero fucilato sul posto giudici ed imputati, non furono ascoltati i testi a discarico e non si riuscì trovare un avvocato difensore per Ciano, i cinque imputati chiesero la grazia, ma Mussolini non accolse la richiesta; il tribunale fascista si era mosso come quelli dell’inquisizione.
Mussolini affermò che diversi generali e gerarchi erano altrettanto colpevoli e compilò una lista di gerarchi da sottoporre a processo, Storace e Sforza furono arrestati, quattro generali furono imprigionati e due ammiragli furono fucilati. A Milano operavano una dozzina di squadracce di bravacci, composte in gran parte di criminali che gestivano anche il racket, erano pagate dal ministero dell’interno, tra esse era la banda di Pietro Kock, che trafficava in droga.
Quando la repubblica di Salò scoprì che era fedele soprattutto ai tedeschi, il gerarca Buffarini la fece eliminare dalla banda Muti, non meno crudele; per aver represso gli scioperi nelle fabbriche, la banda Muti fu innalzata da Mussolini a legione fascista. Alcuni generali tedeschi, poiché la situazione era difficile anche per la Germania, speravano che Mussolini divenisse fautore di una pace di compromesso con gli alleati.
I parenti di Mussolini che beneficiarono del suo potere erano duemila, quindi egli generalmente fu nepotista, la sua amante Claretta Petacci forniva informazioni segrete ai tedeschi. Mussolini sapeva che i tedeschi erano in trattative con gli anglo-americani e trattavano con i partigiani italiani la resa, in cambio della sua consegna, cercò di tenersi aperte diverse vie di fuga e affermò di possedere documenti segreti per ricattare; chiese asilo alla Svizzera e pensò che sarebbe stato trattato meglio dagli alleati, che gli avevano promesso un equo processo, che dai partigiani; alla fine fu fucilato dai partigiani a Dongo, il 28 aprile del 1944, assieme a Claretta Petacci, Bombacci, Buffarini, Farinacci e Storace. Portava con se un tesoro, compendio della corruttela che aveva accettato, che fu prelevato ed utilizzato dai comunisti invece che dallo stato.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it;
Fonti:
“Mussolini” di Denis Mack Smith - Editore Rizzoli,
“Gli industriali e Mussolini” di Piero Melograni – Editore Longanesi.
STORIA DEI CAZARI DEL VOLGA CONVERTITI ALL’EBRAISMO
Tra il V e il XIII secolo d.c., in una zona compresa tra il Mar Nero, il Mar Caspio, il Caucaso e il Volga esisteva il regno dei cazari, erano prevalentemente mongoli di stirpe turca, dall’VIII secolo si convertirono dallo sciamanesimo alla religione ebraica; era una nazione che si opponeva ad arabi, bizantini, mongoli e russi, popoli dotati di altra religione. Quando i mongoli di Gengis Khan, agli inizi del XIII, arrivarono in quelle terre, distrussero quel regno ed i cazari presero ad emigrare in Europa orientale, poi ricevettero il colpo di grazia dai russi e di loro si perse la memoria, da loro derivarono gli ebrei polacchi della cultura Yiddish e gli ebrei orientali, più numerosi di quelli occidentali non perché subirono meno pogrom, infatti, polacchi e russi non furono meno antisemiti degli europei occidentali.
Il regno cazaro all’inizio era stato anche uno stato cuscinetto a protezione dell’impero bizantino e servì a contenere la valanga araba islamica che, già prima dei turchi, aveva attraversato il Caucaso ed era diretta verso Costantinopoli e verso l’Europa orientale. Maometto morì nel 632 d.c. e gli arabi furono arrestati dai cazari nel Caucaso, comunque, le guerre tra arabi e cazari durarono cent’anni, non fu solo Carlo Martello a fermare nel 732 gli arabi a Poitiérs; nel 730, dopo una clamorosa vittoria dei cazari sugli arabi, l’imperatore di Bisanzio, Costantino V, sposò una principessa cazara il cui figlio, Leone IV, sarebbe stato chiamato Leone il cazaro.
Nel 740 il re e la corte cazara si convertirono al giudaismo, che divenne poi la religione di stato, nell’IX e X secolo i cazari dominarono gli ungheresi o magiari o ungari, nel tardo medioevo esistevano insediamenti cazari in Crimea, Ucraina, Ungheria, Polonia e Lituana. Dal che si deduce che la maggior parte degli ebrei d’oggi è d’origine cazara e non semitica o spagnola o mediorientale; questi ebrei di secondo ceppo, dopo la bufera nazista, emigrarono in Usa e in Israele. Anche la setta ebraica dei caraiti, di lingua turca, stanziata in Crimea, Polonia e in altri luoghi dell’Europa orientale, diceva di discendere dai cazari.
I cazari erano legati geneticamente agli unni, agli uiguri cinesi, ai magiari, però, mentre gli unni durarono solo ottant’anni, il regno cazaro durò secoli, comunque, anche loro, come tanti popoli antichi, erano stati nomadi, ma poi costruirono dei villaggi; la loro economia era basata su allevamenti, agricoltura e artigianato. All’inizio le loro case erano circolari, a ricordo delle tende del nomadismo, nella loro capitale, Itil, risiedevano d’inverno, mentre in primavera partivano con il bestiame verso le steppe; poi, nell’ottavo e nono secolo, il regno si dotò di una catena di fortificazioni che difendevano le frontiere settentrionali che andavano dalla Crimea, al Don e al Volga, a sud erano protetti dal Caucaso, ad ovest dal Mar Nero e ad est dal Mar Caspio.
Nel periodo di massima potenza i cazari riscuotevano tributi da una trentina di nazioni stanziate tra il Caucaso, il lago d’Aral, gli Urali, la città di Kiev, il Dneper e l’Ucraina, tra i popoli soggetti c’erano i bulgari, i magiari ungheresi, i goti, i greci di Crimea e le tribù slave. Questa supremazia durò fino al nono secolo, i cazari furono dominatori di metà dell’Europa orientale per un secolo e mezzo, furono preceduti dagli imperi unno e avaro e seguiti da quello mongolo.
Gli arabi li facevano derivare da Jafet, figlio d Noè, per loro i cazari erano di carnagione chiara o scura, avevano occhi azzurri, capelli rossastri o neri, la testa rasata o i capelli lunghi, a volte avevano una larga faccia; probabilmente, a contatto con altri popoli e com’era successo a tanti altri popoli, si erano mischiati ed erano divenuti di razza mista, cioè non era più solo mongoli. Alcuni li identificavano con il popolo di Gog e Magog, citato da Ezechiele e Giovanni, mentre il gran mogol era il sovrano maomettano tartaro di Delhi, discendente di Tamerlano, che dominò su quasi tutta l’India fino all’avvento degli inglesi.
Gengis Khan (1155-1227) conquistatore mongolo, conquistò Cina, Asia settentrionale e Russia e fondò un vasto impero che fu diviso tra i suoi figli, dopo di lui, il tartaro-mongolo Kublai Khan (1216-1294), nipote di Gengis Khan, fondò la dinastia Yuan che dominò la Cina e governò a Pechino, il suo impero andava dalla Cina, all’Asia centrale ed alla Russia. Poi fu la volta di Tamerlano (1369-1401) che divenne signore dei mongoli e nel XIV secolo conquistò un vasto impero, con capitale Samarcanda, che andava da Mosca al Gange; alla sua morte questo imperò si sfasciò, però Tamerlano diede il colpo di grazia al regno dei cazari, già colpito duramente da Gengis Khan.
Anche tra gli unni c’erano quelli con pelle più chiara e quelli con pelle più scura, anche i germani avevano tra loro elementi mongoli, i cazari erano anche detti, come i magiari, unni bianchi; essi nel V e VI secolo penetrarono anche in India e Persia; per i cinesi, tutti i guerrieri nomadi erano unni. Nel I secolo d.c. i cinesi respinsero gli unni e li costrinsero a dirigersi verso occidente, dove ne arrivarono a più valanghe, dal V secolo erano chiamati turchi, identificati dall’idioma turco-tataro; oggi però, quando si parla di turchi, ci si riferisce alla lingua e non alla razza, unni e cazari erano originariamente popolazioni turche; anche i bulgari avevano un dialetto simile a quello dei cazari, a testimonianza di comuni legami di sangue.
I cazari erano una tribù turco-tartara sbucata dalle steppe asiatiche nel V secolo d.c. ed erano in stretti rapporti con gli unni, dai quali erano stati dominati e inglobati, si dividevano i cazari bianchi e cazari neri, secondo il colore della carnagione, anche loro parteciparono alle orde di Attila. Dopo la morte di Attila (453), nuove orde nomadi mongole provennero dall’est, tra loro si evidenziavano le tribù degli iuguri e quelle degli avari; i cazari facevano razzie in Georgia e Armenia.
Gli avari turco-tartari nel VI secolo invasero l’Europa orientale e occidentale, ma furono distrutti dai franchi nel 796, forse per questo, nella seconda metà del sesto secolo i cazari divennero tribù dominante a nord del Caucaso e assoggettarono altre tribù. Dopo essere stati dominati dagli unni, dal 550 al 650, i cazari furono soggetti ad una confederazione di tribù turche del nord, che poi si dissolse.
Nel 641 i cazari sottomisero i bulgari, pure di stirpe mongola, una parte dei quali emigrò in Bulgaria e una parte nel Volga, sotto sovranità cazara, così i bulgari si divisero in bulgari del Danubio e bulgari del Volga. Nei primi decenni del settimo secolo il medio oriente era dominato da Bisanzio, dalla Persia e da un impero turco occidentale; i cazari, prima sotto sovranità di quest’impero, divennero alleati di Bisanzio ed ebbero un ruolo nella sconfitta del regno di Persia, poi ereditarono le terre dell’impero turco, mentre lo stato persiano non si riprese più dalla confitta inflittagli dall’imperatore di Bisanzio, Eraclio, nel 627.
La corte bizantina attribuiva grande importanza all’alleanza con i cazari, allora l’impero cazaro costituiva un mosaico etnico. Quando le armate arabe diedero il colpo di grazia all’impero sassanidi persiano, si dissolse anche la confederazione turca d’occidente, per cui rimasero sul terreno il califfato islamico, Bisanzio cristiana e il regno cazaro. Nei primi vent’anni dell’egira, la data della fuga di Maometto a Medina nel 622, i musulmani avevano conquistato Persia, Siria, Mesopotamia, Palestina ed Egitto, poi cercarono di attraversare il Caucaso e assediarono Costantinopoli, ma furono respinti dai cazari.
Intanto i cazari si estendevano in Crimea e Ucraina, sottomettendo bulgari e magiari, impegnarono contro gli arabi più forze di quelle impiegate da Carlo Martello, di ciò la storia di stato non ci ha raccontato niente, nell’ottavo secolo il regno cazaro era anche all’offensiva contro gli arabi. Nel 730 i cazari sconfissero gli arabi, attraversarono il Caucaso e si diressero verso Damasco, ma furono fermati; perciò Bisanzio si alleò con i cazari, l’alleanza fu cementata da un matrimonio dell’imperatore di Bisanzio, Costantino V, con una principessa cazara, dal matrimonio sarebbe nato il nuovo imperatore, Leone IV, chiamato anche Leone il cazaro.
Nel 744 Marwan fu l’ultimo califfo arabo omayyade di Bagdad ad attaccare i cazari, a lui successe la dinastia abasside, islamico-persiana, con la quale cessarono le conquiste arabe; alla stessa epoca furono fermati gli arabi da Carlo Martello nei Pirenei e dai cazari nel Caucaso. Grazie alla presenza del regno di cazaria e del suo re o Kagan, Bisanzio potette resistere agli assalti arabi, però fu travolta dalle guerre civili alle quali parteciparono anche i cazari, che peraltro erano anche mercenari presso i bizantini; i cazari furono anche in grado di influenzare le successioni sul regno di Bisanzio, parteggiando per una fazione o per l’altra.
Nel 740, per la ragion di stato, i cazari si convertirono al giudaismo, prima erano stati dediti allo sciamanesimo, non avevano il senso del pudore, in precedenza avevano adorato un pene di legno e dicevano: “Veniamo da una cosa simile e non conosciamo altro creatore oltre lui”. I popoli tartari o tatari come i cazari impiccavano le persone geniali, innovatrici e anticonformiste, considerate disturbatori, questi uomini erano offerti a Dio in sacrificio.
I re dei cazari, detto Gran Kagan, compariva raramente in pubblico e non aveva rapporti con il popolo, il suo vice, il Kagan Bek, era primo ministro, comandante dell’esercito e giudice supremo e rispondeva solo al Gran Kagan. Per difenderne il sepolcro del re, sulla sua tomba era fatto passere un fiume, prima deviato per la sepoltura; coloro che avevano collocato il corpo nella tomba erano decapitati, queste pratiche erano seguite anche dagli unni di Attila.
Il re dei cazari aveva 5 mogli e ognuna era figlia di un re tributario, aveva un harem, con concubine ed eunuchi e la sua capitale era Itil, sul Volga, sulla cui sponda occidentale c’era la corte mentre sulla sponda orientale vi era una colonia musulmana ed altri popoli immigrati; i musulmani della capitale avevano anche un clero e propri tribunali. Pare che il re dei bulgari avesse avuto una tenda personale in grado di ospitare mille persone, una specie di tenda da circo, forse all’inizio anche il Gran Kagan cazaro seguiva questo costume, ma poi, seguendo gli usi occidentali, si fece costruire un castello.
I mercanti rus o russi scendevano il Volga fino alle rive orientali del mar dei Cazari o Mar Caspio, trasportavano pellicce e schiavi da vendere al mercato di Itil, su queste merci il Gran Kagan prelevava una tassa del 10%, alla quale si aggiungevano i tributi dei popoli sottomessi; allora le tasse erano più modeste di quelle di oggi. Mercanti cazari esistevano a Costantinopoli e Alessandria, il Gran Kagan viaggiava su una tenda mobile, come facevano Gengis Khan, Kublai Khan e Tamerlano; l’arte cazara, bulgara e magiara ricalcavano quella persiana sassanide, però furono i cazari a diffondere l’arte persiana e bizantina in Europa orientale.
Gli artigiani ungheresi d’oro e d’argento del X secolo erano cazari, quando i magiari emigrarono in Ungheria nell’ 896 erano guidati dalla tribù cazara dei Kabari, specializzata nella lavorazione d’oro e argento. Il regno di Cazaria aveva un esercito permanente ed una guardia pretoriana, ad Itil vi erano sette giudici, due per i musulmani, due per i cazari ebraici, due per i cristiani e uno per i rus o russi ed i pagani; i musulmani avevano moschee e scuole coraniche, i cazari non facevano persecuzioni religiose.
Secondo i cazari, il re non poteva regnare più di quarant’anni, altrimenti lo strangolavano, in quanto, secondo loro, aveva perso la capacità di ragionare; nel 1864, scomparsa la Cazaria, quest’uso vigeva ancora presso i turchi Kok, che chiedevano al nuovo re quanti anni desiderava regnare, se non moriva prima lo strangolavano alla scadenza pattuita; probabilmente i cazari abbandonarono il regicidio con la conversione al giudaismo.
Il re era venerato ma anche, in un certo senso, tenuto prigioniero e lontano dal popolo, il vero potere secolare lo aveva il Bek primo ministro, anche in Giappone nel 1867 il potere secolare era nelle mani dello Shogun, mentre l’imperatore Mikado era venerato come un dio. Il gioco degli scacchi è d’origine orientale, in esso il re ha poco potere e poca mobilità, mentre la regina, che rappresenta il Bek, è il personaggio più potente e mobile, se la regina è persa il gioco continua, mentre la caduta del re determina la fine della partita.
Il Gran Kagan doveva appartenere ad una stirpe imperiale, la sua autorità era assoluta, la successione avveniva all’interno della stirpe imperiale; dopo la conversione doveva essere di religione giudaica, non era necessariamente il più ricco del paese, ma il suo palazzo era l’edificio più alto, forse discendeva dalla dinastia asena dei mongoli del deserto, dalla quale i capi turchi e mongoli dicevano di discendere.
L’adozione del giudaismo e l’avvento della doppia monarchia forse era collegato ad un colpo di stato del maestro di palazzo che non volle abolire la monarchia, è accaduto anche in Giappone; con la conversione e con il golpe, all’inizio paganesimo e giudaismo convivevano nelle massime sfere che si lottizzavano il potere. All’inizio dell’ottavo secolo nella regione il mondo era polarizzato attorno alle due superpotenze Islam e Bisanzio cristiana, l’impero cazaro era una terza forza che non si voleva fare assorbire ed era alla ricerca di una sua identità culturale; i potenti vicini cercarono di convertire il re dei cazari all’Islam o al cristianesimo, il popolo non contava e sarebbe venuto dopo automaticamente, come accadde in occidente con i germani.
I capi cazari avevano capito che lo sciamanesimo era antiquato, al confronto delle religioni monoteiste, e secondo loro non conferiva autorità adeguata al sovrano, perciò, per motivi politici, fu adottato il giudaismo, religione neutrale rispetto a Bagdad e Bisanzio; fu introdotta la circoncisione ebraica, ma all’inizio il culto ebraico fu tollerante, perché permise al popolo di conservare molta parte del paganesimo; invece in occidente la chiesa cattolica metabolizzò parte del paganesimo.
La Cazaria era relativamente civile, rispetto ai barbari del nord slavi e russi, e divenne rifugio degli ebrei perseguitati da Bisanzio; infatti, com’era accaduto in occidente, vari sovrani di Costantinopoli avevano cercato di porre fine allo statuto di tolleranza verso gli ebrei, ordinando loro battesimi forzati o conversioni forzate, oltre ai pogrom. Nella città di Cazaran-Itil c’erano musulmani, ebrei, cristiani e pagani, la corte e la stirpe reale erano di religione giudaica, poi vi erano gli ebrei d’origine palestinese, affluiti da Bisanzio con le persecuzioni, n’affluirono soprattutto tra il 943 e il 944, per reagire alla conversione coatta al cristianesimo.
I rifugiati erano portatori di una cultura superiore e del Talmud e crearono un clima cosmopolita e tollerante, inoltre portarono arti e commercio che poi i cazari portarono in Europa orientale e Ungheria. Nel 987 i cazari usavano l’alfabeto ebraico, cioè scrivevano in una lingua non semitica con caratteri ebraico; la Crimea, dominata dai cazari, ospitava una colonia ebraica. Alcune lettere ebraiche furono incorporate nell’alfabeto cirillico e alcune iscrizioni polacche del dodicesimo e tredicesimo secolo contenevano caratteri ebraici; l’alfabeto ebraico degli ebrei nazarei si era esteso agli slavi confinanti. Il giudaismo cazaro nacque tollerante, però, tre secoli più tardi, con il declino dello stato cazaro, nella regione ci furono esplosioni di sionismo messianico.
Tornando al momento della conversione, pare che il re cazaro fosse indeciso su quale delle tre religioni monoteiste adottare e perciò convocò dei sapienti delle tre religioni, poiché i cristiani e i musulmani accettavano il Vecchio Testamento e rifiutavano il Nuovo Testamento, il re decise di accettare la dottrina condivisa dalle tre religioni, cioè quella degli ebrei. Nel 929 in Spagna Abd-al Rahman III, della dinastia omayyade, fondò il califfato occidentale indipendente da Bagdad, di Andalusia, con capitale Cordova e fece ministro il medico ebreo Hasdai, che corrispondeva con i sapienti rabbini di Baghdad e seguiva la diaspora ebraica in tutto il mondo, così venne a sapere del regno ebraica di Cazaria, allora governato da re Giuseppe.
Hasdai pensava che fosse una delle tribù perdute d’Israele e spedì al re di Cazaria una lettera, questo rispose che il primo a convertirsi era stato il suo antenato Bulan che però non discendeva da Abramo, Bulan possedeva miniere d’oro e d’argento nel Caucaso, con le quali costruì un tabernacolo, un’arca sacra, un candelabro ebraico, un altare e arredi sacri. Hasdai poi inviò a re Giuseppe come messaggero, l’ebreo Isacco Bar Nathan, che arrivò a Costantinopoli ma non fu fatto proseguire per la Cazaria dall’imperatore di Bisanzio che temeva un’alleanza tra la Cazaria e Cordova.
Quindi Hasdai fece arrivare un’altra lettera a Giuseppe, attraverso l’Europa orientale, con essa chiedeva se esisteva veramente un Israele indipendente, dove egli avrebbe voluto risiedere, perché sulla terra solo gli ebrei non avevano un paese, inoltre chiedeva se sapevano qualche cosa sulla venuta del Messia. Giuseppe rispose che questo regno ebraico esisteva e faceva risalire gli antenati dei cazari al terzo figlio di Noè, Jafet, fino a suo nipote Togarma, progenitore dei turchi, disse che Togarma aveva avuto dieci figli, i cazari erano discendenti del suo settimo figlio Khazar; poi Giuseppe aggiunse che, dopo re Bulan, il primo a convertirsi all’ebraismo, tra i re cazari, fu il successore Obadiah che costruì sinagoghe e scuole e radunò saggi d’Israele che presero ad insegnare nel paese anche il Talmud, prima sconosciuto, perché i cazari convertiti da poco conoscevano solo la Torà.
Giuseppe aggiungeva di discendere dai sovrani citati e di governare su 37 nazioni o tribù, diceva di non avere notizie sull’avvento del Messia e si offrì di prendere Hasdai al suo servizio, aggiunse, nella risposta, che controllava la foce del Volga dalle incursioni dei vichinghi-rus, per conto degli arabi abassidi di Bagdad. L’incontro tra Hasdai e Giuseppe poi non avvenne, anche perché Hasdai serviva la dinastia ommayyade di Cordova, nemica degli abassidi di Bagdad, inoltre al tempo di Giuseppe, cioè nel X secolo, l’idillio tra cazari e bizantini era tramontato.
Probabilmente la giudaizzazione dei cazari avvenne per tappe successive, all’inizio erano anche tollerati i pagani ed il giudaismo era in forma rudimentale, poi approfondirono gli studi biblici e il Talmud. All’inizio i cazari erano simili ai caraiti, sorti in Persia nell’ottavo secolo e poi diffusi nella piccola Cazaria di Crimea, perciò tra i 740 e l’800, cioè prima di Obadiah, nel paese prevaleva il caraitismo privo di Talmud, poi con questo re ebbe il sopravvento il giudaismo rabbinico dei Talmud, d’origine babilonese e cresciuto a Bagdad. Con il crollo della Cazaria, questa fede si diffuse negli insediamenti dei profughi cazaro-ebraici di Russia, Polonia e Ungheria.
Il poeta ebreo Jahuda Valevi (1085-1141) dalla Spagna si trasferì a Gerusalemme, diceva che il popolo ebreo era il mediatore tra dio e gli uomini e che tutte le nazioni si sarebbero convertite al giudaismo, affermava che la conversione dei cazari era il primo passo, sapeva che i cazari si erano convertiti nel 740 d.c. Il rabbino Petachia di Ratisbona visitò i cazari tra il 1170 e il 1185, diceva che non conoscevano il Talmud e recitavano i salmi, tuttavia cercavano a Baghdad studiosi ebrei che insegnassero loro Torah e Talmud, a Bagdad era il centro dell’accademia talmudica.
Bisogna dire che i cazari erano guardati con diffidenza dagli altri ebrei, per ragioni razziali e perché concedevano troppo all’eresia caraitica; per gli ebrei ortodossi, i cazari erano bastardi ebrei che non appartenevano alla stirpe prediletta. I cazari nel nono secolo erano anche chiamati dai cristiani unni circoncisi di Gog e Magog che praticavano la religione ebraica. San Cirillo, inventore dell’alfabeto cirillico, apostolo degli slavi assieme a San Metodio, fu incaricato dal patriarca di Bisanzio, Fozio, di evangelizzare i cazari, tuttavia non riuscì nella sua impresa; Cirillo, prima dell’alfabeto cirillico, introdusse l’alfabeto glagolitico, usato in Croazia fino al diciassettesimo secolo, che aveva undici caratteri ebraici.
L’impero cazaro raggiunse il massimo splendore nella seconda metà dell’ottavo secolo, dopo la conversione di Bulan e la riforma religiosa di Obadiah, l’imperatore Leone il cazaro, figlio di una principessa catara, visse a Bisanzio negli anni 775-780. I matrimoni dinastici erano serviti sempre a fare delle alleanze, nel 450 anche Attila voleva sposare Onoria, sorella dell’imperatore romano d’occidente, Valentiniano III, la sua richiesta fu rifiutata e Attila, per vendicarsi invase, la Gallia. L’ultima vampata di guerre tra cazari e musulmani si ebbe alla fine dell’ottavo secolo.
Nell’833 il re di Cazaria chiese all’imperatore di Bisanzio d'inviare architetti e artigiani per costruire, con mattoni e marmo, la sua fortezza di Sarkel, la quale doveva contenere i vichinghi orientali o rus, i quali navigavano dalla Scandinavia attraverso i fiumi della Russia e facevano i pirati; nel IX secolo i rus, attraverso il Dnepr e il Mar Nero, facevano scorrerie nei territori dei cazari e di Bisanzio.
Invece i vichinghi occidentali presero Islanda, Normandia, Puglie e Sicilia, saccheggiarono Parigi, penetrarono in Irlanda e Inghilterra e facevano razzie in Germania. Costantinopoli aveva bisogno dei cazari per contenere i russi, come prima n’aveva avuto bisogno per contenere i califfi arabi, re Giuseppe aveva anche scritto a Hasdai che presidiava il Volga per conto degli arabi, sempre contro i russi o variaghi o varangi. Allora il Baltico era detto terra dei varangi, che provenivano dalla Svezia orientale; mentre norvegesi e danesi si diressero in Europa occidentale, tutti questi popoli erano detti genericamente vichinghi.
Le loro avanzate avevano carattere stagionale e partivano da roccaforti in condizioni climatiche favorevoli, i vichinghi facevano razzie, pirateria e commercio, fatto soprattutto di pellicce e schiavi, cioè si muovevano come avevano fatto i fenici, poi si fusero con le popolazioni conquistate, come avevano fatto anche i germani. I varangi, attraverso il Baltico e il golfo di Finlandia, navigando via fiume, arrivarono a sud di Leningrado e fondarono la città di Novgorod, da lì e attraverso il Volga, arrivavano al Caspio e attraverso il Dnepr arrivarono al Mar Nero ed a Costantinopoli.
Gli slavi divennero le prede naturali dei rus o varangi, infatti, i varangi facevano razzie a spese degli slavi e poi li vendevano come schiavi ai cazari, erano mercanti guerrieri, ogni loro nave portava 100 uomini; nell’860 assediarono Costantinopoli con 200 navi, erano soliti derubare anche i bizantini. Poi questi vichinghi dell’est si fusero con gli slavi, si slavizzarono, diventarono sedentari, adottarono la religione ortodossa e l’alfabeto cirillico e nel X secolo si erano trasformati nei russi, anche se i dirigenti di questo nuovo paese, alla fine del X secolo portavano, in larga maggioranza, ancora nomi scandinavi.
I cazari controllavano le vie di comunicazioni e riscuotevano anche dai rus il pedaggio del 10% sulle merci che passavano sulle loro terre, esercitarono anche un’influenza culturale sui rus, infatti, il primo sovrano russo di Novgorod portava il titolo kagan; i rus avevano un re ed un capo dell’esercito- primo ministro proprio come i cazari. Tale costume era sconosciuto ai germani, per i quali il re era il primo dei guerrieri, cioè i rus imitarono il sistema cazaro della doppia sovranità; ad Itil c’era una colonia di mercanti rus ed a Kiev vi era una comunità d’ebrei cazari; Kiev subì notevole influenza dal popolo cazaro, dopo la distruzione della Cazaria, v’immigrarono altri cazari.
Pian piano, i russi presero ad erodere gradualmente l’impero cazaro, nell’859, prendevano tributi dai finnici e dagli slavi settentrionali, prima tributari dei cazari, e governavano su Novgorod; nell’862 la città strategica d Kiev, sul Dnepr, passò dalle mani cazare a quelle russe, poi Kiev divenne la nuova capitale dei varangi o russi, al posto di Novgorod. I magiari erano stati alleati e vassalli dei cazari, i magiari erano di ceppo mongolo ma imparentati con i finlandesi, infatti, la loro lingua apparteneva al gruppo delle lingue uralo-finniche; l’Ungheria moderna non ha legami linguistici con i suoi vicini, ma li ha con i cugini finlandesi ed ha legami razziali con i cazari che immigrarono nel paese, soprattutto dopo la distruzione della Cazaria.
Nei primi secoli dell’era cristiana, i magiari emigrarono dagli Urali verso i fiumi Don e Kuban ed erano vicini dei cazari e d’altre tribù nomadi mongole, avevano rapporti con i bulgari del Volga e con i bulgari del Danubio; per conto dei cazari, i magiari esigevano tributi dagli slavi e dai finlandesi. Con l’arrivo dei russi e con la costruzione della fortezza cazara di Sarkel, i magiari si portarono sulla riva occidentale del Don e dopo l’830 si stanziarono tra Don e Dnepr, questa regione era chiamata Lebedia; quindi, con il permesso dei cazari, occuparono le terre ad ovest del Don.
Nell’ 850 circa, i cazari dettero ai magiari un re che fondò la loro prima dinastia magiara, poi alcune tribù cazare si unirono ai magiari nelle loro emigrazioni; questa dinastia, discendente dai cazari, regnò fino al 1301 e conquistò l’Ungheria con re Arpad. La tribù cazara dei kabari, fatta di guerrieri, si era ribellata alla Cazaria e si unì a sette tribù di magiari in movimento, perciò ci fu una prima fusione tra cazari e magiari.
Prima dell’ungherese moderno, a metà del X secolo in Ungheria si parlava sia la lingua magiara che quella cazara, anche i magiari, come i rus, adottarono la doppia sovranità, kanda era il capo militare Kabaro e Jula il sovrano. Può darsi che la ribellione dei kabari era nata con la riforma religiosa di re Obadiath, infatti, i kabari erano contro la legge rabbinica e le rigide prescrizioni alimentari, forse erano anche seguaci dei caraiti ed erano considerati eretici dagli altri cazari ebraicizzati.
Nell’896 i magiari, spinti dai turchi peceneghi, attraversarono i Carpazi e arrivarono in Ungheria, i pecenighi erano stati scacciati dai ghuz e respinti dai cazari, perciò attraversarono il Don e invasero la terra dei magiari, quindi si allearono con i bulgari del Danubio e costrinsero i magiari a stabilirsi definitivamente in Ungheria. Nel 862 i magiari penetrarono nell’impero franco d’occidente e si diedero alla razzie, guidati dai capi militari kabari, nel nono e decimo secolo invasero Germania, Balcani, Italia e Francia, in guerra ululavano come i lupi.
I cazari ebbero un ruolo nella nascita della nazione ungherese, i kabari occupavano il posto d’onore nelle orde magiare, combattendo contro slavi, russi e bulgari e poi contro franchi e germani. Mentre i magiari conservarono un certo legame linguistico con i finnici, i bulgari del Danubio persero definitivamente l’idioma turco per acquisire un dialetto slavo. Nel X secolo l’Ungheria, dopo averne scacciato moravi e bulgari, invitò artigiani cazari a stabilirsi in Ungheria; nel 862 mentre i russi del duca Rutik presero Kiev, i peceneghi spinsero i magiari verso occidente; intanto cazari e bizantini erano sempre più esposti agli attacchi russi.
Le navi russe, attraverso i Dnepr, arrivarono al Mar Nero ed a Costantinopoli che fu da loro assediata nell’860, alla fine del nono secolo i russi cominciarono a convertirsi al cristianesimo, nel X secolo i russi fornivano marinai e mercenari a Bisanzio. Nel 957 si convertì alla religione ortodossa la principessa russa Olga o Helga di Kiev, vedova del principe Igor, che nel 941 era stato sconfitto dalla flotta bizantina, la principessa fu battezzata nel corso di una visita a Costantinopoli.
Olga, come già il marito, era sanguinaria con gli slavi sottomessi, ciò malgrado, divenne simbolo della Russia cristiana e fu canonizzata dalla chiesa ortodossa, come la prima santa russa. Nel 988, sotto suo figlio Vladimiro, la Russia adottò definitivamente la fede ortodossa, nella stessa epoca in cui ungheresi, polacchi, scandinavi e islandesi si convertirono al cattolicesimo. Il riavvicinamento tra Costantinopoli e Kiev, diminuì l’importanza di Itil, che pretendeva ancora di riscuotere pedaggi sulle merci russe e bizantine; bizantini e cazari si erano scontrati per il possesso del porto di Chersen in Crimea, nel 987 i bizantini, in segno d’amicizia, lo cedettero ai russi.
I russi avevano saccheggiato anche città musulmane sopra il Caucaso, in Georgia e in Azerbajan, nel 910 presero il porto musulmano di Abaskun e fecero schiavi dei musulmani, allora i cazari erano alleati dei musulmani e avevano un reggimento di mercenari musulmani. Nel 912 una flotta russa di 500 imbarcazioni, comandata da re Igor, si avvicinò al territorio cazaro, fece scorrere sangue, ma poi i musulmani della città di Ardabil si presero la rivincita e per i russi fu il disastro e Igor morì.
Nel 943 i russi ripeterono l’impresa nel Caspio con una flotta ancora più cospicua, i cazari si misero in mezzo e riuscirono ad impedir ai russi di arrivare al mare cazaro o Mar Caspio. Nel 965 il principe russo Svjatoslav, figlio di Olga e Igor, che non si fece battezzare, fece una grossa campagna contro l’impero cazaro, li sconfisse, prese la loro fortezza di Sarkel, distrusse la capitale catara Itil e sgominò i bulgari del Danubio, però sulla via del ritorno verso Kiev fu sconfitto dai bizantini e ucciso dai peceneghi.
Nel 965 cadde l’impero cazaro, ma non la nazione cazara, gli accessi al Mar Caspio restarono ancora chiusi ai russi, solo nel sedicesimo secolo, dopo che era cessata la nazione cazara, i moscoviti presero il fiume Volga fino al mar Caspio. Il successivo sovrano russo Vladimiro, figlio di Olga e Igor, fu battezzato ortodosso e poi canonizzato; anche i bulgari avevano tentato di convertirlo all’Islam, non accettò a causa della sua passione per la carne di maiale e per il vino, rifiutò il cattolicesimo perché non voleva digiunare, rifiutò gli ebrei perché erano stati dispersi da Dio a causa de loro peccati; comunque, Vladimiro era sedotto dalle cerimonie bizantine.
Nel 988 Vladimiro prese la città greca di Chersen in Crimea, poi, per allearsi con Bisanzio, sposò la principessa bizantina Anna e si convertì alla religione ortodossa che divenne la religione ufficiale russa, dal 1037 la chiesa russa dipendeva dal patriarca di Costantinopoli. Come l’adozione dell’ebraismo da parte del regno cazaro era avvenuta per la ragion di stato, l’adozione della religione ortodossa assicurava alla Russia l’indipendenza culturale dall’Europa occidentale cattolica e dall’Asia musulmana; inoltre, allora per i russi Bisanzio era un alleato più importante del traballante impero cazaro.
Finì l’alleanza bizantino-cazara contro i russi e, nel 1016 un esercito misto russo-bizantino invase la Cazaria e assoggettò il paese; da tempo l’imperatore di Bisanzio Costantino aveva rotto i rapporti con i cazari che si erano avvicinati agli arabi; nel decimo secolo cadde Itil in mano ai russi, dopo essere sopravvissuta a sassanidi persiani, arabi e turchi. Nel 1071 i mongoli ghuz, in una battaglia, catturarono l’imperatore bizantino Romano IV Diogene e, da quel momento, i bizantini non riuscirono più ad impedire ai turchi di prendere il controllo anche dell’Asia Minore.
Intanto continuarono ad imperversare i nomadi delle steppe, mentre Kiev declinò a causa delle faide tra principi russi, nel XIII secolo ci fu l’invasione mongola di Gengis Khan. Bisanzio non poteva più contare sui cazari per originare musulmani, turchi e vichinghi ed il potere cazaro decadde con la conversione di Vladimiro, che provocò un’alleanza tra russi e bizantini contro la Cazaria. Furono i russi a distruggere la capitale cazara Cazaran o Itil, la città era divisa in due parti, anche Bulghar, la capitale dei bulgari del Volga fu distrutta, comunque, anche nomadi turchi o mongoli possono aver concorso in queste distruzioni.
Un parte dei cazari fuggirono dai russi verso Baku e si convertì all’Islam, in cambio d’ospitalità e protezione. Sembra che Itil fu distrutta e ricostruita più volte, la sua prima distruzione avvenne nel 965, però, anche se indebolito e in confini più ristretti, lo stato cazaro sopravvisse fino al XIII secolo; nel 1016 ci fu la campagna congiunta russo bizantina contro i cazari, nell’esercito del Kagan cazaro militavano anche cristiani e musulmani, nel 1030 i cazari sconfissero curdi.
A Chersen, in Crimea, quando era sotto dominazione bizantina, era forte la presenza ebreo-cazara; alla fine del dodicesimo secolo i mongoli ghuz kumani, di religione pagana, erano i dominatori delle steppe, a metà del tredicesimo secolo i mongoli di Gengis Khan avevano cacciato i kumani, creando un impero immenso e da allora in poi si cessò di parlare dei cazari come nazione, la capitale Itil fu ribattezzata dai questi mongoli Sarai Batu e fatta loro capitale.
Per i russi la Cazaria era lo stato degli ebrei e il suo esercito l’esercito degli ebrei, gli ebrei cazari erano chiamati in occidente ebrei rossi; nel dodicesimo secolo in Cazaria sorse un movimento messianico che mise su una crociata per conquistare la Palestina e riunire tutti gli ebrei dispersi, il messia cazaro era Menahem, che prese il titolo di Davide al-Roy. La crociata si spostò in Kurdistan, per dirigersi verso Mosul, Edessa, Siria e poi Palestina, era rivolta contro i crociati cristiani di Palestina e tentò anche di coinvolgere gli ebrei di Baghdad, poi David al-Roy fu assassinato. Probabilmente la stella di Davide e sei punte, che comparve sulla bandiera ebraica a Praga nel 1527, fu introdotto da questo Messia.
I cazari furono poi travolti da Gengis Khan e in parte furono assorbiti dalla sua orda d’oro, in parte emigrarono in Europa orientale, dove crearono molti centri di cultura ebraica; fu un’altra diaspora ebraica, dopo quella babilonese, ad opera di Nabucodonosor (6° secolo a.c.), e dopo quella romana del 70 d.c. I cazari erano commercianti e, praticando una religione esclusiva, poterono rimanere uniti con proprie comunità e ghetti volontari in tante città europee. Le tribù cazare dei kabari si unirono ai magiari ed emigrarono in Ungheria, conservando la religione ebraica, questo paese all’inizio era bilingue ed aveva la doppia sovranità cazara-magiara, il sistema durò fino al X secolo, quando il paese diventò cattolico.
Nel 1222 re Andrea, costretto dai nobili magiari, vietò agli ebrei di battere moneta, di fare gli esattori e di fare i controllori del monopolio del sale, però volle conservare come suo ciambellano il conte ebreo Teka; come in Spagna, in Ungheria gli ebrei erano stati diplomatici, ministri, finanzieri. I peceneghi avevano cacciato i magiari dal Don, ma furono a loro volta scacciati dai Kumani, perciò chiesero ai magiari il permesso di stabilirsi in Ungheria e l’ottennero; un secolo dopo i Kumani subirono la stessa sorte e ottennero ospitalità dal re ungherese Bela.
A metà del 1300, i mongoli di Gengis Khan distrussero il sistema d’irrigazione del delta del Volga, creato dai cazari, la terra dei cazari fu colpita anche dalla peste, allora contadini, mercanti e artigiani ebrei ripresero ad emigrare massicciamente; furono annientati anche i bulgari del Volga, i kumani, i russi meridionali e quelli di Kiev. I cazari si stabilirono in Ucraina, in Russia meridionale, in Polonia, a Kiev, a Mosca ed in Crimea; una dinastia di principi ebrei governò nel XV secolo in Crimea, presso Kerc, sotto protettorato prima di Genova e poi dei tartari di Crimea.
Nello stato moscovita i cazari ispirarono un’eresia ebraica, diffusa a corte nel XVI secolo, era detta la setta degli osservanti del sabato, diffusa tra cosacchi e contadini fino a tempi recenti; nel Caucaso orientale si stabilirono gli ebrei della montagna, nel 1154 ebrei cazari arrivarono con l’esercito ungherese in Dalmazia, dove s’incontrarono con ebrei d’origine romana. Nel 962 la tribù slava dei polani fondò lo stato polacco e scelse come re un ebreo, Abraham Prokovnik, che rinunciò alla carica a favore dello slavo Piast, fondatore della dinastia Piast, che governò in Polonia dal 962 al 1370. In Polonia e Lituania gli ebrei e i tedeschi immigrati diedero un importante contributo allo sviluppo dell’economia.
I polacchi mettevano ai lavori forzati i prigionieri di guerra tartari di Crimea, tra di loro vi erano anche ebrei della setta dei caraiti, che rifiutavano la tradizione rabbinica; nel 1700 i caraiti avevano oltre trenta comunità in Polonia e Lituania e conservavano la lingua cumana di ceppo turco, mentre altri ebrei cazari polacchi l’abbandonarono a favore della lingua franca yiddish. La dinastia Piast, per sviluppare lo stato, concesse privilegi agli immigrati ebrei, nel 1340 gli ebrei avevano sinagoghe, scuole, tribunali, nel 1575 avevano un loro parlamento e riscuotevano tasse dai loro correligionari; in parecchie città della Polonia vi era più di una sinagoga, a volte erano più sontuose delle chiese cattoliche, di ciò papa Clemente IV si lamentò con i sovrani polacchi.
Nel diciassettesimo secolo, gli ebrei presenti nel regno polacco-lituano erano 500.000, il 5% della popolazione totale, l’immigrazione iniziò con la distruzione della fortezza cazara di Sarkel, aumentò con l’avvento della dinastia Piast e poi con le conquiste di Gengis Khan, il tutto nell’arco di cinque secoli. Nel medioevo in Ungheria e Polonia la maggioranza di quelli che professavano la fede ebraica erano cazari, facevano commercio estero, riscuotevano dazi doganali, erano banchieri, esattori e amministratori; nel XII e XIII secolo in Polonia si coniavano monete con iscrizioni in caratteri ebraici.
In Polonia gli ebrei erano anche coltivatori e proprietari di terre, nel XIV secolo, l’avvento del feudalesimo nel paese, trasformò questi contadini in servi senza terra, nel 1496 fu loro proibito di possedere terra, così questi cazari si trasferirono in città. Abitavano in quartieri ebraici ed in paesi di campagna, gli shtetl, crearono città mercato con fiere, erano artigiani, scrivani, cantastorie, commercianti di legname, di pellicce, gestivano locande e mulini.
Le sinagoghe di questi ebrei orientali avevano lo stile della pagoda cinese e non ricordavano le sinagoghe occidentali, le prime cittadine ebraiche furono costruite da prigionieri di guerra caraiti, poi ci furono immigrazioni regolari e incentivate dallo stato polacco. Per quanto riguarda gli ebrei occidentali, d’origine palestinese e spagnola, dai tempi di Roma si erano stanziati nelle maggiori città dell’impero, in Italia e in Africa settentrionale, alla fine del primo millennio erano stanziati in Spagna, Francia e Renania, un gruppo arrivò anche in Inghilterra con Guglielmo il conquistatore, che aveva bisogno dei loro capitali.
Erano usurai che generavano risentimento nei debitori, perciò nel 1290 furono espulsi dall’Inghilterra, dove erano rimasti dal 1066 al 1290. Complessivamente, gli ebrei, di tutte le razze, subirono purghe, lungo i secoli, in Francia, Germania, Polonia, Russia ed altri paesi. L’importanza economica degli ebrei era sproporzionata rispetto al loro numero, conoscevano l’economia, avevano il monopolio del commercio e in Francia, in epoca carolingia, ebreo e mercante erano sinonimi; poiché non potevano possedere le terre, si dedicarono al prestito ad interesse. Nel 1306 Filippo il Bello espulse gli ebrei dalla Francia ed alla fine del secolo la comunità ebraica di Francia era estinta.
Alla fine del I secolo, in Renania c’erano prospere comunità ebraiche a Magonza, Spira, Worms, Trèves, Metz, Strasburgo, Colonia, però quantitativamente erano poche migliaia di persone; con la prima crociata del 1096 a Worms, Spira e Magonza rischiarono lo sterminio totale, furono taglieggiati, uccisi e costretti al suicidio collettivo. I sopravvissuti, una volta passata le orde dei crociati, tornavano nelle loro case e ricominciarono da capo, ricostruendo sinagoghe e case, la cosa si ripeté con le crociate successive, gli ebrei che si salvava spesso avevano pagato la protezione.
Filippo il Bello prima aveva tassato pesantemente gli ebrei, poi nel 1306 ordinò di arrestarli, di confiscare le loro proprietà e di espellerli dal regno, perciò questi ebrei si rifugiarono in Provenza, Borgogna e Aquitania. Negli anni 1348-1350 la peste nera eliminò un terzo della popolazione europea, gli ebrei, dopo essere stati accusati d’omicidio rituale dei bambini, furono accusati di avvelenare i pozzi per diffondere la peste nera; così gli ebrei occidentali furono annientati e quando l’epidemia finì, la Germania era rimasta senza ebrei.
L’Europa occidentale rimase senza ebrei per due secoli, eccetto la Spagna moresca che conservò i suoi ebrei, perciò le moderne comunità ebree d’Inghilterra, Francia e Olanda sono d’origine sefardita spagnola; in Spagna, prima dell’unità del paese avvenuta nel XV secolo, questi ebrei avevano resistito per più di un millennio, nel XVI secolo ne furono cacciati dal re di Spagna. Invece gli ebrei orientali, provenienti dalla Cazaria, nel tardo medioevo si stabilirono a Vienna ed a Praga, in Polonia e Ungheria, crearono dei villaggi ebrei nelle Alpi carinzie e nelle montagne della Stiria; alla fine del XIV secolo furono espulsi anche da queste terre e si trasferirono in Italia, Polonia e Ungheria.
Comunque, la Cazaria aveva ospitato anche ebrei provenienti da Bisanzio e da Baghdad, anche l’Italia ricevette ebrei immigrati da Bisanzio, alcuni di questi ebrei semiti poi migrarono in Austria.
Una leggenda austriaca dice che ventidue province austriache un tempio erano state rette da principi ebrei, ciò era spiegabile perché fino al 955 l’Austria era stata dominata dai magiari, tra i quali erano ebrei cazari.
Lo yiddish era un misto d’ebraico, tedesco medievale e slavo, scritto con caratteri ebraici, era parlato nelle regioni alpine dell’Austria e della Baviera e divenne patrimonio degli ebrei orientali, lo yiddish fu stampato nell’ottocento ed aveva un vocabolario che si arricchiva continuamente a contatto con gli altri popoli. In Polonia re Casimiro il Grande fece immigrare 4 milioni di tedeschi che costruirono Cracovia e altre città, a loro si aggiunsero ebrei cazari, poi arrivarono anche ebrei dall’occidente; nel 1364 Cracovia era una città prevalentemente tedesca, immigrarono anche ebrei dai paesi alpini, dalla Boemia e dalla Germania orientale, il clero cattolico era tedesco.
Però i cazari caraiti di Polonia respinsero l’insegnamento rabbinico e l’yiddish, erano abituati a parlare in dialetto cazaro di ceppo turco, mentre gli ebrei della diaspora erano passati dall’ebraico, al caldeo, all’aramaico, al greco, all’arabo, al ladino, un misto di spagnolo ed ebraico, con caratteri ebraici; il ladino della alpi era l’yiddish degli ebrei spagnoli sefarditi. In occidente l’età oscura per gli ebrei ritornò con il rinascimento e con la controriforma, in Italia, Germania e Francia erano segregati, discriminati, bollati e chiusi nei ghetti, così aveva voluto Paolo IV nel 1555.
Nel XVI secolo furono confinati anche in Polonia, nel 1648 ci furono massacri nel paese, così essi ripresero ad emigrare in Ungheria, Boemia, Romania, Germania e in generale, verso occidente. Il grosso dell’ebraismo moderno non è palestinese, ma d’origine caucasica, passato attraverso Ucraina, Polonia ed Europa centrale; non c’erano abbastanza ebrei occidentali per popolare d’ebrei la Polonia, invece la nazione cazara era in movimento.
Oggi gli ebrei appartengono al gruppo sefardita ed a quello askenazita; i primi, provenienti dalla Spagna, alla fine del quindicesimo secolo, si stanziarono in Europa occidentale e parlavano il ladino, un dialetto ispano-ebraico. Leggendo la bibbia, Ashkenaz era figlio di Jafet, fratello di Togarma e nipote di Magog, questo gruppo era originaria di Ararat e dell’Armenia, da questa nazione derivavano i cazari o ebrei orientali, numericamente prevalenti sugli altri.
Non esiste una razza ebraica con caratteristiche uniformi, ebrei di nazioni distanti sono diversi tra loro fisicamente, come gli altri popoli, il popolo ebraico è razzialmente eterogeneo e meticcio; gli ebrei sono diversi nella statura, nella misura del cranio, generalmente i sefarditi sono dolicocefali mentre gli askenaziti brachicefali; la maggioranza ha capelli scuri, però molti ebrei hanno capelli chiari e occhi blu, tutti presentano notevoli differenze nel gruppo sanguigno.
A causa dei matrimoni misti, anche se vietati dalla Torà e dai papi, gli ebrei costituiscono un popolo, una setta religiosa, una cultura e non una razza, anche le antiche tribù d’Israele erano costituite di gruppi razziali distinti, anche i patriarchi ebrei si unirono a donne d’altri popoli. Gli amorrei erano biondi, gli ittiti mongoli, i cusciti negri, Abramo e Giuseppe sposarono un’egiziana, Mosè una moabita, la moglie di Sansone era filistea, la madre di Davide era moabita, Salomone, la cui madre era ittita, si unì a donne di tutte le razze.
La proibizione ebraica di non sposare donne non ebree faceva eccezione in guerra, dove dominavano anche gli stupri; con la diaspora gli ebrei diventarono una razza ancora più ibrida; malgrado i cristiani avessero combattuto il proselitismo ebraico, si convertirono all’ebraismo i falaschà d'Abissinia, i cazari del Caucaso, i cinesi di Kai-Feng, gli yemeniti e i berberi del Sahara,. Gli ebrei arrivarono anche in India. Gli ebrei, anche se numericamente meno dei cristiani e dei musulmani, avevano fatto anche del proselitismo.
Nell’impero romano, prima del cristianesimo, si sviluppò il proselitismo ebraico ad Antiochia, Babilonia, Atene, Efeso, Alessandria, Corinto, Cartagine, Costantinopoli, Roma; in epoca greco-romana gli ebrei facevano proselitismo. I nuovi adepti portavano sangue gentile anche quando erano chiamati giudei dai pagani, i primi cristiani erano giudei convertiti, poi, con Paolo, il cristianesimo si aprì ai gentili pagani; il cristianesimo bloccò il proselitismo ebraico e forzò la conversione degli ebrei al cristianesimo.
Così finì la commistione culturale tra gentili, ebrei e cristiani, però quella razziale era già avvenuta, la chiesa tentò di fermare la commistione razziale e il ghetto la interruppe definitivamente nel sedicesimo secolo; la chiesa proibì i matrimoni misti che prima avevano dilagato, infatti, in Germania ancora tra il 1921 e il 1925, cioè prima dell’avvento del nazismo, su 100 matrimoni tra ebrei 42 erano misti.
In Spagna, dopo i massacri del 1391 e del 1411, 100.000 ebrei accettarono il battesimo cristiano, questi convertiti erano detti marrani, alcuni di loro conservarono in segreto la loro religione o ritornarono alla loro religione; dopo l’espulsione degli ebrei non convertiti nel 1492 dalla Spagna e nel 1497 dal Portogallo, anche la maggior parte dei marrani convertiti fu costretta ad emigrare in Olanda, Inghilterra, Francia e lì ritornarono a professare la loro fede.
I genitori di Spinoza erano marrani portoghesi emigrati ad Amsterdam, le antiche famiglie ebraiche d’Inghilterra, come i Montefiore, i Disraeli ed i Montague venivano dal pentolone iberico; secondo una tradizione, i fondatori delle comunità ebraiche di Worms e Magonza erano figli di padri tedeschi e di madri ebree deportate dalle legioni romane. L’ebreo ricorrente e prevalente è oggi quello dell’Europa orientale, però gli ebrei sono di razza mista e perciò, malgrado le persecuzioni, grazie alla loro fede, sono arrivati fino a noi, la consanguineità non è da raccomandare, non aiuta a far crescere la popolazione o ad allevare geni; oggi si dice che sia nato un nuovo tipo d’ebreo, il sabra, cioè l’israeliano nato in Israele.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it; numicco@tin.it.
Per chi vuole approfondire:
“La Tredicesima tribù” di Arthur Koestler – Utet Editore
Quando si riflette sulle repubbliche romane, si pensa a quelle dell’antica Roma, a quella giacobina filofrancese di fine settecento, a quella di Mazzini del 1849 ed alla prima e seconda repubblica italiane del 1945 e del 1992, però io, in questo scritto, voglio soprattutto parlare delle repubbliche romane del medioevo.
Per tutta la sua vita, gli interlocutori più importanti di Carlo Magno furono i pontefici, Carlo era l’uomo della Provvidenza, anche se era permanentemente in guerra, papa Paolo I (757-767), chiamava il re franco Pipino III “compare”, perché padrino di una sua figlia, il papa usò i franchi contro i longobardi che volevano unificare l’Italia.
Nell’VIII secolo Pipino I e Carlo Magno posero le basi del futuro stato della chiesa, che, con il sostegno dei germani, si separò prima dalla tutela di Bisanzio e poi da quella dei longobardi, così il papa ascese da vicario di Bisanzio, a vicario di Cristo, a capo di una repubblica, a sovrano elettivo. Infatti, all’inizio il papa era eletto nel corso di un’assemblea popolare, furono i papi i primi a dare a Roma, emancipata da Bisanzio, il nome di repubblica romana.
Ben presto però la repubblica, prima gentilizia e poi popolare, si pose contro il papa, il principe Alberico, figlio di Marozia, rinchiuse papa Giovanni XI (931-935) e si pose a capo di una repubblica gentilizia, circondato dal senato degli ottimati, cioè dall’alta nobiltà. L’aristocrazia romana aveva ridato vita al senato, con competenze amministrative e giudiziarie, ed ora rivendicava il diritto di eleggere imperatore e papa, diritti già appartenuti ai romani.
Il papato si riprese imponendosi sui nobili e poi cercò anche di prevalere sull’imperatore, infatti, quando divenne papa il monaco cluniacense Gregorio VII (1073-1085), questo teorizzò la teocrazia papale e il primato della chiesa sull’impero, questo papa, come Innocenzo III (1198-1216), riteneva di essere un sovrano con il potere di scomunicare e nominare gli altri sovrani e di orientare la politica dei governi laici.
Naturalmente nel 1083 l’imperatore Enrico IV gli si rivoltò e arrivò minaccioso a Roma, allora Gregorio VII si rifugiò a Castel Sant’Angelo, sotto la protezione dell’aristocratico ebreo Pierleone, un Pierleone si era convertito con il nome Benedetto Cristiano e si legò al monaco Ildebrando di Soana, poi divenuto Gregorio VII (1073-1085).
Urbano II (1088-1099) affidò ad un Pierleoni la difesa di Castel Sant’Angelo, questi Pierleoni erano banchieri o usurai, come si diceva in quei tempi, divennero uno dei casati più illustri di Roma, secondo alcuni, due Pierleoni, emigrati in Germania, vi avevano fondato la casa d’Asburgo.
Nel 1106 il successivo imperatore Enrico V scese in Italia e fece devastazioni, un Pierleone era plenipotenziario di papa Pasquale II, il papa era contro l’investitura dei vescovi da parte dell’imperatore; i romani volevano sottrarre all’imperatore anche l’investitura del prefetto, Pierleone era sostenuto dal papa, questa famiglia, originaria di Trastevere e dell’isola Tiberina, diede senatori, consoli, cardinali e l’antipapa Anacleto II.
A Roma l’ebreo Baruch finanziava aspiranti papi ed in città vi operava una banca ebraica dei Pierleoni. I papi si compravano la carica e Pasquale II (1099-1118) era divenuto papa con il denaro di un Pierleone, nipote dell’ebreo convertito Baruch Benedetto, questo casato, da Nicolò II (1059-1061) in poi, aveva sostenuto una serie di papi e diversi cardinali, Pietro Pierleone divenne l’antipapa Anacleto II; i papi Vittore III (1086-1087) e Urbano II (1088-1089) trovarono protezione, dai romani e dall’impero, nella fortezza di questa famiglia, a Roma i Pierleoni erano osteggiati dalla famiglia aristocratica dei Frangipane.
Papa Gelasio II (1118-1119) era sostenuto dai normanni e dai Pierleoni, ma osteggiato dal nobile Cencio Frangipane e dal partito imperiale, l’imperatore Enrico V arrivò a Roma e lo fece fuggire, poi fece antipapa Gregorio VIII, accettato dalla repubblica romana. Il popolo romano era volubile e ondeggiava tra papa e imperatore, anche se era sempre avverso al potere civile del papa.
I Pierleoni volevano fare papa un membro della loro famiglia, gli ebrei erano insediati in Trastevere dai tempi di Pompeo, Claudio e Tito, erano una comunità numerosa e abitavano fuori le mura, avevano una scuola ed i migliori medici e cambiavalute (cioè i primi banchieri), praticavano l’usura, e finanziavano anche il papa. A dire il vero, tanti vescovi romani e d’altre importanti città dell’impero avevano fatto l’usuraio, soprattutto tramite prestanome.
Sotto Onorio II (1124-1130), due famiglie nobili si contendono il potere: i Frangipane e i Pierleoni, che aspiravano alla carica di prefetto ed al soglio pontificio, Onorio II creò cardinali più vicini alla famiglia dei Frangipane, cioè apparteneva al loro partito. Innocenzo II (1130-1143) fu eletto dai cardinali del partito del Frangipane e perciò i Pierleoni gli opposero un antipapa nella persona dell’ebreo Anacleto II, pronipote di Baruch-Benedetto.
L’imperatore Lotario III sosteneva Innocenzo II e arrivò a Roma per ricevere la corona imperiale, però il popolo romano e i normanni dell’Italia meridionale sostenevano Anacleto II, Lotario III si scagliò contro i nemici d’Innocenzo II e li sbaragliò. Partito l’imperatore, il popolo romano ristabilì l’autorità del senato e decretò la fine del potere temporale dei papi, proclamando la repubblica guidata da Giordano Pierleoni, fratello di Pietro, cioè di Anacleto II; i romani costrinsero Innocenzo II a rifugiarsi nella fortezza dei Frangipane, alleati con i corsi, cioè la colonia corsa di Roma.
Una Pierleoni sposò il normanno Ruggero di Sicilia, pare che Innocenzo II fu fatto papa irregolarmente, mentre i Pierleoni fecero eleggere papa, nella procedura corretta, Pietro Pierleoni, già cardinale, con il nome di Anacleto II (1130-1138). Innocenzo II fu riconosciuto da Germania, Francia e Inghilterra, mentre Anacleto II dal popolo romano e da Ruggero di Sicilia; negli annali dei pontefici o liber ponificalis, tra i papi, fu posto Innocenzo II, mentre Anacleto II fu declassato ad antipapa, probabilmente perché ebreo.
Innocenzo II fuggì a Pisa dove il concilio del 1135 lo confermò come papa, chiese ancora aiuto all’imperatore contro i romani e a Bisanzio contro il normanno Ruggero II. Grazie alla mediazione di Bernardo di Chiaravalle, Lotario III annunciò una nuova campagna in Italia, Bernardo gli chiedeva di liberare la chiesa dalla rabbia ebraica, si riferiva ad Anacleto II.
Innocenzo II prevalse su Anacleto II perché si enfatizzava l’origine ebraica del suo rivale, in città ci furono scontri armati tra le due fazioni, Innocenzo II aveva migliori relazioni internazionali del suo rivale, godeva del sostegno del suo amico Bernardo di Chiaravalle, del re di Francia Luigi VI, del re d’Inghilterra Enrico I, dell’imperatore Lotario III e dell’episcopato dell’impero. La dieta imperiale del 1130, sotto Lotario III, riconobbe come papa Innocenzo II.
La ribellione romana al papa perdurò sotto i papi Innocenzo II, Celestino II e Lucio II, il consiglio comunale ed i nobili si opponevano al papa, la neonata repubblica elesse a sua guida Giordano Pierleone, fratello dell’antipapa Anacleto II. Quando fu eletto papa Eugenio III (1124-1153), discepolo di San Bernardo di Chiaravalle, rifiutò la costituzione repubblicana, perciò il popolo insorse e distrusse le ville dei cardinali.
Nel 1144 Eugenio III, per annientare l’Islam, lanciò il proclama per la seconda crociata (1147-1149), gli italiani fornivano flotta, armi e macchine d’assedio, animatore dell’impresa era Bernardo di Chiaravalle, come della prima era stato Pietro l’eremita.
Secondo Bernardo di Chiaravalle, il combattente di Cristo poteva uccidere con coscienza tranquilla, contro gli slavi pagani creò reparti di diversi paesi, con la parola d’ordine: ”Battesimo o sterminio!”, Bernardo era molto influente, condizionava i papi, li indottrinava e li faceva eleggere, sostenne Innocenzo II ed era contro i romani, sobillò il re di Francia e il papa contro i catari.
Nel 1143, sull’esempio delle altre città italiane del centro-nord, la nobiltà minore romana si unì al ceto medio per fondare le libertà comunali, s’impadronì del Campidoglio e scacciò gli ottimati, cioè l’alta aristocrazia, ora il senato era divenuto plebeo o meglio borghese.
I grandi nobili, detti anche ottimati e consoli, avevano in precedenza costituito il senato del Campidoglio e avevano costituito un’oligarchia ed un governo aristocratico, quando nel 1143 questo fu rovesciato, fu insediato il consiglio comunale; i papi, che si erano scontrati spesso con i nobili, li volevano divisi e non cercarono l’appoggio del ceto medio, per non destare lo spirito comunale, anche perché, nel centro-nord d’Italia, i vescovi-conti avevano perso la sovranità territoriale a vantaggio dei comuni.
Nel 1143 il monaco Arnaldo da Brescia era a Roma, affermava che il clero non doveva possedere proprietà, né esercitare il potere temporale, divenne la guida del comune di Roma e si pronunciò contro il clero mondano, esortando il popolo a disobbedire al papa e ai vescovi corrotti, condannò il battesimo dei bambini e negò la validità ai sacramenti amministrati dai sacerdoti indegni, accusava il papato di corruzione, Eugenio III (1145-1153), che aveva armato la seconda crociata, fu definito da Arnaldo da Brescia “cane sanguinario”.
Eugenio III rifiutò la costituzione repubblicana, perciò il popolo insorse e la città cadde sotto il controllo del senatore Brancaleone degli Andalò, appoggiato dalla borghesia, questo fondò una nuova repubblica nemica degli ottimati e del papa. Poi i senatori romani ottennero da Eugenio III che riconoscesse la costituzione repubblicana ed elessero un patrizio con ampi poteri, nella persona di Giovanni Pierleoni, e fecero comandante della milizia Giordano Pierleoni.
Il santo abate Bernardo di Chiaravalle, nato nel 1090 in Borgogna, faceva parte dell’alta nobiltà, costruì tanti conventi in Francia, sostenne Innocenzo II contro i romani e Anacleto II, combatté Arnaldo Da Brescia e in Aquitania e Linguadoca sobillò il re di Francia e il papa contro i catari. Bernardo fu l’instancabile predicatore della guerra santa e propagandista della seconda crociata, in Francia lavorò con strepitoso successo nel reclutamento, diceva che la guerra era celestiale, era un mistico della guerra, chiamava i musulmani cani e porci, diceva che la morte in una guerra santa era un guadagno, perché consentiva di raggiungere il paradiso.
Bernardo era anche taumaturgo, reclutò nobili, popolo, briganti e sbandati, però anche la seconda crociata finì nella disfatta, questa crociata prese le mosse nel 1147 e, come la prima, cominciò con la strage degli ebrei del Reno, però Bernardo non voleva lo sterminio degli ebrei, diceva che andavano vessati ma risparmiati, perché erano una testimonianza vivente per i cristiani.
Quando Arnaldo da Brescia era a Roma, il papa lanciò l’interdetto sui romani ribelli, così nella città cessarono le cerimonie religiose, i sacramenti e la tumulazione in terra consacrata, i romani temettero soprattutto di perdere i pellegrini diretti Roma che portavano soldi, perciò, per rabbonire il papa, espulsero Arnaldo da Brescia, che aveva animato la rivolta antipapista.
Eugenio III (1145-1153) si alleò con il re dei normanni Ruggero, che pose l’assedio a Roma, mentre la repubblica chiese l’aiuto all’imperatore Corrado III; i romani erano intenzionati ad abbattere il potere temporale dei papi ed il trasformismo della politica produceva il cambio delle alleanze.
I nobili romani rappresentavano il partito guelfo del papa, contrario al popolo e all’impero; quando fu fatto capo della repubblica Giordano Pierleoni, fratello dell’antipapa Anacleto II, fu varata la costituzione municipale e quando divenne papa Eugenio III, i senatori del governo popolare gli chiesero la rinuncia al potere civile e il riconoscimento della repubblica; il papa rifiutò e fu costretto a fuggire, a Roma i palazzi degli ottimati favorevoli al papa furono saccheggiati ed il governo popolare abolì anche la prefettura imperiale.
Come Milano, anche Roma voleva la sovranità sulle piccole repubbliche di campagna ed il senato voleva costringere la nobiltà feudale ad accettare l’investitura feudale dal Campidoglio, anziché del papa; però poi, a causa dei continui disordini e della perdita dei pellegrini, i romani chiesero il ritorno del papa. Eugenio III (1145-1153) che, con un trattato, riconobbe la repubblica, mentre i romani insediarono un nuovo prefetto.
I 56 senatori erano prevalentemente borghesi e plebei, mentre prima erano stati aristocratici, nel senato erano rappresentate le compagnie della milizia, i cittadini elettori formavano un parlamento popolare che si riuniva in Campidoglio. Il senato era anche tribunale civile, però non vi erano trattate le liti fra ecclesiastici, riservate a tribunali ecclesiastici, il papa decideva in appello, la repubblica si dava leggi e dichiarava la guerra senza sentire il pontefice.
La nobiltà era ostile al senato, lo stato della chiesa era diviso in baronie ostili, mentre il potere cittadino era nelle mani di Giordano Pierleoni. Arnaldo da Brescia, voleva abbattere il dominio temporale dei papi e sostenere il comune, sosteneva la povertà apostolica e la purezza dei costumi, i suoi seguaci erano detti lombardi o arnoldisti, Arnaldo prendeva spesso la parola in parlamento, condannava i vizi dei cardinali, diceva che il papa era assassino e avido.
Fu fatto consigliere comunale e propose di creare dei cavalieri tra la piccola nobiltà favorevole al popolo, infatti, la piccola nobiltà ed il basso clero aderirono al comune, Eugenio III, quando tornò a Roma, scomunicò Arnaldo, mentre San Bernardo invitava i romani a tornare al loro pastore.
I romani erano infiammati da Arnaldo, però, dopo aver accolto Eugenio III, per interesse, furono costretti anche a riconoscere il successivo papa Adriano IV (1154-1159), che voleva abrogare la costituzione capitolina ed espellere Arnaldo, voleva seppellire la repubblica ed il senato; allora i romani chiesero aiuto a Guglielmo I di Sicilia, mentre Adriano IV si chiuse in San Pietro.
Poi Adriano IV acconsentì a togliere l’anatema sulla città, a condizione che lo scomunicato Arnaldo fosse cacciato, il monaco fuggì da Roma, mentre i romani facevano giungere all’imperatore dei messaggi, con cui dicevano di volersi scuotere il giogo dei preti; purtroppo l’Hohenstaufen non comprendeva lo spirito di libertà che infiammava le città italiane e riteneva che le glorie dei romani erano state ereditate dai tedeschi e le glorie degli imperatori romani dagli imperatori tedeschi.
Federico I arrivò a Roma, preceduto da Adriano IV e non riconobbe la costituzione cittadina, i romani si sentivano traditi, erano stati privati del diritto elettorale dell’imperatore e del papa ed ora l’imperatore era incoronato dal papa. I cittadini della repubblica romana avevano offerto a Federico I Barbarossa la corona imperiale ed un tributo annuo in oro, ma Federico I, forte dei diritti feudali, li aveva respinti e si fece incoronare da papa Adriano IV che voleva rovesciare la repubblica.
Arnaldo da Brescia aveva flagellato le istituzioni ecclesiastiche, per lui la chiesa di Roma era ricettacolo d’usurai e una spelonca di briganti, il papa era un sanguinario che santificava uccisioni ed incendi, un ipocrita smanioso di potere, che si preoccupava solo della sua carne, svuotando le tasche degli altri e riempiendo le sue.
Arnaldo fu l’animatore della rivoluzione comunale, inalberò il potere del comune popolare contro nobiltà e clero, questo monaco, nato a Brescia, divenne tribuno popolare, voleva purificare la chiesa ed emancipare la borghesia; Brescia era stata una delle sedi dei patarini, contrari all’alto clero simoniaco infeudato all’impero, cioè ai vescovi-conti.
Arnaldo affermava che il possesso di terre da parte del clero contrastava con la dottrina cristiana, che i preti dovevano sostenersi solo con le decime, che il potere civile apparteneva alla repubblica, proponeva di togliere ai vescovi il potere temporale, era contro le investiture di feudi a favore del clero; i romani lottarono con lui contro il potere temporale dei papi, però, contemporaneamente, desideravano anche un ritorno ai fasti del passato, credevano ancora alla missione storica di Roma.
Come Arnaldo, anche San Bernardo fustigava i vizi terreni dei vescovi, che secondo lui avrebbero dovuto seguire solo l’ufficio religioso, comunque, condannò il ribelle Arnaldo e i suoi alleati Pierleoni e Abelardo (1079-1142).
Arnaldo da Brescia era stato un entusiasta della repubblica, si era appoggiato al basso clero ed alla borghesia, voleva una repubblica romana indipendente dal papa e dall’imperatore, nel 1145 era divenuto la guida del comune di Roma e si pronunciò contro il clero mondano. Voleva abbattere il dominio temporale dei papi e sostenere il comune.
Per sfuggire all’imperatore sceso in Italia, Arnaldo, per prudenza, si era rifugiato a Zurigo e nelle valli alpine dove entrò in contatto con i catari, i suoi discepoli confluirono nei valdesi; ritornato in Italia e fu catturato da Federico I, i romani, sperando di liberarlo, assalirono, senza successo, l’accampamento dell’imperatore; Castel Sant’Angelo, controllato dai Pierleoni, era neutrale, Oddone Frangipane invece era nemico della repubblica.
Adriano IV chiese a Federico I di consegnargli Arnaldo suo prigioniero, Federico I si allontanò da Roma, accompagnato da papa e cardinali, e nel 1155, a Soratte, Arnaldo fu impiccato, come eretico e ribelle, le sue ceneri furono disperse nel Tevere, poi il pontefice assolse le truppe tedesche da ogni colpa per il sangue versato a Roma. Da notare che papa Adriano IV sosteneva i comuni lombardi, retti da borghesi, che lottavano per l’autonomia contro Federico I Barbarossa, però non sosteneva la repubblica romana.
Forse per vendicarsi del sostegno dato dal papa alle città ribelli del nord d’Italia, ad un certo punto l’imperatore contestò la donazione di Costantino ed affermò che i vescovi dovevano rinunciare ai beni terreni, ora adottava le tesi di Arnaldo che aveva impiccato. Arnaldo da Brescia aveva dimostrato il falso della donazione di Costantino, che aveva dato origine alla sovranità territoriale del papa, il suo discepolo, Wezel, informò Federico I Barbarossa che la donazione di Costantino era una favola, perciò nel XIII secolo la mise in dubbio anche l’imperatore Federico II. Oggi alcuni studiosi cattolici definiscono questi falsi medioevali “devozione antica” ed i falsari della chiesa come “venerabili falsari”, nel 1440 anche Lorenzo Valla, segretario del papa, riconobbe l’imbroglio.
Adriano IV voleva l’affrancamento dal potere imperiale senza rinunciare al suo potere temporale, reclamava la magistratura su Roma, chiedeva la sovranità per lo stato della chiesa, però l’imperatore non voleva rinunciare alla signoria su Roma, mentre i romani volevano essere liberi da papa e imperatore. Adriano IV, volendo rovesciare la repubblica, aveva chiesto aiuto a Federico I Barbarossa, mentre i romani si rivolsero al re normanno Guglielmo I, succeduto a Ruggero. In città cresceva l’ostilità contro i preti ed un cardinale fu pugnalato, perciò il papa lanciò l’interdetto sulla città sospendendo le funzioni religiose.
Il potere cittadino era nelle mani di Giordano Pierleoni che controllava Castel Sant’Angelo, a Roma le famiglie più importanti erano i Tuscolo, i Colonna, i Crescenzi, i Frangipane, i Pierleoni, i Corsi, i Normanni, gli Orsini; i nomi rivelavano, per lo più, una discendenza germanica, eccettuati Corsi e Pierleoni, i primi corsi e i secondi ebrei, la vecchia nobiltà romana era estinta, solo i Crescenzi erano di discendenza latina, ma non aristocratica.
Visti i nuovi contrasti tra papa e imperatore, il senato romano cercò di riavvicinarsi a questo e gli chiese un’amnistia, l’imperatore la concesse, Federico I Barbarossa (1121-1190) fece la pace con la repubblica romana, riconobbe il senato romano e la repubblica romana, nominò un prefetto imperiale e fece eleggere un nuovo consiglio comunale. Nel 1159 Adriano IV morì, questo anglosassone, come già Gregorio VII, voleva realizzare la signoria universale del pontefice; i baroni romani si erano indeboliti e avevano accettato di diventare feudatari del pontefice, solo il senato dal Campidoglio resisteva al papa.
Una nuova dottrina, derivata da Arnaldo da Brescia, Marsilio da Padova, Ockham, Wycliff, Lollardi, Giovanni Hus e Gerolamo di Praga contestava il potere temporale dei papi, l’assolutismo papale, la gerarchia della chiesa e dava la prevalenza alle sacre scritture; allora la Germania era più religiosa dell’Italia, più avanti, proprio in questo paese sarebbe esploso Lutero.
Nel 1166 il senato romano fece un trattato commerciale e un’alleanza con Genova, le corporazioni o gilde dei commercianti romani erano rappresentate da Cencio Pierleoni. Anche papa Lucio III (1181-1185) era contro la repubblica romana, nel 1183 i romani, volendo la sovranità sulla provincia, attaccarono la città di Tuscolo, difesa dall’arcivescovo Cristiano di Magonza, questo prelato aveva un harem e usava la mazza da guerra per rompere le teste dei nemici.
Clemente III (1187-1191) cercò la pace con il senato romano, ormai esistente da 44 anni, il papa propose alla città un rapporto come quello esistente tra impero e comuni lombardi, perciò fu fatto capo della repubblica; competeva alla repubblica romana dichiarare la guerra, poi anche i nobili riconobbero il senato popolare. Con la costituzione romana del 1188 furono neutralizzati imperatore e nobili, il rapporto tra Roma e impero era sciolto e con il trattato d’Anagni il papa rinunciò al potere legislativo e di governo a vantaggio del comune.
Al tempio di Celestino III (1191-1198) il senato era fatto in maggioranza di borghesi e cavalieri, poi fu posto a capo della repubblica un solo uomo, era la dittatura, si fece senatore unico Benedetto Carushomo, un borghese, al quale successe Giovanni Capoccio e poi Giovanni Pierleoni. Nel 1197 fu restaurata la costituzione democratica ed il senato collettivo e nel XIII secolo decaddero le famiglie dei Frangipane e dei Pierleone.
Sulla scia di Arnaldo da Brescia, Marsilio da Padova ( 1280-1343) aveva contestato il primato del papa, sostenendo che Pietro non era mai giunto a Roma, sosteneva che il papa non aveva alcun diritto ad eleggere o deporre l’imperatore, sostenne la superiorità del concilio sul papa ed auspicò un controllo statale sulla chiesa, dimostrò che anche le decretali pseudoisidoriane, che sostenevano i poteri del papa ed i privilegi della chiesa, erano false, perciò fu bollato dalla chiesa come eretico e scomunicato.
Contestava le ambizioni papali e proponeva la sovranità popolare, voleva sottomettere la chiesa allo stato, non riconosceva alla chiesa potestà punitiva, contestava ogni pretesa di supremazia del papa, come la giurisdizione indipendente per vescovi e sacerdoti, era a favore di una monarchia costituzionale.
L’aristotelico Marsilio da Padova, nell’opera “defensor pacis” difendeva il potere temporale dell’imperatore e attaccava il potere spirituale del papa, affermava che Pietro non era stato maggiore degli altri apostoli, che non era stato fatto capo della chiesa, che non aveva fondato il vescovado di Roma e non era mai stato in questa città, diceva che i religiosi non avevano la potestà di giudicare e che il papa non aveva l’autorità terrena.
Marsilio affermava che nessun prete aveva la potestà di sciogliere e legare, che questo compito spettava a Dio, che il concilio poteva insediare e deporre il papa, il quale non poteva convalidare l’elezione imperiale, che non la gerarchia, ma la comunità dei fedeli costituiva la chiesa, affermava la superiorità del concilio ecumenico sul papa.
Guglielmo di Ockham, pieno d’erudizione scolastica, concordava con Marsilio, confutava la donazione di Costantino e collocava imperatore e concilio ecumenico al disopra del papa, affermava che l’incoronazione dell’imperatore poteva essere fatta da qualunque vescovo, i monarchisti sottoponevano la chiesa allo stato e tanti, contro il papa, si appellavano alle sacre scritture.
Anche Dante (1265-1321) nel “De monarchia” riconosceva i diritti inviolabili del popolo romano, espropriati dal papa. Marsilio propose all’imperatore Ludovico IV il Bavaro di farsi incoronare dal popolo romano, a Roma faceva parte di una commissione mista di laici ed ecclesiastici, riunita in parlamento, la quale dichiarò eretico il papa francese Giovanni XXII (1316-1334), residente ad Avignone, e lo depose, accusandolo di aver accumulato tesori, di nepotismo e d’usurpazione dei poteri, di aver spogliato le chiese e di aver venduto uffici ecclesiastici. Roma non cessava di attrarre i grandi lumi.
I monarchisti e i riformatori affermavano che il papa poteva essere giudicato da imperatore e concilio e poteva essere deposto, perciò il popolo bruciò Giovanni XXII in effige, l’assemblea popolare deliberò che il papa doveva risiedere a Roma e doveva allontanarsi dalla città solo con il consenso dei romani.
Nel 1305 il re Filippo IV il Bello di Francia aveva fatto eleggere papa il francese Clemente V (1305-1314), che si stabilì ad Avignone, Giovanni XXII era il suo successore, da allora il papa prese a risiedere ad Avignone (1309-1367); la sua lontananza da Roma favorì le aspirazioni autonomiste e repubblicane della città, che però, a causa della lontananza del papa, ne perse economicamente, invece il papa era controllato dal re di Francia, comunque egli, all’inizio, poiché distante da Roma, per contenere i nobili della città, sostenne Cola di Rienzo (1313-1354).
Al tempo di Clemente V, i Colonna, gli Orsini e altri nobili, facevano parte del senato, anche Clemente V ottenne la carica senatoria a vita, però la repubblica era indipendente ed il clero era escluso dalle cariche statali. I romani ordinarono ai cardinali di incoronare imperatore Enrico VII ed agli ebrei di versargli un contributo, da parte sua, l’imperatore giurò di difendere la repubblica romana e le sue leggi.
La milizia repubblicana aveva domato momentaneamente l’aristocrazia e posto un freno alla guerra tra famiglie, poi Roma cadde sotto il dominio di Cola di Rienzo, che si fece dittatore della città. Nel 1343 Cola di Rienzo pensò di farsi re d’Italia, ma non riuscì a domare i nobili romani, aveva promesso giustizia sociale, un esercito popolare, l’unità, la laicità e l’indipendenza nazionale italiana.
La presa del potere da parte di Cola di Rienzo fu favorita da un’altra rivoluzione, il senato era stato rovesciato e al suo posto era stato insidiato un governo di tredici priori con a capo Cola di Rienzo, nemico dei nobili, questo, come ambasciatore dei romani, fece visita a Clemente VI ad Avignone, dove conobbe Petrarca, che lo ammirava.
Anche il successivo papa Clemente VI (1342-1354) era più favorevole alla democrazia romana che alla nobiltà cittadina e perciò fece Cola, che già si faceva chiamare console, notaio del tesoro romano; Cola era nato nel 1313 da una povera famiglia di contadini, si dedicò agli studi, frequentò l’università e divenne amante d’arte ed eloquente, era benvoluto dal popolo e odiato da notabili. Alla sua epoca a Roma si affiggevano manifesti anonimi contro le autorità, che lanciavano appelli al popolo, la polizia non era in grado di reprimere il fenomeno, fu da questo filone che nacquero le pasquinate.
Cola di Rienzo parlava della maestà svanita del popolo romano ed era applaudito, però i baroni lo vedevano come un sognatore, perciò Cola sull’Aventino preparò una congiura per abbatterli, era credente, raccomandò se stesso allo spirito santo e iniziò la sua rivoluzione contro i nobili, sostenuto dal papa e dal popolo.
Il suo programma prevedeva l’emarginazione politica dei baroni, la pena di morte per l’assassinio, una giustizia più veloce, la pensione per i caduti in guerra, voleva che i dazi affluissero al comune e non nelle tasche dei baroni, non voleva che questi ospitassero i banditi, come accadeva in quei tempi, allora i palazzi di Roma erano un asilo per i delinquenti. Perciò il parlamento conferì a Cola la signoria sulla città ed il potere illimitato, nel suo governo Cola era affiancato da un vicario papale, assunse il titolo di tribuno del popolo e nobili e senatori fuggirono.
Il tribuno occupò i castelli e ordinò ai nobili di rendergli omaggio in Campidoglio, con messaggeri comunicò al di fuori di Roma le novità intervenute nella città, diceva che voleva la liberazione di Roma e dell’Italia, invitò le città d’Italia a mandare deputati a Roma per la creazione di un parlamento nazionale, aveva un piano per una confederazione italiana.
Cola abolì il senato e creò un collegio di sindaci, coniò monete, raccolse una milizia a lui devota, fece giustiziare nobili e religiosi, i cattivi giudici furono messi alla berlina, punì adulteri e giocatori. Il tribuno abolì i pedaggi riscossi dai baroni, calmierò i prezzi dei generi alimentari, combatté il banditismo e così le strade divennero più sicure.
Però anche Cola adorava la pompa e, poiché il potere eccessivo dà un po’ alla testa, aumentò i suoi titoli diventando un po’ megalomane, il papa si lamentò anche perché aveva modificato la costituzione romana senza il suo benestare; Milano, Genova, Venezia, Firenze e le città minori inviarono deputati al parlamento nazionale, mentre a Roma, anche se repubblicana, si chiedeva il ritorno del papa da Avignone, la lontananza del papa aveva impoverito la città.
Petrarca condivideva i principi del “De Monarchia” di Dante, considerava il popolo romano fonte del potere universale e riteneva che Roma dovesse essere la sede dell’impero e del papa; da Avignone, Petrarca si felicitò con Cola, lo chiamava nuovo Camillo, liberatore d’Italia inviato da Dio e gli dedicò una poesia.
Cola depose il tiranno di Viterbo, Giovanni di Vico, e poi chiese ai giuristi se il popolo romano poteva riprendersi i suoi poteri, un consiglio di giuristi rispose di si, perciò il tribuno emanò un editto che riduceva i privilegi di nobiltà, chiesa e impero, anche per Cola il popolo romano era fonte d’ogni potere.
Parecchi castelli si arresero al tribuno, Cola voleva riunire a Roma un parlamento nazionale che desse le leggi a tutto il paese, il tempo era favorevole per l’indipendenza italiana, perché il papa era ad Avignone, l’imperatore era debole e assente, il feudalesimo era in crisi, la borghesia era al potere nelle repubbliche cittadine ed in Francia si era affermata la monarchia.
Però Cola, diversamente da Cromwell, non fu in grado di portare a termine questa rivoluzione, credeva al regno dello spirito santo, si fece incoronare come tribuno e cavaliere, si fece chiamare cavaliere dello spirito santo e prese altri titoli altisonanti, proclamò che Roma era capitale del mondo e fondamento del cristianesimo, conferì a tutti gli italiani la cittadinanza romana, proclamò che l’imperatore doveva essere eletto dal popolo romano e fu coperto da applausi.
Come gli ebrei della diaspora, anche i romani della decadenza ritenevano di avere ancora una missione eterna e sognavano il riscatto, Cola celebrò in Campidoglio la festa dell’unità d’Italia e mandò i suoi messaggeri per il mondo; si fece incoronare tribuno con sei corone, nel corso di una cerimonia suggestiva, vietò all’imperatore di entrare con le armi in Italia senza il permesso del popolo romano, combatté guelfi e ghibellini, però sapeva che la nobiltà congiurava contro di lui.
Durante un banchetto fece arrestare cinque Orsini e due Colonna e li condannò a morte, i baroni si sottomisero e il papa intervenne a loro favore, così Cola li rilasciò e, per la sua magnanimità, fu criticato da Petrarca, altri tiranni erano abituati ad agire diversamente.
Cola non si appoggiava a nessun partito, ma diceva di appoggiarsi alla nazione italiana, non si curava dell’imperatore e del papa, voleva il papa e l’imperatore a Roma e Roma capitale d’Italia. Per Cola Roma era il centro della monarchia universale e dei due poteri, diceva che tutti gli italiani, poiché divenuti cittadini di Roma, dovevano eleggere l’imperatore che doveva essere italiano.
Idee queste vicine a quelle dei guelfi, su tavole di bronzo fece incidere gli articoli del nuovo patto con l’Italia libera, a questo punto Clemente VI sbottò e chiese al cardinale legato, Bertrando, la deposizione di Cola perché eretico, poi, con una congiura, aizzò i nobili romani contro di lui e preparò la scomunica contro di lui.
Cola mise al bando gli Orsini, fece spianare i loro palazzi e assediò una fortezza dei Colonna, quando giunse il legato Bertrando, con l’ordine del papa rivolto a Cola di recarsi al suo cospetto, fu scansato dal tribuno. Purtroppo, ora anche Cola gozzovigliava ed estorceva denaro, aveva anche aumentato le tasse sul sale e Petrarca piangeva per le sue degenerazioni e per la sua follia, il papa accusò Cola di voler rovesciare la chiesa e l’impero e, per rappresaglia, stava per revocare il giubileo, che portava denaro nelle tasche dei romani.
Il barone Giovanni, conte di Minervino, a causa dei suoi atti di brigantaggio, era odiato da Cola, che lo citò dinanzi al suo tribunale, però il popolo romano si stava allontanando dal tribuno, perciò Cola depose le insegne di tribunato, lasciò il Campidoglio e si chiuse in Castel Sant’Angelo. Il legato papale Bertrando annullò i decreti del tribuno e citò Cola davanti al suo tribunale, come eretico e ribelle, e lo scomunicò; Cola fuggì e si rifugiò a Napoli ove era arrivato re Luigi d’Ungheria, a Roma si temeva che Cola sarebbe tornato con le truppe ungheresi e con la banda di mercenari del duca Werner, nipote del duca di Spoleto.
Questa banda saccheggiava il Lazio e chiedeva riscatti alle città ed alle persone, anche il regno di Napoli era infestato dai banditi e da rapaci condottieri che scorazzavano, Werner si diceva nemico di Dio, della pietà e della misericordia. Roma e la Toscana fecero lega contro questa compagnia, che, ad un certo punto, entrò al servizio della Chiesa.
Re Luigi d’Ungheria scaricò Cola, che si rifugiò in Abruzzo, a Roma, tra nobiltà e popolo, regnava la discordia, nelle strade regnavano rapine e delitti, nel 1348 ci fu la peste, la carestia e l’inflazione, le contese sulla proprietà erano senza fine, la città fu colpita anche da un terremoto, perciò i romani, per rifarsi, sollecitavano giubileo e indulgenze.
In Abruzzo Cola di Rienzo si era unito agli eremiti spirituali di Celestino V, eredi di San Francesco, questi seguivano la regola della povertà e le profezie dell’abate Gioachino Da Fiore, aspettavano un messia per riformare la chiesa e realizzare il regno dello spirito santo, erano stati tanti, prima di Lutero, a chiedere una riforma della chiesa.
Tra questi eremiti, frate Angelo convinse Cola ad incoronare a Roma re dei romani, cioè imperatore, il boemo Carlo IV, perché impero e papa dovevano essere ricondotti a Roma; perciò Cola, respinto dal papa, pensò di avvicinarsi all’imperatore, si recò in Germania e disse a Carlo IV d’essere contrario al potere temporale del papa, si offriva di governare Roma come vicario imperiale, mentre in precedenza aveva sostenuto l’indipendenza nazionale italiana. Per tutta risposta, l’imperatore lo fece imprigionare a Praga e poi ne diede notizia al papa.
Nel 1350 Cola scrisse dal carcere una lettera all’imperatore, era divenuto folle, affermava che sarebbe sorto un altro Francesco che avrebbe tolto al clero le sue ricchezze e innalzato un tempio allo spirito santo, poi papa, imperatore e il tribuno Cola avrebbero rappresentato la trinità a Roma.
Con questa lettera Cola accusava il papa dello strazio dell’Italia e della dissoluzione dell’impero, si diceva a favore della separazione dei poteri, affermava che le province amministrate dagli ecclesiastici erano quelle amministrate peggio, che il papa aveva ostacolato l’unità d’Italia, aveva favorito la frattura tra guelfi e ghibellini e consegnato le città ai tiranni. .
Carlo IV lo tenne in prigione, pensando di usarlo contro il papa, Petrarca scrisse al boemo Carlo IV, sollecitandolo a salvare l’Italia che andava in rovina, però nel 1352 Carlo IV consegnò Cola di Rienzo a Clemente VI ad Avignone. Petrarca esortò i romani a chiedere il rilascio di Cola, però Clemente VI lo imprigionò; nel 1353, morto Clemente VI, gli successe il francese Innocenzo VI e ora Cola, per salvarsi, si diceva guelfo e contro i tiranni, era il trasformismo della politica.
In Italia arrivò il nuovo legato papale, il cardinale spagnolo Albornoz, che pensò di usare Cola contro il prefetto Baroncelli, del partito ghibellino, che comandava a Roma, perciò lo liberò dal carcere, lo fece cavaliere del Santo Sepolcro e senatore; però i romani erano stanchi di Cola, cacciarono dal Campidoglio Baroncelli e offrirono la signoria al cardinale Albornoz, che mise da parte Cola.
Il masnadiero Monreale fece un ingente prestito a Cola di Rienzo, che lo utilizzò per assoldare dei mercenari, perciò nel 1354 Cola di Rienzo arrivò a Roma, accompagnato da una scorta di cavalieri, si fece fare senatore, fu salutato dal popolo, nominò capitani e cavalieri e convocò i nobili in Campidoglio, ma la maggior parte di loro non si presentò.
Arrivato a Roma Monreale, pensò di proclamarsi signore della città con l’aiuto di Cola, ma questo lo fece arrestare, assieme ai suoi, come masnadieri, Monreale fu decapitato, poi Cola assoldò truppe e assediò Palestrina, la città dei Colonna, impose tasse, chiese riscatti, aveva una guardia del corpo; il popolo si ribellò alle sue tasse e lo chiamò traditore, lo prese e lo trucidò, in Campidoglio, il suo cadavere fu mutilato e appeso per i piedi, in segno d’infamia, preso a sassate dai monelli e poi bruciato (1354).
Qualcuno lo aveva accusato di pazzia, di tirannia e di megalomania, però fu anche il profeta del rinascimento, con i suoi ideali d’indipendenza e d’unità d’Italia, di riforma della chiesa, era un plebeo e un parvenu, però conosceva il pensiero di Dante e di Petrarca, amava l’arte e indicava una meta, voleva una confederazione italiana con capitale Roma, anche i guelfi la volevano, ma con a capo il pontefice.
Il tribuno del popolo Cola di Rienzo fu uno dei primi archeologi, decifrava le antiche iscrizioni dei monumenti di Roma, delle quali faceva raccolta, aveva un animo di riformatore politico e di scienziato. L’idea d’unità nazionale era stata concepita da Cola di Rienzo e si era sviluppata nel medioevo, fu coltivata anche da Federico II e da altri, anche i papi avrebbero accettato l’unità d’Italia, ma solo sotto di loro.
Quando fu eletto papa Innocenzo VII (1404-1406), i romani si sollevarono di nuovo e lo costrinsero a fuggire a Viterbo, il papa chiese aiuto a re Ladislao di Napoli, mentre suo nipote assassinò undici legati della repubblica romana, per compensarlo di quest’atto, il papa lo fece conte.
Quando fu eletto papa Eugenio IV (1431-1447), eremita agostiniano, i romani tornarono a reclamare la repubblica e perciò nel 1431 il papa, aiutato dal pirata Vitellio, fu costretto a fuggire da Roma, rimase in esilio nove anni, soprattutto a Firenze, mentre nello stato della chiesa esercitò per lui la repressione Giovanni Vitelleschi, un ex brigante, che nel 1437 fatto cardinale da Eugenio IV.
Vitelleschi ammazzò civili e prelati e riprese il controllo dello stato, prese i castelli del prefetto Giovanni Vico, nemico del papa e alleato con i Colonna; Giovanni Vico fu decapitato ed Eugenio IV incamerò i suoi beni. Nel 1437 Vitelleschi distrusse Palestrina, la città dei Colonna, già ricca di un patrimonio artistico, poi Eugenio IV fece uccidere anche Vitelleschi e s’impossessò dei suoi beni, a Vitelleschi successe il cardinale Scarampo che, come lui, fece rapine ed omicidi.
Eugenio IV volle la riforma dei conventi, sosteneva i monaci francescani come Bernardino da Siena, che assicuravano la copertura a sinistra della chiesa; con la sua morte, a Roma si rivoltò Stefano Porcari, il quale voleva che i rapporti tra il comune di Roma ed il pontefice fossero garantiti da un trattato, invece Lorenzo Valla aveva chiesto la secolarizzazione dello stato della chiesa.
Quando divenne papa Niccolò V (1447-1455), fu confermato il concordato stipulato tra Eugenio IV e Federico III e svanì la riforma della chiesa, Niccolò V riordinò l’amministrazione e le imposte, si riconciliò con baroni e Valla, fece ricostruire Palestrina, nel 1447 la città di Roma riconosceva la supremazia papale ma conservava ancora una certa autonomia.
Poiché Stefano Porcari voleva restaurare la repubblica, il papa lo esiliò a Bologna, i magistrati non erano più nominati dal comune, ma insidiati dal pontefice, allora Porcari progettò di prendere Castel Sant’Angelo e di uccidere il papa Niccolò V, ma l’insurrezione non riuscì, fu catturato e impiccato, la sua casa fu rasa al suolo. La rivolta repubblicana, guidata da Stefano Porcari, fu repressa, il papa aveva promesso ai congiurati la grazia in caso di resa, questi si arresero ma furono impiccati ugualmente.
Valla fu perdonato da Niccolò V, che lo nominò segretario apostolico, divenne professore d’eloquenza e filologo, per difendere la sua nuova posizione, si separò da Porcari, Callisto III (1455-1458) nominò Valla suo segretario.
Valla e Porcari erano stati umanisti, contro il potere temporale del papa e i membri dell’accademia pomponiana romana, creata da Pomponio, questi accademici si attirarono le persecuzioni del papa, i membri dell’accademia portavano nomi pagani, disprezzavano i dogmi e le istituzioni gerarchiche della chiesa; Paolo II (1464-1471) sospettava che volessero rovesciare il governo del papa.
La setta dei fraticelli, inoltre demagoghi, pagani, eretici e repubblicani sembravano avere il loro centro nell’accademia, nel 1468 la polizia fece venti arresti tra gli accademici, che furono torturati, alcuni di loro si rifugiarono all’estero, lo stesso Pomponio fu incarcerato e poi rimesso in libertà.
Come già Analdo da Brescia, nel 1442 anche Lorenzo Valla dimostrò la falsità della donazione di Costantino, fabbricata nel 750 dalla cancelleria pontificia, la quale sosteneva che l’imperatore Costantino aveva ceduto a papa Silvestro I il potere su Roma e l’occidente; il documento fu utilizzato per affermare il potere temporale del papa in occidente, dopo che Costantino e i suoi eredi si erano trasferiti a Costantinopoli.
I sostenitori di questo documento vedevano nell’imperatore d’occidente un funzionario della chiesa che poteva anche essere revocato dal papa, grazie a questa falsa donazione, Gregorio VII (1073-1085) e Innocenzo III (1198-1216) teorizzarono il primato della chiesa su re e imperatori.
Lorenzo Valla confutava la donazione di Costantino ed era sostenuto dal concilio di Basilea, perciò fu accusato davanti all’inquisizione e si salvò perché era protetto, il re di Napoli incoraggiò Valla a pubblicare la sua confutazione della donazione, già negata nell’anno 1000 dall’imperatore Ottone III, poi dai repubblicani romani e da Dante; l’umanista si scagliò contro Eugenio IV, definiva il governo pontificio un governo di carnefici, diceva che, a causa della cupidigia e dei delitti dei papi, l’Italia si dibatteva in guerre senza fine, voleva la fine del potere temporale dei papi.
Nel 1443 il cardinale Piccolomini chiese all’imperatore Federico III un concilio per fare chiarezza su quella donazione, che non risultava nemmeno dal liber pontificalis, prima di lui, ne avevano contestato l’autenticità anche Reginaldo, vescovo di Chichester, ed il Cusano. Valla fu poi perdonato dai papi e valorizzato come umanista, però nel 1517 Ulrico von Hutten pubblicò il celebre scritto di Valla sulla falsa donazione di Costantino e propose la creazione di una chiesa nazionale tedesca.
Bibliografia:
K. Deschner “ Storia criminale del cristianesimo” – Ariele Editore,
F. Gregorovius “Storia delle città di Roma nel medioevo” – Einaudi Editore,
Fo, Tomat, Malucelli “Il libro nero del cristianesimo”– Editore Nuovi Mondi,
Claudio Rendina “I papi storia e segreti” – Newton Editore,
Claudio Rendina “Il Vaticano storia e segreti” – Newton Editore,
Giancarlo Zizola “Il conclave” – Newton Editore,
P. Rodriguez “Verità e menzogne della chiesa cattolica” – Editori Riuniti,
Bruno Giordano “Gli italiani sotto la chiesa” – Mondadori Editore,
Leopold Rancke “Storia dei papi” - Sansoni Editore.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it numicco@tin.it
Ciro in Grande (558-529 a.c.) adorava il dio del bene o Ahura Mazda, da cui derivò il mazdeismo o zoroastrismo; in una visione dialettica, i persiani credevano anche ad un dio del male, corrispondente al nostro diavolo; dopo la caduta di Babilonia, nel 538 a.c., Ciro consentì agli ebrei di tornare in Giudea. Il mazdeismo, durante la diaspora ebraica o esilio o cattività babilonese (586-538 a.c.) influenzò la teologia dei rabbini, i rabbini divennero dei riformatori religiosi e dei revisionisti dell’ebraismo, prendendo dai persiani la credenza nella resurrezione, nell’immortalità dell’anima e nell’inferno.
Nel 331 a.c. Alessandro Magno conquistò l’impero persiano, però dalla metà del II secolo a.c. la Persia era di nuovo indipendente sotto la dinastia persiana dei Parti, nel 227 d.c. questa fu sostituita da quella persiana dei Sassanidi; nel 648 la capitale persiana, Persepoli, fu presa dagli Arabi, ma i persiani si convertirono completamente all’islamismo solo nell’IX secolo
Nel 661 Alì, genero e cugino di Maometto ed erede legittimo, nel corso di una congiura fu ucciso e andò al potere la dinastia araba Omayyade, che diede vita al canone islamico, nel 750 questa fu sostituita dalla dinastia persiana degli Abassidi, che governò a Bagdad fino al XIII secolo; i persiani, spesso in polemica con gli arabi, non solo per motivi religiosi, seguivano i diritti del legittimo successore di Maometto, Alì, e perciò fondarono la versione islamica dello sciitismo, che aveva il clero dei mullah, monaci sufi ed aspettava un messia, il Mahadi.
Il dominio turco sulla Persia andò dalla metà dell’XI secolo all’inizio del XIII, quello mongolo dal XIII al XIV secolo; nel XVI secolo il paese, sotto la dinastia dei Safavidi, originaria dell’Arzebaigian, ottenne l’indipendenza. Gli sciiti avevano una gerarchia religiosa con a capo un Imam o Guida ed al disotto il clero dei mullah; ogni Imam riceveva il suo potere dal precedente, l’Imam era la legge e la successione e degli Imam si riteneva miracolosa.
Secondo lo sciitismo duedecimano, il dodicesimo Imam, al Mahadi, perseguitato da un califfo, era stato nascosto da Allah in attesa del giorno in cui sarebbe stato rimesso sul trono, come nella parusia o regno di dio cristiano; alla fine dei tempi, questo salvatore sciita avrebbe ripristinato la giustizia sulla terra. Nel XVIII secolo la dinastia safavide cadde sotto i colpi di russi e afgani, questi secondi erano sunniti, poi il paese tornò formalmente sotto una dinastia turca, ma fu diviso in sfere d’influenza tra russi ed inglesi; un trattato del 1907 sancì definitivamente che era un protettorato anglo-russo.
Da quel momento, l’interesse per il paese da parte degli stranieri era dato principalmente dai suoi giacimenti petroliferi; alla fine del primo conflitto mondiale, la Russia si ritirò dal paese e vi dominò l’impero britannico con le sue compagnie petrolifere, mentre tra gli intellettuali del paese si diffondevano gli ideali marxisti d’origine bolscevica. Nel 1925 il generale Reza Khan, sostenuto dall’occidente, depose il re e si proclamò scià, nel 1935 cambiò nome al paese chiamandolo Iran o paese degli Arii; lo scià cercò di recuperare autonomia rispetto alle potenze estere e si accostò ai nazisti, perciò nel 1941 gli inglesi lo costrinsero ad abdicare.
Gli successe il figlio Reza Pahlavi, che tentò alcune riforme, a cominciare dalla distribuzione della terra, il clero sciita era padrone di vasti latifondi, perciò nel 1961 lo scià fece una riforma agraria, nel 1967 per emancipare la donna, abolì il vecchio codice familiare d’influenza sciita, e abolì il velo; cercò anche di contenere lo strapotere delle compagnia petrolifere anglo-americane, accordandosi con la compagnia italiana l’Eni.
Il clero sciita, colpito nei suoi interessi economici, utilizzò la fede dei contadini, che erano inebetiti dalla religione, per alimentare una rivolta contro lo scià, ora inviso anche alle compagnie petrolifere, che probabilmente tramavano nell’ombra. Vista la coalizione di forze contrarie allo scià Reza Pahlavi, nel 1979 anche l’esercito e la polizia lo abbandonarono e questo lasciò il paese. Nello stesso anno tornò a Teheran l’ayatollah Khomeini, osannato come fosse il dodicesimo Imam nascosto e tanto atteso.
Così nacque una repubblica islamica teocratica, che combatté il dissenso e volle subordinare lo stato alla religione; la costituzione prevedeva un parlamento e un presidente, però le proposte di legge dovevano essere esaminate dal Consiglio dei Guardiani della Costituzione, fatto di dodici membri, sei erano teologi scelti dall’ayatollah, e sei erano giuristi nominati dal potere giudiziario; anche oggi il consiglio controlla che nessuna legge contrasti con il corano e con la visione sciita duodecimana sull’Islam.
Ogni potere è nelle mani dall’ayatollah o Guida suprema, negli ultimi anni il nuovo ayatollah è divenuto Khamenei, che dirige anche le forze armate; il regime è sempre sostenuto dai contadini, che sono molto religiosi, anche se, con l’industrializzazione, sono in parte immigrati in città. Il regime persegue liberi pensatori politici e religiosi, gay ed è contro i diritti delle donne, ha abrogato le riforme civili dello scià e fin dal 1979 ha imposto nuovamente il velo alle donne.
Con l’avvento alla direzione del potere civile di Ahmadinejad, un ex pasdaran (in Iran i pasdaran sono i guardiani della rivoluzione o meglio della teocrazia, anche il fascismo fu definita una rivoluzione); Ahmadinejad è sempre sotto il controllo della Guida religiosa, anche se i poteri di uno stato non sempre lavorano in sintonia; comunque, oggi sembra che il paese abbia perso il consenso popolare, è avversato da donne e studenti, gli iraniani vorrebbero sottrarsi alla Sharia e recuperare i diritti civili.
Agenti della polizia religiosa controllano la moralità pubblica, che le donne non siano scoperte, che non usino smalto alle unghie e vesti attillate, che non mostrino i capelli e il volto o si bacino in pubblico; però il paese non è rassegnato a queste imposizioni, infatti, l’8.3.2007 la piazza a Teheran ha reagito e ci sono state, solo tra le donne, 40 arresti; il 21/4/2007 le donne arrestate furono 1300.
Anche se nel paese, per merito dello scià e di questo regime, l’istruzione femminile si è diffusa, con la teocrazia, le donne laureate che sostengono i diritti della donna, sono ostacolate nella carriera; spesso le donne sono torturate, frustate e impiccate per adulterio. Oggi in Persia una bambina è penalmente responsabile a 9 anni, mentre i ragazzi a 15 anni; però, a causa soprattutto della reazione delle donne e degli studenti, il regime persiano pare molto nervoso e più insicuro di prima, perciò a volte pare più disponibile a fare concessioni.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it numicco@tin.it
Il 5.9.1796 il Tirolo fu invaso dalle truppe di Napoleone e assegnato alla Baviera, mentre il patriota Andrea Hofer fu fucilato, poi nel 1810 Trento e Tirolo furono assegnati al regno d’Italia napoleonico e il dipartimento assunse il nome di Alto Adige. Finita la bufera napoleonica, il Tirolo tornò alla contea austriaca di Innsbruck, però dopo la prima guerra mondiale fu annesso all’Italia, conservando la denominazione di Alto Adige, anche se il termine Tirolo era d’origine latina.
L’1.10.1943 il Tirolo fu annesso al terzo Reich Tedesco, finita la guerra, l’Italia si riprese la regione, nel 1956 nacque nella regione il Bas, o fronte di liberazione del sud Tirolo, per opera di Franz Kerschbaumer, che fece saltare la tomba di Ettore Tolomei, fascista e autore della toponomastica che inventò per la regione nomi italiani senza base storica. Il Bas riceveva appoggio dell’Austria che voleva creare un Tirolo unito, perciò negli anni ’60 ci furono attentati contro obiettivi militari e statali, contro tralicci, monumenti fascisti, caserme, carceri, uffici postali, la notte dei fuochi per eccellenza fu l’11.6.1961, quando furono compiuti 37 attentati dinamitardi, però con un solo morto.
Per conseguenza, ci fu la repressione italiana, con arresti e processi con ergastolo, alcuni arrestati morirono sotto tortura, la repressione italiana provocò la morte ai patrioti George Klotz, Hoffler, ecc, poi Sylvius Magnano, leader nazionalista, riuscì a fermare la guerra civile, a prezzo di un pacchetto di concessioni italiane; infatti, il parlamento italiano approvò il famoso pacchetto che donava 6.000 miliardi l’anno all’Alto Adige e concedeva l’autonomia, così il partito nazionalista “ Ein Tirol” di Pircher smise di combattere.
La polizia italiana aveva reagito al terrorismo con gli arresti e i sequestri d’armi, compresi i fuochi d’artificio, i razzi antislavina e i fucili da caccia, ignorando che nelle comunità montane la caccia era un mezzo per il sostentamento. Inutile ricordare che il terrorismo è un modo da fare politica, come la guerra, la rivoluzione, il complotto, l’assassinio politico, la guerriglia e la scomunica. Le Fiandre nel rinascimento erano state un territorio a forte sviluppo economico e culturale, decadute poi politicamente, furono soggette alla francesizzazione forzata; nel 1830 il Belgio divenne indipendente e la lingua olandese, parlata nelle Fiandre, fu bandita dalla vita pubblica a favore del francese parlato in Vallonia, la regione francofona.
Durante la prima guerra mondiale, gli ufficiali di lingua francese dell’esercito belga mandarono i ragazzi fiamminghi a morire, impartendo loro ordini in francese, che non capivano, poi il paese fu occupato dai tedeschi e così l’olandese tornò ad essere lingua ufficiale delle Fiandre. Durante la seconda guerra mondiale, il Movimento Fiammingo, memore della collaborazione tra tedeschi e fiamminghi nella prima guerra, decise di collaborare con i tedeschi, ovviamente, finita la guerra, ci fu una dura repressione contro questi nazionalisti fiamminghi.
Negli anni’ 70 il partito nazionalista fiammingo cristiano Volksunie, archiviò il nazionalismo per entrare nel governo con i francofoni, per reazione, con una scissione nacque il partito nazionalista Vlaams Blok, che aveva nel programma l’indipendenza delle Fiandre e la tutela linguistica. Questo partito è contro l’Unione Europea e contro la Nato e ha votato contro il trattato di Maastricht, è per l’Europa dei popoli e per la difesa linguistica, vuole il controllo dell’immigrazione.
Contro il Vlaams Blok si è formato in Belgio un cordone di tutti i partiti, tuttavia questo partito nazionalista è in ascesa, anche se i media non gli fanno pubblicità, e ad Anversa è divenuto il primo partito della città, con il 33% dei voti. Nel 1866 scoppiò la guerra austro prussiana ed a Custoza l’esercito italiano fu sconfitto da quello austriaco, dove erano arruolati tanti soldati veneti, perciò il governo italiano pensò di prendersi la rivincita in mare, dopotutto aveva una flotta più moderna.
La marina austriaca era costituita per la maggior parte di veneti, istriani e dalmati, si chiamava Imperial Regia Veneta Marina, la lingua usata era il veneto e il capo di stato maggiore della marina austriaca, Tegetthoff, doveva parlare veneto per farsi capire dall’equipaggio. Il 29.6.1866, nelle acque dell’isola di Lissa la flotta italiana era superiore, però gli ufficiali, provenienti dalle diverse marinerie italiane, erano divisi, così gli austriaci ebbero la meglio, fu l’ultima vittoria della marina veneta, ha detto lo storico veneto Guido Piovene, gli italiani ebbero 620 morti gli austriaci 38, la corazzata ammiraglia italiana “Re d’Italia” fu affondata, mentre i marinai veneti gridavano: “Viva San Marco e Viva Venezia”.
Poi nello stesso anno 1866 ci fu il plebiscito per l’annessione del Veneto all’Italia, ai votanti era stata consegnata solo la scheda con il si, stessi brogli elettorali ci furono nel 1861, con il plebiscito che sanciva l’annessione delle altre regioni italiane al Piemonte. L’articolo 2 dello statuto della regione Veneto, approvato nel 1971, parla d’autogoverno del popolo veneto, di popolo non si parla nemmeno nello statuto della provincia autonoma di Bolzano, nato da un trattato internazionale, quante sono le disuguaglianze davanti alla legge stabilite per legge? Perché non si dice che il numero chiuso delle regioni a statuto speciali e delle province autonome è un privilegio anticostituzionale?
Il Veneto non è un’espressione geografica, ha avuto secoli d’indipendenza, una cultura, una lingua, un’identità, Napoleone occupò Venezia, ne asportò la ricchezza, sequestrò il tesoro di San Marco, distrusse l’arsenale, saccheggiò monasteri e chiese, impose tasse elevate, impose il blocco continentale commerciale, perciò nel 1814 i poveri a Venezia erano 44.167 su 100.000 abitanti circa; quando cadde Napoleone, l’Austria, nuova potenza occupante il Veneto, trovò una città in decomposizione.
In Spagna il partito catalano cerca di strappare al governo di Madrid il massimo di sovranità, senza rinunciare al diritto all’autodeterminazione, la nazione catalana è a cavallo dei pirenei, tra Spagna e Francia e ha una sua lingua, quella catalana. Dopo la riconquista franca nel IX secolo, a spese dei musulmani, divenne stato sovrano fino al 1238, inglobando Andorra e Baleari, nel 1150 nacque anche la federazione catalano-aragonese, due popoli diversi, nel 1479 il re d’Aragona sposò l’erede alla corona di Castiglia e così nacque la Spagna.
Nel 1659 la monarchia spagnola cedette alla Francia la Catalogna francese, quando la monarchia spagnola passò dagli Asburgo ai Borbone, nel XVII secolo, lo stato spagnolo divenne più centralista, il casigliano divenne unica lingua ufficiale per tutti gli spagnoli, l’autonomia amministrativa della Catalogna fu soppressa e la lingua catalana fu proibita. A metà del XVIII secolo nacque, prima clandestino, un partito autonomista catalano che nel 1901 prese il nome di Lega, lottava contro il fisco rapace di Madrid, già allora la Catalogna era l’area più ricca della Spagna, poi il movimento catalano divenne nazionalista, federalista, con spinte fino al secessionismo.
Nel 1911 nacque l’istituto di studi catalani, che unificò la lingua catalana, cioè nacque un catalano standard, di fronte e vari dialetti locali, questa lingua era chiamata anche Valenzano ed era vicina al dialetto di Barcellona. Perseguitato duramente da Franco, oggi il catalano è lingua ufficiale come il castigliano di Madrid, poi la Catalogna conquistò sempre maggiori spazi d’autonomia, eppure ufficialmente la Spagna non è uno stato federale.
Invece nella repubblica federale tedesca i Lander non godono di nessuna competenza legislativa esclusiva, applicano le leggi federali sul loro territorio sotto la sorveglianza del potere centrale, cioè si è verificata un’omologazione normativa dei vari lander, com’è anche accaduta anche in America.
Perciò prende vigore il modello spagnolo, uno stato che non si spaccia per federale, ma attento all’autogoverno dei popoli che lo compongono, la costituzione spagnola del 1978 riconosce l’esistenza di comunità storiche pre-esistenti allo stato, con una loro lingua, aventi diritto ad un’autonomia, ogni comunità approva il proprio statuto che lo stato non può modificare.
Ogni comunità può spingersi più avanti sulla strada dell’autonomia, la Catalogna fa da battistrada con le sue tre comunità locali, anche la Galizia dei baschi è divisa in due comunità, però Madrid non ha riconosciuto il diritto all’autodeterminazione ed è riuscita ad impedire che in Catalogna e Galizia si unificassero le comunità separate. Ciò malgrado, esistono partiti catalani che agiscono in tutte tre le regioni catalane e mirano all’unità e all’indipendenza, proponendo una federazione tra le tre entità territoriali.
Val la pena di ricordare che esiste un Trattato internazionale a favore dell’autodeterminazione di tutti popoli, recepito nel 1956 anche nella legislazione italiana, naturalmente inattuato come tutte le leggi buone e riguardose verso i cittadini. Fu Napoleone ad esportare il modello centralistico francese in Europa e in Italia, subito adottato dal Piemonte, la burocrazia piemontese adottò il modello centralistico napoleonico ed estese all’Italia l’organizzazione burocratica piemontese; così fu tagliata fuori la tradizione, in materia d’autonomie locali, del Lombardo-Veneto e della Toscana. Bisogna dire che il centralismo nacque anche perché si temeva che lo stato unitario, troppo debole, con le autonomie si sarebbe disintegrato presto.
Minghetti, Farini e Jacini avevano proposto la costituzione delle regioni; meridionalisti e la chiesa, fino a Don Sturzo, erano a favore di autonomia e federalismo, poi le correnti federaliste di Cattaneo e Gioberti furono sconfitte. Ne nacque una legislazione centralistica degli enti locali, rafforzata poi dal fascismo, Crispi, con il suo centralismo, voleva combattere le tendenze secessioniste al sud, mentre Salvemini e Sturzo volevano rilanciare il federalismo come asse portante del meridionalismo.
Il centralismo di Giolitti si appoggiò ai notabili meridionali, perciò Salvemini lo chiamò ministro della malavita, invece al nord Giolitti diede spazio al municipalismo storico; poi il fascismo cancellò le autonomia locali, introducendo nei comuni il podestà ed il segretario comunale, che si aggiungevano al prefetto in Provincia. Dopo la seconda guerra mondiale, i democristiani rafforzarono il centralismo, per paura che il regionalismo concedesse spazio ai comunisti, in alcune regioni, mentre il Pci, opportunisticamente era regionalista. Finita la seconda guerra, in regime democristiano, non si conservò solo il codice Rocco fascista, ma ci furono altri elementi di continuità con il fascismo; ad esempio, fu richiamato il concordato nella costituzione e furono conservati la legge sulla stampa fascista ed i reati d’opinione.
Finalmente nel 1970 nacquero le regioni, con i loro prefetti regionali, cioè i commissari di governo, queste riprodussero il centralismo statale e il burocraticismo, invece il federalismo avrebbe richiesto la sussidiarietà, l’autogoverno e la valorizzazione dei comuni. Esistevano ancora a Roma due camere fotocopia; la pubblica amministrazione, al centro e in periferia, continuava a lavorare ancora all’insegna dello spreco, dell’inefficienza e della corruzione, soprattutto al sud.
In Italia anche i senesi, dopo la caduta della loro repubblica nel 1555, cercarono di difendere la loro lingua dal fiorentino, oggi l’articolo 6 della Costituzione recita che la repubblica italiana tutela le minoranze linguistiche; però Alleanza nazionale ha proposto una modifica della costituzione con cui si specifichi che l’unica lingua dell’Italia è l’italiano, esattamente come ha fatto la Francia, sarebbe un passo indietro per la carta fondamentale.
Nella proposta di devolution di questo governo non sono aboliti i prefetti che hanno potere di sindacato su sindaci e presidenti della provincia, invece in Scozia, sulle materie di competenza del parlamento d’Edimburgo, esistono solo leggi scozzesi, Londra non ha alcun titolo per intervenire. E’giusto che le regioni reclamino la maggior parte delle tasse riscosse, il Veneto riceve la metà di quando è prelevato da esso, cioè è soggetto a drenaggio fiscale come le colonie; la finanza derivata dovrebbe andare dalle regioni allo stato e non viceversa.
A tutti sono noti gli sprechi della regione siciliana e i privilegi concessi ai siciliani dallo statuto siciliano, regione a statuto speciale, pochi però sanno che questo statuto è rimasto in gran parte sulla carta, Roma è sempre più furba di tutti, o meglio lo sono i burrattinai di Roma. L’art. 25 dello statuto siciliano prevede l’abolizione delle province, sostituite con consorzi di comuni, quest’articolo non è stato mai attuato, l’art. 21 dispone che il presidente della regione partecipi al consiglio dei ministri, con voti deliberativo nelle materie interessanti la regione, quest’articolo non è stato mai attuato.
L’art. 4 prevede l’istituzione di un’Alta corte di giustizia siciliana, per decidere sulla costituzionalità delle leggi italiane e siciliane, questa corte nacque e fu soppressa subito. L’art. 31 prevede che il presidente della regione sia a capo della polizia nella regione ma non è stato mai applicato. L’art. 38 prevede il versamento da parte dello stato di una somma per i lavori pubblici, è caduto nel dimenticatoio.
Lo statuto regionale siciliano è divenuto un inutile pezzo di carta, le banche siciliane non sono autonome, ma accorpate ad istituti del nord. Sembra che la stessa degenerazione mafiosa sia andata a favore di Roma, anche se in Sicilia tanti ne hanno tratto beneficio. La Sicilia raffina il 70% della benzina italiana, questa produzione è inquinante, tuttavia la Val d’Aosta ne paga il prezzo scontato ma la Sicilia no, il sud però ha uno sconto fiscale sul gas, poi si dice che tutti i cittadini sono uguali davanti alla costituzione. La Sicilia è l’unica regione a statuto speciale a non avere una scuola dell’obbligo in cui s’insegni la cultura regionale,
In Svizzera le proposte di legge cantonali sono votate dal popolo, con referendum propositivi, cioè le leggi federali salgono dal basso verso le istituzioni, è un sistema di sussidiarietà autentico, però il federalismo non può essere incentrato solo sulle regioni, perché Comuni e province sono le istituzioni più vicine ai cittadini ed in Italia centro settentrionale hanno una lunga storia. Prima delle cinque giornate di Milano, Cattaneo proponeva la federazione della Lombardia con gli altri stati dell’Austria, poi si pronunciò per un federalismo con le altre nazioni italiane, era un estimatore del modello federale elvetico; la Svizzera non era nata come nazione ma come aggregazione di cantoni.
Cattaneo diceva che la federazione italiana si doveva allargare gradualmente, una volta raggiunto il livello culturale del Lombardo-Veneto, allora in Lombardia esisteva un livello di scolarizzazione maggiore che nelle altre regioni italiane, l’educazione avrebbe portato a livelli di vita migliori. Cattaneo diceva che la federazione si poteva allargare all’Europa ed era contro il nazionalismo, voleva che il potere fosse il più decentrato possibile e che arrivasse nelle mani del popolo, reso più istruito.
A volte pare che le cose più semplici e ovvie sino le più difficili da attuare, ma non bisogna ignorare le resistenze di conservatori e parassiti del vecchio sistema; il pensiero di Cattaneo è pervaso dal federalismo intelligente, alla fine però egli fu bollato come utopista. In Svizzera il canton Grigioni ha provveduto a cantonalizzare le risorse idroelettriche, perché il federalismo dovrebbe avere anche una valenza economica e non solo amministrativa; anche per chi confida nello statalismo; dovrebbero essere statali solo enti e aziende a rilevanza statale, le altre andrebbero regionalizzate e cantonalizzate, ai montanari dovrebbero andare i proventi delle montagne.
Invece accade che alle città vadano gli utili delle aziende idroelettriche, mentre nulla rimane alle valli alpine dove si produce quella ricchezza, inoltre in città si lavorano minerali e legnami prodotti nelle valli. Dai tempi antichi, i borghesi di città hanno sempre sfruttato la campagna, perciò ci furono rivolte contadine contro le città, in Inghilterra a danno dei contadini si privatizzarono e recintarono terre comuni; in Italia, dopo l’unità, i liberali fecero altrettanto, privatizzando terre comuni del sud, prima utilizzate dai contadini per il pascolo e il legnatico, per conseguenza ci furono rivolte.
I canoni per la concessione delle acque pubbliche dovrebbero andare ai comuni alpini e non allo stato, le concessioni minerarie dovrebbero dipendere dai cantoni e dai comuni. Ciò sarebbe solidale, come sbandierano alcuni questo termine. In montagna la vita è più difficile, soprattutto se manca il turismo, l’agricoltura è più difficile perché è impossibile impiegare le macchine, la terra è scarsamente produttiva, quella utilizzata a pascolo dovrebbe avere un trattamento fiscale di favore, in cambio lo stato potrebbe chiedere ai montanari di tenere puliti i boschi. Oggi la maggiore ricchezza delle valli alpine non è data dall’agricoltura, ma dallo sviluppo dell'industria idroelettrica; la campagna non può essere colonia di sfruttamento.
Gli stati unitari non sono nati nel rispetto del popolo sovrano, dopo l’unità, il Piemonte creò le Buchenwald piemontesi, dei lager dove deportò migliaia di soldati dell’esercito napoletano che non avevano voluto giurare fedeltà ai Savoia. Furono deportati al lazzaretto di Livorno, nei conventi di Cagliari, a Lombardone, a Sovignano, a San Maurizio, alla cittadella di Alessandria e alla fortezza di Finestrelle in Val Chisone, lì furono fatti morire di fame e di freddo, nel disprezzo dei generali piemontesi.
Nella lotta al brigantaggio il Piemonte impiegò 300.000 uomini, comprese le milizie private, come ha fatto Miloshevich in Jugoslavia, i morti italiani, nelle due parti, furono complessivamente 60.000, più che in tutte le guerre risorgimentali. La lotta al brigantaggio era stata anche una lotta di resistenza ai piemontesi da parte di napoletani nazionalisti, se tra loro c’erano anche briganti, ci furono mafiosi anche tra i garibaldini siciliani, alcuni di loro furono compensati dai Savoia con posti in parlamento, ad altri di loro furono intestate piazze e strade d’Italia.
Curitiba è una città brasiliana di 2,5 milioni d’abitanti, nel 1971 ne divenne sindaco Jaime Lerner che realizzò un’isola pedonale, piantò migliaia di piante, creò un sistema di trasporti rivoluzionario, con strade principali riservate agli autobus e rampe particolari che portavano i pedoni ai mezzi pubblici. Così i tempi di percorrenza degli autobus divennero tre volte più veloci e trasportavano tre volte il numero dei passeggeri, i trasporti erano tanto efficienti che nel 1991 un quarto degli automobilisti cittadini aveva rinunciato a possedere un’auto e il 28 % dei possessori d’auto preferiva non usarla in città.
Poi Lerner affrontò la miseria con pasti gratuiti e costruì 14.000 case popolari, ogni nuova casa riceveva in regalo dal sindaco un albero da frutta e uno ornamentale, il comune offriva ai cittadini anche consulenza gratuita per la costruzione di case confortevoli e armoniose. Visti i risultati, le banche non negavano il credito al comune. Il comune, ogni due chili d’immondizia ritirati, ancora oggi rilascia buoni d’acquisto in generi di consumo, così il 96% dell’immondizia è raccolta e riciclata, la città è più pulita, lo smaltimento più economico.
La stessa salute pubblica è migliorata, così la mortalità infantile è un terzo della media nazionale, la città ha diversi ospedali, medicinali gratuiti e assistenza medica diffusa, 24 linee telefoniche sono a disposizione dei cittadini, per informazioni d’ogni tipo. Si forniscono anche informazione sui prezzi migliori dei prodotti base, con lo scopo di fare risparmiare ai più poveri, la città ha biblioteche, teatri, musei e centri culturali, le numerose scuole offrono corsi serali e di formazione professionale.
Poi Lerner ha creato decine di parchi, con laghetti e alberi, così Curitiba è diventata la città più verde del mondo, gli abitanti che hanno un titolo di studio superiore sono l’83% della popolazione, la città non ha il numero dei poveri del resto de Brasile, la vita media arriva a 72 anni, come negli Usa, però con un reddito pro-capite che è il 27% di quello degli Usa. Peccato che la politica e l’informazione ci parlino poco di Curitiba e del suo esempio di buona amministrazione, forse perché ai sudditi non vengano nostalgie e si rassegnino alla cattiva amministrazione e agli sprechi pubblici sui quali tanti campano.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it numicco@tin.it
Nel 1860, l’impresa dei mille di Garibaldi, diretta contro il mezzogiorno borbonico, fu un’azione organizzata dal governo piemontese e dall’Inghilterra, che, in incognito, fornirono soldi, armi e navi; il sud fu conquistato e annesso al Piemonte grazie all’audacia di Garibaldi ed al tradimento comprato di tanti ufficiali napoletani; il governo di Napoli era informato dei preparativi ed il generale Carlo Filangeri, a capo del governo borbonico, prendeva sul serio la minaccia di Garibaldi.
L’Inghilterra era stata ostile verso Ferdinando II di Borbone per lo zolfo siciliano assegnato ai francesi; in Sicilia la flotta napoletana dava fastidio agli inglesi, che vi controllavano traffico di vino, marsala, limoni, velluto e zolfo. Nel 1859 gli inglesi pensavano che l’Italia unita avrebbe potuto bilanciare la Francia e chiedevano per l’Italia liberismo e la fine delle dogane. Perciò i preparativi dell’antipapista Garibaldi raccoglievano molte simpatie a Londra, dove visse in esilio anche Mazzini. Prima dell’impresa dei mille, nel 1844 ci fu una spedizione armata nel regno di Napoli, con i fratelli Bandiera, e nel 1857 un’altra, con Carlo Pisacane, entrambe fallite.
Mazzini spinse per convincere Garibaldi a ritentare l’impresa, però questo, visti i precedenti, era prudente e fece preparativi adeguati, chiese a Cavour appoggi in Sicilia, denaro ed armi. Nel 1859 Mazzini mandò sull’isola due fedelissimi, i siciliani Rosolino Pilo e Francesco Crispi, cercava di accelerare i tempi. Al contrario di Mazzini, Garibaldi era in buoni rapporti con Vittorio Emanuele II che, prima di convertirsi all’unità, aveva represso i moti mazziniani; a Londra Mazzini, anche se repubblicano, raccoglieva fondi per l’Italia nelle logge massoniche, sostenuto dal deputato Lord Gladstone e dal governo di Lord Palmerston. Con la mediazione dell’Inghilterra, anche i Savoia si decisero a servirsi di Mazzini.
Le simpatie inglesi per Garibaldi e per la causa italiana, sponsorizzata dai circoli liberali vicini a Lord Palmerston, erano alimentate dall’antipapismo inglese; a Londra era nata l’associazione Amici dell’Italia, Mazzini n’era l’animatore, d’accordo con il governo inglese, vi raccoglieva denaro per la spedizione in Sicilia. Per Garibaldi a Malta furono creati depositi d’armi, vicino Genova si confezionavano bombe per lui, in Sicilia il siciliano Rosalino Pilo, d’accordo con Cavour, preparava il terreno e si rivolse ai baroni latifondisti, contigui alla mafia, i quali controllavano piccole milizie personali. Francesco Crispi comunicava a Garibaldi che l’isola era vicina alla rivolta.
Inglesi, americani, italiani, l’Ansaldo e la Società Nazionale di La Farina, una società segreta che faceva cospirazioni, fornirono armi; nacque un Fondo per Garibaldi creato da Mazzini; i quotidiani londinesi promuovevano sottoscrizioni ed il governo di Londra non frapponeva ostacoli. Dopo lo sbarco a Marsala dei mille, arrivarono anche 800 volontari inglesi, per tutti erano pronte le camicie rosse, adottate da Garibaldi in Sudamerica, il rosso serviva a nascondere il sangue.
Il siciliano Risalino Pilo, sbarcato a Messina, aveva ricevuto dalla loggia massonica “Trionfo Ligure” un cospicuo finanziamento, la loggia massonica di Nino Bixio gli fece avere un altro finanziamento, a cui si aggiunsero soldi di altre logge. I siciliani Pilo e Corrao organizzarono delle rivolte in Sicilia con armi arrivate da Malta, chi, tra i siciliani, si faceva reclutare, era pagato; la compagnia armatoriale Rubattino di Genova fornì a Garibaldi due piroscafi per la Sicilia.
La Società Nazionale di La Farina aveva due milioni franchi oro per corrompere funzionari e ufficiali borbonici, le logge massoniche scozzesi raccoglievano per Garibaldi denaro in Inghilterra, Canada e Stati Uniti. Si finse che i due piroscafi della società Ribattino, che trasportarono i mille, fossero stati presi con la forza, però le navi erano fornite delle mappe del regno di Napoli; Cavour fece anche presidiare i mari da attraversare ed andò a Genova a controllare i preparativi della spedizione.
Il marchese Gaspare Trecchi faceva da tramite tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II, Costantino Nigra tra Cavour e Napoleone III; Nigra comunicò falsamente all’imperatore francese che il governo piemontese non era stato capace di fermare Garibaldi. Le navi inglesi pattugliavano le acque siciliane, ufficialmente per proteggere dall’insurrezione i sudditi e le proprietà britanniche in Sicilia.
L’ammiraglio Persano, al comando di una flotta, e Giuseppe La Farina diedero l’avvio alla spedizione segreta di Garibaldì, però i Borboni di Napoli erano informati, a Torino arrivarono le proteste di Napoli per i preparativi.fatti a Genova. I volontari sbarcati a Marsala furono 1084, poi arrivarono anche cacciatori delle Alpi, volontari inglesi, l’artiglieria ed il genio con 18 operai; vi erano pochi meridionali e degli stranieri. Le navi napoletane, che dovevano intercettare lo sbarco, si mossero con strana inerzia, mentre quelle britanniche erano a Marsala, dove era una colonia inglese interessata al vino; perciò Garibaldi, protetto dagli inglesi, scelse di sbarcare proprio a Marsala, per l’operazione, il console inglese Collins chiese protezione al comando navale inglese di Malta.
In Sicilia occidentale, dove era più sviluppata la mafia, una ricca comunità inglese era interessata al commercio di vino, tessuti, olio, agrumi e zolfo; i velieri inglesi informavano le navi di Garibaldi sulle posizioni delle navi napoletane, pescatori siciliani fecero altrettanto; perciò i due piroscafi di Garibaldi procedettero tranquilli, le navi napoletane non si videro. Da terra non si sparò sulle due navi, ufficialmente per paura di colpire le navi inglesi, lo sbarco fu aiutato dai pescatori di Marsala legati agli inglesi, i quali accolsero a braccia aperte gli sbarcati. Con lo sbarco, fu dichiarata decaduta la dinastia borbonica, a vantaggio di Vittorio Emanuele II, e Garibaldi fu proclamato dittatore provvisorio dell’isola.
Tre giorni dopo lo sbarco, i mille erano diventati 15.000, con l’arruolamento di picciotti siciliani; la Sicilia non voleva essere né italiana, né napoletana, ma voleva l’autonomia, con Garibaldi voleva raggiungere l’autonomia; dal punto di vista economico, l’isola era in mano ai baroni latifondisti. Nei paesi vi erano fratellanze o sette o partiti che dipendevano da un possidente, alcuni contadini facevano le guardie armate nei campi o campieri, poi si trasformarono in gabellotti o esattori o mafiosi per conto dei baroni.
La Sicilia voleva staccarsi dal regno di Napoli, nel 1849 fu repressa la ribellione di Messina ed allora si formarono i protagonisti dell’impresa garibaldina, cioè Francesco Crispi, Rosolino Pilo e Giuseppe La Farina; questi cercarono agganci ed uomini capaci di menare le mani, perciò si accostarono anche alla mafia, avvicinarono baroni e gabellotti. I baroni aiutarono ad arruolare i picciotti ed il barone Sant’Anna di Alcamo incontrò Garibaldi, i primi decreti di Garibaldi prevedevano la distribuzione di alcune terre demaniali ed ecclesiastiche a favore dei combattenti, però i baroni temevano la rivoluzione sociale dei contadini.
In Sicilia Garibaldi fece un’amnistia che portò alla liberazione del carcere di tanti mafiosi. Credendo alle promesse di Garibaldi, i contadini si ribellarono e occuparono le terre siciliane; a luglio del 1860 Nino Bixio, per proteggere gli interesso d’inglesi e latifondisti, fece una repressione, a Bronte i proprietari erano inglesi. Francesco Crispi, ministro degli interni siciliano del governo di Garibaldi, era stato sollecitato dagli inglesi ad intervenire; Bixio decretò lo stato d’assedio, cinque contadini furono condannati a morte e 25 furono condannati all’ergastolo. Francesco II, per salvarsi, emanò la costituzione, indisse le elezioni, concesse un’amnistia, adottò il tricolore con il suo stemma e fece entrare dei liberali al governo. In Sicilia, il conte Nisco di Siracusa tramava a vantaggio del Piemonte; il generale Alessandro Nunziante diede le dimissioni, passò ai piemontesi e riparò all’estero, era in contatto con Cavour e Persano.
A Calatafimi, il generale Francesco Landi tradì, per la sua ritirata, i garibaldini gli avevano promesso 14.000 ducati, il generale Ferdinando Lanza tradì e fu il primo ad incontrare Garibaldi in Sicilia; il generale Giuseppe Letizia aveva migliaia di soldati a Palermo, però firmò lo stesso la capitolazione e poi entrò nell’esercito piemontese; anche il generale Camillo Bonaparte, di stanza a Palermo, fu riciclato tra i vincitori. In Sicilia, il generale Francesco Bonanno perse una brigata e ottenne una pensione dal governo italiano; il maresciallo Flores, comandante in capo in Puglia, trattò la resa con Garibaldi e poi chiese di entrare nell’esercito italiano.
Il 15.8.1860 Cavour, d’accordo con l’ammiraglio piemontese Persano, finanziò un colpo di stato a Napoli, prima che arrivasse Garibaldi; tra i ministri del governo di Francesco II vi era Liborio Romano che, purtroppo, era in contatto con Cavour; Liborio Romano invitò Francesco II a lasciare il regno affermando che dietro Garibaldi c’era il Piemonte e dietro il Piemonte, la Francia e l’Inghilterra. Il ministro della guerra napoletano Salvatore Pianell si trasferì a Torino e passò all’esercito piemontese.
Francesco II, per combattere in posizione strategica, si trasferi a Gaeta, la resistenza napoletana doveva avvenire tra il Volturno ed il Garigliano; Francesco II, con queste truppe, era in grado di fronteggiare Garibaldi, ma non i piemontesi. Con Francesco II erano ancora 45.000 soldati napoletani, più 4000 bavaresi e svizzeri. Nel 1859 si erano ribellate quattro compagnie di soldati svizzeri, sulle tasche dei loro caduti furono trovate lire piemontesi, il generale traditore Nunziante convinse il re a sciogliere quei reggimenti e così ne furono imbarcati 3000.
A Napoli la camorra controllava i rioni popolari e, con l’arrivo di Garibaldi, anche in questa città i camorristi furono legittimati, già amnistiati da Francesco II. Il prefetto napoletano Liborio Romano, in contatto con Cavour e Garibaldi, coinvolse i camorristi nell’ordine pubblico e li fece entrare nella sua polizia costituzionale. Nel luglio del 1860 Liborio divenne ministro degli interni del governo provvisorio di Garibaldi a Napoli, a capo della polizia c’erano quattro uomini della camorra; i camorristi avevano la coccarda tricolore e la guardia nazionale di Liborio era fatta anche di camorristi. Con Garibaldi e camorra a Napoli, crebbe il contrabbando e perdette la dogana, la camorra garantiva la tranquillità e controllava l’esito dei falsi plebisciti.
Cavour aveva spinto Persano anche a corrompere gli ufficiali della flotta napoletana, perciò a Milazzo il cannoneggiamento dal mare delle navi borboniche, passate ai garibaldini, favorì la vittoria di Garibaldi; il mancato blocco marino napoletano favorì gli sbarchi dei garibaldini. Il comandante Marino Caracciolo non ostacolò lo sbarco a Marsala, il napoletano Amilcare Anguissola mise la sua fregata a disposizione di Persano, Giovanni Vacca fece altrettanto. Il capitano Napoleone Scrugni fu l’artefice delle diserzioni in massa nella flotta, Garibaldi lo nominò ministro della marina nel suo governo costituito a Napoli. A Napoli, trenta navi su trentasei abbassarono il tricolore con lo stemma dei Borboni, per adottare il tricolore con lo stemma dei Savoia.
In Calabria il generale Fileno Briganti fu accusato di tradimento dai suoi soldati e ucciso a fucilate; Giuseppe Caldarelli, capitolò a Cosenza, fu minacciato dai soldati e chiese la protezione ai garibaldini, poi passò alle camicie rosse; Giuseppe Ghio chiese protezione a Garibaldi dai suoi soldati, poi si presentò a Napoli in uniforme piemontese. Sedici alti ufficiali erano responsabili dei tracolli in Sicilia, Calabria e Puglia, parte per tradimento, parte per avidità e calcolo, perché volevano conservare i loro privilegi con i Savoia; tre furono degradati dai borboni, altri si rifugiarono presso i piemontesi, una parte entrò nei ranghi del loro esercito.
Il 12.10.1860 le truppe di Vittorio Emanuele II, senza dichiarazione di guerra, passarono il Tronto, così penetrarono nel napoletano 39.000 piemontesi, a cui poi si aggiunsero 25.000 garibaldini, avevano contro 50.000 napoletani; dopo la feroce battaglia al Volturno, per l’assedio di Capua, i garibaldini passarono la mano ai piemontesi. I napoletani furono sconfitti al Volturno e al Garigliano, mentre le navi napoletane passate al Piemonte sostenevano, con i bombardamenti, l’esercito piemontese e garibaldino.
Resistevano le fortezze di Gaeta, Capua, Messina e Civitella del Tronto; Gaeta fu sotto assedio dall’11.11.1860 al 14.2.1861, la regina Maria Sofia animava la resistenza. L’artiglieria piemontese bombardò Gaeta e Capua, morirono tanti civili; a Gaeta comandava l’assedio il generale Enrico Cialdini, sprezzante verso i napoletani. La flotta francese all’inizio aveva impedito alle navi piemontesi di intervenire nel golfo, poi si ritirò, Napoleone III aveva deciso di far cadere il regno di Napoli.
A Gaeta le bombe colpirono ospedale e chiesa e Cialdini si rifiutò di sospendere il fuoco, le vittime furono gettate in una fossa comune, perirono 895 militari e 100 civili, Gaeta fu ridotta ad un cumulo di macerie; per impedire la diffusione di tifo, centinaia di cadaveri furono coperti di calce, l’economia gaetana fu messa in ginocchio, furono devastati 300 frantoi e la flotta peschereccia, in un trentennio partirono dalla città 10.000 emigranti. Nelle votazioni per il plebiscito, i seggi erano controllati dai camorristi con la coccarda tricolore, da garibaldini e piemontesi; votarono ungheresi e inglesi, ma non i militari borbonici, votarono solo il 19% degli aventi diritto; in Sicilia ci fu compravendita di schede, a Caltanissetta fu impedita la propaganda per il no. Alla fine, nel napoletano si ebbero 1.302.064 si e 10.302 no, in Sicilia 432.053 si e 709 no.
I latifondisti temevano garibaldini e contadini e perciò chiedevano l’annessione accelerata al Piemonte ed un governo di garanzia. Chi era contro l’unità era considerato fuorilegge; Francesco II sperava nell’aiuto di Austria e Francia e, quando abbandonò Napoli, creò un consiglio di reggenza sperando di tornare dall’esilio di Roma. Tutti i civili napoletani in armi erano considerati briganti e fucilati, giudicati da tribunali militari e con il codice penale di guerra; da Gaeta, Francesco II aveva autorizzato la creazione di milizie mobili, guidate da suoi ufficiali, che dovevano spingere la popolazione alla ribellione. A Tagliacozzo, in Abruzzo, queste milizie distrussero una colonna piemontese di 400 uomini, bande di volontari borbonici e milizie di ex soldati fecero sollevare Isernia; si sollevarono migliaia di contadini, appoggiati dai comitati borbonici di Roma e Marsiglia.
Francesco II e Maria Sofia erano partiti senza denaro e preziosi, lasciarono anche i loro depositi al Banco di Napoli, con l’arrivo dei garibaldini, tutto scomparve; il patrimonio dei Borboni fu confiscato e Garibaldi impose ai banchieri di versargli il denaro depositato, pena la fucilazione. Cavour fece raccogliere informazioni sulla gestione economica garibaldina, si denunciarono furti, sperperi e spese non giustificate. Il colonnello ungherese Fidel Kupa denunciò che tra i garibaldini c’erano profittatori che non avevano mai combattuto, percepivano la paga e si vendevano i cappotti e le coperte in dotazione all’esercito, alcuni di loro riscuotevano la paga più di una volta. I garibaldini praticarono anche la compravendita degli impieghi e alimentavano le clientele, mentre i camorristi mantenevano l’ordine pubblico.
Si concesse una pensione ai collaborazionisti del Piemonte e ai napoletani rifugiati in Piemonte, l’Italia iniziava con favoritismi, clientele, opportunismi e ruberie; furono assegnate pensioni alle donne dei camorristi e le cose non cambiarono quando si passò dalla dittatura di Garibaldi al governo luogotenenziale piemontese. Cavour si lamentava per i tanti benefici e gli uffici assegnati a quelli che avevano passato di campo.
Intanto, nel meridione cresceva la ribellione armata, i militari presi con gli insorti, non erano considerati prigionieri di guerra ed erano fucilati. Dopo la battaglia del Volturno e la caduta di Capua, i prigionieri napoletani furono 12.000, trasferiti ai campi di prigionia al nord, con l’invito a passare all’esercito piemontese, però la maggioranza di loro rifiutò. Gli ufficiali borbonici potevano chiedere la pensione, il congedo oppure entrare nell’esercito italiano, previo giuramento ed esame del curriculum, da parte di una commissione militare; però il direttore di polizia, Silvio Spaventa, fece arrestare decine d’ufficiali borbonici come sospetti.
Per Farini solo 300 ufficiali borbonici meritavano di essere inseriti nell’esercito, Cavour riservava disprezzo ai soldati borbonici ed ai deputati meridionali del parlamento nazionale; alla fine, nell’esercito italiano furono ammessi 2.311 ufficiali borbonici, mentre i soldati furono rispediti a casa. Ai campi di prigionia al nord, allestiti per i napoletani, si arrivava in nave, in treno e a piedi; per costringere questi soldati a cambiare livrea, erano tenuti affamati ed al freddo; ciò malgrado, solo una minima parte di loro entrò nell’esercito piemontese. Negli anni immediatamente successivi, tanti napoletani non risposero alla leva militare obbligatoria piemontese e divennero sbandati e briganti.
Tra il 1860 e il 1861 nei campi di prigionia arrivarono 21.000 persone; mentre i primi campi di prigionia avevano carattere temporaneo, i campi di rieducazione divennero permanenti, era liberato solo chi si arruolava, la fortezza peggiore che ospitava questi sventurati era Finestrelle. Su quattro contingenti alla chiamata risposero in 5400 tra 20.000, i renitenti alla leva erano imprigionati e si fecero rastrellamenti per trovare giovani che si erano sottratti al servizio militare, alcuni di loro furono messi in prigione senza processo.
La fortezza di Finestrelle, carcere militare, fu luogo di pena di soldati pontifici e borbonici, ospitò 1.000 prigionieri mentre San Maurizio Canadese ne ospitò 6.000, vi esplosero rivolte domate dai bersaglieri; il freddo, la mancanza di cibo e d’igiene costrinsero alcuni ad accettare l’arruolamento ma poi disertarono. A Finestrelle la vita media era di tre mesi, i morti erano gettati nella calce viva; complessivamente, 80.000 meridionali si rifiutarono di servire la bandiera italiana, a volte si rifugiavano nello stato pontificio o facevano i briganti.
Per Garibaldi avevano combattuto 24.000 uomini, con la vittoria si raddoppiarono di numero, com’è accaduto con la resistenza, il miracolo avvenne quando si cominciò a parlare di pensioni. I latifondisti chiedevano sicurezza ai piemontesi, i liberali temevano garibaldini e repubblicani. Poi si concesse anche ai garibaldini di entrare nell’esercito piemontese, con una pensione, previo esame di una commissione militare. Un ufficiale garibaldino, che non aveva mai combattuto, si appropriò di cavalli, viveri e preziosi; c’erano falsi combattenti volontari desiderosi di mangiare a sbafo.
Non esistevano elenchi di volontari, alla commissione di scrutinio per l’arruolamento del generale Fanti, pervenivano raccomandazioni di Liborio Romano, Silvio Spaventa, Pasquale Mancini. Cavour sosteneva la legione ungherese, che lo aiutava nella repressione del brigantaggio e lo doveva aiutare a fomentare una rivoluzione in Ungheria, per mezzo di Kossuth, per impossessarsi del Veneto. Il generale Cialdini sminuì l’importanza dei volontari garibaldini, salvati dall’esercito piemontese quanto i borbonici si stavano riorganizzando; nel 1862 il governo presieduto da Urbano Rattazzi sciolse il corpo dei volontari e inserì nell’esercito regolare 1584 ufficiali garibaldini, previo esame della commissione scrutatrice.
Il Piemonte estese il suo sistema di tassazione al sud, che aveva solo cinque imposte, invece il Piemonte ne aveva 22, perciò tante furono le proteste nel napoletano. I governi luogotenenziali ricorsero al clientelismo ed al favoritismo, Napoli viveva la crisi dell’ex capitale, perciò ci furono licenziamenti nell’amministrazione, alla zecca, all’arsenale, ai cantieri navali, allo stabilimento ferroviario; aumentavano le tasse e diminuivano le commesse, con i licenziamenti, vennero i tumulti e le repressioni; le aziende che vivevano di commesse pubbliche erano tutte in crisi.
Aboliti i dazi, il mercato libero condannò l’industria meridionale senza commesse, nel 1865 fu introdotta l’imposta di ricchezza mobile, furono vendute le terre demaniali del mezzogiorno e, fino al 1898, gli investimenti pubblici furono maggiori al nord che al sud. Dal 1865 la capitale fu trasferita a Firenze ed il Banco di Napoli poté aprire filiali al nord, fu però favorito il trasferimento di capitali al nord e non il contrario, perciò diminuirono le riserve auree del Banco di Napoli e aumentarono quelle della Banca Nazionale del Piemonte. Nel 1898, quando nacque la Banca d’Italia, che sostituì i vecchi istituti d’emissione, il Mezzogiorno ricevette 20.000 azioni, il centro-nord 280.000.
Le prime rivolte dei briganti avvennero in Abruzzo, i borbonici sconfissero a più riprese i garibaldini, mentre i latifondisti arruolavano personale per le camicie rosse, che doveva combattere i contadini. Ad Isernia e Pettorano furono trucidati decine di garibaldini, ad Ariano Irpino, provincia d’Avellino, a causa degli usi civici, furono trucidati 140 liberali; c’era in ballo lo sfruttamento di terre comuni da pascolo e di terre demaniali; i proprietari terrieri avevano messo gli occhi su quelle terre e sulle proprietà ecclesiastiche ed avevano i capitali per comprarle.
I cafoni si aggrapparono ai borbonici contro i ricchi galantuomini filo-piemontesi, quindi arrivò la repressione piemontese; nella battaglia di Macerone il generale Cialdini prevalse contro contadini e briganti, il generale Fanti affidò ai tribunali militari la competenza sui briganti; il generale Ferdinando Pinelli arrivò in Abruzzo, su sollecitazione dei latifondisti di Ascolì, per reprimere le sommosse contadine.
Le bande dei ribelli si moltiplicavano nei boschi e nelle montagne, la normalizzazione si ebbe dopo dieci anni, con i cannoni, le rappresaglie, i fucili, le spie e le taglie, i piemontesi distrussero paesi interi; le bande armate crescevano con malcontenti, delusi, sbandati e disoccupati; ad un certo punto si chiese, per pacificare, la fucilazione solo dei capi briganti, ma i comandanti fecero passare tutti i fucilati per capi.
Anche i garibaldini chiedevano assistenza ai piemontesi, alcuni di loro protestarono e furono uccisi dalla polizia, altri passarono ai briganti; a Roma e Marsiglia erano nati comitati borbonici, diretti da ufficiali borbonici anche stranieri, che dirigevano il brigantaggio a mezzo d’ufficiali loro emissari; queste bande arrivarono al numero di 250, alimentavano una guerra civile e sembravano imprendibili, dall’estero arrivarono anche nobili per combattere per i borboni.
In Lucania il capobrigante Carmine Crocco riunì 1.000 uomini, era stato disertore borbonico, garibaldino e poi brigante, i suoi uomini erano in gran parte ex soldati borbonici, innalzava la bandiera delle due Sicilie e inneggiava a re Francesco II; era un guerrigliero che sfuggiva allo scontro aperto, era sostenuto dal clero e da parte della nobiltà locale fedele ai Borboni. Crocco fu tradito da un suo uomo, Giuseppe Caruso, che lo vendette ai piemontese.
I piemontesi, alla ricerca di briganti, distrussero l’abbazia di San Bernardo, erano visti come conquistatori, alcuni loro ufficiali parlavano francese e si servivano d’interpreti. Alla frontiera pontificia operava la banda di Luigi Alonzi, detto Chiavone, sergente dell’esercito borbonico, che aveva un’organizzazione militare e tanti stranieri, in tutto 430 uomini, con ufficiali e cannoni; gli ambienti legittimisti europei erano con i borboni, tanti nobili stranieri combatterono come ufficiali per i borboni e furono fucilati dai piemontesi.
A Marsiglia il comitato borbonico era diretto dal generale Clary e tanti francesi si arruolarono nel partito borbonico, così a Barcellona ed a Roma. In Basilicata e Puglia operava il brigante Pasquale Domenico Romano, sergente borbonico, arruolò contadini ed ex soldati, della sua banda facevano parte anche un toscano e due piemontesi; Romano aveva un regolamento ed era appoggiato dai comitati borbonici di Roma e Parigi, voleva congiungersi alle forze di Crocco, nel 1863 fu finito a sciabolate dai piemontesi.
Il brigante Cosimo Giordano operò tra Matese e il Sannio e nel 1888 morì al carcere di Favignana, a Napoli la banda dei fratelli La Gala rapì il direttore del Banco di Napoli e n’ottenne un riscatto; tra le bande non mancavano le donne, i nemici dei briganti erano i piemontesi e i galantuomini, cioè i borghesi liberali. Per risolvere il problema del brigantaggio, nel luglio 1861 il comando delle operazioni passò al generale Cialdini, appoggiato da volontari guidati dai proprietari terrieri, spesso protettori di mafiosi e camorristi, e dalla legione ungherese; dal 1861 al 1863 il governo impiegò circa 100.000 uomini in questa guerra civile, a Teramo chi ospitava briganti era fucilato e chi non collaborava con i piemontesi, cioè non denunciava i briganti, aveva la casa saccheggiata e bruciata.
Si voleva creare il deserto attorno alle bande, furono poste taglie suoi briganti, chi riforniva di viveri i briganti, era fucilato. Furono distrutte case e paesi, non si risparmiarono vecchi, donne e bambini, dall’estate del 1861 i piemontesi saccheggiarono e incendiarono sedici paesi. I galantuomini meridionali si nascondevano dietro i piemontesi, la repressione avveniva con il consenso dei notabili locali.
Però quando ci fu la crisi dell’Aspromonte del 1862, in cui Garibaldi, che voleva prendere Roma, fu ferito dai piemontesi, timorosi delle reazioni francesi, il generale La Marmora proclamò lo stato d’assedio nel mezzogiorno anche contro i garibaldini; con il sollievo dei latifondisti che non li vedevano sempre di buon occhio; ora il nemico sembrava anche Garibaldi. Lo statuto albertino del 1848 era stato calpestato, le fucilazioni erano sommarie e la libertà di stampa era limitata, tra il giugno 1861 e il dicembre 1863 perirono migliaia di briganti e altrettanti furono gli arrestati; le bande di briganti controllavano le vie di comunicazione in Irpinia, Benevento, Salerno, Abruzzo, Molise e Lucania, le fucilazioni avvenivano, senza processo, violando il codice penale e lo statuto. Poi intervenne a loro favore l’amnistia, concessa soprattutto per aiutare Garibaldi.
Nemmeno i briganti scherzavano, requisivano, ricattavano, uccidevano, ce l’avevano con galantuomini, piemontesi e garibaldini; i deputati meridionali chiesero una commissione d’inchiesta sul brigantaggio ed intanto, per tranquillizzare i Savoia, condannavano il governo borbonico. Nel Molise, una banda era diretta da Cosimo Giordano, ex caporale borbonico, uccise liberali e spie piemontesi; alcuni militari piemontesi furono massacrati da donne con le pietre. Allora nessuno affrontò la questione sociale meridionale, i generali piemontesi, che si alternarono al comando delle operazioni, come Cialdini, La Marmora e Pallavicini, dirigevano prefetti, sindaci e giudici. Mentre al nord era applicato lo statuto, al sud vigeva una legislazione speciale di guerra.
La commissione parlamentare si spostò al sud e non sentì i contadini, l’idea fissa era che i briganti erano aizzati dai borbonici, il materiale della commissione fu raccolto il 23.7.1863; questo brigantaggio era alimentato dalla miseria e dalle tasse, perciò la commissione propose strade, ferrovie, istruzione e terre ai contadini; chiese la fine della fucilazione e benefici ai briganti pentiti.
Invece il 15.8.1863 fu introdotta la legge Pica, con il reato di brigantaggio, furono applicati strumenti repressivi su 12.000 persone; tra il 1860 e il 1870 caddero circa 45.000 uomini, più che nelle guerre risorgimentali; anche delle donne furono briganti, il cadavere di Michelina De Cesare fu denudato e mostrato a tutti. I militari preparavano i briganti, vivi o morti, per i fotografi, bisognava rappresentare i briganti come rozzi, arretrati, ignoranti, violenti, brutti, crudeli ed incivili. Il generale Pallavicini vinse la guerra al brigantaggio con tutti i mezzi, anche con la propaganda.
I corpi dei briganti morti erano fotografati con la lingua penzoloni e lo sguardo sbarrato, un trofeo come gli animali cacciati, alcuni di loro avevano segni di sevizie; le foto delle donne dei briganti ottennero molto successo nelle botteghe dei fotografi, erano state seviziate, denudate, percosse, abusate, poste con i seni scoperti. Il brigante Domenico Straface fu ucciso, decapitato e la sua testa fu messa sotto spirito; si consegnavano le teste per la taglia, la lotta era dura perché le bande godevano di consenso popolare.
Alcuni studiosi parlarono di tare ereditarie dei briganti, Cesare Lombroso considerava i meridionali una razza inferiore, perciò i suoi seguaci misuravano i crani dei briganti; Lombroso arrivò in Italia meridionale ed individuò le cause fisiologiche delle devianze dei briganti meridionali, teorizzò il tipo antropologico del brigante; i briganti erano diventati casi clinici e razza inferiore. I tribunali militari, che dovevano giudicare i briganti, arrivarono a dodici, però molti briganti erano fucilati nel luogo di cattura, nonostante lo Statuto; il Piemonte proclamò dieci volte lo stato d’assedio, con uso di fucili e cannoni, nel 1849 a Genova, nel 1852 in Sardegna, nel 1862 in Aspromonte, nel 1866 e nel 1894 in Sicilia, nel 1898 a Napoli, Milano, Firenze e Livorno.
Il generale piemontese Luigi Manabrea paragonava i meridionali agli ottentotti, in Sicilia si unirono i proprietari terrieri, aristocratici e borghesi, contigui alla mafia; a causa di tasse e della leva, nel 1862 fu la rivolta dell’isola; la Sicilia aveva sperato nell’autonomia, per i siciliani, se Napoli era lontana, Torino era lontanissima. In Sicilia erano frequenti sequestri e furti, c’erano faide tra famiglie mafiose e lo stato compiva repressioni, la popolazione detestava il governo italiano. Il brigantaggio siciliano nasceva anche per sfuggire al rastrellamento ed al reclutamento, erano tanti i renitenti; i soldati, per ottenere informazioni sui renitenti, ricorrevano alla tortura, a Licata tagliarono l’acqua ad un paese e presero in ostaggio le famiglie di ricercati, incendiarono anche delle case.
Chi protestava era accusato di simpatie borboniche, i lavori sporchi furono affidati alla legione ungherese, che era alle dipendenze del ministero della guerra; la gente vedeva questi ungheresi come mercenari dei conquistatori. Gli ungheresi chiamavano i cafoni, irochesi, erano violenti, tra loro c’erano anche polacchi e tedeschi, tanti di loro ottennero la medaglia al valore dai Savoia; per stroncare il brigantaggio, bisognava atterrire la popolazione, però si utilizzavano anche spie e taglie.
I metodi repressivi erano appoggiati dai notabili meridionali.
Del brigantaggio meridionale si occupavano anche i giornali stranieri che equiparavano il sud d’Italia al Far West, i briganti erano evirati e le loro donne stuprate; i giornali di Londra scrivevano che l’unità era stata un’impostura, con stampa imbavagliata, repressioni e prigioni piene. In Francia qualcuno paragonò i briganti ai patrioti polacchi, in Spagna si scrisse che in Italia meridionale s’incendiavano paesi e si fucilavano persone che chiedevano l’indipendenza.
I soldati punivano chi accoglieva i briganti, incendiando paesi e fucilando, erano a caccia di simpatizzanti borbonici e briganti, il generale Cialdini ordinò che d’alcuni paesi non rimanesse pietra su pietra; soldati e carabinieri erano stati uccisi dai briganti e si voleva una rapida rappresaglia. Furono bombardati paesi con i mortai, furono fucilati gli abitanti, alcuni furono finiti alla baionetta, le donne erano violentate; i soldati promettevano la vita a chi consegnava gioielli e denaro, ma poi non mantenevano la parola. Si distrussero chiese e si applicò la rappresaglia di guerra, furono risparmiate solo le case delle spie; per decenni, i paesi del Sannio furono bollati come covo di briganti, 21 paesi della zona furono distrutti dalle rappresaglie piemontesi.
Nel 1870 finì il brigantaggio e cominciò l’emigrazione, Francesco Saverio Nitti affermò che la carte del brigantaggio e dell’emigrazione coincidevano; comunque, l’Italia assegnò ai militari impegnati nella repressione 7.391 ricompense. Quando Garibaldi reclutava volontari per le sue imprese, sapeva che sarebbe stato sconfessato dal re solo se la sua impresa fosse fallita, le autorità militari piemontesi non reagirono ai reclutamenti di Garibaldi, perché sapevano che aveva il tacito appoggio del re. I volontari di Garibaldi viaggiavano gratuitamente sui treni, con armi fornite dal re.
A cause della reazione negativa delle grandi potenze, Garibaldi fu poi fermato ad Aspromonte e arrestato, però non fu possibile processarlo, per non far emergere le responsabilità della corona, comunque, potette godere d'una provvidenziale amnistia generale. Quando Mazzini era esule a Londra, ricercato dalla polizia italiana, a causa dei suoi moti repubblicani di Genova, il re lo contattò segretamente, per preparare azioni rivoluzionarie.
Nel 1863 Garibaldi, per protestare contro le leggi marziali in Sicilia, diede le dimissioni da deputato e si recò a Londra; l’anno dopo fu richiamato da Vittorio Emanuele II, per fomentare un’altra rivoluzione in Europa orientale e nei Balcani. Nel 1965 la capitale fu trasferita a Firenze, però a Roma esisteva un comitato rivoluzionario, finanziato dal governo italiano, con il compito di preparare l’insurrezione, un altro comitato del genere operava a Roma.
Vittorio Emanuele II, era anticlericale ed era stato scomunicato da Pio IX, preferiva la compagnia dei militari a quella dei civili, curava personalmente la diplomazia; aveva una sua diplomazia segreta e spie all’estero; all’oscuro del governo, era in rapporto con avventurieri e con Garibaldi. Denaro d’agenti piemontesi doveva servire allo scatenamento di una rivoluzione anche a Roma, con l’aiuto di Garibaldi, in modo da dare alle truppe italiane il pretesto per intervenire e ristabilire l’ordine; il capo del governo, Rattazzi, per incarico del re, aveva fatto avere finanziamenti a Garibaldi. La Francia venne a conoscenza del progetto, perciò il governo italiano fece arrestare Garibaldi che fu rispedito nell’isola di Caprera.
Garibaldi non avrebbe percorso molta strada in Sicilia senza l’aiuto di Cavour, baroni e mafiosi, i picciotti garibaldini erano spesso mafiosi e delinquenti comuni, allora la mafia era soprattutto agraria. Garibaldi, con la sua riforma, agraria attaccò la proprietà ecclesiastica ma risparmiò il latifondo dei baroni, perciò ci fu la rivolta dei contadini che volevano la terra. Contro i napoletani, i baroni prima furono con inglesi e piemontesi, poi alimentarono le spinte autonomistiche dell’isola. Con l’unità, vennero le tasse e la costrizione obbligatoria, i renitenti si diedero al brigantaggio ed iniziò così il governo militare dell’isola, che convinse il popolo d’essere ancora sotto una dominazione straniera.
I briganti godevano della protezione dei baroni; l’aristocrazia, cioè i baroni latifondisti, controllava la mafia e questa controllava il brigantaggio. Però baroni e liberali erano anche collegati alla massoneria. La prima loggia massonica italiana fu d’obbedienza inglese e fu fondata in Toscana, l’8.10.1859 nacque a Torino, per volere di Cavour, la massoneria moderna italiana, Garibaldi ne era il Gran Maestro.
A battezzarla con l’antico nome dell’Italia, cioè Ausonia, fu Livio Zambeccari, colonnello garibaldino, cospiratore, principe di rosacroce del rito scozzese, proveniente dall’esilio di Londra. Livio Zambeccari, con i suoi carbonari, voleva fare l’unità con un piccolo esercito di guastatori. A Napoli le logge avevano già imboccato la strada dell’illuminismo e della cospirazione politica. Napoleone Bonaparte aveva fatto suo fratello Giuseppe capo dei massoni dell’Arte Reale, anche i carbonari avevano i simboli dell’Arte Reale; la prima loggia di Livio Zambeccari, l’Ausonia, fu la pietra angolare su cui si costruì il Grande Oriente D’Italia, legato ai Savoia.
La massoneria risorgimentale italiana, bisognosa di credito per i suoi progetti, si accostò ai banchieri francesi, soprattutto ai massoni Rothschild e Hambro. Anche la rivoluzione francese del 1789 era stato il prodotto di un’occulta regia massonica, come del resto la rivoluzione americana. L’armatore Raffaele Rubattino, massone iniziato all’Arte Reale, fornì due navi per la spedizione dei mille. Lo stato maggiore dei mille era d’obbedienza massonica, Garibaldi fu eletto primo massone d’Italia, con l’insegna della fenice resuscitata.
Alla carboneria, una filiazione della massoneria, partecipavano anche criminali, essa si era sviluppata in Italia, Francia e Spagna; fu creata da Filippo Buonarrotti, socialista rivoluzionario amico di Robespierre, che voleva la distruzione del dispotismo e praticava l’assassinio politico. Ad essa successero tutte le organizzazioni rivoluzionarie successive d’Europa, la maggior parte dei dirigenti carbonari erano massoni. Alla carboneria si opponeva la setta controrivoluzionaria dei sanfedisti, che assassinava liberali e carbonari e parteggiava per i preti.
Nel 1848 Carlo Alberto, che aveva represso mazziniani e repubblicani nel 1821, nel 1831 e nel 1833, aveva deciso di adottare la causa italiana e aveva dichiarato guerra all’Austria e perciò chiamò Garibaldi. A Napoli era ministro dell’interno il camorrista Liborio Romano, che era capo della camorra e della polizia segreta. Cavour, per mezzo dei generali Farini e Cialdini, cercava di convincere Napoleone III che l’unico modo per impedire a Garibaldi di attaccare Roma, era di mandare l’esercito italiano ad invadere il napoletano. I due generali assicurarono che le truppe italiane non sarebbero entrate a Roma, Napoleone III diede il suo assenso. Conquistato il mezzogiorno, il re nominò Garibaldi generale dell’esercito sardo, questo chiese di essere nominato governatore del regno di Napoli, ma il re rifiutò, preferendogli Farini, che avrebbe causato molti lutti al sud, con le sue repressioni.
Diari e memorie sul risorgimento sono stati manipolati, avvenne per i diari di Gioberti, Cavour, Crispi e Salandra. Il Ministro Ferdinando Martini, dopo la prima guerra mondiale, conosceva la capacità dei governi di inventare una loro versione della storia. Alla fine del secolo scorso, la pubblicazione di un diario di Domenico Farini, presidente del consiglio, fu bloccata da parte del re.
Giolitti respinse la richiesta di aprire gli archivi di stato o quello che ne rimaneva dal 1815 in poi e nel 1912 disse in Parlamento che altrimenti ne sarebbe derivato un considerevole danno allo stato. Lo scopo degli storici del risorgimento era di dimostrare che gli italiani erano stati a favore dell’unità stessa. Lo storico Nicomede Bianchi in privato affermava che, in realtà, il compito assegnatogli era di fare propaganda politica a vantaggio della monarchia. Nel 1858 Felice Orsini fece un attentato a Napoleone III e fu ghigliottinato, era un terrorista al servizio dei servizi segreti piemontesi, la sua vedova ricevette una pensione dal Piemonte.
Probabilmente, visti i processi nazionali, non era sbagliato desiderare l’unità d’Italia, però la si fece in modo di non sviluppare le virtù a lo spirito patriottico tra gli italiani. Alla morte di Cavour, i suoi documenti vennero in parte distrutti, in parte requisiti dal re, Alessandro Luzio arrivò ad affermare che i documenti ufficiali erano un cumulo d’inesattezze, con occultamento della verità. Il funzionario della pubblica istruzione, Castelli, fece prestare agli storici universitari un giuramento di fedeltà al regime, con velate minacce di censura, procedimenti giudiziari e intralci alla carriera. I documenti di Cavour furono censurati nella parte che in cui si dimostrava che egli aveva finanziato i movimenti insurrezionali europei. Nel 1910 Luigi Bollea chiese il permesso di accedere ai documenti ufficiali per una storia del Risorgimento, fu impedito dal governo con minacce di procedimenti giudiziari.
Alessandro Luzio, sotto il fascismo, fu incaricato dal governo di guidare una commissione per curare una nuova edizione delle lettere di Cavour; però rifiutò l’autorizzazione a studiosi che volevano consultare alcuni documenti sotto la sua custodia, rifiutò l’autorizzazione anche ad Adolfo Amodeo, valente storico, il quale alla fine sentenziò che le migliori storie del Risorgimento erano state scritte da stranieri.
Gli archivi di casa Savoia furono donati allo stato italiano dopo essere stati in parte distrutti, i Savoia ricevevano copia dei documenti importanti dei ministri e arrivarono a confiscare i documenti di Cavour, perciò erano a conoscenza di tutti i fatti. Il re, secondo lo statuto albertino del 1848, non era responsabile delle azioni del governo, però lo ispirava e lo dirigeva. I briganti uccisi in combattimento e fucilati furono oltre diecimila ed i militari caduti furono più che nelle guerre risorgimentali, una vera guerra civile; la lotta brigantaggio, in rapporto con la popolazione relativa dell’epoca e del mezzogiorno, fece più morti della resistenza
Il governo borbonico e quello pontificio avevano armato e incoraggiato il banditismo, per contrastare gli invasori piemontesi; in precedenza, a Roma, le fazioni politiche in lotta si erano appoggiate anche a briganti. L’alta aristocrazia, nella sua storia, ha sempre ospitato e si è servita sempre di banditi. Molti sacerdoti benedicevano le armi dei briganti, i briganti erano spesso persone devote e la popolazione considerava i briganti eroi coraggiosi che lottavano contro i soprusi dello stato, che imponeva tasse, leva e privatizzava le terre demaniali comuni, utilizzate per il pascolo e per il legnatico.
Il brigantaggio fu stroncato senza risolvere quello della criminalità e della povertà al sud, così cominciò l’emigrazione degli italiani, in media mezzo milione di persone l’anno, dall’unità al 1913.
I Savoia vollero l’Italia senza consenso e centralizzata, per combattere le forse autonomistiche; invece in Germania si ricercò il consenso, perciò preferì prima l’unione doganale e poi la confederazione. Però per una confederazione italiana si erano espressi Napoleone III e Gioberti, mentre Cavour all’inizio voleva solo l’unione dell’Alta Italia.
In Italia si preferisce adattare la storia al presente, a causa della propaganda, non si sono fatti film dalla parte dei napoletani, mentre in Usa si sono fatti film dalla parte degli indiani e degli stati confederati del sud, i quali oggi hanno anche dei musei che ricordano la loro guerra secessionista.
Marx ha effermato che Garibaldi fu strumentalizzato dai Savoia, Bakunin che Garibaldi era pericoloso per il popolo; Garibaldi aveva ideali di libertà ed era attratto dall’avventura, oggi è esaltato da destra e sinistra.
Garibaldi è celebrato da liberali, repubblicani, socialisti, fascisti e comunisti, in Italia, Francia e America Latina; era ammirato anche da Mussolini, che si ispirò all’autoritarismo di Crispi, ai manganellatori di Giolitti, che operavano presso i seggi elettorali del sud, e all’evventurismo di Garibaldi e D’Annunzio, che fece la sua prima marcia su Fiume. Garibaldi, prima del fascismo, parlò di fascio, si faceva chiamare duce ed aveva adottato il saluto romano.
Bibliografia:
- Controstoria dell’Unità d’Italia – di Gigi di Fiore - Rizzoli Editore,
- I Savoia – di Denis Mack Smith – Rizzoli Editore,
- Storia della mafia – di Giuseppe Carlo Marino – Newton Editore,
- La massoneria in Italia – di Enrico Nassi – Newton Editore,
- Italia, nascita di una nazione – di Mario Schettini – Newton Editore,
- Storia dell’Italia dal risorgimento ai giorni nostri – di Sergio Romano – Longanesi Editore,
- Garibaldi – di Jasper Ridley – Laterza Editore,
- La Storia manipolata – di Mack Smith – Laterza Editore,
- Gli italiani sotto la chiesa - di Giordano Bruno Guerri – Mondadori Editore.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it numicco@tin.it
Quasi tutta la storia d’occidente è stata censurata dallo Stato e dalla Chiesa; i partiti fanno i censori quando s’impossessano dello Stato. Numerosi documenti della Chiesa sono dei falsi confezionati per esigenze di potere, dottrinarie, ideologiche, politiche ed economiche; i miracoli, grazie alla mediazione dello Stato confessionale, hanno trovato posto anche sui libri di storia. Nel 1557 nacque l’indice dei libri proibiti, però la censura era esistita anche prima.
In epoca liberale e democratica è stata censurate la posta dei militari, dei detenuti e delle suore in convento; Mussolini, per formare l’opinione pubblica, impose la censura ed il controllo sulla stampa; i direttori dei giornali furono minacciati, notizie e commenti uscivano dall’ufficio stampa di Mussolini, il quale varò l’attuale legge sulla stampa, con la figura del direttore responsabile. Anche i Savoia avevano praticato la censura, minacciando giornalisti, scrittori e docenti; ancora oggi, nei paesi cosiddetti “democratici”, si esercita la censura, con la quale sono colpiti scrittori revisionisti. I reati d’opinione servono a questo, dimostrano che la libertà d’opinione non esiste effettivamente, malgrado la costituzione.
Durante il secondo conflitto mondiale, i discorsi di De Gaulle furono censurati dalla BBC, oggi il governo inglese, poiché vende armi all’Arabia Saudita, ha censurato un programma televisivo che critica quel paese; nelle redazioni dei giornali, i giornalisti d’influenza, servono la propaganda, a favore dello Stato, di paesi stranieri, di partiti e di potentati economici, facendo della disinformazione.
Sulla sanità pubblica e privata esiste censura e disinformazione, essa serve soprattutto per tutelare gli interessi delle società farmaceutiche, dei fornitori d’apparecchiature medicali e degli operatori del settore; la salute del cittadino, che dovrebbe essere prioritaria, viene molto dopo. L’informazione finanziaria, fatta da giornali e televisione, favorisce la speculazione di borsa da parte delle banche, a danno dei piccoli risparmiatori.
In America ed Europa il monopolio postale nacque per esercitare la censura postale e per fare dello spionaggio postale; poi sono nate, in era democratica, le intercettazioni telefoniche ed il satellite spia Echelon; con questi mezzi, in Italia sono stati schedati tutti i cittadini, la privacy è una beffa. A fianco della censura, si è inventata una politica positiva, cioè la propaganda, ideata per prima dalla Chiesa, con lo scopo di manipolare le convinzioni comuni, abusare della credulità popolare e far argine al potere.
Nelle televisione italiana la censura è diretta da monsignori, i preti rilasciano attestazioni di buona condotta, i carabinieri assumono informazioni in parrocchia; la Chiesa assegna i posti più importanti dello Stato, dei giornali e delle banche ad uomini ligi alle sue direttive. Oggi i preti, diversamente dal passato, hanno imparato a governare attraverso i laici, cioè per interposta persona, così sfuggono all’impopolarità che colpisce fatalmente la classe politica, della quale periodicamente si chiede il ricambio; screditata perché costretta, in cambio di privilegi, a fare politiche antipopolari, ma favorevoli all’oligarchia.
La Chiesa, attraverso i secoli, ha praticato la censura sulla stampa ed il rogo dei libri, ha distrutto biblioteche e diversi vangeli originali, da essa considerati eretici; ha falsificato libri e documenti per rafforzare la sua dottrina, cioè il suo potere; ancora oggi, nella biblioteca Vaticana sono custoditi documenti segreti inaccessibili agli studiosi. Con la censura, la falsificazione, la propaganda e la repressione, la storia è stata trasformata in un mucchio di caotiche vicende belliche, senza capo né coda, senza senso e con finalità oscure; La storia è un immenso elenco caotico d’eventi, eppure Cicerone aveva detto che la storia è maestra di vita, Vico ha detto che la storia si ripete. Gli storici di partito hanno piegato la storia all’interesse dello Stato, ciò che conta è non raccontare la verità al popolo, che deve continuare a dormire, a lavorare, a combattere ed a pagare le tasse.
Nel dopoguerra Togliatti recuperò le lettere e gli scritti dal carcere di Gramsci e li fece pubblicare con censure ed alterazioni, omettendo 23 lettere, che andavano dal 1930 al 1933; alcune lettere furono censurate da capo a fondo ed altre scomparvero. Togliatti affermò che i quaderni di Gramsci potevano essere utilizzati solo dopo un’accurata elaborazione, altrimenti avrebbero fatto danni al partito. Nel 1997 Aldo Natoli, ex comunista, radiato dal Pci per aver condannato l’invasione della Cecoslovacchia del 1968, curò una nuova edizione delle lettere di Gramsci ed affermò che Togliatti, per motivi politici, manipolò gli scritti di Gramsci, che aveva espresso riserve sull’Unione Sovietica e sullo stalinismo.
Lo Stato ragiona alla stessa maniera, perciò in Italia si è riscritta la storia del risorgimento e della resistenza, in cambio, gli storici di corte hanno avuto cattedre e carriera; recentemente, non si sono fornite notizie particolareggiate sulle banche e sulla banca centrale, per non recare turbative al mercato finanziario; insomma la menzogna e le omissioni possono essere utili alla governabilità. La scienza fu censurata, perché fisica, matematica, astronomia e medicina andavano contro le sacre scritture; la censura è stata applicata nelle scuole e nelle università, dove gli stessi insegnanti, per lavorare e fare carriera, dovevano autocensurarsi; nemmeno la scuola pubblica è stata libera e laica.
Raramente i governi hanno potuto fare a meno della censura, perciò hanno inventato il segreto di stato, il segreto d’ufficio ed il segreto militare, una forma d’omertà statale; chiamata eufemisticamente discrezione, che non dovrebbe esistere in una repubblica trasparente: Lo Stato, per combattere libertà di stampa e d’opinione, ha inventato i reati d’opinione, l’albo dei giornalisti e la legge sulla stampa.
A causa della censura e dell’omertà, noi abbiamo saputo qualche cosa sulla vita della Chiesa solo dalle lotte e dalle indiscrezioni che nascono dal suo interno e tra le varie confessioni cristiane. Pio X, nel perseguire il modernismo, si avvaleva dell’opera di Umberto Benigni, il quale riteneva giusto falsificare la storia; condannava gli storici onesti affermando che, per questi, la storia era un modo per vomitare; del resto anche Paolo aveva esaltato il falso a fin di bene, insomma, la buona storia, era la storia fatta di propaganda.
Oggi in occidente la censura e l’autocensura colpisce la letteratura revisionista e controcorrente; soprattutto nel terzo mondo sono colpiti gli scrittori anticonformisti e non alla moda, si mira a custodire una verità ufficiale, espellendo e condannando all’ostracismo gli autori non in linea. Quando finisce una guerra, il conflitto si sposta sul terreno storiografico, i revisionisti tentano di dire la loro, mentre scrittori e storici conformisti, a presidio delle verità ufficiali, ricorrono alla denigrazione degli avversari.
I revisionisti sono accusati di denigrazione del risorgimento, della resistenza e di negare le basi dell’esistenza dello Stato italiano e della repubblica; la verità sembra non interessare a nessuno, anzi va esorcizzata. Non è vero che solo la destra è revisionista, anche se la destra lo deve essere per forza perché è quella che ha perso la guerra; in Francia ed in Italia esiste anche un revisionismo di sinistra.
La storia del risorgimento ha irriso re Franceschiello di Napoli e condannato i napoletani che si opposero all’invasione piemontese, erano per i borboni e facevano la guerriglia contro i piemontesi e furono chiamati briganti; il fine era di magnificare l’opera redentrice dei piemontesi e la loro occupazione del sud, certificata da un falso plebiscito. Il revisionismo fu condannato la prima volta da Lenin, che attaccò il riformismo ed il revisionismo di Bernstein, anche Stalin si accanì contro i revisionisti; gli antirevisionisti ed i conformisti, se sono in buona fede e non mirano ai favori dei potenti, sono solo le vittime del lavaggio del cervello da parte del potere.
Si sa che una potente lobby esercita la sua influenza sui mezzi d’informazione, con la proprietà, con la pubblicità e con i finanziamenti pubblici; con l’informazione, il popolo può essere suggestionato e manipolato, può essere portato a convinzioni sbagliate ed all’autocensura, cioè alla rinuncia volontaria al libero pensiero. Quelli che la pensano allo stesso modo sono uniti, sicuri e felici, perché hanno le stesse certezze; quelli che la pensano diversamente sono ignorati, derisi, banditi dalla vita sociale e culturale; per paura e per istinto d’autoconservazione, la gente vuole essere discreta, abbassa la voce e riduce la polemica, si autocensura e vuole essere alla moda.
Chi non si uniforma e non capisce queste cose elementari, rischia l’isolamento, il lavoro, la carriera, le amicizie, l’uscita dal club o dall’associazione; la storia ufficiale ha voluto imporre un conformismo di massa, la supernormalità e l’uniformità; gli individui politicamente corretti sono nati con la mancanza di ribellione e di critica. Si dice che non bisogna essere razzisti, però non si può nemmeno dire che tutte le culture sono equivalenti, perché noi faticosamente siamo arrivati a certi standard; in altri culture è diffusa la schiavitù, la discriminazione delle donne e delle minoranze religiose.
Sotto il comunismo, nei libri di storia della Germania dell’est non si parlava del patto Hitler-Stalin, ma si diceva che Hitler aveva aggredito la Polonia e poi aveva proseguito verso l’Unione Sovietica, così si scrive la storia di Stato; il patto Hitler-Stalin aveva favorito lo scoppio della seconda guerra mondiale eppure, nemmeno a Norimberga se ne parlò. I revisionisti mettono in dubbio la versione comunemente accettata e propinata della storia e sono guardati con sospetto dagli storici ufficiali; l’Istituto nazionale della storia del movimento di liberazione è finanziato dallo Stato italiano, però, secondo il revisionista Luciano Garibaldi, discendente di Giusepe Garibaldi, studia la storia solo a vantaggio di un partito.
Gli archivi di Stato sono stati censurati; le falsificazioni storiche dello Stato sono successive ad ogni guerra, il vincitore amministra la giustizia e colpisce i perdenti e la storia; i documenti sensibili sono esaminati ed in parte distrutti da esperti, appositamente reclutati dallo Stato. Un’atmosfera ricattatoria impone di essere d’accordo con le opinioni correnti o della maggioranza o degli accademici di successo; eppure, se non ci fosse stato il revisionismo, Stalin, Pol Pot e Mao sarebbero ancora considerati dei santi. Di fronte al tribunale di una storia onesta, non ci sono sentenze passate in giudicato.
Quando si vuol criminalizzare qualcuno, gli si dà del fascista o del razzista, cosicché non ha il coraggio di replicare, è il linciaggio morale e la moderna gogna, è la sorte toccata agli storici revisionisti; invece la vera ricerca storica, visto il comportamento degli Stati, deve essere per forza revisionista, inoltre, la revisione non esclude la possibilità di confermare i dati acquisiti; d’altra parte, c’è anche il rischio di incorrere in errori, in buona fede, da parte dei revisionisti.
Occorre un continuo processo di revisione e aggiustamento della critica storica, ogni studioso ha diritto a fare delle ipotesi perché la verità non è monopolio di nessuno; la storiografia muore con l’acquiescenza ai padroni di turno e con la copertura delle menzogne di Stato ripetute; nelle scienze, come nella storia, non si può porre il fermo alla ricerca, cioè non si può vietare di rivedere. Il controllo dell’informazione fa sì che tutti alla fine la pensano allo stesso modo e che le voci controcorrente non trovino ascolto; ciò accade perché il potere vuole essere al riparo dalle contestazioni di una critica indipendente; questo “democratico” lavaggio del cervello non è diverso dalla brutale censura dei regimi autoritari.
Nei cosiddetti regimi “democratici”, la censura si esercita attraverso il controllo delle case editrici, della stampa e della televisione. Gli editori, con il ricatto, sono indotti a rifiutare opere controcorrente e danno spazio a quelle conformiste; in Italia gli editori anticlericali non possono pubblicare libri scolastici, nemmeno per la scuola pubblica, dove esiste la mano della Chiesa. Lo stesso avviene con le recensioni dei giornali, i grandi giornali le concedono solo ai libri che non danno fastidio a chi conta.
La ricerca storica deve essere libera da ogni vincolo, deve essere garantita la più completa libertà di circolazione alle idee, la cui fondatezza deve risultare dal dibattito e non dai verdetti del tribunale, dal linciaggio morale dei conformisti o dalla censura. Purtroppo, in “democrazia”, l’uso dei mezzi di comunicazione e della scuola sono strumenti per la costruzione del consenso; così l’uomo diventa incapace di sviluppare un pensiero autonomo, critico e originale. Le democrazie ingannano con le capacità persuasive della cultura di massa e con la disinformazione generalizzata, così l’umanità è vittima di stereotipi e concetti alla moda; tutti devono parlare, vestire, mangiare, muoversi e pensare allo stesso modo, ciò rassicura e fa risparmiare le meningi. In particolare, i giovani sono le vittime delle mode culturali.
Se non si è nel circuito giusto, ignorano quello che scrivi, se sei nel circuito giusto, devi stare attento a quello che scrivi se non vuoi esserne escluso; poi, per idee troppo sconvenienti, si finisce anche in tribunale; in Italia esistono ancora i reati di diffamazione, vilipendio e apologia di reato, cioè non vi è consentita una vera libertà di pensiero. La libera circolazione delle idee fa paura a molti, anche le Nazioni Unite volevano imporre un codice di condotta per porre sotto controllo la libertà d’espressione; non tenendo conto che, secondo l’art. 19 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, tutti avevano diritto alla libertà d’opinione e d’espressione. La stessa contraddizione esiste tra legge ordinaria e costituzione italiana.
Se non possono essere ascoltate tutte le tesi, non serve a niente garantire la libertà d’espressione solo alle idee politicamente corrette; la libertà ha significato solo quando la si estende ad opinioni scomode alla maggioranza ed a quelle sbagliate; non devono esistere verità ufficiali e la censura, nemmeno a favore di una giusta causa. Non è facile ricostruire l’evoluzione della conoscenza umana, a causa della censura, tanti libri sono stati distrutti e non sono arrivati fino a noi. Spesso i libri hanno cercato, più che invitare alla riflessione, di sostituire le convinzioni personali, dettate dall’esperienza, con le tesi altrui, cioè, con la propaganda. Perciò Socrate affermava che era ingenuo chi credeva che dagli scritti potesse derivare qualche cosa di chiaro, perché la scrittura, oltre a comunicare ed a ricordare, può servire anche a dissimulare.
La forma scritta appare più chiara che quella orale, tuttavia nemmeno essa ha un significato univoco; illuminante, sotto quest’aspetto, è la contraddittoria interpretazione della legge e delle sacre scritture. Si scrive per informare e per disinformare, esistono libri e servizi giornalistici che nascondono delle informazioni; certe reticenze dipendono dalla paura della censura, dal favoritismo e dalla partigianeria.
A causa della censura, le opere antiche perdute sono maggiori di quelle arrivate fino a noi; furono colpite da incendi le biblioteche di Alessandria, Menfi, Pergamo, Ippona, Cesarea, Costantinopoli, Cordova, Lovanio e Dresda. I nuovi padroni vogliono sempre riscrivere la storia; nel 213 a.c. l’imperatore della Cina ordinò di distruggere tutti i libri, perché voleva essere ricordato come il primo imperatore del celeste impero. La conoscenza umana non è stata uniforme e costante, ma ha avuto improvvise individuali intuizioni, incomprensibili al resto dell’umanità; erano fiaccole isolate destinate ad essere spente dalla Chiesa e dallo Stato.
I rotoli del Mar Morto, scoperti nel 1947, furono collocati in delle grotte per salvarli dai legionari romani; gettavano nuova luce sulla Palestina all’inizio dell’era volgare, dove viveva la comunità dei monaci esseni. Poiché la Chiesa cattolica temeva rivelazioni imbarazzanti, è stata ritardata deliberatamente la pubblicazione dei rotoli scoperti; nel 1953 era stato costituito un gruppo di studio internazionale, fatto di cattolici e protestanti, presieduto dal cattolico antisemita De Vaux; si volle che nessun ebreo o israeliano partecipasse al gruppo di lavoro, anche se tra i libri scoperti c’era il libro ebraico di Isaia al completo.
Alla morte di De Vaux, gli successe l’altro cattolico Benoit perciò; agli inizi degli anni novanta, solo il 20% dei manoscritti era stato pubblicato. Ci fu un ritardo di quaranta anni nella pubblicazione dei rotoli, fu un complotto teso ad occultare o censurare i testi, che potevano fare luci sulle origini del cristianesimo e smentire la dottrina ufficiale; infatti, De Vaux fu accusato di aver nascosto materiale scottante sull’origine del cristianesimo.
Nel 1967 Israele, con la guerra, entrò in possesso di alcuni rotoli, nel 1990 il governo israeliano inserì un ebreo nella direzione del gruppo internazionale che studiava i reperti di Qumran; nel dicembre del 2001 terminò la pubblicazione dei libri, dopo 54 anni dalla scoperta. Ora si attendono altre rivelazioni, anche perché l’interpretazione dei testi è controversa, i rotoli ci sono arrivati in brani ed a brandelli, cioè incompleti.
I rotoli rivelano che la dottrina cristiana, come tutte le religioni, non è nata all’improvviso, ma è frutto d’evoluzione e di teologie e filosofie precedenti; probabilmente, alcuni personaggi del nuovo testamento, come Battista, erano esseni e non cristiani. Diversamente da Gesù, Giovanni Battista è un personaggio storico, citato anche da Giuseppe Flavio, perciò non conobbe mai Gesù e non s’incontrò mai con lui.
A Roma per ovviare alla censura del papa, autori anonimi, al corrente delle cose di curia, avevano scritto, attaccando i papi, con lo pseudonimo di Pasquino; in Francia, prima della rivoluzione, i libri erano soggetti a censura, portavano il privilegio reale, cioè il copyright, con l’approvazione del monarca ed il diritto dell’autore alla riproduzione; era l’imprimatur che rendeva l’opera legale; nemmeno Napoleone I abolì la censura contro il suo regime.
Le opere non autorizzate a volte erano stampate all’estero e fatte arrivare
illegalmente in Francia; esisteva, pertanto, una letteratura clandestina che
riportava quella che poi fu chiamata opinione pubblica. Copie di questi libri
circolavano clandestinamente, con rischio per editori e possessori, i librai
erano autorizzati e controllati; i libri proibiti erano contro il re, contro la
Chiesa e contro il pudore.
Anche i periodici erano soggetti a censura; editori, spedizionieri e importatori
si difendevano dalla censura con titoli che non avevano niente a che fare con il
contenuto. Per chi violava la legge, erano previste la prigione, l’interdizione
dal commercio, la multa, il sequestro dei libri e la galera, cioè si era spediti
a remare; anche la Bastiglia ospitò alcuni di questi condannati. Diversi libri
filosofici erano proibiti e provenivano clandestinamente da Ginevra e
dall’Olanda, Voltaire dirigeva la campagna contro la Chiesa cattolica. Le
condanne e le azioni di repressione della polizia facevano salire il prezzo dei
libri filosofici; fortunatamente i doganieri si facevano corrompere.
Per superare la censura della dogana, si mettevano insieme libri legali e illegali; in codice, sposare un libro, significava infilare le pagine di un libro in un altro libro, l’operazione era resa possibile dal fatto che i libri erano spediti non rilegati. I librai si avvalevano di contrabbandieri e, per coprire il rischio di sequestro, le spedizioni erano assicurate; il che significava che le assicurazioni assicuravano anche gli illeciti.
I libri erotici erano stati pubblicati anche prima, nel cinquecento in Italia da Pietro Aretino e dal Boccaccio, con il Decameron; la letteratura del seicento celebrava l’amore, i libelli anticlericali parlavano di sesso, d’intrighi nei confessionali e d’ipocrisia dei gesuiti, che erano il bersaglio preferito dei giansenisti. Nella letteratura libertina la sodomia andava di pari passo con il gesuitismo.
Gli abati seducevano e copulavano con giovani ragazze ingenue. In questi libri si usava un linguaggio sconcio e la religione vi era presentata come un’astuzia dei preti. Nel libro: “Thérèse philosophique” un abate affermava che le verità anticristiane dovevano rimanere appannaggio di una ristretta élite, perché, se il popolo ne fosse venuto a conoscenza, ne sarebbe stata travolta la proprietà e l’autorità con la rivoluzione (Robert Darnton “Libri proibiti” Mondatori Editore).
Anche se giornalisti e scrittori sono stati spesso comprati, la carta stampata si è dimostrata la più grande forza della storia, perciò si è attentato alla libertà di stampa; si bruciavano libri perché si temeva il loro potere dirompente, come quello delle bombe; la letteratura poteva inoculare veleno nel corpo dello Stato. Per Mercier, autore dell’opera utopica: ”Anno 2440”, la letteratura filosofica poteva rimuovere i tiranni; in un suo romanzo immaginava un ministro della giustizia dire: “Gli scrittori sono gente nociva, non si può commettere la più piccola ingiustizia che subito te la rinfacciano; se cerchiamo di celare il nostro volto dietro una maschera, certi filosofi riescono ugualmente a smascherarti”.
Allora la stampa poteva essere fattore di mutamento storico, l’opinione pubblica sembrava puntare sulla scristianizzazione; i liberi pensatori come Voltaire, Montesquieu e Rousseau facevano scuola, ispiravano la rivoluzione, che fu la proiezione d’idee filosofiche, ma fu anche favorita dal clima di corte e dalla crisi economica del paese. I libri proibiti attestavano la disaffezione verso le istituzioni; i cortigiani raccoglievano le maldicenze sulla corte e gli aristocratici avevano perduto la fede nel regime; tanto è vero che alcuni di loro emigrarono prima della rivoluzione ed altri aderirono alla rivoluzione. Nel settecento la cultura aveva divorziato dal potere, la letteratura scandalistica minacciava il sistema, si dissacrava il re e l’intero sistema politico. Gli autori di libelli erano accusati i lesa maestà e di sedizione; pamphlet calunniosi dicevano che il cardinale Mazzarino si scopava la regina Anna d’Austria.
Nel 1661 Luigi XIV aveva messo la stampa sotto controllo e fece fuggire i libellisti in Olanda dove, dopo l’editto di Nantes del 1685, arrivarono anche gli ugonotti francesi; da allora la produzione dei libelli fu in mano agli esiliati. I libelli si presentavano come manifesti, fogli, canzoni, libri; per Richelieu il potere del principe derivava dalla sua reputazione che ora era minata. I libelli fiorirono tra la fine del cinquecento e l’inizio del seicento, in coincidenza con le guerre di religione; il re era il bersaglio favorito, la religione era sempre di mezzo. Mazzarino portò all’assolutismo di Luigi XIV, a lui si oppose la fronda parlamentare; nel gennaio del 1649 i ribelli cacciarono Mazzarino, la fronda si era accanita contro Mazzarino, accusato di aver saccheggiato le ricchezze della Francia e di aver avuto tresche sessuali con la regina Anna d’Austria.
Contro la monarchia e le imposte e s’invocava la rivoluzione, il partito degli orleanisti cercò di inserirsi nel conflitto e di ottenere l’appoggio della fronda parlamentare; nella lotta per il potere, i grandi hanno sempre usato il popolo. Nel 1685 Luigi XIV aveva addomesticato la nobiltà, tacitati i parlamenti e messo sotto controllo la stampa, le notizie politiche piccanti venivano solo dalla stampa clandestina; il controllo sulla cultura era stato voluto da Richelieu, Mazzarino e Luigi XIV, che rilanciò l’assolutismo.
Sotto Luigi XIV, il racconto: “Les amours de m.me de Maintenon”, narrava di una signora passata da varie mani a quelle del confessore gesuita del re; il gesuita s’infilò nel suo letto e la convinse a partecipare ad un complotto contro il re; i gesuiti erano sempre sospettati di ordire complotti. Erano tante le maldicenze sulla vita sessuale di Luigi XIV, il popolo sapeva che potere, sesso e seduzione andavano assieme; sotto Luigi XV, con la du Barry, ex prostituta divenuta favorita del re, i libelli accusarono la monarchia di essere caduta nel dispotismo e nella degenerazione.
Luigi XIV impose una gerarchia oppressiva e un potere centralizzato, seguendo le indicazioni di Richelieu e Mazzarino; la dissolutezza e la corruzione della monarchia n’eliminava l’aureola di sacralità. I libelli erano strumenti di delegittimazione monarchica, perciò i censori cercarono di correre ai ripari. Se i protestanti favorirono la critica biblica moderna, i libri proibiti scuotevano il giogo dell’obbedienza; perciò i realisti condannavano la moda popolare di impicciarsi negli affari di Stato. Se un libro era proibito, tutti desideravano leggerlo, i cortigiani lo leggevano per aggiornarsi, i magistrati per perseguirlo, i preti per confutarlo; c’era anche chi lo leggeva per il gusto di avere qualche cosa di raro.
La lettura clandestina era presa molto seriamente, perciò la polizia ricercava gli autori dei libelli; tuttavia verso il 1780 i ministri, nella lotta per il potere, sovvenzionavano gli scrittori di libelli, per farsi guerra l’un l’altro, cioè per farsi le scarpe. La diffamazione a mezzo stampa non era arginabile.
I libelli proibiti attiravano molti lettori, erano presi sul serio e minacciavano le fondamenta dello Stato.
Il popolo sapeva che le infatuazioni del re potevano portare del bene e o del male per tutti. La vita sessuale del re era la materia prediletta dei pettegolezzi, si diceva che Luigi XV era incestuoso e adultero; nei caffè si diceva che la corte era corrotta e che la Pompadour gestiva il re, come poi la du Barry, mentre il popolo ne sopportava le spese. Alla metà del settecento il rispetto di cui godeva la monarchia era venuto meno. La denigrazione di Luigi XV contribuì alla caduta del suo successore Luigi XVI; il tema preferito era sempre la decadenza della corte di Versailles, la vita privata de re interessava a tutti; per il popolo, il re non aveva diritto alla privacy.
Luigi XVI era considerato più uno zimbello che un despota, il suo regime non aveva più seguito presso l’opinione pubblica e così perdeva la sua legittimità. In passato, i parigini avevano pensato che tutto ciò che avesse a che fare con la monarchia dovesse essere nobile ed eccellente, però prima della rivoluzione avevano perso rispetto per l’istituzione monarchica. Dopo la rivoluzione francese, anche alla corte di Napoleone I il sesso era condizionante e poteva favorire la carriera e il successo di molti; in Italia, Cavour si servì della grazie della contessa Castiglione per far scendere in guerra Napoleone III, a fianco del Piemonte e contro l’Austria.
I servizi segreti hanno utilizzato come spie delle donne seducenti, come mata Hari, e le hanno messe a fianco di potenti uomini politici per poterli spiare. Per chi è spregiudicato, il sesso può tornare utile per fare carriera e per ascendere nella scala sociale. I concili si occuparono anche di censura, che fu affidata ai monaci e poi ai gesuiti, in questa materia il re era ufficiale di polizia della Chiesa; l’Inquisizione, in Spagna e altrove, fece sentire la sua presenza nella repressione della libertà di stampa.
Per i libri da pubblicare era richiesto l’imprimatur acclesiastico, quelli vietati erano messi all’indice; per difendersi dalla stampa liberale, nel 1535 Francesco I di Francia arrivò a proibire anche la stampa. A Napoli un concordato con la santa sede, stipulato nel 1544, garantiva ai vescovi il diritto di censurare stampa e libri. Nel 1992 il vescovo Claudio Baggio impose ad un giornale clericale di non pubblicare uno scandalo in cui era stato coinvolto un primario dell’ospedale di Lodi; in Italia, anche in tempi recenti, i giornali locali sono stati richiamati dalla curia per aver pubblicato cose sgradite alla Chiesa, nelle commissioni Rai ci sono religiosi che esercitano anche censura.
Furono messi all’indice le opere di Dante, Croce, Gentile, Voltaire, Sarpi, Bruno e Galileo; furono arsi migliaia di libri pregiati della cristianità e degli ebrei, come il Talmud. La Chiesa temeva che la cultura laica, con la diffusione della stampa, avrebbe seminato il dubbio tra i fedeli; si accanì anche contro i romanzi, considerati fonte di corruzione. Tante storie dei papi furono ritirate, tanti giornali furono soppressi perché ostili alla Chiesa.
Bisogna affermare che la Chiesa, in maniera subdola, ha sempre esercitato la manipolazione delle coscienze; per fortuna, anche quando collaborava con lo Stato nella repressione, aveva sempre i suoi critici interni. Dall’unità nazionale e fino al 1922 la stampa anticlericale riprese fiato poi, con l’avvento del fascismo e della repubblica, tornò la repressione; nel 1952 il direttore dell’Avanti fu condannato ad un anno di reclusione per offese al papa, nel 1989 un esponente dell’Arci di Orvieto fu rinviato a giudizio per vilipendio al papa.
Nel 1992 a Perugia furono sequestrati manifestini offensivi verso la religione cattolica, il proselitismo dei testimoni di Geova e degli evangelici è stato ostacolato dai carabinieri; la rappresentazione a Roma della commedia “Il Vicario”, che criticava la politica di Pio XII verso gli ebrei, fu vietata. Queste cose accadevano in epoca costituzionale e repubblicana. Nel 1949 il sant’Uffizio proibì la pubblicazione e la lettura di libri e giornali che contenevano la dottrina del comunismo; la Chiesa aveva condannato il comunismo ma non il nazifascismo e non aveva messo all’indice il libro: ”Mein Kampf” di Hitler.
La Chiesa ha avversato la scienza, al “Dialogo sui massimi sistemi” di Galileo furono fatte dalla censura aggiunte arbitrarie, gli fu cambiato il titolo, gli fu concesso l’imprimatur in ritardo, infine il libro fu definitivamente proibito. L’autore fu accusato di aver scritto in italiano, invece che in latino, dimostrando così di non volersi limitare ad una discussione accademica, riservata ai dotti, ma di voler trascinare nella polemica il popolo ingenuo. L’opera di Galileo rimase inedita e fu pubblicata solo nel 1964, dopo aver subito un’altra correzione da parte dei padri gesuiti.
La Chiesa, con il suo potere, è riuscita anche a piegare gli intelletti, ha messo sotto controllo la ricerca scientifica e ha combattuto tante novità scientifiche, fino ad oggi; i re hanno perseguitato eretici ed ebrei soprattutto per favorire la Chiesa. Alcuni autori, per ripararsi dalle vendette del Sant’Uffizio, scrivevano con uno pseudonimo; così nacquero gli pseudonimi, usati da tutti quelli che si volevano nascondere, come i rivoluzionari, i partigiani ed i primi cristiani.
Nel 1831 l’Avenir, organo dei cattolici liberali francesi, sospese le pubblicazioni per ostilità da parte della Chiesa cattolica tradizionalista. Nel 1925 padre Gemelli, rettore dell’università cattolica, si recò dall’editore Zanichelli per offrire del denaro per ritirare dal commercio il libro: “Lutero e la riforma protestante”; oggi però in Italia gli editori sono più arrendevoli verso la Chiesa, la stampa ha finanziamenti pubblici e lo Stato è controllato dalla Chiesa, autori anticlericali o atei non hanno spazio nella televisione pubblica.
Nel 1993 la Chiesa bloccò la diffusione della traduzione in inglese del catechismo cattolico, perché gli americani vi avevano aggiunto delle considerazioni femministe. Furono ritirati dalla circolazione libri in cui era criticato il celibato dei preti. Nel 1987 il direttore della rivista dei missionari comboniani: “ Nigrizia”, Alex Zanotelli, fu esautorato a causa di un suo articolo contro il traffico d’armi, in cui era implicato il Banco Ambrosiano, controllato dalla Chiesa. Nel 1988 fu esautorato il direttore di una rivista cattolica spagnola, per alcuni articoli d’etica sessuale. Sulla stampa cattolica, giornalisti aperti non hanno avuto mai molto spazio; in Italia anche la stampa laica deve essere prudente, la legge fascista sulla stampa è severa con i direttori dei giornali.
I Savoia ed i governi repubblicani italiani hanno invocato il segreto di Stato su fatti politicamente censurabili, in nessun paese occidentale sono esistiti tanti segreti e misteri di Stato come in Italia. Con la censura si è cercato di influenzare le verità storiche, con il controllo sulla stampa si è impedita la pubblicazione di fatti storici compromettenti; così Cavour e i Savoia diressero gli storici del Risorgimento e ci consegnarono la storia ufficiale del risorgimento italiano.
Il ministro Ferdinando Martini, dopo la prima guerra mondiale, riconosceva la capacità del governo italiano di inventare una sua versione della storia; la pubblicazione di un diario di Domenico Farini, presidente del consiglio alla fine del secolo ‘800, fu bloccata da parte del re, perché non lo si poteva mettere in cattiva luce. Sono stati tanti gli storici del risorgimento e della repubblica che hanno anteposto il falso alla verità, il re era sempre all’erta ed, alla morte di Cavour, i suoi documenti furono in parte distrutti, in parte requisiti dal re. Nel 1910 Luigi Bollea chiese il permesso di accedere ai documenti ufficiali per una storia del Risorgimento, fu impedito dal governo con minacce di procedimenti giudiziari.
Sotto il fascismo Alessandro Luzio fu incaricato dal governo di guidare una commissione per curare una nuova edizione delle lettere di Cavour, egli rifiutò l’autorizzazione a studiosi che volevano, a tale proposito, consultare dei documenti sotto la sua custodia; rifiutò l’autorizzazione anche allo storico Adolfo Omodeo, che perciò alla fine sentenziò che le migliori storie del risorgimento italiano erano state scritte da stranieri (Mack Smith “La Storia manipolata” – Editore Laterza).
Gli archivi di casa Savoia furono donati allo Stato italiano dopo essere stati in parte distrutti, i Savoia ricevevano copia dei documenti importanti dei ministri ed erano a conoscenza di tutti i fatti e li ispiravano, anche se a volte facevano finta di non sapere e si nascondevano dietro l’irresponsabilità. Secondo lo statuto Albertino del 1848, cioè in era costituzionale, il re non era responsabile delle azioni del governo, però nei fatti lo ispirava e lo dirigeva come un vero superpotere anonimo ed irresponsabile.
Le memorie si distruggevano per difendere la reputazione della monarchia, il risorgimento e la repubblica nata dalla resistenza; se si fossero raccontati anche gli orrori commessi di piemontesi, garibaldini e partigiani, si sarebbe messo in pericolo la monarchia, l’unità d’Italia e la repubblica nata dalla resistenza; per la ragion di Stato, la verità va sempre esorcizzata. La stampa deve avere a cuore la sua indipendenza e la proclama in effetti, di fatto è controllata da poteri economici e finanziata da Stato con il fine di condizionarla; è soggetta alla legge fascista sulla stampa ed al codice penale che, con i reati d’opinione, ostacola la circolazione delle idee. Gli stati cosiddetti “democratici” preferiscono questa strada subdola, invece di una censura brutale.
Mussolini censurò anche le lettere di D’Annunzio, diresse gli storici del Risorgimento, come in precedenza avevano fatto Cavour ed i Savoia, fece sì che inchieste pericolose non arrivassero mai in tribunale; i pubblicisti fascisti sapevano che il loro lavoro e la loro carriera dipendeva dalla loro capacità di fare disinformazione e di falsificare i fatti e la storia. Nella storia della Chiesa e dello Stato, la classe dirigente, più che prevenire gli scandali, ha voluto evitare che ne venisse a conoscenza il pubblico.
Giolitti respinse la richiesta di aprire gli archivi di Stato, o quello che ne rimaneva, relativamente al periodo dal 1815 in poi; nel 1912 disse in Parlamento che, diversamente, ne sarebbe derivato un considerevole danno allo Stato; secondo Giolitti, per il buon nome dell’Italia, bisognava coprire anche la corruzione e la doppiezza dei politici. I piemontesi fecero feroci repressioni durante il risorgimento, però le loro azioni furono magnificate per dimostrare che gli italiani erano stati a favore dell’unità d’Italia. In privato, lo storico Nicomede Bianchi affermava che il compito assegnatogli era di fare propaganda politica a vantaggio della monarchia; erano tanti gli storici che anteponevano il falso alla verità.
Lo storico Alessandro Luzio arrivò ad affermare che i documenti ufficiali erano un cumulo d’inesattezze, che avevano lo scopo di occultare la verità; il funzionario della pubblica istruzione Castelli fece prestare giuramento di fedeltà al regime agli storici universitari, minacciandoli di censura, procedimenti giudiziari e d’intralcio alla carriera. Tra il 1883 e il 1887, Luigi Chinala fece delle indiscrezioni su Vittorio Emanuele II e perciò finì in prigione; da notare che allora era vigente la costituzione liberale che tutelava i diritti e affermava che anche il re era sottoposto alla legge e c’era anche chi credeva all’indipendenza della magistratura. In politica Cavour usava corrompere giornalisti e diplomatici stranieri, usava censurare i documenti, come Crispi del resto.
L'Ansa è quasi fonte esclusiva d'ispirazione della carta stampata, di radio e televisione, le quali, per un discutibile servizio reso, le pagano anche un canone d'abbonamento. L’Ansa è la prima a nascondere le notizie, il risultato è che in Italia si leggono poco i quotidiani, perché questi nascondono le notizie per non disturbare il sistema; le polemiche ed i pettegolezzi politici dei giornali e della televisione servono solo a sostenere un partito, non a fare una vera informazione.
Alla RAI è condizionante la presenza della Chiesa, notizie di borsa, diffuse a mezzo stampa o televisione, servono a favorire le speculazioni sul mercato azionario. I giornali sopravvivono anche grazie alla pubblicità, graziosamente concessa loro se sono accomodanti, altrimenti i ricavi da pubblicità sono loro negati; i giornalisti non possono criticare chi finanzia le loro testate, pena il licenziamento.
Il direttore responsabile esplica la sua vigilanza in tal senso, questa figura fu normata dal fascismo che ovviamente, con la legge sulla stampa, voleva un forte controllo sulla stessa; dopo la seconda guerra, il ministro della giustizia Togliatti la conservò e oggi la legge sulla stampa fascista è in gran parte ancora in vigore; ci sarebbe la costituzione a garantire la libertà d’informazione, ma è regolarmente disattesa. La stampa dovrebbe rappresentare una cronaca onesta e obiettiva, non di parte, in modo da favorire la formazione di una storia che non sia una raccolta di fandonie; invece lo Stato e la Chiesa hanno ostacolato l'affermazione della libertà di stampa, censurando e imprigionando giornalisti e scrittori e bruciando libri.
Scrisse Francesco Saverio Nitti che il governo italiano spese notevoli somme per corrompere la stampa francese, con lo scopo di volgere l'opinione pubblica francese a favore dell'intervento italiano in Libia. Alla vigilia della prima guerra mondiale arrivò in Italia tanto denaro dalla Francia e dalla Germania, per comprare la stampa, al fine di far intervenire in guerra l'Italia a fianco di uno o l'altro contendente; anche Mussolini e D’Annunzio beneficiarono di questi contributi.
De Gaulle ha dichiarato che, prima della seconda guerra mondiale, Italia e Germania fecero arrivare fiumi di denaro ai giornali francesi, perché la Francia rimanesse neutrale, in caso di guerra. L'Eni, Il Banco Ambrosiano, la Fiat e De Benedetti hanno comprato e finanziato giornali, anche per condizionare e ricattare la politica e per avere aiuti economici da parte dello Stato. Gelli dichiarò a Craxi che controllava metà della stampa italiana. L'indipendenza della stampa sembra, a volte, solo una dipendenza contrattata, per la forza potenziale di ricatto sul potere esercitata dai giornali. Il ministro degli interni Francesco Crispi scagliò la stampa, da lui controllata, contro il prefetto Antonio Manusardi, che voleva colpire la mafia; Crispi era uomo di mafia, come Vittorio Emanuele Orlando e Finocchiaro Aprile.
In Italia, in virtù dei patti lateranensi e successivi accordi con il Vaticano, la stampa è spesso imbavagliata quando scrive della Chiesa cattolica. Non si capisce perché le diatribe italiane, che hanno toccato la televisione, non abbiano toccato anche la stampa e, in generale, la libertà d'informazione, perché televisione e stampa svolgono lo stesso servizio d'informazione; anche la stampa è controllata da grandi famiglie che, senza partecipare direttamente alla politica, però la condizionano indirettamente. L'albo dei giornalisti nacque sotto il fascismo, per controllare il loro lavoro; in base ad una legge del 1963 nessuno può fare il giornalista o il direttore di un giornale se non è iscritto all'albo professionale; in contrasto con l'articolo 21 della costituzione che afferma che tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero, con la parola e con la stampa.
Invece in Inghilterra non esiste un albo dei giornalisti, ma solo un consiglio di giornalisti e cittadini che raccoglie le denunce dei lettori sugli abusi dei giornali; in Francia per l'esercizio della professione è sufficiente una dichiarazione, in Germania i giornalisti sono formati nelle università.
I liberisti di destra, in omaggio alla libertà d’intrapresa, avrebbero dovuto eliminare le corporazioni professionali, gli antimonopolisti di sinistra avrebbero avuto parimenti ragione di eliminarli, ma non lo ha fatto nessuno dei due partiti; le corporazioni sono ben rappresentate in parlamento.
Con l’aiuto della stampa, gli industriali hanno sollecitato la svalutazione della lira, ufficialmente per acquistare competitività nelle esportazioni, in realtà, anche per speculare sul cambio. Sindona ha affermato che sul cambio della lira hanno speculato anche le banche della Chiesa. L’articolo 11 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea tutela la libertà d’opinione, di stampa ed il pluralismo; tuttavia lo Stato italiano ha voluto regolamentare la libertà di stampa, così l’accesso alla professione di giornalista ed alla stampa sono controllati dallo Stato; perciò pare che in Italia una vera libertà di stampa non esista.
Ora anche per i siti internet si chiede registrazione ed un direttore responsabile, in aperta violazione con la carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; il direttore responsabile non esiste in nessun’altra legislazione europea, nella stampa italiana è l’editore che ha il controllo della testata, mentre il direttore ne ha la responsabilità. Oggi l’informazione telematica è l’unica alternativa alla concentrazione economica dei giornali; anche le leggi sul copyright sono laccioli che impediscono la diffusione della conoscenza e delle notizie; bisogna pensare anche ai poveri che non possono comprare i giornali ed a quelli che non li comprano perché non se ne fidano.
La richiesta di un esame per divenire giornalisti professionisti, serve ad impedire che questa professione possa cadere in mani sbagliate e che nell’ordine entrino persone sleali verso i partiti, lo Stato o la Chiesa o che desiderino informare veramente, senza guardare in faccia nessuno. La legge sulla stampa n. 47 del 2/2/1948 trova qualche cosa di simile all’estero solo in Cina, anche in Cina occorre la registrazione dei siti Web; in Cina ed in Italia, chi fa pubblicazioni senza registrarsi, incorre nel reato di stampa clandestina. In Italia, la stampa clandestina non paga la gabella all’ordine dei giornalisti e non è registrata, vorrebbe vivere solo uniformandosi all’articolo 21 della costituzione.
La legge 62/2001 considera il sito internet un prodotto editoriale che fa informazione; i siti periodici non registrati in tribunale e privi di direttore responsabile, iscritto all’ordine dei giornalisti, commettono reato di stampa clandestina; in compenso, la legge estende alle imprese editoriali on-line registrate i contributi già previsti per le pubblicazioni stampate, che però servono a condizionare. In pratica, chi rinuncia all’indipendenza a favore del controllo statale sull’informazione, riceve una regalia dallo Stato; questa politica è servita a corrompere la stampa, che perciò non può essere considerata libera, inoltre è condizionata dalla pubblicità e dai finanziamenti privati.
Grazie a questa legge, con sentenza del 4/7/2001 del tribunale di Latina, è stato sequestrato un sito internet, per vilipendio della religione cattolica e oltraggio alla figura di padre Pio. Per il tribunale, non si poteva invocare il diritto a manifestare il proprio pensiero; questa sentenza potrebbe costituire un precedente per imbavagliare fonti d’informazione alternative, la responsabilità vede coinvolti in solido autore, editore e direttore del sito. La legge sulla stampa italiana serve ad applicare subdolamente la censura, attentando alla libertà di stampa.
Mentre l’articolo 19 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo tutela il diritto alla libertà d’opinione e d’espressione, al riparo dal potere regolamentare dello Stato e senza riguardo anche delle frontiere, la legge italiana non vuole accettare l’informazione franca di Internet. Ciò implica censurare l’unico spazio di libertà ancora esistente, cioè internet; c’eravamo illusi che lì ciascuno si potesse esprimere liberamente, senza controllo governativo, invece n’è nata la preoccupazione dell’oligarchia per l’abuso di libertà di stampa da parte dei sudditi.
La libertà consiste nell’assenza di coercizione, invece, secondo gli statalisti, questa libertà dei singoli non esiste, perciò dal 5/4/2001 la nuova legge sull’editoria colpisce anche la libertà d’informazione a mezzo internet. Giovanni Paolo II ha affermato che ci vogliono controlli sulla rete, perché una biblioteca senza bibliotecario è un rischio per l’animo umano; per lui Internet va presidiata e l’accumulo d’informazioni su di essa andrebbe gestito da figure responsabili. La Chiesa parla così perché ha sempre avuto il potere ed ha sempre esercitato la censura, oggi essa partecipa all’oligarchia mondialista ed ha il controllo sul governo italiano.
Mussolini era stato socialista, neutralista e contro la coscrizione obbligatoria, lasciò la direzione dell’Avanti e passò a dirigere il Popolo d’Italia, da dove lanciò il suo appello appassionato alla guerra a favore dell’Intesa; la sua mutazione fu favorita dal denaro che gli arrivò dalla Francia e poi dagli industriali italiani interessati alla produzione d’armi; anche D’Annunzio ricevette denaro dalla Francia.
I tedeschi finanziavano quattro quotidiani di Roma, tra cui Il Tempo, invece il Messaggero riceveva finanziamenti dai francesi e perciò sosteneva le ragioni dell’Intesa; l’Ansaldo, produttrice d’armi, era genericamente interventista e possedeva la testata Secolo XIX. Dalla Germania arrivava tanto denaro per comprare la stampa; Filippo Naldi, già direttore del Resto del Carlino, filofrancese, passò al Tempo, filotedesco. Queste cose accadono ancora oggi, la stampa non è indipendente ma influenzata dal denaro perché può ricattare gli interessi consolidati e la politica, la stessa cosa va detta della televisione.
Secondo la legge, i testi e le immagini pubblicate su stampa, sui siti internet, sui blog e sulle liste di discussione, sono coperti da copyright o diritto d’autore, perciò possono essere copiati e trasmessi ad altri indirizzi, solo su autorizzazione della fonte originale. Però un testo, cui si fa riferimento, può essere richiamato citando il link. E’ anche vietato inoltrare corrispondenze originali a sconosciuti, se non si è autorizzati. Quando si trasmettono messaggi di altri, dietro autorizzazione, se ne devono cancellare dati personali, come indirizzo, e-mail e telefono, però è bene indicare la fonte esterna.
I regolamenti di lista affermano che l’operato degli amministratori di lista è insindacabile, mentre l’iscritto è responsabile unico dei suoi messaggi. Invece sulla stampa e sui prodotti editoriali d’internet esiste la figura del direttore responsabile, che aggiunge la sua responsabilità a quella dell’autore. La legge sulla stampa fascista, come il codice penale Rocco, è in contrasto con l’articolo 21 della costituzione, che garantisce la libertà di stampa e d’informazione, ed ha creato la figura del direttore responsabile. Poi, sempre in era fascista, dopo aver rafforzato la censura, sono nati gli albi dei giornalisti, i diritti d’autore, la SIAE ed i finanziamenti pubblici alla stampa, tutti strumenti nati per condizionare e controllare la stampa e l’informazione.
Dopo la seconda guerra mondiale, comunisti e democristiani conservarono il concordato, i reati d’opinione, codice Rocco e quest’impianto, come compromesso antidemocratico tra fascismo e repubblica, certe norme fasciste erano ben viste dalla Chiesa. I comunisti pensavano che queste leggi fasciste potessero essere utili ad una dittatura comunista, ad ogni modo, prima di accettarle, chiesero alla DC posti alla scuola, in magistratura e nelle altre amministrazioni ed enti di Stato, parlo di sottogoverno, comuni impieghi e dirigenze; però non riuscirono a restare al governo, perché De Gasperi, li cacciò.
D’altra parte, la Chiesa, a causa della sua vocazione autoritaria, che aveva aiutato l’ascesa del fascismo, era stata sempre a favore di tutte le leggi rivolte a ridurre la libertà di scampa e d’opinione. Il compromesso tra comunisti e democristiani era un grave vulnus inflitto alla costituzione del 1948, divenuta corpo estraneo tra le leggi ordinarie dello Stato, ancora oggi sono molte le leggi anticostituzionali.
Bisogna ricordare che nel 1945 il Vaticano chiese agli alleati di restituire tutti i diritti solo agli ebrei convertiti al cristianesimo; in questo caso gli americani, che avevano voluto la democrazia anche in Giappone, si opposero recisamente. La legge 603/1941, regolante il diritto d’autore, nacque sotto il fascismo, ufficialmente per regolare i diritti d’autore, sotto l’aspetto materiale ed economico, ma anche per ostacolare la libera circolazione delle idee e delle informazioni. Anche fotografie e bozzetti costituiscono opere dell’ingegno, soggette a diritti d’autore.
I diritti economici riguardano riproduzione, esecuzione, diffusione, distribuzione, elaborazione e riduzione delle opere, con relativo sfruttamento economico; questi diritti patrimoniali possono essere acquistati, alienati e trasmessi e scadono 70 anni dopo la morte dell’autore, dopo di che le opere diventano di dominio pubblico. Invece i diritti morali permangono quando sono scaduti quelli economici e riguardano il diritto alla paternità e all’integrità dell’opera, senza falsificazioni.
In Italia la società SIAE svolge monopolisticamente attività d’intermediazione tra autore ed editore, è un carrozzone un altro filtro di controllo sulla stampa (le opere invise al regime non dovevano arrivare all’editore); ufficialmente concede l’autorizzazione alla pubblicazione, incassa e distribuisce compensi.
Se è vero che la SIAE è l’unica società autorizzata dallo Stato a questa attività, con dirigenti e amministratori che ricevono i loro compensi, oggi l’adesione alla SIE non è obbligatoria ma volontaria, perciò l’autore può decidere di trattare direttamente e liberamente con l’editore o con un agente che lo presenti ad un editore.
All’estero esistono solo agenzie private d’intermediazione che non hanno il monopolio pubblico che ha la SIAE; le traduzione d’opere straniere in Italia, generalmente non passano attraverso la SIAE e la sua registrazione, ma da un agente estero arrivano direttamente all’editore italiano. La Cassazione ha tabilito che i siti diventano prodotti editoriali, simili alla carta stampata, quando hanno periodicità e ricevono contributi pubblici, in questo caso devono essere registrati in tribunale e avere la figura del direttore responsabile. Gli altri siti e blog non sono soggetti a queste restrizioni, comunque, in Italia, i controlli sulla rete sono notevoli e sono stati oscurati tanti siti, soprattutto per ragioni morali. I siti non registrati, sono comunque soggetti alle norme sul copyright e necessitano d’autorizzazioni per le riproduzioni d’articoli, testi e immagini.
Il reato di diffamazione a mezzo stampa non un reato d’opinione perché il giudice, per garantire, di fatto, una certa libertà di stampa, condanna solo la diffamazione calunniosa, cioè frutto d’invenzione; tuttavia un giornalista può ricevere indiscrezioni da fonte autorevole, ma prive d’accertamento giudiziario, e in Italia il politico, per difendersi, querela sempre per diffamazione, anche se l’accusa è veritiera.
Questo fatto e la paura di richiesta di risarcimenti, concorre alla limitazione della libertà di stampa, che perciò in Italia, non esiste dal punto di vista della legge, anche se può esistere una certa tolleranza da parte dello Stato, che vuole farsi passare per democratico. Una curiosità, in Usa, i politici condannati sono abbandonati anche dai loro partiti, in Italia sono presentati dai loro partiti come perseguitati dalla magistratura e ricandidati in Parlamento.
Effettivamente in Italia, rispetto all’estero, si sono fatte troppe intercettazioni, perciò il governo Berlusconi ha promesso cinque anni di carcere per i giornalisti che propagano il contenuto d’intercettazioni telefoniche, per chi le ordina e a chi le esegue; l’intercettazione sarebbe permessa solo per mafia e terrorismo, è un fatto però che molte volte, da intercettazioni di fonte diversa, si risale casualmente a fatti di mafia e di terrorismo.
Per la legge, sono tenuti al segreto avvocati, giudici e giornalisti, è prevista la condanna di giornalisti che hanno ottenuto informazioni in modo illecito, cioè anche con le intercettazioni. Non si è voluto confidare nel senso di responsabilità dei giudici e dei giornalisti, adesso c’è il rischio che la libertà di stampa riceva un altro colpo. Di tutte le istituzioni e organi italiani, oggi la peggiore è proprio l’informazione, si vuole, in tutti i modi, che gli italiani continuino a dormire, non siano informati e che in Italia non si riformi niente, per chi dirige veramente lo Stato, l’Italia va bene così com’è.
Grazie al pagamento di un canone da parte d’amici dei partiti, in Italia la concessione delle frequenze televisive è data dallo Stato, in violazione ad indirizzi liberisti; anche la corte di giustizia della UE ha sentenziato che il regime italiano d’assegnazione delle frequenze è contraria al diritto comunitario, perché non rispetta il principio della libera prestazione. Però si sa che l’Italia non è un paese veramente liberista, nemmeno i partiti che si professano liberisti lo voglio tale, il liberismo è attuato solo per ridurre i diritti o i privilegi dei lavoratori subordinati, i privilegi fiscali e normativi d’altre categorie non si possono toccare, probabilmente l’élite si sente ricattata dai colletti bianchi.
La SIAE si batte perché sia riconosciuto il diritto d’autore anche ai siti didattici, culturali e non commerciali, cioè che non riscuotono abbonamenti o fanno profitto, magari con la pubblicità; secondo chi non è innamorato della SIAE, con l’uso non commerciale del sito o del blog non si dovrebbero pagare i diritti d’autore. Sarebbe necessaria una normativa democratica che garantisca il libero accesso all’informazione culturale in rete, le informazioni sbagliate non vanno censurate, ma vanno confutate da altre informazioni; perciò non è necessario controllare l’informazione, che deve essere libera. Le belle idee, nell’interesse dei cittadini e della cultura, si dovrebbero poter copiare, ci dovrebbe essere la libera circolazione delle idee anche altrui.
I siti didattici riproducono contenuti culturali, fatta salva la citazione della fonte. Da notare che in occidente, generalmente si fa scambio gratuito d’informazioni in rete, dove appaiono anche sintesi d’opere letterarie, senza restrizioni, autorizzazioni o contropartite economiche. Invece la SIAE ha posto seri problemi anche nell’utilizzo delle immagini non autorizzate, che violerebbero il diritto d’autore, cercando di accomunare siti commerciali e siti didattici; urge pertanto una modifica della legge sui diritti d’autore, che non ostacoli la diffusione della cultura, del libero pensiero e dell’informazione.
In Italia occorrerebbe un albo in cui inserire siti didattici e culturali, concedendo ad essi una liberatoria per l’uso del diritto d’autore, quando manca il fine di lucro; nei paesi poveri si lotta contro il diritto d’autore, che limita l’accesso alla cultura e alla salute del corpo e rallenta il progresso e la conoscenza tecnica e scientifica. Se, con il riassunto, l’opera non deve essere modificata o stravolta e ne deve essere riconosciuta la paternità dell’autore, può accadere che questi riassunti o digest possano essere omissivi, dipende infatti dalla loro estensione; infatti, a forza di ridurre, si può togliere qualche cosa d’importante e, con l’eccessiva riduzione, si arriva solo alla sola presentazione del libro, che è lecita; il che lascerebbe spazio, anche in Italia, alla discrezionalità del giudice.
Sarebbe auspicabile che in rete, per questi riassunti, ci fosse tolleranza da parte di Stato, Siae, agenti, autori ed editori, chie ha amore per la diffusione della cultura dovrebbe tollerarli; inoltre non è escluso che, per questa strada, l’autore possa incrementare le vendite dei suoi libri, invece che esserne defraudato, perché il suo libro ne è pubblicizzato. Per quanto riguarda le comunicazioni commerciali a d’altro tipo indesiderate, che si vorrebbe impedire di ricevere nella propria casella di posta elettronica, bisogna ricordare che in Italia si riceve posta ordinaria indesiderata nella cassetta delle lettere, anche quando il destinatario ha manifestato la sua contrarietà, e, da parte dello Stato, si dovrebbe spiegare la differenza di regolamentazione.
Mentre un giudice di Bari ha emesso una condanna a carico di due gruppi della grande distribuzione, il legislatore, per rispetto verso la grande distribuzione, non ha fatto chiarezza; il giudice ha rilevato, nella prassi, un danno esistenziale, lesivo della persona, consistente, in scocciatura o seccatura. Gran parte della carta buttata nelle nostre case, per la quale si paga la tassa sui rifiuti, è fatta di pubblicità commerciale, che riempie la cassetta e toglie spazio alla posta ordinaria; la cassetta è proprietà privata, perciò dovrebbe ricevere solo la corrispondenza del destinatario.
Ricordiamo che l’Italia ha il record delle condanne da parte della corte di giustizia di Strasburgo, per violazione i norme comunitarie, regolamenti, convenzioni, inadempienze, durata dei suoi processi, violazioni di libertà, mancanza di un equo processo e della libertà di stampa. E’ vero che nemmeno in Europa tutto riluce, però pare che l’Italia sia messa peggio. Nell’Italia esiste uno scontro tra falsa democrazie apparente e dittatura sotterranea, lo Stato si muove regolarmente in violazione della costituzione, corpo estraneo all’interno di leggi ordinarie; tante leggi anticostituzionali, ora vigenti, sono opera di parlamento, governi e presidenti che le promulgano.
Le sentenze possono essere bizzarre e contraddittorie o partigiane, però generalmente si muovono all’interno della legge ordinaria. Se il giudice, per ignoranza o malafede, emette anche sentenze in violazione di norme, la Corte costituzionale ha emesso sentenze in violazione della costituzione, impedendo referendum perfettamente leciti o riconoscendo costituzionali norme che non lo erano.
Il reato di plagio, perfettamente giustificato, visti i kamikaze e le vittime dei pedofili, fu cancellato perché giudicato incostituzionale dalla Consulta e oggi si vorrebbe reintrodurlo. La corte costituzionale, in epoca repubblicana, riconobbe valido il reato d’adulterio solo per le donne, come se l’Italia fosse un paese musulmano, poi, in un secondo momento, il reato fu abolito. Noi siamo soggetti al delirio e al dogma della costituzione, che tutti richiamano, ma che lo Stato ha vanificato. La corte di Cassazione ha annullato sentenze in ossequio al potere, il presidente della repubblica, dal 1949, attentando alla costituzione, ha promulgato leggi anticostituzionali. Oggi in Europa la voce del popolo è stata rimpiazzata dalla voce delle lobbies, in Italia e in Europa la sovranità del popolo non si sa dove abiti.
Bibliografia:
Sergio Romano - Storia d’Italia – Longanesi Editore,
Jasper Ridley – Garibaldi – Club degli Editori,
Mack Smith – La Storia manipolata – Laterza Editore,
Pierino Marazzani – La Chiesa che censura – Erreemme Editore,
Paolo Mieli – Storia del Risorgimento – Rizzoli Editore,
Ugo Finetti – La resistenza cancellata – Edizioni Ares,
Luciano Garibaldi – L’altro italiano – Edizioni Ares,
Gianpaolo Pansa - Il sangue dei vinti – Sterling & Kupfer Editore,
Giordano Bruno Guerri – Gli italiani sotto la Chiesa – Mondadori Editore,
Paolo Cortesi – Manoscritti segreti – Newton Editore,
Robert Darnton - Libri proibiti - Mondatori Editore.
Nunzio Miccoli www.viruslibertario.it numicco@tin.it